Maggio 23rd, 2016 Riccardo Fucile
CON PAOLO BORSELLINO E’ DIVENUTO PUNTO DI RIFERIMENTO PER I GIOVANI, GLI ONESTI E LE PERSONE PERBENE
Giovanni Falcone ha iniziato a rinascere proprio su quel cratere dell’autostrada squarciata 24 anni fa da cinquecento chili di tritolo fatti esplodere dai mafiosi.
C’è voluta questa strage, con il pesante sacrificio umano che si è trascinata, per scuotere le coscienze.
E far cambiare idea non tanto ai mafiosi ma a quella pletora di nemici, pubblici e privati, che il dottor Falcone ha avuto durante la sua carriera.
E a quei siciliani che continuavano a ripetere fino a quel momento: tanto si uccidono fra di loro i mafiosi.
Magistrati e professionisti, politici e borghesi, che hanno attaccato il dottor Falcone in vita, dopo la sua morte come per un incantesimo hanno iniziato a dire che erano tutti amici di “Giovanni”, che stimavano “Giovanni” e che gran magistrato era “Giovanni”. Dopo la sua uccisione il dottor Falcone sembrava di colpo aver conquistato più amici. Anche e soprattutto fra i nemici.
Che strana è la vita di questo uomo-magistrato che durante la sua carriera si è dovuto confrontare prima contro i mafiosi, che hanno cercato in più occasioni di ucciderlo, poi contro una maggioranza di suoi colleghi che proprio perchè erano maggioranza lo mettevano in minoranza quando Falcone chiedeva di poter andare a ricoprire altri incarichi dove avrebbe potuto mettere a frutto l’esperienza nella lotta alla criminalità organizzata.
Poi contro i politici che difendevano gli interessi dei mafiosi. E poi contro i veleni di “palazzo”. Non si è fatto mancare nulla.
La gente, che però non era una maggioranza, lo sosteneva.
Sono però tutte storie dimenticate. La strage ha fatto dimenticare – non a tutti – queste cose. Ma il dottor Falcone proprio da quell’attentato di Capaci ha iniziato a rinascere. A diventare immortale per i giovani, per gli onesti, per le persone perbene.
Oggi Giovanni Falcone è il punto di riferimento, come lo è anche Paolo Borsellino, di chi crede in una giustizia che può schiacciare la sopraffazione mafiosa con i loro clan e i loro affiliati. Ma anche la mentalità .
Per questo Giovanni Falcone ancora oggi vive. E per questo occorre ricordarlo. Facendo memoria di tutto quello che ha fatto e subìto.
I magistrati di Caltanissetta dopo aver istruito diversi processi ai mandanti ed esecutori della strage, ancora oggi si trovano a puntare il dito su altri responsabili che fino adesso erano rimasti fuori dalle indagini e grazie alle dichiarazioni di nuovi collaboratori di giustizia è stato possibile individuare.
Come pure il latitante Matteo Messina Denaro che per 24 anni è rimasto lontano dalle indagini e adesso i pm nisseni hanno provato il suo coinvolgimento, insieme a Totò Riina, come mandante dell’attentato.
Il lavoro di Falcone dava fastidio a Cosa nostra, e per questo è stato ucciso. I pm di Caltanissetta escludono l’intervento di soggetti esterni alla mafia nell’esecuzione della strage di Capaci.
Lo ha voluto ribadire poche settimane fa il pm Stefano Luciani durante la requisitoria del nuovo processo per la strage. “Abbiamo diverse dichiarazioni generiche sull’intervento di soggetti esterni, in particolare componenti dei servizi. Dichiarazioni che arrivano da persone estranee a Cosa nostra o da chi era ai piani bassi dell’organizzazione, ma nessuno di coloro che stava ai piani alti della mafia e che poi ha deciso di collaborare con la giustizia, come ad esempio Giovanni Brusca, ha mai parlato dell’intervento di esterni nell’esecuzione della strage. E allora cosa dovremmo fare? Teorizzare un enorme complotto che mirava a tappare la bocca a questi collaboratori?”, ha detto il magistrato Luciani.
