Febbraio 9th, 2017 Riccardo Fucile
LA RINUNCIA RIGUARDA I PROCESSI CONTRO MANTOVANI (FORZA ITALIA) E GARAVAGLIA (LEGA)… UNA VOLTA LA DESTRA DIFENDEVA LA LEGALITA’, TEMPI PASSATI
Il dado è (quasi) tratto. Il governatore della Lombardia, Roberto Maroni, si prepara a deliberare la
non costituzione di parte civile al processo che vede imputato per turbativa d’asta il suo braccio destro e compagno di partito, l’assessore leghista all’Economia Massimo Garavaglia.
A beneficiare della decisione sarà anche l’ex vicegovernatore Mario Mantovani, il politico ‘berlusconiano’ che gestì la sanità lombarda fino al 2015 e che oggi è sotto processo per lo stesso reato contestato a Garavaglia, ma anche per corruzione, concussione e abuso d’ufficio.
Lunedì prossimo, durante la consueta riunione di giunta, si porterà così in votazione la revoca della costituzione di parte civile contro Mantovani, decisa appena qualche mese fa.
E allora si capirà se, come anticipato da Ilfattoquotidiano.it, le manifestate intenzioni di ritirarsi dai procedimenti contro politici e funzionari, rinunciando a chiedere i danni fino a eventuale sentenza definitiva, diventeranno realtà .
La cosa non è affatto scontata, perchè Forza Italia, per bocca dell’assessore alla Sanità , Giulio Gallera, ha già fatto sapere di condividere il principio garantista a una condizione: il ritiro delle costituzioni di parte civile deve valere per tutti, compresi quegli amministratori già condannati in primo grado, come l’ex presidente Roberto Formigoni (6 anni per corruzione) e l’ex assessore Domenico Zambetti (13 anni e 6 mesi per voto di scambio politico-mafioso).
Lunedì in giunta, insomma, ci sarà da discutere. Forse da litigare. Maroni non ci sarà . Il governatore, impegnato in una trasferta all’estero, ha affidato la delicata missione al direttore generale, Antonello Turturiello.
E c’è chi ipotizza che, in assenza di un indirizzo chiaro sui procedimenti in corso, Forza Italia e Nuovo Centrodestra chiederanno il rinvio del delibera sulla revoca, quando mancherà solo un giorno alla ripresa del processo Mantovani-Garavaglia, previsto per martedì.
Un perfetto assist per il M5S.
Infatti Iolanda Nanni, capogruppo del Movimento 5 Stelle in Lombardia, attacca: “Alla faccia della coerenza, prima si costituiscono parte civile e poi si danno alla fuga revocando il mandato. È scandaloso: Maroni non può svendere gli interessi dei lombardi per i suoi inciuci di maggioranza e per ‘salvare’ il suo compagno di partito Garavaglia. Se l’ex assessore Mantovani, nell’esercizio del suo mandato, ha danneggiato la Lombardia, e questo lo stabilirà il Tribunale, deve rimborsare i cittadini. In casi come questo la costituzione di parte civile è un obbligo etico e morale. La revoca potrebbe creare un danno economico alle casse regionali. La buona amministrazione non sta di casa in Regione”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 9th, 2017 Riccardo Fucile
RISPETTO AL 2015 E’ SALITA DAL 68% AL 72% LA QUOTA INCASSATA NON GRAZIE AI CONTROLLI, MA PER SEMPLICI ERRORI DEI CONTRIBUENTI CHE HANNO RIMEDIATO
Secondo il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan quei numeri sono la prova che il governo “non strizza l’occhio agli evasori ma alle aziende e ai contribuenti onesti, aiuta ad adempiere, a non sbagliare e a correggere gli errori, senza approcci inutilmente punitivi“.
Mentre il premier Paolo Gentiloni parla di “risultati importanti, senza precedenti”.
La realtà , però, è che i 19 miliardi di euro — “un nuovo record” — che il titolare del Tesoro e il direttore delle Entrate Rossella Orlandi hanno rivendicato giovedì come risultato della lotta all’evasione condotta nel 2016 sono per la maggior parte frutto di versamenti spontanei dei contribuenti.
Vale a dire soldi pagati di propria volontà da persone o società che avevano fatto errori o dimenticato qualcosa nella dichiarazione dei redditi
Occorre poi tenere presente che l’evasione ammonta ogni anno a circa 110 miliardi di euro, per cui la cifra recuperata resta una goccia nel mare.
