Maggio 21st, 2016 Riccardo Fucile
LE PROPOSTE PIU’ BIZZARRE DEI CANDIDATI A SINDACO DELLA CAPITALE
Promesse da sogno. ![](http://s32.postimg.org/rm84x06b9/ROMA.jpg)
A leggere i programmi dei candidati a sindaco di Roma alle elezioni comunali di giugno i romani possono dormire sonni tranquilli: chiunque sarà il vincitore, tra cinque anni consegnerà ai cittadini una metropoli completamente nuova: stop al degrado e alla sporcizia, una percentuale di raccolta differenziata da far arrossire le capitali del Nord Europa, un sistema di trasporto pubblico su ferro e su gomma che a Londra ci invidieranno, periferie rammendate e un manto stradale impeccabile, mai più spreco e malversazioni nell’apparato amministrativo.
E’ quanto hanno messo nero su bianco i candidati a sindaco di Roma nei loro programmi elettorali.
Un insieme di proposte, la maggior parte delle quali di buon senso anche se già sentite.
Ma ce ne sono alcune che invece risultano un po’ bizzarre per l’elettore che va a spulciare, paragrafo per paragrafo, slide per slide, il piano che si intende attuare nella Capitale una volta eletti.
Una di queste, ad esempio, è quella di creare una funivia che consenta di superare il traffico tra Casalotti e Boccea, un’area periferica altamente congestionata dal traffico. Un’idea lanciata dalla candidata del Movimento 5 Stelle Virginia Raggi che nei giorni scorsi si è attirata gli sberleffi e le ironie di avversari politici, in primis del Partito Democratico, e di tanti utenti sui social network.
Al di là del fianco offerto alle facili invettive, del progetto di una funivia a Roma se ne era già parlato: durante la giunta di Walter Veltroni si pensò di collegare l’area della Magliana e dell’Eur con questo sistema.
Il piano di una cabinovia piacque anche al successivo sindaco Gianni Alemanno e all’ultimo, Ignazio Marino. E anche all’attuale candidato Pd al Campidoglio Roberto Giachetti non sembra dispiacere, come da lui stesso affermato durante un’iniziativa elettorale nell’XI municipio.
Giachetti intende invece affrontare il dissesto del trasporto pubblico locale attuando diverse misure.
Tra queste, c’è quella di migliorare la circolazione sulle corsie preferenziali portandole “dagli attuali 63 km a 150, cominciando dalla via Tiburtina”.
Non solo: per il candidato sindaco Pd, un modo per scoraggiare definitivamente “le infrazioni degli automobilisti incivili” potrebbe essere l’inversione del senso di marcia delle preferenziali.
Lo slogan utilizzato non è dei più azzeccati e sembra anzi invogliare gli automobilisti a compiere infrazioni anche rischiose: “Più preferenziali e contromano”. Sintetico sì, ma ambiguo.
La candidata sostenuta dal suo partito, Fratelli d’Italia, e dalla Lega Nord Giorgia Meloni ha messo sul piatto una serie infinita di promesse sulla cui fattibilità è lecito dubitare: raccolta differenziata al 75% (Giachetti si è fermato al 65%), azzeramento del debito della Capitale grazie al semplice riconoscimento “una tantum degli ‘arretrati’, ovvero i soldi mai versati sinora (dallo Stato, ndr) alla città di Roma”. E poi il sogno di una “Tor Bella Monaca bella come Trastevere: demoliremo il brutto per costruire e portare il Bello”.
Nel settore dell’infanzia, poi, Meloni assicura il massimo impegno per evitare sprechi di “energie e risorse in promozioni ideologiche come l’assurda propaganda gender che ha cominciato a diffondersi in alcuni contesti scolastici”.
Non è finita qui: per ripianare le buche propone le strade adottive: “Vogliamo coinvolgere risorse private: far ‘adottare’ le strade ad alcuni grandi marchi privati che si faranno carico del rifacimento in cambio di pubblicità , o alle associazioni di commercianti che si occuperanno di rimetterle a posto in cambio di concessioni”.
Ma è sul trasporto pubblico che Meloni preme sull’acceleratore: i ritardi negli scavi per la costruzione delle linee metropolitane saranno un ricordo del passato.
Nel caso in cui, durante i lavori, venissero ritrovati resti archeologici o reperti storici, potranno essere “sacrificati” sull’altare dell’efficienza a meno che non si tratti di opere “assolutamente eccezionali”. Il meccanismo per stabilire quali ritrovamenti varrà la pena distruggere e quali no manca però dal programma.
Alfio Marchini, sostenuto dalla sua lista civica, da Forza Italia e da Francesco Storace, ha condiviso le idee hi-tech più originali.
A partire dal semaforo intelligente (proposto anche nel programma di Virginia Raggi) “in grado di rilevare l’intensità del traffico e di regolare di conseguenza la durata dei cicli semaforici variabile in tempo reale”.
Fin qui si resta nel campo della fattibilità ; dal quale si esce, forse, quando l’imprenditore romano promette lo stop agli allagamenti nelle giornate piovose grazie all’uso dei “tombini tecnologici”.
Un sistema avanzatissimo per la raccolta e la canalizzazione dell’acqua piovana.
“La soluzione che abbiamo individuato è un “Sistema Informatico di Monitoraggio Acque Pluviali” (SIMAP), che controllerà costantemente lo stato di tutti i tombini collegandoli in rete ad una Centrale operativa in grado di localizzare con estrema precisione quello in allarme, consentendo un rapido, puntuale e risolutivo intervento. I dati raccolti saranno trasmessi alla Sala di Controllo, dotata di pannello sinottico che segnalerà le anomalie e la loro posizione così da predisporre un rapido e risolutivo intervento.”
Da Marchini arriva anche una proposta per riqualificare i tetti dei palazzi della Capitale e dire basta a cavi e antenne televisive che guastano il nostro terrazzo: “Abbiamo pronta una delibera per promuovere la diffusione di orti e giardini verticali sui tetti dei palazzi romani, ad uso dei residenti” per favorire tra l’altro “un maggior assorbimento delle acque piovane a beneficio del sistema stradale e fognario e contribuire alla climatizzazione naturale e biologica degli edifici”.
Oltre agli ormai famosi “tornelli alti due metri per azzerare la possibilità di scavalcare per accedere ai binari” della metropolitana, Marchini ha pronta “un’ordinanza sindacale” per disincentivare il fenomeno della prostituzione sulle strade e nei quartieri.
Stefano Fassina, fresco di riammissione alla campagna elettorale su decisione del Consiglio di Stato, si propone di “dimezzare in cinque anni il numero di auto in circolazione” adottando un modulo calcistico: il 4-3-3: “4 passanti ferroviari per i collegamenti con l’area metropolitana, 3 linee di Metro, 3 linee di tram”.