“Ci stiamo occupando di un fatto che ha segnato profondamente la storia del nostro Paese, a livello di ipotesi si può dire tutto, ma quando dobbiamo andare sul concreto dobbiamo agire sulla base degli elementi raccolti. Sono stufo di sentire dire che questo ufficio tiene la polvere nascosta sotto il tappeto. Si è parlato anche del coinvolgimento di Giovanni Aiello (ex agente di polizia reclutato dai Servizi indicato come “faccia di mostro” ndr). Abbiamo sentito molti testi, ma riscontri sicuri non ne sono arrivati. I suoi familiari hanno detto di non sapere che collaborasse con i servizi e quando ad alcuni testi è stato chiesto di descriverlo sono stati commessi errori”.
La Procura di Caltanissetta, che dal 2008, dopo il pentimento di Gaspare Spatuzza, sta cercando di riscrivere la verità sui due attentati di Capaci e di via D’Amelio, ha messo insieme gli elementi raccolti individuando mandanti ed esecutori materiali rimasti per lungo tempo impuniti.
Falcone intanto risorge.
Lirio Abbate
(da “L’Espresso”)
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Maggio 23rd, 2016 Riccardo Fucile
LA FOTO DI SUO PADRE USATA PER I MANIFESTI REFERENDARI: “QUELLA RIFORMA E’ UN PASTROCCHIO, NON STRUMENTALIZZATE MIO PADRE”
Dopo la polemica con l’Anpi e con Bianca Berlinguer, il Partito democratico fa arrabbiare anche gli eredi
di Pietro Ingrao e Nilde Iotti, capisaldi del Partito comunista italiano, arruolati virtualmente proprio dal Pd nella campagna per il “sì” al referendum sulle riforme costituzionali.
Circolano nei social network due manifesti con il logo dem: entrambi utilizzano una foto di Ingrao e Iotti con una frase effettivamente pronunciata dai defunti leader Pci. L’intenzione è quella di trasformare i due storici esponenti comunisti in sostenitori della riforma del Senato di Matteo Renzi.
Non è ancora chiaro se i poster siano stati creati dagli organizzatori dem della campagna referendaria oppure siano frutto di militanzi renziani che autonomamente hanno voluto associare il volto dei leader Pci all’entusiasmo per la riforma della Costituzione.
La figlia Celeste Ingrao si ribella e domenica in un post su Facebook accusa i renziani di strumentalizzare le parole del padre:
“Gira da ieri su Facebook una foto di papà con appiccicato sopra un grosso SI e il simbolo del PD, prendendo a pretesto frasi pronunciate in tutt’altro contesto e avendo in mente tutt’altra riforma. Non so chi siano gli ultras renziani che hanno avuto questa brillante idea. Mi viene però da dirgli che se, come si usa dire ora, bisogna metterci la faccia ci mettessero la loro e quella dei loro ispiratori”.
La frase di Ingrao incollata sul manifesto critica il bicameralismo, facendolo apparire sostanzialmente favorevole alla riforma di Matteo Renzi che ha fortemente attenuato il ruolo del Senato:
Al telefono con l’Huffington Post Celeste Ingrao ammette di avere pensato di querelare il Partito democratico per abuso di immagine.
E approfondisce il suo pensiero: “La frase attribuita a mio padre è sicuramente vera perchè negli anni ’80 i comunisti discutevano della necessità del monocameralismo, ma la riforma di Matteo Renzi è un pastrocchio e non assomiglia per niente a quella proposta del Partito comunista”.
Il Partito democratico, spiega ancora la figlia, “dimentica di citare anche il resto della proposta del Partito comunista di allora: se si doveva sopprimere il Senato, allora bisognava eleggere i deputati alla Camera con il proporzionale per garantire piena rappresentanza al popolo. Questa parte viene completamente dimenticata e, anzi, stravolta perchè nella riforma entra anche l’Italicum”.
Ecco perchè per gli eredi usare le parole di Pietro Ingrao è quasi blasfemo.