Non solo: nel 2015 il recupero si era fermato a quota 14,5 miliardi, di cui oltre 10 da versamenti spontanei.
Calcolatrice alla mano, significa che tra 2015 e 2016 la percentuale di somme evase incassate non grazie all’azione degli ispettori del fisco ma per la “buona volontà ” dei contribuenti non è calata, ma al contrario è salita dal 68 al 72%.
I numeri: su 19 miliardi complessivi (+28% sul 2015) ben 4,1 sono arrivati dalla voluntary disclosure, la procedura di rientro in Italia dei capitali nascosti al fisco, 2,1 miliardi dal canone Rai in bolletta che per ovvi motivi ha consentito alla tv pubblica di incassare 500 milioni in più rispetto all’anno prima, 8 da attività di liquidazione e 500 milioni da versamenti spontanei da compliance, quelli dei contribuenti che hanno ricevuto dall’Agenzia un avviso bonario a mettersi in regola.
Andando ancora più nel dettaglio, ben 13,7 miliardi (+34%, ha spiegato la Orlandi) dipendono appunto da versamenti diretti, cioè da pagamenti che non hanno richiesto l’attivazione di procedure coattive.
La riscossione coattiva è cresciuta invece di soli 400 milioni.
Quanto ai controlli, il 40,3% dei controlli ha interessato i grandi contribuenti, il 15,3% delle imprese di medie dimensioni e l’1,4% delle imprese di piccole dimensioni e lavoratori autonomi.
I controlli sulle persone fisiche sono stati, invece, circa 280mila.
Per quanto riguarda l’Iva, imposta che vede l’Italia ai primi posti in Europa per volume di evasione con quasi 40 miliardi annui non versati, sui circa 60mila contribuenti che hanno ricevuto una comunicazione per dichiarazione incompleta o omessa solo il 72% ha corretto la propria posizione.
Sempre nel 2016 l’Agenzia delle Entrate ha effettuato 2 milioni e 740mila rimborsi alle famiglie e alle imprese, per un importo totale pari a oltre 14 miliardi di euro, praticamente azzerando gli arretrati.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 9th, 2017 Riccardo Fucile
I BERSANIANI SPIAZZATI CERCANO DI PRENDERE TEMPO
Se non si possono anticipare le elezioni a giugno, allora si anticipi il congresso del Pd. Quando? Subito:
prima delle amministrative.
Prima di tornare a Firenze, Matteo Renzi lascia ai suoi questo ventaglio di opzioni per uscire dall’impasse nella direzione Dem di lunedì.
La prima ipotesi resta la preferita. E, mentre in Parlamento quasi tutti pensano che sia invece fallita, il segretario non a caso la spiegava per bene ieri ai suoi interlocutori.
Il senso del voto a giugno sta nel fatto che il Pd non può permettersi di bruciare un leader che, stando ai sondaggi che arrivano al Nazareno, resta ancora il più popolare, è il ragionamento di Renzi, riferito a se stesso naturalmente.
Ma se il voto a giugno non scatterà , allora il segretario è pronto a chiedere il congresso subito, in modo da celebrarlo entro maggio o addirittura aprile, magari con una semplificazione delle procedure da decidere e votare a maggioranza in assemblea.
E’ per questo che stamane i fedelissimi renziani – da Alessia Morani a Andrea Marcucci, David Ermini e altri — si sono scatenati su twitter con l’hashtag #congressosubito
Il congresso? “Famolo! Che dobbiamo aspettare? Se non si vota subito, domani. Perchè aspettare giugno? Non credo ci debba essere una fase di attesa”, dice David Ermini.
E’ il piano B per uscire dall’angolo. Un piano B che non esclude a priori il lato A, cioè le urne a giugno.
“Renzi non vuole rimanere sulla graticola da qui al 2018, se si voterà l’anno prossimo”, dice un fedelissimo. “Ma se si fa subito il congresso e però si determinano anche le condizioni per votare a giugno, perchè no?”.
Tra le opzioni sul tavolo c’è anche quella di presentare le dimissioni da segretario per aprire subito il congresso.