Sul fronte della sicurezza l’ex viceministro dell’Economia propone di combattere la criminalità organizzata con “l’onestà organizzata, grazie alla partecipazione attiva dei cittadini per aumentare l’efficienza delle amministrazioni e la trasparenza delle aziende pubbliche per trasporti, rifiuti e acqua”.
Last but not the least, non poteva mancare Mario Adinolfi candidato per il Popolo della Famiglia.
Il suo è un programma ispirato al Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa. Si tratta di 26 punti programmatici tra i quali ci sono la “carità “, il “bene comune”, “la giustizia”, “la libertà “, “la verità “. E soprattutto “la famiglia composta da mamma e papà “.
Alla voce “Y come Y chromosome. Educare sì alla sessualità , ma rispettando l’identità e l’armonia maschio/femmina”, Adinolfi spiega poi come deve avvenire l’educazione sessuale dei minori: “L’educazione affettiva e sessuale deve abbracciare la totalità dell’essere umano, non solo gli aspetti fisici, ed essere calibrata allo specifico dell’identità maschile e femminile, realtà complementari ma differenti. Si tratta, insomma, di preparare i futuri sposi, uomini e donne del domani, all’amore di comunione e fecondo”.
Va sottolineato che per la realizzazione della gran parte delle proposte non si spiega dove verranno reperite le risorse economiche.
Resta al candidato una vasta gamma di idee bislacche e misure più o meno concrete per un finale di campagna elettorale che promette bene: le premesse ci sono tutte.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 21st, 2016 Riccardo Fucile
“CHI PARLA TANTO DI LEGALITA’ E SICUREZZA E’ IL PRIMO A VIOLARE LE REGOLE E LEGGI”
“La scorsa notte alcuni partiti che sostengono Paolo Orrigoni, e in particolare Fratelli d’Italia e Lega Nord, sono passati in molte zone di Varese a coprire i nostri manifesti elettorali con dei cartelloni abusivi. In più, senza nessun ritegno, queste persone ci hanno pure messo la faccia visto che i manifesti che coprono alcuni dei nostri sono di due consiglieri comunali di Fratelli d’Italia: Clerici e Cosentino”.
Così Davide Galimberti, candidato sindaco di centrosinistra a Varese, che questa mattina ha denunciato l’esteso attacco subito durante la scorsa notte sugli spazi dove vengono affissi i manifesti elettorali.
Sui tabelloni elettorali presenti in città , infatti, ad ogni forza politica viene assegnato un preciso spazio di affissione.
“Ho presentato tre esposti al Prefetto ed al Comune con cui ho denunciato l’accaduto e soprattutto ho chiesto di conoscere i costi che il Comune e quindi tutti i varesini saranno costretti a sostenere a causa di questo atto di inciviltà e il numero di agenti della polizia Locale impiegati per accertare le violazioni: tutte risorse che si sarebbero potute impiegare meglio per presidiare il territorio. Spero che il Comune, entro i termini di legge e comunque prima delle elezioni, vada a chiedere i soldi delle sanzioni e delle spese comunali che dovrà sostenere per ripristinare la legalità . Ritengo inaccettabile quanto accaduto e ancor più grave perchè a commettere atti illeciti è stato chi si candida ad amministrare un comune mentre dovrebbe essere il primo garante del rispetto delle regole.”
“È inaccettabile che chi parla tanto di sicurezza sia il primo a violare regole e leggi.”
(da “Varesenews“)
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Maggio 21st, 2016 Riccardo Fucile
OGNI GIORNO IN ITALIA CI SONO 615 NUOVI POVERI… “AVEVO UNA VITA NORMALE, UN LAVORO, MOGLIE E BAMBINI, HO PERSO TUTTO, DA DUE ANNI VIVO PER STRADA, ORA HO IMPIEGO DA 60 EURO LA SETTIMANA”
Dice: «Chiamami Biancaneve». Ha pochi denti, barba brizzolata di tre giorni (non per moda), capelli
raccolti sotto un cappelletto di pelle, gilet rosso, jeans agonizzanti, aria da vecchio gatto del Colosseo.
La strada non lo ha spezzato: l’ironia gli ha fatto da scudo, lampeggia talvolta urticante dietro gli occhialini; non è banale che uno nelle sue condizioni incuta rispetto.
La faccenda dell’anonimato è per i figli, dieci e cinque anni, che stanno a Bologna e non devono sapere.
«Ora risparmio, sai? Prendo 60 euro a settimana e ne metto via 20, ora. Ogni mese vado su a trovarli e così ho due soldi in saccoccia, dico che lavoro, li porto a prendere il gelato»
Dal precipizio della miseria alla speranza
E’ sardo, di un paesino di quattromila anime in provincia di Cagliari, «se ti dico come si chiama mi sgamano subito»; 51 anni da compiere, a Roma da quasi due.
«Ora» è una parola che sa di risalita, lui è una specie di statistica fatta uomo. «Eh sì, quelli dell’Istat mi danno la caccia», ride.
La sua caduta culmina nel 2013, anno di massima sofferenza degli italiani per effetto della crisi, 615 nuovi poveri al giorno secondo l’ufficio studi di Confcommercio. «Ora» gli pare quasi di poterne uscire: e da due anni il precipizio verso miserie assolute e relative s’è fermato, ci dicono i grandi numeri, non va proprio meglio ma nemmeno peggio.
«Ora» lui l’hanno preso all’accettazione del magazzino di via del Porto Fluviale, non proprio un impiego ma quasi. Lì quelli di Sant’Egidio raccolgono abiti usati.
Si sente meno povero raccogliendo abiti per i poveri. Loro gli hanno aperto la porta. «Però chiamami barbone», dice. «Chè quello sono, finchè non avrò un lavoro vero, ma alla mia età non si trova. Sarò sempre un barbone»
Tre volte la settimana con Sant’Egidio
Tre volte la settimana viene qui, alla mensa di Sant’Egidio, dove una targa per Modesta Valenti ricorda l’inizio di tutto, nel 1983: la morte per inedia e incuria di una clochard alla stazione Termini, la vergogna di scoprire che si muore così nel centro di Roma.
La nuova storia di via Dandolo 10, sopra viale Trastevere, dietro il palazzone del Miur, comincia dalla reazione a questa vergogna: questo non è un indirizzo qualsiasi, il destino ama i cortocircuiti.
«Qui si stampava Lotta Continua», racconta Augusto D’Angelo, professore di Scienze politiche alla Sapienza e volontario di lungo corso.
Gli invisibili, che la rivoluzione degli uomini non ha riscattato, stanno in fila qui, a volte in sette o ottocento, fino a millequattrocento al giorno, non solo per fame di cibo.