E anche curioso, quasi opportunista.
“Davvero interessante che il Partito democratico rompa con la storia del Partito comunista e allo stesso tempo ora voglia usare quella stessa storia per pubblicizzare la sua riforma”, annota Celeste Ingrao. Secondo la quale una modifica alla Costituzione “è sempre possibile perchè la sinistra radicale non è mai stata solo conservativa e anzi negli anni ha aperto all’ipotesi di una riforma, ma la Costituzione che esce dalle mani del governo Renzi è incomprensibile e incoerente”.
“Questo episodio davvero poco edificante fa comprendere come la campagna per il ‘sì’ sarà pesante”, conclude la figlia del leader.
E anche Nilde Iotti campeggia in un manifesto analogo che circola nei social newtork, provocando le ire dei simpatizzanti della sinistra:
Uno dei primi a reagire contro l’uso degli illustri esponenti comunisti è Gianni Cuperlo, rappresentante della minoranza dem. Cuperlo critica non soltanto il manifesto di Ingrao (domenica non era ancora spuntato quello con Nilde Iotti) ma anche il riferimento a Enrico Berlinguer fatto dal premier per convincere della bontà della riforma: “Si può credere di cavalcare l’onda giusta della storia. Quello che non si può fare – che a nessuno è concesso di fare – è piegare la storia come un giunco e calpestarla. Questo no, perchè i danni che si producono sono assai più duraturi dei benefici possibili. I partigiani veri voteranno come credono giusto. Quanto a Ingrao e Berlinguer, per l’amor del cielo, lasciate stare”.
A mobilitarsi contro i manifesti è soprattutto la famiglia politica di Ingrao come Maria Luisa Boccia, nipote del leader Pci ed ex senatrice per Rifondazione comunista: “Il Pd di Renzi usa in modo cinico e strumentale la sua immagine e le sue parole”.
Per Boccia due sono le “menzogne” che il partito di governo sta cercando di propagandare: “è falso che la controriforma Boschi elimini ‘il doppio lavoro’, perchè il Senato non è abolito. Il monocameralismo, voluto da Ingrao, è stato riproposto in questa legislatura ed è stato ignorato; e con esso l’effettiva riduzione di parlamentari e dei costi del Parlamento”.
In secondo luogo, riprendendo il ragionamento della figlia Celeste, “è falso che Ingrao avrebbe approvato questa controriforma, perchè si era esplicitamente pronunciato contro analoghe proposte della commissione Bozzi”.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 23rd, 2016 Riccardo Fucile
NEGLI ANNI ’80 SVERSATI IN UNA CAVA DI TUFO TONNELLATE DI OLI ESAUSTI PROVENIENTI DALL’ITALSIDER DI BAGNOLI E CENERI DELL’ENEL
Torna a parlare Nunzio Perrella, il boss d’antan del rione Traiano di Napoli. E subito le sue dichiarazioni sono di nuovo esplosive, l’Antimafia partenopea ha aperto un’indagine su una bomba ecologica fino a ora insospettabile, su una lottizzazione nata da traffici tra clan camorristici e amministrazioni: 250 villette costruite in Comune di Giugliano, a Licola, abitate da inconsapevoli famiglie che si trovano a galleggiare su un mare di rifiuti probabilmente tossici.
Negli anni 80 lì, lungo via Madonna del Pantano, c’era una cava di tufo.
Dismessa la cava, quasi un destino segnato: vi si sversarono in modo illegale tonnellate e tonnellate di oli esausti provenienti dalla Italsider di Bagnoli e da altri stabilimenti della stessa azienda, e ceneri dell’Enel: tutto smistato abusivamente
Secondo il collaboratore di giustizia, il clan Mallardo aveva gestito tutta la faccenda. Filippo Micillo, proprietario della cava, si era inserito affidando le costruzioni al geometra Cesare Basile.
Si indaga su questo doppio affare: riempire la cava, lucrare sugli smaltimenti abusivi e sulle villette, tutte vendute. E così è andata.
