Destra di Popolo.net

TERREMOTO, INDAGATI IL SINDACO E IL VESCOVO PER IL CROLLO DEL CAMPANILE DI ACCUMOLI

Febbraio 26th, 2017 Riccardo Fucile

LA CURIA AVEVA OTTENUTO 150.000 EURO MA L’INTERVENTO   DI MESSA IN SICUREZZA NON E’ MAI STATO FATTO… LE ACCUSE: OMICIDIO COLPOSO, DISASTRO COLPOSO E TRUFFA

Il vescovo emerito di Rieti Delio Lucarelli, il sindaco Stefano Petrucci e altri tra cui tecnici, architetti e costruttori sono i primi quindici indagati per il crollo del campanile della chiesa di Accumoli.
Le accuse sono di disastro colposo, omicidio colposo e truffa ai danni dello Stato e, scrive La Stampa in un articolo a firma di Grazia Longo, tra i nomi noti che spiccano sul registro degli indagati anche il tecnico Matteo Buzzi (nipote del più noto Salvatore, ras delle cooperative e principale imputato per Mafia Capitale insieme all’ex Nar Massimo Carminati) e l’imprenditore edile Marzio Leoncini.
I coniugi Andrea e Graziella Tuccio, i figli Stefano di 8 anni e Riccardo di un anno sono morti nel crollo conseguente al terremoto il 24 agosto 2016, ma sotto accusa è l’intervento di messa in sicurezza che il vescovo Lucarelli annunciò sette anni fa al sindaco, quando la chiesa era ancora inagibile per colpa del sisma dell’Aquila. Scrivono Fabio Tonacci e Giuliano Foschini su Repubblica:
Al 22 marzo 2010, quando monsignor Delio Lucarelli firma una relazione sulla chiesa di Accumoli inagibile per colpa del sisma dell’Aquila. «Abbiamo dato corso a interventi di messa in sicurezza per l’eliminazione del pericolo e atti a dare fruibilità  al complesso parrocchiale», scrive l’allora vescovo di Rieti, indirizzando la relazione al sindaco di Accumoli Stefano Petrucci e al Commissario delegato del sisma post 97.
Secondo i carabinieri del Nucleo investigativo e i finanzieri della Polizia tributaria, l’intervento in questione era in realtà  del tutto inutile. Avevano semplicemente applicato due staffe di ferro su una pietra che si stava staccando, senza neanche aver presentato un progetto approvato dal Genio Civile e senza le autorizzazioni edilizie necessarie.
Ma grazie alle pressioni del vescovo, il complesso immobiliare di piazza San Francesco riaprì.
Quel pezzo di carta che porta in calce la firma di monsignor Lucarelli è stato recuperato e inserito nella prima informativa inviata alla procura di Rieti che indaga sui crolli del terremoto del 24 agosto.
Sulla base di questa prima sintesi di indagine, che riguarda solo la chiesa Santissimi Pietro e Lorenzo e l’adiacente caserma dei Carabinieri, gli investigatori hanno denunciato all’autorità  giudiziaria 15 persone: il vescovo emerito e il sindaco Petrucci (per omicidio colposo e disastro colposo), tutti i tecnici che hanno lavorato sui progetti di miglioramento sismico finanziati con fondi pubblici, l’impresario Marzio Leoncini e l’ingegnere Mattia Buzzi. Qualcuno è accusato pure di truffa ai danni dello Stato.
La lettera serviva a revocare lo sgombero deciso dal sindaco dopo il 6 aprile 2009.
E c’è un altro problema: la curia reatina, infatti, aveva ottenuto dal commissario per la ricostruzione post 1997 ben 150.000 euro per il miglioramento sismico della caserma, intervento fondamentale anche per la tenuta del campanile adiacente. Ma a quanto pare l’intervento non è stato effettuato
Il campanile che non doveva crollare
Il Fatto cita invece la testimonianza di don Puzio Stanislaw, parroco che qui ha vissuto dal 2004 al 2014: sul campanile “non fu fatto alcun lavoro”. Nonostante nelle casse della diocesi arrivassero i fondi per i lavori di messa in sicurezza. Ma quei soldi, annotano gli inquirenti, sono stati usati per sistemare la casa parrocchiale e non il campanile che il 24 agosto è crollato e ucciso un’intera famiglia.
La morte della famiglia Tuccio, sterminata dal crollo della torre, poteva essere evitata. Del verbale di interrogatorio del parroco colpisce anche il racconto degli anni trascorsi nella casa parrocchiale, adiacente al campanile.
Arrivato nel 2004, don Puzio trova la torre inagibile e interdetta al pubblico perchè ritenuta a rischio crollo, la vicina caserma abbandonata perchè pericolante.
“Sono rimasto solo per molto tempo”a vivere lì. “I carabinieri erano andati via a causa del terremoto”. E aggiunge: “Non sono mai stato a conoscenza dell’ordinanza di sgombero e nessuno mi ha mai avvisato che quello stabile era pericoloso, tant’è vero che non l’ho mai lasciato”. Ricorda anche Buzzi.
Il geometra della curia aveva individuato un masso della torre che avrebbe potuto cedere: è stato l’unico intervento effettuato. Secondo quanto ricostruito dal pool investigativo creato ad hoc dalla procura di Rieti — composto da tre uomini del nucleo polizia tributaria della Guardia di Finanza e cinque del comando provinciale dei Carabinieri —il sindaco ha emesso un’ordinanza per annullare lo sgombero sulla base esclusivamente di questo intervento, limitandosi alle rassicurazioni ricevute dall’allo ra vescovo Lucarelli. La diocesi già  a seguito del sisma che nel 1979 colpì la zona, avrebbe dovuto intervenire sulla struttura. L’allora sindaco Berardo Pica nel novembre 1981 intimò al vescovo di agire perchè le “condizioni statiche della Chiesa e del campanile ”risultano “particolarmente precarie e pericolose per la pubblica incolumità ”.
Nulla fu fatto.