“Non c’è rischio che l’assemblea elegga un ‘reggente-segretario’ al suo posto”, spiega un renziano della prima ora. In effetti il Pd ha già avuto due segretari (il reggente non esiste da statuto) eletti dall’assemblea e non dalle primarie: Dario Franceschini e Guglielmo Epifani.
“Ma abbiamo la maggioranza dei delegati: se il segretario si dimette, si va al congresso subito con il segretario dimissionario — aggiunge la fonte renziana — Così vediamo la base da che parte sta. I nostri si galvanizzano alla sola idea del congresso subito”.
La mossa prende in contropiede l’alleato di maggioranza nel Pd, Dario Franceschini, convinto fino a ieri di essere invece riuscito ad avviare il dibattito sulla legge elettorale in Parlamento sulla base del premio di coalizione, gradito a molti a cominciare dai centristi. Ma Renzi, che non è per niente convinto del premio di coalizione, sta provando a far saltare il banco, partendo dalla constatazione che “invece in Parlamento non ce ne sono passi in avanti sulla legge elettorale”.
Perchè il suo obiettivo principale è non perdere tempo, muoversi per evitare che gli avversari riescano a “cucinarlo a fuoco lento”, dice una fonte che ieri ci ha parlato, accelerare laddove gli altri frenano.
Il segretario non è convinto del ritorno alle coalizioni e lo ripete, anche alla luce dell’intervista di Massimo D’Alema che oggi su Repubblica ricorda e loda la stagione dell’Ulivo. “Abbiamo fatto tanto per fare il Pd, ora invece c’è chi vuole tornare al passato delle coalizioni…”, è il ragionamento del segretario.
Sulla via del congresso anticipato, Renzi sa che troverà l’ostacolo ‘Pierluigi Bersani’. Non a caso ieri l’ex segretario ha già detto che “il congresso non si può fare senza prima sapere quale legge elettorale hai”. “No ad avventure, no ai plebisciti. Basta col tardo blairismo”, dice Roberto Speranza al termine di una riunione dei bersaniani alla Camera.
Ma Gianni Cuperlo invece apprezza: “Se il dado è tratto io dico bene il congresso. L’ho chiesto dal 5 dicembre convinto che di fronte alle sconfitte subite e ai problemi di milioni di persone il Pd doveva restituire a iscritti, militanti, elettori pensiero e parola. C’è un centrosinistra da ricostruire e un partito da rigenerare. Non è facile ma con una vera partecipazione dal basso ce la possiamo fare”.
A questo punto, lo ‘show down’ è dietro l’angolo.
Per arrivare al voto a giugno, Renzi mette nel conto anche una battaglia parlamentare contro la manovrina annunciata dal governo per rispondere alle richieste della Commissione europea di rientrare di 3,4 miliardi sul deficit.
Ci saranno gli aumenti delle accise su tabacchi e benzina. E proprio su questo il segretario conta di recuperare il consenso perduto nel partito. “No a nuove tasse”, ripete.
Ma nei gruppi parlamentari, oltre ai suoi, chi lo seguirà ?
La lettera dei 41 senatori a sostegno del governo Gentiloni è stata ricevuta al quartier generale renziano come una sorta di avvertimento.
Della serie: a Palazzo Madama l’incidente per far cadere il governo non passa.
Anche perchè, lettera a parte, al Senato le truppe di Renzi e Orfini sono ormai risicatissime. La maggioranza del gruppo si è molto avvicinata al senatore a vita Giorgio Napolitano, alfiere del voto nel 2018 fin dall’inizio di questa storia.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 9th, 2017 Riccardo Fucile
“PER NON FARE ACCORDI COL PD DOPO LE ELEZIONI”… PERCHE’ FARLO CON GRILLO SAREBBE LECITO? …. E IN OGNI CASO LA CLAUSOLA SAREBBE CARTA STRACCIA SENZA VALORE
«Per Fratelli d’Italia le condizioni di un’alleanza sono chiare: vogliamo una clausola anti-inciucio con la quale tutti quelli che partecipano si impegnano a non fare accordi con il PD dopo le elezioni».
La presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha dettato le sue condizioni al centrodestra: tra queste c’è anche un’interessante clausola anti-inciucio.
«Vogliamo elezioni primarie per scegliere il portabandiera candidato premier e vogliamo proposte chiare su temi centrali come il rapporto con un’Europa che ci strozza».
Con chi ce l’ha la leader di Fratelli d’Italia?