Negli anni tra l’84 e l’86 i residui industriali della Italsider sono stati portati per giorni e mesi nell’invaso sotto via Madonna del Pantano, la buca scavata è profonda decine di metri, nessuna impermeabilizzazione, poi si ricopriva tutto con terra di riporto.
Le costruzioni
A due passi sono cresciute 250 villette, due piani da 200 metri quadrati ciascuno, più l’interrato, ben abitate: professionisti, media borghesia, famiglie che hanno regolarmente pagato, centinaia di persone che galleggiano ora sulla illegalità , la corruzione e naturalmente su un mare di olio nascosto.
A duecento metri dal «buco» della cava, c’è sempre stata una stazione dei carabinieri. Ma il traffico dei camion e camion che scaricavano illegalmente si confondeva con quello di una fabbrica di calcestruzzo e nessuno (nessuno?) si è accorto di nulla.
Il procuratore aggiunto dell’Antimafia di Napoli, Giuseppe Borrelli, ha incaricato di quest’indagine che sta muovendo i primi passi i sostituti Maria Cristina Ribera e Catello Maresca, che nell’ordine hanno raccolto le prime tre lunghe testimonianze dell’ex boss.
Decine di fogli di verbale, documenti, contratti, piantine ma soprattutto un background di relazioni e potere. Nunzio Perrella è praticamente stato preso in consegna dalla Procura, viene scortato da due auto blindate per volta, dorme ogni notte in un luogo diverso.
Sul luogo della lottizzazione la Forestale ha fatto discreti sopralluoghi, alle cinque di mattina.
Il «colletto bianco»
La magistratura partenopea punta tutto sulla credibilità di Nunzio Perrella, un boss senza soprannome, un colletto bianco che non ha mai sparato ma ha mosso capitali nel traffico della droga e nell’imprenditoria «pulita» tra gli anni 80 e 90. È stato il primo a capire che il business dei rifiuti era il più lucroso, meglio della droga, delle armi, del contrabbando.
Un business sconosciuto alla camorra fino alla fine degli anni ’80: comincia lui, non solo come camorrista, ma come imprenditore.
Arrestato nel ’92 per droga e armi, Perrella decide di collaborare e svela la complessa ragnatela del traffico di rifiuti: quello lecito che a ogni passaggio diventa sempre più illecito, finendo per ammorbare mezza Campania e, prima e più tardi, mezza Italia. Racconta tutto Perrella, e fa i nomi: dei camorristi, degli industriali, di quelli che non si chiamavano ancora stakeholder, degli amministratori, dei politici. Un «verbale illustrativo», il suo, che avrebbe potuto dare un colpo mortale al business illecito dei rifiuti, dal Nord al Sud e ritorno
Ne scaturisce un processetto, dopo l’inchiesta Adelphi, che colpisce pochi e poco. Collaboratore di giustizia per vent’anni, inascoltato o quasi, mentre scontava i suoi 14 anni in galera o ai domiciliari, Perrella ha visto continuare tutti i traffici che aveva denunciato, con gli stessi protagonisti lasciati a lungo indisturbati: i casalesi, Gaetano Vassallo, Cipriano Chianese, il gotha napoletano della «munnezza», i mille intrecci di società e personaggi.
Perrella oggi torna a essere collaboratore di giustizia mentre si sono materializzati lo scempio della Terra dei fuochi e l’avvelenamento sistematico del Nord
Oggi la magistratura ha armi più affilate e si muove più convinta. Il primo passo è l’indagine sulla lottizzazione di Giugliano, un chilometro in linea d’aria dalla casa del presidente Anticorruzione Raffaele Cantone, che ha scelto di continuare ad abitare lì. Il secondo passo è un programma ancora top secret ma già deciso: portare Nunzio Perrella in giro per l’Italia a caccia di rifiuti sepolti. Quelli di cui non si sa, o non si è voluto sapere, ancora nulla.