«Qui si creano percorsi d’amicizia. La loro vera fame è essere chiamati per nome e non con un ‘ahò, levate!’. E’ fame di identità »
Identità celata per proteggere i figli
Lui, che l’identità se la nega per i figli, spicca col gilet e il cappelletto nella fila silenziosa, in lento movimento verso le due grandi sale del refettorio, tra inseparabili borsoni e valigie trascinate ovunque perchè contengono vite intere, ciò che ne resta.
E’ uno dei tre italiani su dieci che adesso vengono alla mensa (fino a qualche anno fa nove su dieci erano stranieri).
In Sardegna suo padre faceva il muratore, «ho seguito… le sue orme, sono carpentiere. Beh, sarei carpentiere».
Ha cominciato a tredici anni nei cantieri, però ha preso anche il diploma di perito elettronico. Dopo il militare, ha chiuso col paesino. Morti i genitori, morto un fratello, nessun legame.
«Ho girato il mondo col mio lavoro. Dubai, Tripoli, Abu Dabi, Rabat, guadagnavo pure seimila euro lordi al mese. Incredibile, eh? Ho messo famiglia, a Bologna, la mia compagna era sarda come me, abbiamo fatto due figli, un mutuo per la casa, in centro. E’ andata così fino al 2012».
Poi l’azienda chiude, licenzia lui e i 24 operai del suo gruppo, riapre con un’altra ragione sociale, «e prende tutti rumeni, a un terzo di quello che davano a noi».
Storia vista molte volte. Tra ultimi e penultimi la solidarietà è spesso una favola consolatoria.
Per lui la rovina si materializza in dodici mesi, tra il 2012 e il 2013. Quando ci si accorge di diventare una piccola storia dentro i grandi numeri? Quando si scopre di essere il seicentoquindicesimo nuovo povero di una stramaledetta giornata?
«Quando i soldi della liquidazione finiscono e in quattro non tiri avanti. Apri il frigo, non c’è la carne, non puoi comprarla»
«Casa mia l’ho affittata: così pago loro gli alimenti»
Nel 2014, l’Istat fissa a 1.623 euro e 31 centesimi al mese la soglia di povertà assoluta per una famiglia di due adulti e due bambini in aree metropolitane del Nord.
«Beh, io ti dico per esperienza che duemila euro non bastano, sarà stata… povertà relativa! Ma ci odiavamo. Bollette, rate, i bambini che… accidenti se costano! Bussavo ma tutte le ditte mi rispondevano picche, pigliavano solo rumeni! Stavo sclerando coi figli, ma non li ho mai toccati. Con la mia compagna sì, ci siamo messi pure le mani addosso, cioè più che altro io a lei, ma non scriverlo. Niente più quattrini, niente più amore. Allora ho messo loro in sicurezza. Avevo estinto il mutuo, ho intestato la casa ai bambini, ne ho affittato un pezzo e ho dato a loro i soldi come alimenti, sono barbone ma mica scemo, se faccio una cavolata loro non devono pagarne conseguenze. La mia compagna s’è rimessa a lavorare, faceva l’infermiera. E io me ne sono andato. Il 15 agosto 2014 sono sceso dal treno alla stazione Termini. Ero a Roma, non avevo lavoro, avevo 500 euro in tasca, un cambio nello zainetto e un sacco a pelo».
Il letto sulla panchina al binario 23
Il nuovo letto è quel sacco a pelo su una panchina di marmo grigio, al binario 23, l’ultimo a destra, quello dei treni laziali.
A Roma sono ottomila i senza fissa dimora, duemila e cinquecento dormono per strada. «La prima sera? Beh, dovresti provarci, è un’avventura… arrivavo prima di mezzanotte, andavo via alle sei, adesso non ti fanno più entrare ma allora si poteva. Ho fatto amicizia con Roberto, sardo come me: è morto a dicembre scorso, aveva il diabete, gli avevano tagliato una gamba. Lo chiamavano Il Cuoco, perchè cucinava col fornelletto al binario 6. Era lì da vent’anni. Già lo vedevo, prima, quando avevo i soldi e prendevo il treno da passeggero. Gli davo qualcosa, pure 10 euro, c’era simpatia. Quando m’ha trovato in mezzo a loro, m’ha sorriso: benvenuto nella compagnia. Mi ha insegnato tutti i trucchi, a evitare le risse e i pazzi, a stare alla larga. Io avevo ‘sa pattana’, il coltello di noi sardi, ma non l’ho mai tirato fuori, la libertà è l’unica cosa che m’è rimasta e non voglio perderla»
«Leggo Ken Follet e Faletti in biblioteca»
La nuova vita è più impegnativa di quanto noialtri immaginiamo: appuntamenti di sopravvivenza. Ciò che nel mondo di qua è banale, nel mondo di là richiede concentrazione.
«La doccia, perchè a me piace essere pulito. Facevo chilometri per lavarmi. Lunedì a Trastevere, martedì in via Anicia, mercoledì a Lunghezza… Fatta la doccia, ti danno anche la colazione, e a quel punto cominci a camminare per il pranzo. A Roma se t’organizzi nemmeno dimagrisci, puoi pranzare due volte in un’ora in due mense diverse. Al pomeriggio avevo fatto la tessera alla biblioteca Rispoli, dietro piazza Venezia. Leggevo, leggo: quotidiani, Ken Follet, Faletti, legal thriller, a casa avevo sei o settecento libri. Prima di sera, ci si ricomincia a muovere per la cena, nuovo giro. Raccattavo i giornali dai treni, li rivendevo a 50 centesimi, la gente se li compra. Ho fatto una cinquantina di inventari a Boccea e a Lunghezza, devi catalogare la merce, in un inverno ti fai pure mille euro. Però stai tutta la notte in giro. Allora dormi sul tram. Pigli il 3 all’Ostiense fino a Valle Giulia, un’ora e dieci all’andata, un’ora e dieci al ritorno, dormi al calduccio. Devi muoverti, insomma. Se stai fermo, non sopravvivi» (
Allergico alla carità , ma poi si è arreso
Ma non dura molto la concentrazione, ci si lascia andare.
«Ho retto tre mesi, poi stavo crollando. Ho incontrato Fabio». Fabio è un tipo dalla faccia grande e buona che, mentre parliamo, distribuisce i ticket della mensa sul portone di via Dandolo.
E’ il suo primo contatto con Sant’Egidio. «Non volevo venire, non mi piace la carità . Molti non vogliono. Se cresci un cucciolo per strada, quello scappa dal salotto. Devi starci in mezzo, ai barboni, per capire come gli funziona la testa».
Il 10 dicembre 2014, s’arrende. Entra nel rifugio di Santa Maria in Trastevere, lì si dorme in undici. Ora che la vita sta cambiando, lo aspetta un centro permanente, con quattro compagni.