Giorgia, semplicemente, ha annusato l’aria che tira: tutti i giornali parlano di un ritorno di Forza Italia nei sondaggi e della possibilità di un centrodestra che vada unito alle elezioni. Ma anche della possibilità che poi in Parlamento Forza Italia vari una Grande Coalizione con il Partito Democratico per ottenere i voti necessari per il varo della fiducia. Prendendo così il taxi di FdI e Lega per poi scaricarli all’entrata della Camera e del Senato.
Da qui l’ideona della clausola anti-inciucio.
Che però, visto che in Italia vige il divieto di mandato imperativo, anche se firmata non avrebbe alcun valore effettivo.
Poi sarebbe interessante sapere se, nell’ottica della Meloni, la clausola varrebbe anche nei confronti di Lega e Fdi nel caso volessero allearsi con Grillo, una volta presi i voti dall’elettore di centrodestra.
Ma su questo la Meloni non pare avere nulla da dire.
(da agenzie)
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Febbraio 9th, 2017 Riccardo Fucile
E’ IL COORDINATORE DI UN MEETUP SICILIANO
Qualche giorno fa il senatore M5S Michele Giarrusso in un’interrogazione urgente al Ministro
dell’Interno Minniti chiedeva di avviare dei controlli a Castelvetrano (Trapani): “Fino a quando la mafia e la politica andranno a braccetto, non si vedrà un filo di luce“, aveva dichiarato il senatore Cinque Stelle dopo il sequestro di beni per un valore pari a cinque milioni di euro a Marco ed Enrico Adamo, imprenditori attivi nella politica locale di Castelvetrano finiti sotto indagine perchè ritenuti molto vicini a Matteo Messina Denaro, il boss della mafia latitante che è originario proprio del paese in provincia di Trapani.
Il comune rischia lo scioglimento per mafia e il commissariamento e Giarrusso chiedeva l’intervento immediato dello Stato “per liberare Castelvetrano dalla mafia e dalla sporca politica che tiene i cittadini schiavi del sistema” e forse non immaginava di dover guardare anche all’interno del MoVimento 5 Stelle di Castelvetrano e del limitrofo comune di Partanna.
Stando a quanto riporta il quotidiano locale Tp24.it nell’ambito di un’inchiesta su una truffa -la cui entità ammonta a quasi sette milioni di euro — ai danni di Regione, Unione europea e Patto Territoriale “Valle del Belice” sulla quale sta indagando la Procura di Marsala risulterebbe coinvolto il coordinatore del Meetup dei Cinque Stelle di Partanna Gaspare Secchia.
L’accusa contesta alle nove persone coinvolte e a tre società il reato di truffa aggravata in concorso per il conseguimento di erogazioni pubbliche in merito alla realizzazione di un complesso alberghiero a Marinella di Selinunte ed i fatti contestati si riferiscono al periodo 2008-2009.
In particolare a Secchia, che era il perito incaricato della contabilità tecnica è contestato anche il reato di falso in atto pubblico.
Accuse pesanti non solo perchè Secchia è un attivista del MoVimento ma anche perchè a fine gennaio si era fatto promotore di un incontro sulla legalità al quale avevano preso parte i senatori Giarrusso, Vincenzo Maurizio Santangelo e l’europarlamentare Ignazio Corrao e anche rappresentanti delle associazioni antimafia come Libera.
La reazione di Secchia è indicativa del nervosismo del MoVimento riguardo a certe situazioni e alla posizione che gli attivisti devono assumere alla luce del nuovo codice etico recentemente approvato, almeno stando alle dichiarazioni rilasciate a Tp24.it:
Raccontate balle e non ascoltate gli interessati ma solo cosa dice la Procura. E poi vorrei capire come mai vi occupate ora di questo processo che è in corso da anni. Voi giornalisti siete stati telecomandati dopo il successo della nostra iniziativa contro la mafia.
Inoltre Secchia fa sapere che “Dieci minuti dopo aver letto l’articolo mi sono dimesso dal meet up, e comunque sono candidabile perchè non c’è nessuna condanna e il nuovo regolamento prevede che io possa candidarmi”.