Paolo Coltro
(da “il Corriere della Sera”)
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Maggio 23rd, 2016 Riccardo Fucile
RISULTATI ALTERATI DAL CLAN: DIECI ARRESTI, DUE INDAGATI
I carabinieri di Napoli hanno arrestato 10 persone (7 in carcere e 3 ai domiciliari) del gruppo di
camorra “Vanella Grassi” di Secondigliano in un’ operazione scattata all’alba nel capoluogo campano.
Nei riguardi dei dieci è stata eseguita un’ordinanza di custodia cautelare al termine di un’inchiesta della Dda di Napoli sull’attività del clan su scommesse e partite di serie B.
Durante le indagini è stata intercettata una telefonata nella quale si dice: “Dobbiamo mangiare tre polpette, abbiamo la pancia piena”.
Il blitz dei carabinieri ha portato alla scoperta di alcune partite del campionato di calcio di serie B della stagione 2013-2014, il cui risultato è stato alterato dal clan. In questo filone dell’indagine, ci sarebbero due persone indagate, di cui una è un calciatore che ora milità nella massima serie, però non raggiunto da misura cautelare.
Le due partite, finite nel mirino del pm, sono state disputate a maggio 2014. Identificati, inoltre, i componenti della rete di affiliati vicina al baby boss Umberto Accurso, arrestato l’11 maggio scorso.
Il calciatore indagato, per il quale non è stata chiesta la misura cautelare, è il difensore del Genoa Armando Izzo, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Nelle contestazione i magistrati individuano quattro partite fra le quali Modena Avellino e Avellino Reggina.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, attraverso il calciatore, che fungeva da “contatto”, il capoclan Umberto Accurso e suoi sodali hanno attratto nell’orbita criminale altri soggetti: questi hanno messo a disposizione ingenti somme di denaro per corrompere giocatori di una squadra campana di Serie B, influenzando direttamente due partite disputate nel maggio 2014.
Nel corso delle indagini coordinate dalla Dda, i militari dell’Arma hanno inoltre identificato i componenti della rete di affiliati vicina ad Accurso e individuato gli specifici incarichi di armiere, capo piazza, pusher e distributori di “mesate” agli affiliati e ai familiari dei detenuti.
(da “La Repubblica”)
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Maggio 23rd, 2016 Riccardo Fucile
STANOTTE IL BLITZ: UN GRUPPO DI COMMERCIANTI DEL BANGLADESH HA DENUNCIATO ANNI DI VESSAZIONI… CONTESTATA L’AGGRAVANTE DELLA DISCRIMINAZIONE RAZZIALE
I vicoli di Ballarò dormono ancora quando i poliziotti della squadra mobile entrano nel mercato. Ormai, conoscono tutto di questi luoghi. I soprusi, le vessazioni, le imposizioni del racket.
Un mese fa, dieci commercianti hanno parlato, hanno trovato la forza di denunciare. Sono dieci commercianti coraggio. Anche perchè arrivano da un paese lontano da Palermo, il Bangladesh.
Hanno denunciato le vessazioni dei nuovi boss del pizzo. E questa mattina, poco prima dell’alba, è scattato un blitz della polizia a Ballarò.
Dieci arresti fra gli esponenti di un gruppo criminale che fa capo alla famiglia Rubino, un clan di giovanissimi che negli ultimi mesi ha seminato il terrore fra gli immigrati. Il provvedimento di fermo porta la firma del procuratore capo Francesco Lo Voi, dell’aggiunto Leo Agueci e dei sostituti Sergio Demontis ed Ennio Petrigni.
Agli ultimi esattori del pizzo di Palermo viene contestata non solo l’aggravante del metodo mafioso, ma anche della discriminazione razziale.
Alcuni si sono barricati in casa questa notte, è stato necessario l’intervento dei vigili del fuoco per aprire le porte. Intanto, il mercato era circondato dalla polizia.
I commercianti stranieri hanno raccontato alla squadra mobile di aver subito continue violenze. Qualcuno pagava anche da anni.
“Chi provava a ribellarsi era vittima di rapine parecchio violente”, ha raccontato un uomo che vive ormai da molti anni a Palermo.