Sogni che domani sia com’era ieri, quando avevi la dignità
Lui sogna ancora una casa, sogna che domani sia com’era ieri, «quando avevo la dignità d’un uomo, il lavoro».
Sperare, no, la parola è troppo impegnativa. «Spererei nella rivoluzione, ma sono vecchio. Speravo in Dio, più che credergli. Beh, ci ho pensato più volte di farla finita, specie all’inizio. Ogni tanto mi piglia la malinconia. Ma sono tosto, sono sardo, passa».
Passa, sì. Però per la prima volta in un’ora gli occhialini si velano un po’.
Goffredo Buccini
(da “il Corriere della Sera”)
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Maggio 21st, 2016 Riccardo Fucile
LA DONAZIONE DI 100.000 EURO DUE MESI FA DA PARTE DI PANNELLA E IL TESTAMENTO IN CROAZIA
Separati in casa. Da una parte la vecchia guardia che difende il fortino della memoria: i simboli, la radio, la storia.
Dall’altra, i giovani che si presentano alle elezioni, raccolgono firme e rivendicano il presente e il futuro.
La morte di Marco Pannella segna la fine della storia radicale per come l’abbiamo conosciuta. Il futuro è tutto da costruire.
Ma se è vero che il vecchio leader non ha eredi, è anche vero che siamo di fronte a una situazione paradossale. Con un rischio concreto: non più qualche ripudio o defenestrazione, come da tradizione pannelliana, ma la spaccatura tra due mondi che fanno fatica a parlarsi.
L’«eredità » di Pannella? Maurizio Turco sorride: «Non c’è alcuna eredità , Marco non possedeva nulla».
Eppure non è proprio così. Pannella è stato finora il padre nobile, ma anche il garante e, di fatto, il proprietario di molto: dei simboli (dalla Rosa nel Pugno alla Lista Pannella) e della sede di via di Torre Argentina.
Insieme a lui, hanno gestito tutto i fedelissimi Maurizio Turco, Matteo Angioli e Rita Bernardini.
Che ne sarà ora? E che ne sarà della radio, che con Massimo Bordin e Alessio Falconio è stata sempre vicina ai dirigenti storici? Turco, prima della morte di Pannella, al Corriere aveva previsto qualche «bacio di Giuda».
La guerra è scoppiata all’ultima assemblea del 23-24 aprile. Ma è solo l’inizio.
Non è chiaro se vi sia un testamento di Pannella. L’ultimo di cui si ha notizia, si sussurra, risale al 2011, quando andò in Croazia.
Ma qualcosa è cambiato negli ultimi due mesi. È passata quasi sotto silenzio, nonostante un comunicato ufficiale, una «donazione» di Pannella, già malato e rinchiuso nella casa di via della Panetteria: il 25 marzo il leader radicale ha versato 100 mila euro di tasca sua.
Cinquantamila sono finiti al Comitato mondiale per lo Stato di diritto, presieduto da Giulio Maria Terzi (segretario Matteo Angioli). Altri 50 mila sono finiti al «partito». Che non ha un presidente e non fa un congresso dal 2011. Ma è di fatto nelle mani della vecchia guardia
E i giovani? Paradossalmente sono in maggioranza da tempo.
Da Mario Staderini a Riccardo Magi, attuale segretario dei Radicali italiani (cosa diversa dal partito), sono i vincitori.
Marco Cappato è candidato sindaco a Milano, contro il parere della Bernardini. E Magi è capo di una lista radicale d’appoggio a Giachetti, a Roma.
Eppure, senza simboli, senza sede e senza soldi, rischia di mancare l’agibilità politica. Due giorni dopo la presentazione di Cappato a Milano, un comunicato firmato da Bernardini, Turco, ma anche Marco Beltrandi, Sergio D’Elia e Elisabetta Zamparutti, dichiarò «incomprensibile» la sua candidatura.
Del resto la Bernardini è chiara: «Siamo divisi, abbiamo idee diverse. A Roma voterò Giachetti. Magi? Forse non lo voto».
Risponde Magi: «Non capisco cosa ci rimproverino, mi sembra tutto molto pretestuoso. E poi non c’è nessuna frattura generazionale: la Bonino è con noi, ma anche Cicciomessere e Spadaccia. Mi piacerebbe che ci potessimo chiarire in una sede istituzionale, è arrivato il momento di fare il congresso del Partito radicale. Quanto alle urne di Roma, faccio solo presente che Pannella fece la scelta opposta a quella della Bernardini: all’epoca votò me e non Ignazio Marino».
(da “il Corriere della Sera”)
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Maggio 21st, 2016 Riccardo Fucile
LA COMMISSIONE PARLAMENTARE ACCUSA LE ULTIME GIUNTE VENETE DI AVER CONSENTITO 15 ANNI DI MALAFFARE
Godeva di “coperture politiche e amministrative” di alto livello e si muoveva nei meandri di una
gestione dei rifiuti “opaca e melmosa”.
Una situazione in cui “i controlli interni della Regione Veneto non hanno in alcun modo funzionato”, tanto da consentire al dirigente di “operare illecitamente per circa tre lustri” nel settore delle autorizzazioni ambientali.
È un atto d’accusa pesante, che chiama in causa anche la giunta leghista di Luca Zaia, la proposta di relazione sul Veneto firmata dal presidente della Commissione bicamerale d’inchiesta sui rifiuti Alessandro Bratti e dai relatori Miriam Cominelli e Alberto Zolezzi.
Al centro del report, che verrà sottoposto a discussione e approvazione entro la fine di maggio, una vicenda considerata “cartina di tornasole di un contesto di illegalità diffusa, di controlli insufficienti e di carenza sanzionatoria” in Veneto: quella dell’ingegner Fabio Fior, dirigente regionale del settore ambiente che per quasi 15 anni, “dal 2000 al 2014”, ha gestito il sistema delle autorizzazioni e dei controlli su impianti e discariche. Finito nel mirino di un’inchiesta della Procura di Venezia, Fior è stato condannato, lo scorso 21 ottobre, a tre anni con il rito abbreviato per associazione a delinquere, abuso d’ufficio e falso.
Il funzionario condannato? “Ha operato impunemente con la connivenza di tanti”
L’ingegner Fior, considerato il ras regionale dei rifiuti, secondo i relatori “ha operato impunemente senza controllo alcuno e con la connivenza di tanti”, in un arco di tempo che abbraccia le due giunte Galan e quella, in carica, di Zaia.
Le vicende giudiziarie a suo carico riguardano alcuni dei più rilevanti scandali ambientali veneti: dai rifiuti di Marghera impastati sotto alla rampa dell’autostrada di Roncade a Treviso, alle scorie di acciaieria smaltite sotto al parcheggio P5 dell’aeroporto Marco Polo di Venezia, fino al peculato milionario sulla forestazione della discarica di Sant’Urbano a Padova.