Ed è vero che — regolamento alla mano — è candidabile, ma il fatto che Secchia si sia dimesso dal meet up solo dopo che la notizia era stata pubblicata dal quotidiano online la dice lunga visto e considerato che — come ha detto — il processo è in corso da anni e che il Giornale di Sicilia aveva fatto il suo nome già il 31 gennaio mentre l’articolo di Tp24.it è di questa mattina.
Il fatto che sia ancora candidabile per le regole del MoVimento non rappresenta certo un problema nemmeno per chi non fa parte del M5S, il fatto invece la cosa sia stata taciuta fino a quando “i giornalisti telecomandati” ne hanno parlato la dice invece lunga sul valore della trasparenza.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 9th, 2017 Riccardo Fucile
PERCHE’ HANNO PAURA? PERCHE LI CONOSCE TROPPO BENE
Stamattina era prevista anche la presenza di Paolo Becchi a L’Aria che tira su La7, dove doveva svolgersi un dibattito con Mario Michele Giarrusso del MoVimento 5 Stelle ed altri.
Ma purtroppo la comparsata di Becchi è stata annullata all’ultimo momento.
Perchè? A spiegarcelo è lo stesso professore: la comunicazione del M5S ha chiesto al programma di non far svolgere confronti tra i suoi esponenti e Becchi; per questo il programma ha preferito cancellare l’intervento dell’ex ideologo che poi si è distanziato dai grillini.
«Anche ad Agorà è successa una cosa simile, quando era ospite Giorgio Sorial: ma in quel caso la mia entrata nel dibattito è coincisa con l’uscita del deputato e quindi almeno nell’occasione le apparenze si sono salvate. Invece a L’Aria che tira hanno preferito evitare qualsiasi attrito con la comunicazione M5S…».
E come mai la comunicazione del M5S ha paura di Paolo Becchi?
Il professore ha un’idea tutta sua sulla questione: «Non è vero che le televisioni sono contro il M5S; la verità è che loro vanno e scelgono con chi confrontarsi, mentre i conduttori glielo permettono. E cercano di evitare gli ospiti che potrebbero metterli in difficoltà . Io non me la prendo con il direttore del programma ma con il fatto che c’è chi si fa le regole del gioco su misura; dovrebbero accettarsi di confrontarsi con tutti. Come mai siamo arrivati al punto che se Becchi è invitato in un programma televisivo l’Ufficio di comunicazione dice ‘Noi veniamo ma a patto che ritiriate Becchi’? Questo è il dato di fatto».
E infine: «Questa cosa poi non succede solo a me, succede anche ad altri su cui c’è un veto. Non dobbiamo venire a stretto contatto. Poi spiace vedere in tv il direttore del Corriere Fontana con Di Battista. Perchè non facciamo Di Battista contro Becchi o Di Maio contro Becchi?».
Perchè, secondo lei? «Perchè finirebbero sconfitti, visto che io sono nel MoVimento dalle origini e posso elencare tutte le cose in contrasto con quello che il M5S era dalle origine. Per questo li potrei mettere in difficoltà e mi temono».
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 9th, 2017 Riccardo Fucile
LEGGE ELETTORALE, DEPOSITATA LA SENTENZA DELLA CONSULTA SULL’ITALICUM
Il premio di maggioranza del 40 per cento non è irragionevole. Il ballottaggio è da cancellare perchè
non garantisce la rappresentatività .
E ora comunque servirà una legge elettorale che assicuri maggioranze parlamentare omogenee. Sono i punti principali delle motivazioni della Corte Costituzionale sull’Italicum, dopo la pronuncia di incostituzionalità parziale del 31 gennaio scorso. Le motivazioni sono raccolte in 99 pagine.
Del giudizio è stato relatore il giudice Nicolò Zanon. La sentenza è firmata dal presidente della Corte, Paolo Grossi.
La Consulta, si legge tra l’altro, “non può esimersi dal sottolineare che l’esito del referendum ex art. 138 Cost. del 4 dicembre 2016 ha confermato un assetto costituzionale basato sulla parità di posizione e funzioni delle due Camere elettive”, è la premessa. In tale contesto, prosegue la Corte, la Costituzione “se non impone al legislatore di introdurre, per i due rami del Parlamento, sistemi elettorali identici, tuttavia esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non devono ostacolare, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee”.
Quanto all’incostituzionalità del ballottaggio la motivazione è “non comprimere eccessivamente il carattere rappresentativo dell’assemblea elettiva e l’eguaglianza del voto“.
