INDAGATA GABRIELLA ALEMANNO, NUMERO DUE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
LA SORELLA DELL’EX SINDACO DI ROMA AVREBBE AIUTATO UNA DIRIGENTE DELL’ATAC A EVITARE UN PIGNORAMENTO
La signora Cynthia Orlandi, con Equitalia e l’Agenzia delle Entrate, poteva vantare un rapporto davvero molto particolare: l’amicizia con Gabriella Alemanno, attuale numero due dell’Agenzia, sorella dell’ex sindaco di Roma.
E lo scandalo scoperto dal Nucleo speciale Valutario della Guardia di Finanza, nelle indagini condotte dalla Procura di Roma, dovrebbe indurre il ministro dell’Economia Carlo Padoan a prendere una posizione sulla vicenda, visto che ben pochi cittadini possono aspirare al trattamento di favore ottenuto, per il tramite di Gabriella Alemanno, per di più illegalmente, dagli uffici di Equitalia.
I suicidi legati alla difficoltà di pagare le cartelle di Equitalia, in questi ultimi anni, ammontano a diverse decine.
Eppure chi dovrebbe garantire l’imparzialità di Equitalia e del fisco italiano, come il suo vice direttore Alemanno, viene scoperto ad aiutare l’amica di turno. E non si tratta di un’amica qualsiasi.
Cynthia Orlandi vanta infatti un passato remoto legato al centrosinistra, un passato recente legato al centrodestra e, nel momento in cui chiede aiuto alla Alemanno, non incassa un reddito sotto la soglia della sopravvivenza: circa 150 mila euro l’anno con l’Atac, dalla quale aspetta stipendio, tredicesima e trattamento di fine rapporto.
Ed è proprio per evitare che Equitalia possa pignorarle gli stipendi che Orlandi chiede all’amica di intervenire.
Siamo nel novembre 2013 e i finanzieri, che indagano su mandato dei pm Francesca Loy e Stefano Fava, scoprono un paio di telefonate molto particolari.
Siamo tra il 29 novembre e il 4 dicembre 2013 e la Alemanno, secondo l’accusa, contatta telefonicamente Alessandro Migliaccio, direttore regionale di Equitalia nel Lazio.
Il motivo? Gli chiede di “intervenire sulla posizione esattoriale della sua amica Cynthia Orlandi”.
La telefonata deve aver prodotto i suoi effetti.
Il 4 dicembre, la Orlandi si presenta negli uffici di Equitalia per chiedergli personalmente di “sospendere il debito esattoriale pendente”.
Pochi giorni dopo contatta nuovamente Migliacci “per evitare che le somme a lei dovute dall’Atac fossero versate a Equitalia”.
I tre — Alemanno, Orlandi e Migliaccio — sono oggi accusati di concorso in abuso d’ufficio.
Scorrendo le cronache dell’epoca, si scopre che proprio in quei mesi, l’amministratore delegato dell’Atac aveva chiesto ai suoi più alti dirigenti di autoridursi lo stipendio, considerate le voragini di bilancio che, peraltro, avevano portato la società ad aumentare il costo del biglietto, portandolo da un euro a 1,50.
La Orlandi pochi mesi dopo lascia l’azienda. Prima di entrare in Atac, s’era occupata della comunicazione per la campagna elettorale di Renata Polverini.
Con la Regione guidata da Piero Marrazzo, invece, nel 2005 aveva lavorato come Responsabile delle “Relazioni Istituzionali, Rapporti con l’Ue e Cooperazione internazionale”. Lo stipendio: 109 mila euro l’anno.
Tre anni dopo, incarico revocato: “L’attività svolta non è stata nè di supporto nè coerente all’indirizzo politico regionale”.
La bocciatura non le impedisce di ottenere, dal ministro per i Beni culturali, Francesco Rutelli, l’incarico di coordinatrice dei lavori del Consiglio italiano del design.
E torniamo all’inverno 2013. Dopo l’incontro con il direttore regionale di Equitalia, infatti, qualcosa si muove: Migliaccio “dispone l’indebita sospensione di due cartelle pendenti sulla Orlandi” per circa 60mila euro.
Poi dispone “l’indebita chiusura della procedura presso terzi avviata da Equitalia nei confronti dell’Atac, per euro 10.353, al fine di consentirle di regolarizzare la propria posizione”.
Infine, ad aprile, concede “la dilazione sul debito residuo”.
In questo modo, sostiene l’accusa, Orlandi poteva riscuotere sia lo stipendio e la tredicesima nel dicembre 2013, sia il trattamento di fine rapporto nell’aprile 2014”, cioè i “crediti vantati nei confronti di Atac”, con “danno ingiusto per Equitalia, che non riscuoteva immediatamente le somme dovute”.
Antonio Massari
(da “il Fatto Quotidiano”)
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