L’accusa al dirigente del settore ambiente Fior, in sintesi, è di aver acquisito da imprenditori del settore rifiuti incarichi retribuiti per il collaudo di numerosi impianti e discariche nelle diverse province del Veneto, pur avendo partecipato alle sedute della commissioni tecniche che ne avevano rilasciato le autorizzazioni.
Consulenze incompatibili, sottolinea la bozza di relazione, in virtù del suo ruolo al contempo di responsabile del settore ambiente della Regione, vicepresidente della Commissione tecnica regionale ambiente e di quella per la Valutazione di impatto ambientale.
E che in alcuni casi hanno comportato conseguenze importanti sull’ambiente e sulle casse regionali. Vicende per cui il 21 novembre scorso è stato condannato anche dalla Corte dei Conti a un risarcimento, nei confronti della Regione Veneto, di 284mila euro.
Autorizzatore, ma anche collaudatore. Arsenico e piombo finiscono sotto l’autostrada
Uno dei casi più significativi è quello della ditta Mestrinaro di Zero Branco, in provincia di Treviso. I suoi responsabili avevano già patteggiato una pena nel 2007 per gestione abusiva di rifiuti, condonata grazie all’indulto, quando la Regione Veneto ha concesso l’autorizzazione integrata ambientale per la loro ditta di trattamento di rifiuti speciali nel trevigiano.
L’ingegner Fior, a capo del settore ambiente della Regione, aveva partecipato alla seduta della commissione Via che aveva dato parere favorevole al progetto. In seguito Fior sarà anche colui che effettuerà il collaudo della Mestrinaro, attestando falsamente, nella relazione di collaudo del 2011, che quegli impianti da lui stesso autorizzati funzionassero perfettamente e che le scorie, una volta trattate, perdessero “la qualifica di rifiuto” e fossero utilizzabili in opere edili e stradali. Ma la ditta Mestrinaro “lavorava gli inerti, costituiti da terre e rocce da scavo, miscelandoli con arsenico, piombo, mercurio e altri materiali — secondo le indagini dei carabinieri del Noe riportate nella relazione sul Veneto della Commissione rifiuti — creando un conglomerato cementizio” di nome “Rilcem” che altro non era se non un modo per “dissimulare ciò che in realtà era rifiuto contaminato”.
Le scorie della Mestrinaro sono state utilizzate, come emerso dalle indagini della Dda di Venezia, “nell’intero territorio nazionale per la costruzione di immobili per uso residenziale”, oltre che sotto alla rampa dell’autostrada A4 di Roncade, nel trevigiano, e sotto al parcheggio P5 dell’aeroporto Marco Polo di Venezia. Nel 2014 la ditta è stata dichiarata fallita, rendendo vane le sanzioni della magistratura e ogni forma di risarcimento.
Padova, cinque milioni di euro per il bosco che non c’è
Secondo le indagini della magistratura, riassunte dalla Commissione rifiuti, anche il progetto regionale per il rimboschimento di una discarica nel padovano voluto e gestito dall’ingegner Fior si è trasformato in una truffa da 5 milioni di euro.
Si chiamava progetto “Bosco”, e doveva servire alla piantumazione di alberi vicino alla discarica di Sant’Urbano, in provincia di Padova.
E i cittadini dei comuni limitrofi, in virtù di una delibera regionale del 2005, avevano anche pagato per anni una tariffa di 10 euro a tonnellata (poi ridotta a 4) per la sua realizzazione.
Ma di alberi, intorno alla discarica della società Gea del gruppo Green Holding — di proprietà della famiglia lombarda Grossi, i “re delle bonifiche” coinvolti nello scandalo Montecity-Santa Giulia e indagati dalla Procura di Latina per la presunta truffa nella gestione della discarica di Borgo Montello — in più di sei anni ne sono stati piantati solo 2.274.
Il costo reale dell’operazione (dichiarata poi “fallita” nel 2012 dalla Regione stessa e dal Comune) è stato di 63mila euro. Però nelle casse della società Green Project, a cui era stato affidato l’incarico “in carenza di qualsivoglia procedura di gara” — e il cui socio occulto, secondo la Procura, era Fior stesso — sono fluiti circa 5 milioni di euro, 2 dei quali giustificati come “costi progettuali e organizzativi”.
La regione Veneto nonostante l’intervento successivo dell’avvocatura non è mai riuscita a recuperare dalla Green Project una somma di 3 milioni di euro, “distratta con un giro vorticoso di false fatturazioni per operazioni inesistenti in favore di altre società del ‘gruppo Fior’”.
Il telerilevamento delle discariche abusive. Con gli indagati del Mose
Altra vicenda per cui i pm di Venezia contestano a Fior l’abuso d’ufficio è quella del progetto per il monitoraggio tramite “telerilevamento” delle discariche abusive della regione Veneto.
Un servizio affidato, con delibera regionale del 2003, al “servizio informativo” del Consorzio Venezia Nuova (Cvn), già al centro dell’inchiesta sul Mose, e finanziato a più riprese dalla Regione, dal 2003 al 2010, con più di 4 milioni di euro. Al centro dell’inchiesta la stipula della convenzione, firmata nel 2009 con l’intervento dell’assessore regionale all’ambiente Giancarlo Conta, del magistrato alle acque di Venezia Patrizio Cuccioletta e del sindaco del comune di Torri del Benaco, Giorgio Passionelli, rinviati a giudizio lo scorso 21 ottobre.
Perchè il Cvn non poteva, per legge, attivare nuovi funzioni che non fossero attinenti alla salvaguardia della Laguna di Venezia. E in seguito, “senza gara sono stati stipulati i relativi contratti — ricostruisce la relazione parlamentare — con numerose società tutte collegate agli imputati”, alcune delle quali amministrate da “sodali del Fior, il quale era dominus e ‘socio occulto’ delle stesse”.
La bozza di relazione: “Coperture di assessori e di funzionari della Regione Veneto”
Ma l’ingegner Fior, secondo la Commissione parlamentare sui rifiuti, non avrebbe potuto agire illecitamente per tutti quegli anni senza le “coperture di assessori e di funzionari della Regione Veneto, alcune disvelate dalle indagini della Procura di Venezia, altre rimaste in sottofondo”.
Nella relazione si fa riferimento al fatto che, come coimputati nel procedimento, insieme a Fior figurino gli ex assessori regionali all’ambiente Renato Chisso (che ha patteggiato una pena di due anni e sei mesi nell’inchiesta sul Mose) e Giancarlo Conta (giunta Galan), e i funzionari Paolo Zecchinelli e Roberto Casarin, alti dirigenti dell’assessorato e del settore ambiente della Regione.