La Consulta spiega nelle motivazioni che con l’Italicum “una lista può accedere al turno di ballottaggio anche avendo conseguito al primo turno un consenso esiguo, e ciononostante ottenere il premio, vedendo più che raddoppiati i seggi che avrebbe conseguito sulla base dei voti ottenuti al primo turno. Le disposizioni censurate riproducono così, seppure al turno di ballottaggio, un effetto distorsivo analogo a quello che questa Corte aveva individuato nella sentenza n.1 del 2014, in relazione alla legislazione elettorale previgente”.
Tradotto: l’effetto distorsivo del premio di maggioranza ottenuto al ballottaggio (al quale si può accedere con qualsiasi percentuale) è uguale a quello che regolava il premio del Porcellum censurato tre anni fa.
Per la Corte costituzionale, dunque, “ben può il legislatore innestare un premio di maggioranza in un sistema elettorale ispirato al criterio del riparto proporzionale di seggi, purchè tale meccanismo premiale non sia foriero di un’eccessiva sovrarappresentazione della lista di maggioranza relativa”.
In questo caso, però, la Corte ravvisa una “lesione” della Costituzione per le “concrete modalità dell’attribuzione del premio attraverso il turno di ballottaggio” laddove “prefigura stringenti condizioni che rendono inevitabile la conquista della maggioranza assoluta dei voti validamente espressi da parte della lista vincente”.
Capitolo pluricandidature, anche queste cancellate dalla sentenza: “L’assenza nella disposizione censurata di un criterio oggettivo, rispettoso della volontà degli elettori e idoneo a determinare la scelta del capolista eletto in più collegi, è in contraddizione manifesta con la logica dell’indicazione personale dell’eletto da parte dell’elettore”. La Corte ha individuato come criterio da applicare quello del sorteggio, “che restituisce, com’è indispensabile, una normativa elettorale di risulta anche per questa parte immediatamente applicabile all’esito della pronuncia”.
“Ma appartiene con evidenza alla responsabilità del legislatore sostituire tale criterio con altra più adeguata regola, rispettosa della volontà degli elettori”, avverte la Corte.
Infine i capilista bloccati che molti (tra questi M5s e sinistra Pd) vorrebbero eliminare perchè farebbero di una quota di parlamentari un gruppo di nominati. Il sistema dei capilista bloccati previsto dall’Italicum è legittimo, dice la Corte Costituzionale, in quanto l’elettore ha comunque la possibilità di scegliere i candidati nell’ambito di liste brevi ed esprimendo fino a due preferenze.
“Mentre lede la libertà del voto un sistema elettorale con liste bloccate e lunghe di candidati, nel quale è in radice esclusa, per la totalità degli eletti, qualunque indicazione di consenso degli elettori, appartiene al legislatore — spiegano i giudici della Consulta — discrezionalità nella scelta della più opportuna disciplina per la composizione delle liste e per l’indicazione delle modalità attraverso le quali prevedere che gli elettori esprimano il proprio sostegno ai candidati”.
“Alla luce di tali premesse”, le norme contenute nell’Italicum “non determinano una lesione della libertà del voto dell’elettore, presidiata dall’articolo 48, secondo comma, della Costituzione.
Il sistema elettorale previsto” dalla legge all’esame della Corte “si discosta da quello previgente per tre aspetti essenziali: le liste sono presentate in cento collegi plurinominali di dimensioni ridotte, e sono dunque formate da un numero assai inferiore di candidati; l’unico candidato bloccato è il capolista, il cui nome compare sulla scheda elettorale (ciò che valorizza la sua preventiva conoscibilità da parte degli elettori); l’elettore può, infine, esprimere sino a due preferenze, per candidati di sesso diverso tra quelli che non sono capilista”
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 9th, 2017 Riccardo Fucile
“LAVORO DI CITTADINANZA E POI SUSSIDI GARANTITI AI POVERI”: COSTO PREVISTO 10 MILIARDI
Tutto si può dire di Berlusconi, tranne che non sapesse dove cercare i voti.
Fiutava la rivolta fiscale, e subito proponeva meno tasse per tutti.
Gli raccontavano degli anziani in crisi, e dal cilindro estraeva l’aumento delle pensioni.
Aveva perfino allettato i proprietari di cani e gatti, che sono milioni.