“Andavano in giro sempre armati”, ha spiegato un altro commerciante. Una lunga stagione di paura che un mese fa era culminata in un’aggressione a colpi di pistola: Emanuele Rubino aveva sparato contro un giovane del Gambia che si era permesso di opporsi alla sua arroganza. ”
Tu da qui non passi”, aveva detto il giovane boss. E, presto, era arrivato tutto il branco per ribadire ancora una volta la legge del più violento. Ma, alla fine, Rubino venne arrestato nel giro di 24 ore.
“Proprio quel caso risolto in così breve tempo ha dato fiducia a quei commercianti – dice il capo della squadra mobile Rodolfo Ruperti – dopo anni di vessazioni di ogni genere hanno trovato la forza di dire basta rivolgendosi alla polizia. Così abbiamo scoperto un fenomeno molto più ampio di vero e proprio racket di estorsioni commesse con metodo mafioso. Le vittime erano le comunità più deboli del centro storico”.
Gli arrestati sono: Giuseppe e Giacomo Rubino, Vincenzo Centineo, Giovanni Castronovo, Emanuele Campo, Alfredo Caruso, Carlo Fortuna, Bruno Siragusa e Alessandro Cutrona.
Salvo Palazzolo
(da “La Repubblica“)
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Maggio 23rd, 2016 Riccardo Fucile
CROLLA L’AFFLUENZA, REBUS GOVERNABILITA’
Bolzano ha scelto il nuovo sindaco: si tratta di Renzo Caramaschi, candidato del centrosinistra guidato
dal Pd che ha ottenuto l’importante sostegno dell’Svp.
Al ballottaggio ha ottenuto una maggioranza pari al 55,7%.
Caramaschi, 70enne ex city-manager, era sostenuto da una coalizione di centrosinistra: oltre al Pd, la coalizione del nuovo sindaco comprendeva anche i Verdi, la sinistra, la lista di centro di Angelo Gennaccaro, la lista civica con Caramaschi e la lista Artioli.
A queste forze politiche si è aggiunta, per il ballotaggio, la Sudtiroler Volkspartei, che al primo turno aveva corso da sola e pur affermandosi come primo partito (16,98%) non era riuscita ad andare al ballottaggio.
Caramaschi invece al primo turno aveva ottenuto il 22,3% dei voti e nel ballottaggio ha sfidato Mario Tagnin, dentista di 47 anni, appoggiato dal centro-destra che si era fermato al 18,39%.
Questo voto di Bolzano era per il Pd e per il centrosinistra una prima prova di tenuta in vista della tornata elettorale del 5 giugno , seppure in un territorio molto particolare e poco rappresentativo del Paese nel suo complesso.
Il 55% ottenuto da Caramaschi è in linea con il 57% ottenuto da Luigi Spagnolli un’anno fa.
Ma Spagnolli fu poi costretto alle dimissioni per l’impossibilità di avere una maggioranza: la legge elettorale dell’Alto Adige infatti non prevede un premio di maggioranza per il sindaco, che deve cercare una coalizione.
L’affluenza ha fatto segnare un deciso crollo: ha votato solo il 41,2% dei quasi 80.000 aventi diritto. Al primo turno l’affluenza era stata invece del 56%.
I numeri in Consiglio.
Ma sul nuovo eletto incombe l’incognita della governabilità . Per governare a Caramaschi – che ha la maggioranza relativa – oltre alla Svp gli basterebbero i quattro consiglieri dei Verdi e i due consiglieri della lista di Gennaccaro.
La soluzione però non piace alla Svp che ha posto un veto sui Verdi.
La Svp auspica, piuttosto, una “groàŸe Koalition”, una grande coalizione con Pd e i moderati del centrodestra, che però Caramaschi rifiuta.
Così rimane lo spettro dell’ingovernabilità sul Comune, come è successo al sindaco Luigi Spagnolli che un anno fa si era presentato per la terza volta alle elezioni, ne era uscito vincitore, ma ha dovuto gettare la spugna, perchè non era riuscito a formare una maggioranza.
(da “La Repubblica”)
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