I relatori chiamano in causa anche la giunta regionale presieduta da Zaia, “riuscendo difficile immaginare — si legge nella proposta di relazione — che in periodo di tempo così lungo (2000-2014) nessuno si fosse accorto dell’attività illecita che il Fior andava consumando senza ritegno”.
Insoddisfacenti sono state giudicate le argomentazioni del presidente Zaia, che nel corso dell’audizione del 27 novembre 2014 a palazzo San Macuto aveva preso subito le distanze dai guai giudiziari del dirigente: “La vicenda di Fior, tanto per non girarci attorno, risale al 2010 e riguarda un dipendente che non era più all’ambiente, perchè con noi il dottor Fior è passato all’energia. Dal 2010, con la mia elezione, il dottor Fior non si occupava più di ambiente”.
Zaia: “Ma noi lo abbiamo trasferito”. Le accuse però arrivano fino al 2014
Uno “spartiacque”, quello operato da Zaia tra quanto accaduto prima e dopo il 2010 — anno dell’insediamento della sua giunta regionale — che non regge alla prova dei fatti secondo i commissari parlamentari.
Molte condotte contestate dal pm a Fior infatti “si sono protratte ben oltre il 2010, e alcune di esse sono cessate solo con il mese di ottobre 2014, a seguito dell’esecuzione della misura cautelare”.
Tra cui il caso della discarica di Sant’Urbano, nel quale la Regione Veneto, sotto la giunta Zaia, “ha continuato a corrispondere alla Green Project srl del Fior somme di denaro (…) fino a circa due anni dopo l’insediamento del Conte negli uffici dell’Assessorato all’ambiente”. Infine, prima dell’arresto, Fior era stato assegnato al delicato progetto della macroisola “Fusina” di Porto Marghera e al settore “Patto dei sindaci” per i piani d’azione per l’energia sostenibile.
Un altro caso di inerzia della politica in cui “solo l’azione della magistratura inquirente ha consentito di spezzare il filo del malaffare, che operava all’interno della Regione Veneto”.
Diversi reati contestati al funzionario sarebbero stati, al contrario, consumati proprio dopo il trasferimento del 2010 del dirigente al settore energia che “non aveva intaccato minimamente i suoi poteri”.
Come nel caso del falso ideologico in concorso con Paolo Zecchinelli, segretario dell’assessore regionale all’ambiente, che avrebbe autorizzato Fior a svolgere i collaudi degli impianti delle ditte Mestrinaro (Treviso), Etra (Padova) e Pro-in (Verona) attestando che non vi erano cause di incompatibilità , reato commesso “il 26 febbraio 2013 quando assessore all’ambiente era Maurizio Conte e la giunta regionale era presieduta da Luca Zaia”.
Andrea Tornago
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 21st, 2016 Riccardo Fucile
ESPONENTI OVUNQUE: LA BALENA BIANCA PROTAGONISTA DELLE PROSSIME AMMINISTRATIVE A ROMA
Con Roberto Giachetti, al fianco di Alfio Marchini o schierati con Giorgia Meloni. Qualcuno addirittura dalla parte di Stefano Fassina. Ma pur sempre democristiani.
La diaspora della Balena Bianca caratterizza le elezioni amministrative nella Capitale, con gli ex Dc di centrodestra divisi su posizioni diverse.
Le comunali del prossimo 5 giugno, in ogni caso, un dato politico interessante lo rilevano, almeno sul fronte del centrosinistra, dove per la prima volta dal 1993 i democristiani sono tutti insieme, quasi su un’unica lista.
A sostegno del candidato sindaco Dem Roberto Giachetti, infatti, non ci sono solo gli ex popolari del Pd, ma soprattutto la lista «Più Roma – Democratici e Popolari». Capolista Maria Fida Moro – figlia di Aldo, statista democristiano rapito e ucciso dalle Br. – che ha annunciato che voterà no alle riforme costituzionali.
A coordinare la lista c’è Lucio D’Ubaldo, già segretario romano del Partito popolare. Candidati anche gli esponenti Udc che fanno riferimento a Lorenzo Cesa, la pattuglia di Centro Democratico di Bruno Tabacci e quella di Democrazia Solidale di Lorenzo Dellai e Federico Fauttilli.
«Più Roma» costituisce la prima riunificazione del mondo cattolico democratico su una prospettiva di centrosinistra dal 1993 a oggi. Praticamente un fatto politicamente storico.
Ma al ritrovo dell’unità sul fronte di Giachetti fa da contraltare la frattura sul fronte opposto, dove i centristi si dividono equamente tra Alfio Marchini e Giorgia Meloni. Sulla leader di Fratelli d’Italia ha deciso di convergere Mario Mauro, senatore ex ministro della Difesa nel governo Letta con un passato berlusconiano e montiano. Oggi il presidente dei Popolari per l’Italia sostiene la Meloni con la Federazione Popolari e Libertà .
A sostegno di Marchini, invece, c’è il vicepresidente dei Popolari per l’Italia, Potito Salatto che ha candidato il segretario cittadino Antonfrancesco Venturini come indipendente nelle liste di Forza Italia.
Oggi Salatto, esponente di spicco della Dc romana prima di essere eletto eurodeputato col Pdl, ha chiamato a raccolta il gotha della Balena Bianca che fu a sostegno del suo candidato.
Al Centro Euclide si riuniranno l’ultimo sindaco di Roma democristiano Pietro Giubilo, Raniero Benedetto, Bruno Lazzaro, Elio Mensurati, Domenico Gallucci, Giampier Oddi e Claudio Massimini.
Ad aiutare Marchini in campagna elettorale c’è poi la lista di Rivoluzione Cristiana di Gianfranco Rotondi, democristiano irpino, amico di Gerardo Bianco, poi ministro nel governo Berlusconi.
C’è un po’ di Balena Bianca anche nella lista Roma Popolare del ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Dario Antoniozzi, candidato all’Assemblea Capitolina, è infatti rampollo di una famiglia storica della Dc romana di origini calabresi: è nipote dell’omonimo Dario Antoniozzi fondatore del Ppe nel 10976, eurodeputato democristiano (che è suo nonno) e di Alfredo Antoniozzi, ultimo capogruppo Dc in Regione Lazio, poi europarlamentare con FI e Pdl e passato Nuovo Centrodestra (suo zio).
I manifesti del giovane Antoniozzi sono praticamente in tutta Roma. Un passato Dc anche per il capolista Stefano De Lillo.
Sempre a sostegno di Marchini è di matrice democristiana la spina dorsale dei Conservatori e Riformisti di Raffaele Fitto che candidano Cozzoli e la Barbato espressione di Luciano Ciocchetti e Massimiliano Maselli.