Adesso il Cav ha scoperto che il nuovo giacimento elettorale saranno i poveri. Statistiche alla mano (gliele sforna quasi tutte la sondaggista Alessandra Ghisleri), gli italiani in difficoltà sfiorano i 14 milioni.
Una volta votavano a sinistra, ma stanno perdendo fiducia e a riportarli all’ovile – così ragiona il Cav – non basteranno i 1700 milioni stanziati dal governo Renzi: si butteranno con Grillo .
Ecco perchè l’ex premier si è convertito a un’idea che in altri tempi avrebbe bollato come «comunista»: il reddito minimo garantito.
Cioè uno standard al di sotto del quale lo Stato metterà riparo. Come funziona in fondo nel resto d’Europa, eccezion fatta per la Grecia.
Addirittura in Finlandia verranno distribuiti 560 euro al mese a 2 mila disoccupati, che continueranno a percepire il sussidio perfino se troveranno lavoro.
L’avanzata dei populismi porta ovunque a rimodellare il welfare. Solo che Berlusconi punta a strafare.
I «banchi alimentari»
Ha messo al lavoro Renato Brunetta, l’unico dei suoi che davvero se ne intende, specie da quando l’altro prof, Giulio Tremonti, è diventato «maitre à penser» di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni.
Domani, al massimo venerdì, saranno pronte le «slide» da proiettare ad Arcore. Dovevano restare un segreto.
Ma Silvio non sta nella pelle, dunque ne ha già parlato ai frequentatori di Villa San Martino.
La sua intuizione consiste nel «segmentare» le povertà .
Sei «over 65»? Tiriamo su la pensione. Hai figli? Semplice, aumentiamo gli assegni familiari. E fin qui, nulla di stupefacente.
Gli effetti speciali riguardano anzitutto chi è a livello di sussistenza, i veri affamati. Per loro ha concepito l’idea dei «banchi alimentari», cioè associazioni di volontari che distribuiscano gratis le eccedenze della grande distribuzione. In cambio della merce semi-scaduta, i supermercati non dovrebbero pagarci su l’Iva.
Ma il vero colpo in gestazione riguarda i disoccupati.
La proposta riecheggerà nel nome quella grillina del «reddito di cittadinanza». Si chiamerà «lavoro di cittadinanza», e consisterà nel garantire per legge un’occupazione di 3 mesi a tutti quanti ne faranno domanda.
Questi 3 mesi di lavoro daranno diritto a trascorrerne altrettanti con l’indennità di disoccupazione, e così via.
La metafora di Berlusconi (e di Brunetta) è che «ai giovani disoccupati Grillo vuole regalare un pesce, noi invece vogliamo insegnare loro a pescare e a diventare autosufficienti».
C’è ovviamente un piccolo problema: il costo stratosferico. Che nella stima del Cav si aggira sui 10 miliardi annui.
Ma figurarsi se l’uomo si arrende per così poco. Andrà presto in tivù e prometterà di estirpare in soli tre anni la povertà in Italia, coronando alla sua maniera il sogno di Carlo Marx.
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
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Febbraio 9th, 2017 Riccardo Fucile
IN UNA DISCARICA ROMANA LA PROCURA DI NAPOLI HA SEQUESTRATO DOCUMENTI DELL’IMMOBILIARISTA… LE NUMEROSE INTERCETTAZIONI TRA ROMEO E L’EX AN E FLI
Incontrava gente nel suo ufficio per parlare di affari e appalti. Poi ad un certo punto abbassava il
tono della voce e scriveva iniziali e cifre su alcuni pezzetti di carta. Pizzini che venivano subito distrutti e buttati nell’immondizia.
Da lì finivano nei cassonetti della spazzatura e quindi in una discarica comunale di Roma. Ed è proprio tra i rifiuti di quella discarica capitolina che gli investigatori hanno trovato quello che potrebbe essere una sorta di diario delle tangenti di Alfredo Romeo.
Solo alcuni degli elementi acquisiti dopo la perquisizione ordinata dalla procura di Napoli negli uffici e nell’abitazione dell’immobiliarista.
Romeo è l’imprenditore al centro dell’affaire Consip, una presunta corruzione su un appalto da 2,7 miliardi di euro, vicenda per la quale sono indagati per rivelazione del segreto d’ufficio e favoreggiamento il ministro Luca Lotti e il comandante generale dei Carabinieri Tullio Del Sette.