Su Marchini anche Rocco Buttiglione e Pier Ferdinando Casini, che non hanno seguito Cesa su Giachetti.
C’è un po’ di Dc perfino nel campo di Sinistra Italiana. Capolista della civica di Stefano Fassina è infatti Michele Dau, enfant prodige della Balena Bianca e già capo di gabinetto dell’ex presidente del Senato Franco Marini.
Daniele Di Mario
(da “il Tempo“)
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Maggio 21st, 2016 Riccardo Fucile
LA SORELLA DELL’EX SINDACO DI ROMA AVREBBE AIUTATO UNA DIRIGENTE DELL’ATAC A EVITARE UN PIGNORAMENTO
La signora Cynthia Orlandi, con Equitalia e l’Agenzia delle Entrate, poteva vantare un rapporto
davvero molto particolare: l’amicizia con Gabriella Alemanno, attuale numero due dell’Agenzia, sorella dell’ex sindaco di Roma.
E lo scandalo scoperto dal Nucleo speciale Valutario della Guardia di Finanza, nelle indagini condotte dalla Procura di Roma, dovrebbe indurre il ministro dell’Economia Carlo Padoan a prendere una posizione sulla vicenda, visto che ben pochi cittadini possono aspirare al trattamento di favore ottenuto, per il tramite di Gabriella Alemanno, per di più illegalmente, dagli uffici di Equitalia.
I suicidi legati alla difficoltà di pagare le cartelle di Equitalia, in questi ultimi anni, ammontano a diverse decine.
Eppure chi dovrebbe garantire l’imparzialità di Equitalia e del fisco italiano, come il suo vice direttore Alemanno, viene scoperto ad aiutare l’amica di turno. E non si tratta di un’amica qualsiasi.
Cynthia Orlandi vanta infatti un passato remoto legato al centrosinistra, un passato recente legato al centrodestra e, nel momento in cui chiede aiuto alla Alemanno, non incassa un reddito sotto la soglia della sopravvivenza: circa 150 mila euro l’anno con l’Atac, dalla quale aspetta stipendio, tredicesima e trattamento di fine rapporto.
Ed è proprio per evitare che Equitalia possa pignorarle gli stipendi che Orlandi chiede all’amica di intervenire.
Siamo nel novembre 2013 e i finanzieri, che indagano su mandato dei pm Francesca Loy e Stefano Fava, scoprono un paio di telefonate molto particolari.
Siamo tra il 29 novembre e il 4 dicembre 2013 e la Alemanno, secondo l’accusa, contatta telefonicamente Alessandro Migliaccio, direttore regionale di Equitalia nel Lazio.
Il motivo? Gli chiede di “intervenire sulla posizione esattoriale della sua amica Cynthia Orlandi”.
La telefonata deve aver prodotto i suoi effetti.
Il 4 dicembre, la Orlandi si presenta negli uffici di Equitalia per chiedergli personalmente di “sospendere il debito esattoriale pendente”.
Pochi giorni dopo contatta nuovamente Migliacci “per evitare che le somme a lei dovute dall’Atac fossero versate a Equitalia”.
I tre — Alemanno, Orlandi e Migliaccio — sono oggi accusati di concorso in abuso d’ufficio.
Scorrendo le cronache dell’epoca, si scopre che proprio in quei mesi, l’amministratore delegato dell’Atac aveva chiesto ai suoi più alti dirigenti di autoridursi lo stipendio, considerate le voragini di bilancio che, peraltro, avevano portato la società ad aumentare il costo del biglietto, portandolo da un euro a 1,50.
La Orlandi pochi mesi dopo lascia l’azienda. Prima di entrare in Atac, s’era occupata della comunicazione per la campagna elettorale di Renata Polverini.
Con la Regione guidata da Piero Marrazzo, invece, nel 2005 aveva lavorato come Responsabile delle “Relazioni Istituzionali, Rapporti con l’Ue e Cooperazione internazionale”. Lo stipendio: 109 mila euro l’anno.
Tre anni dopo, incarico revocato: “L’attività svolta non è stata nè di supporto nè coerente all’indirizzo politico regionale”.
La bocciatura non le impedisce di ottenere, dal ministro per i Beni culturali, Francesco Rutelli, l’incarico di coordinatrice dei lavori del Consiglio italiano del design.
E torniamo all’inverno 2013. Dopo l’incontro con il direttore regionale di Equitalia, infatti, qualcosa si muove: Migliaccio “dispone l’indebita sospensione di due cartelle pendenti sulla Orlandi” per circa 60mila euro.
Poi dispone “l’indebita chiusura della procedura presso terzi avviata da Equitalia nei confronti dell’Atac, per euro 10.353, al fine di consentirle di regolarizzare la propria posizione”.
Infine, ad aprile, concede “la dilazione sul debito residuo”.
In questo modo, sostiene l’accusa, Orlandi poteva riscuotere sia lo stipendio e la tredicesima nel dicembre 2013, sia il trattamento di fine rapporto nell’aprile 2014”, cioè i “crediti vantati nei confronti di Atac”, con “danno ingiusto per Equitalia, che non riscuoteva immediatamente le somme dovute”.
Antonio Massari
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 21st, 2016 Riccardo Fucile
LA STIMA PER ROMUALDI, LA VISITA AL CONGRESSO MSI, LA BATTAGLIA CONTRO LA PENA DI MORTE E L’ALTERNATIVA AL SISTEMA
E’ normale che adesso tutti, da morto, lo tirino un po’ per la giacca.
Per elogiarlo, certo, ma soprattutto per incastonare Marco Pannella dentro una narrazione di parte, o semplicemente per poter dire: ha avuto a che fare anche con me, anche con noi. Tutto normale. È il coccodrillismo all’italiana. Per cui alla fine il ricordo meno retorico è quello di un ascoltatore di Radio radicale che chiama alla diretta per “salutare Marco” e dice: “Io lo saluto nel modo che a lui sarebbe piaciuto. Fumandomi una bella sigaretta…”.
Ci sono aspetti della storia di Marco Pannella che si intrecciano con quella di altri partiti.
I missini sono stati, ed è stato ricordato qui e altrove, tra quegli italiani marginali cui il leader radicale ha rivolto sguardi di rispetto.
Si ricorda, in genere, solo la coraggiosa trasferta al congresso del Msi del 1982 con quella frase anacronistica di Giorgio Almirante, “Il fascismo è qui”, che tronca di fatto il dialogo con chi — Pannella — aveva proposto a quell’assemblea il tema della civile dialettica democratica tra avversari che si rispettano.
Si ricorda troppo spesso quel singolo episodio dimenticando di citare ad esempio l’enorme stima che Pannella aveva per Pino Romualdi (in privato da lui definito uno dei più intelligenti tra i leader politici conosciuti), il quale non a caso non voleva seguire Almirante nella campagna per il no al divorzio (1974) ritenendo pericolosa e infruttuosa la deriva filoclericale del Msi.
Storie di nicchia, si dirà . Ma non ci sarebbe momento più appropriato di questo per portarle alla luce.
Ciò che va ricordato, anche, è la lezione che un politico come Marco Pannella diede, a distanza, ai giovani missini che uscivano dagli anni di piombo.
Innanzitutto la sua ferma contrarietà alla pena di morte lo rendeva naturalmente simpatico a quei ragazzi — ed erano tantissimi — che non condivisero la campagna per la pena di morte lanciata da Giorgio Almirante nel 1981.
Gli stessi che contro il leader gridavano nei comitati centrali “Peteano, Peteano… (la strage in cui Almirante venne ingiustamente coinvolto in virtù di quelle inchieste ideologiche che fecero “scuola” negli anni Settanta).
Ma c’era di più: c’era il Pannella che a tribuna politica, dopo l’omicidio di Giorgiana Masi, sfida l’establishment e il conformismo dell’emittente di Stato mostrando ai telespettatori la foto di un poliziotto che spara.
Un Pannella anti-sistema, dunque. Ma la cui carica ribellistica non lo portava a sconfinare nelle pratiche del terrorismo ma a teorizzare quella disobbedienza civile che divenne prassi nel Fronte della Gioventù degli anni Ottanta.
Protestare senza armarsi. Essere fuori dal regime ma senza uccidere. Essere nemici del sistema superando lo strumentale carosello di piazza degli opposti estremismi.
Per i missini che uscivano da un contesto sanguinoso in cui ti sparavano addosso quando uscivi dalla sede di partito quel linguaggio, quella prassi, erano novità da assorbire, erano “modelli” da seguire.
Anche al fine di superare la visione angusta dell’attivista anni Settanta, col suo neofascismo muscolare e fuori dal tempo.
La politica di Pannella, non c’è dubbio, aiutò a destra la metamorfosi del “picchiatore” in “militante”.
E’ vero, si batteva per la liberalizzazione delle droghe leggere. È vero, era un laico, ateo, dissacratore (ma non si può certo imputare a lui una scristianizzazione della società che in Occidente va avanti dai tempi dell’Illuminismo…).
Temi su cui c’era un’insormontabile distanza ma la “contaminazione” avvenne sul terreno comune dell’alternativa al sistema.
Così al movimentismo radicale, all’attivismo referendario, all’antischematismo pannelliano guardarono a lungo, e tentarono numerose imitazioni, quei ragazzi cresciuti nelle sezioni missine cui cominciava a stare stretto il culto di Predappio.
E cominciarono così a trasformare le manifestazioni in sit-in, a farsi trascinare dalla polizia sdraiandosi a terra, prendendosi le botte (accadde a Nettuno, in occasione del blocco al corteo del presidente Usa Bush, era il 28 maggio del 1989), lasciandosi fotografare sorridenti e in jeans sulle scalinate dell’università la Sapienza.
Non più “mazzieri” per conto terzi.
Figli del proprio tempo oltre i “cupi tramonti”.
E indiscutibilmente un po’ pannelliani…
Annalisa Terranova
(da “il Secolo d’Italia“)
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Maggio 21st, 2016 Riccardo Fucile
SEDE IPOTECATA, LICENZIATI GLI ULTIMI DIPENDENTI
Ci sono due eredità di Marco Pannella, quella politica e quella economica. E gli eredi sono fin troppi. ![](http://s32.postimg.org/r48hf3yit/panne_bonin.jpg)
Da quando le condizioni del leader radicale si sono aggravate, al terzo piano di via di Torre Argentina ci si interroga sul destino delle due creature più care a Pannella, il partito e la radio.
Dal 1998 le varie incarnazioni delle liste radicali si sono cristallizzate nel «Partito Radicale Non violento Transnazionale».
I soggetti costituenti sono cinque: i Radicali Italiani, l’associazione Luca Coscioni, Non c’è pace senza giustizia, Nessuno tocchi Caino, e infine l’esperantista “Era”.
Il segretario dell’organizzazione è Demba Traorè, avvocato del Mali, esperto di Kung fu, di cui si sono perse le tracce dal 2011. Ecco perchè il Prntt non fa un congresso da quella data.
Le associazioni di cui sopra non ricevono più un soldo perchè il partito transnazionale non eroga finanziamenti.
Poi c’è la vera cassaforte dei radicali, l’associazione politica “lista Marco Pannella” che controlla la “Torre Argentina Spa” (titolare della sede del partito) e il “Centro di produzione Spa” di Radio Radicale.
Un’associazione, che di fatto – spiega un alto dirigente – «è una fondazione», ed è composta da Maurizio Turco, Rita Bernardini, Aurelio Candido e Laura Arconti. L’associazione ha sempre chiuso i bilanci in pareggio.
La sede del partito, tuttavia, è sotto ipoteca. Negli ultimi mesi si è consumato uno strappo.
I giovani del partito, che fanno riferimento ad Emma Bonino avrebbero chiesto di gestire insieme la cassaforte.
Dall’altra parte Turco e i suoi, ovvero la vecchia guardia di «pannelliani», hanno sbarrato la porta. «
Una cosa è Emma, è un’altra sono i suoi seguaci», sbottò chi si oppose.
Del resto Bonino si è via via allontanata da Torre Argentina. E pur mantenendo un legame sentimentale, ha preso le distanze, non ha più preso parte alle campagne radicali.
I numeri degli iscritti al partito quest’anno sono molto bassi. A oggi i radicali possono vantare infatti 650 iscritti, con una previsione di raggiungere gli 850 entro la fine dell’anno contro i circa 900 del 2015.
Un numero esiguo, motivato anche dal costo del tesseramento. L’iscrizione al partito radicale ammonta a 200 euro, una cifra non popolare.
Tra tessere e donazioni i ricavi si aggirano attorno ai 250 mila euro.
Una cifra non sufficiente a mantenere la struttura, al punto da aver costretto il tesoriere Turco a licenziare gli ultimi 16 dipendenti.
Oggi le uniche fonti di sostentamento della “galassia” sono il 5 per mille dell’Associazione Coscioni e la radio.
Il destino di quest’ultima, che riceve ogni due anni una convenzione dallo Stato pari a 9 milioni di euro, è appeso alla scadenza di ottobre.
Cosa succederà ? E soprattutto chi si prenderà l’eredità di Pannella?
«Non esiste un altro Marco», allargano le braccia a Torre Argentina, «se non cesserà la deriva libica e se non si metteranno da parte sentimenti e risentimenti rischiamo di fare la fine della Dc di Pino Pizza».
Giuseppe Alberto Falci
(da “La Stampa”)
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