L’indagine a carico del braccio destro di Matteo Renzi e di Del Sette è finita per competenza alla procura di Roma.
I pm napoletani Henry John Woodcock e Celestina Carrano invece continuano a indagare su presunti episodi di corruzione collegati ad appalti del gruppo Romeo per le pulizie dell’ospedale Cardarelli di Napoli, e al ruolo di dirigenti e funzionari del capoluogo campano che avrebbero favorito gli interessi dell’immobiliarista, ricevendone in cambio — secondo l’accusa — favori e soggiorni alberghieri.
Il decreto di perquisizione eseguito dalla Finanza di Napoli, dal Ros di Napoli e dal Noe di Roma per Romeo e altre due persone ipotizza i reati di concorso esterno in associazione camorristica (per l’assunzione nella ditta di pulizie impiegata nel Cardarelli di soggetti ritenuti vicini ai clan della zona collinare di Napoli), associazione a delinquere e corruzione.
I pm hanno deciso di perquisire, alla ricerca di tracce documentali e finanziarie, dopo aver ascoltato per mesi le conversazioni tra Romeo e uno dei suoi più stretti collaboratori, l’ex parlamentare di An Italo Bocchino.
Intercettazioni telefoniche e anche ambientali grazie a un virus spia Trojan installato sui cellulari di Romeo e Bocchino.
Conversazioni che, si legge nel decreto, “hanno consentito di acquisire un ponderoso materiale investigativo ed elementi utili per ricostruire quello che si può definire il sistema Romeo ispirato alla corruzione generalizzata e sistematica, alla consumazione sistematica di reati contro la pubblica amministrazione e di reati tributari funzionali alla creazione delle riserve di denaro in nero utilizzate da Romeo per pagare le tangenti”.
Il “ponderoso materiale investigativo” è rappresentato anche dai “pizzini” in cui l’imprenditore indicava la “causale” di tangenti.
I foglietti, che erano stati stracciati e buttati nella spazzatura, sono stati recuperati in una discarica comunale a Roma, dove finivano insieme agli altri rifiuti smaltiti dall’ufficio romano dell’immobiliarista in via Pallacorda.
È intercettando quei locali che gli inquirenti si accorgono di un curioso particolare: nel corso dei colloqui nel suo ufficio Romeo aveva “l’abitudine di abbassare il tono della voce e di scrivere di suo pugno su pezzetti di carta i nomi (iniziali) delle persone e dei destinatari delle tangenti, nonchè l’importo e la causale” passando poi il pezzetto di carta al suo interlocutore “conferendo dunque anche forma scritta alle transazioni illecite”.
È in questo modo che per l’accusa l’imprenditore ha creato una sorta di diario della corruzione.
E poco importa se quei foglietti di carta con iniziali e cifre venissero poi strappati e gettati nell’immondizia. “Tali fogli di carta (in alcuni casi anche strappati) — si legge nel decreto di perquisizione — sono stati tutti recuperati, acquisiti e ricostruiti dalla polizia giudiziaria, dunque, ha avuto la possibilità di confrontare e di sovrapporre le risultanze delle intercettazioni ambientali (già di per se chiare e preziose) con quanto contestualmente scritto di pugno dallo stesso Romeo nel contesto delle conversazioni medesime”.
Il risultato investigativo raggiunto è stato definito dai magistrati “davvero unico”.
Tra l’altro dall’indagine su Romeo emerge anche il ruolo Bocchino, diventato suo consulente dopo aver seguito Gianfranco Fini nella sfortunata esperienza di Futuro e Libertà .
I pm fanno riferimento a “fluviali colloqui” tra l’imprenditore e l’ex colonnello di An durante i quali i due hanno “passato in rassegna e descritto con dovizia di particolari le modalità con le quali hanno approcciato e gestito svariate gare d’appalto in tutta Italia (da Palermo a Napoli, dalla Basilicata a Roma), facendo nomi e cognomi dei soggetti della ‘cosa pubblica’ con la quale hanno intrattenuto rapporti”.
Bocchino, si legge nel decreto di perquisizione, avrebbe dato indicazioni a Romeo su “quando e come pagare” e su come “compiacere i rappresentanti della cosa pubblica”.
Vincenzo Iurillo e Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Esteri, Giustizia | Commenta »