(da “NextQuotidiano”)

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INTERVISTA A MAURIZIO COSTANZO: “VIRGINIA SI TOLGA LA MASCHERA DA DURA E PURA”

Febbraio 26th, 2017 Riccardo Fucile

I CONSIGLI ALLA   RAGGI, LE BATTUTE SU ANDREOTTI E LA SCOPERTA DI D’ALEMA

Negli undici televisori che tiene accesi di fronte alla sua scrivania appare all’improvviso il volto di Virginia Raggi: “Le servirebbe un corso per capire che il Campidoglio è il trionfo delle insidie. Non è una ragazza stupida. Però — come gli altri prima di lei — è circondata da un sistema che a ogni passo è pronto a tendergli una trappola. Dovrebbe capirlo, non mettersi la maschera della dura e pura. Non ci si improvvisa sindaci di questa città ”.
Maurizio Costanzo ha settantotto anni e la carriera appesa alle pareti: c’è la foto dell’intervista al colonnello Gheddafi e quella a Gorbaciov, gli occhi neri di Giovanni Falcone e l’attimo in cui dichiara guerra alla mafia dando fuoco in diretta tv a una t-shirt che inneggia a Cosa nostra, c’è Woody Allen e l’incontro con Donald Trump: “Lo intervistai a New York nel 2002. Era tutto esagerato, dall’arredamento del suo palazzo al colore dei suoi capelli. Però lui era simpatico. Conservo la foto da allora. Oggi, certo, si nota di più”.
Nella vita ha fatto cinema, teatro, televisione, radio, giornali: tutto.
A breve il Maurizio Costanzo Show tornerà  su Canale 5 e dal 18 febbraio è passato a radio 105. Ha superato scandali (P2), attentati (mafia), fallimenti (il settimanale L’Occhio), muovendosi in difficile equilibrio tra incompatibili appartenenze: il voto sempre a sinistra e l’editore — Silvio Berlusconi — schierato a destra.
Come ha fatto?
“Vivo con una pistola puntata alla nuca che si chiama noia, la sento sempre in agguato dietro le spalle. Mi sono continuamente inventato un incontro, un’avventura, un rischio pur di incontrarla il meno possibile”.
Che faccia ha?
“È come un buco profondo che vuole inghiottirti. Tu lotti per non scivolarci dentro. Perchè più precipiti nella cavità , più fai fatica a risalirla”.
È sempre stato così?
“Da bambino, rimanevo a lungo davanti alla finestra a guardare nel vuoto. Dicevo a mia madre che mi annoiavo. Ma mi sbagliavo: stavo scoprendo la malinconia, l’altro mio demone custode. Da piccolo, la vivevo come un handicap. Poi, ho capito che non sarei capace di immaginarmi senza”.
A cosa le è servita?
“L’ho usata in tutte le commedie che ho scritto, nei film che ho fatto con Pupi Avati, l’ho donata a Ettore Scola per la sceneggiatura di “Una giornata particolare”. Ho scoperto che è un’immensa sorgente. E che io non sono altro che un produttore di malinconie”
Cosa rimpiange?
“Ho tre figli, quattro nipoti, altrettante mogli, però non ho mai dimenticato mio padre e mia madre. Li ricordo in continuazione. Non c’entra l’amore. È l’assenza di qualcosa che è nella tua carne e nel tuo corpo, e che non può andare via”.
Si rimprovera qualcosa?
“Mia madre ha fatto in tempo ad ascoltarmi in radio e a vedermi in televisione. Mio padre no, e questo mi fa soffrire”.
Lei che padre è stato?
“Ho perso il mio quando avevo diciotto anni e ho cercato per prima cosa di esserci. Sono stato permissivo. Ho cercato di convincere i miei figli a rispettare una regola facendoli ragionare, piuttosto che con uno schiaffo”.
Ha sognato di fare quello che fa?
“Sì. Fu mio zio a intuire la vocazione che avevo. Era un alto funzionario del ministero della Marina mercantile. Mi metteva da parte le tutte le terze pagine del Corriere della Sera e me le portava a casa ogni settimana. Le leggevo e le rileggevo. Mi piacevano soprattutto Vittorio Giovanni Rossi e Indro Montanelli. Adoravo i loro racconti di viaggio”.
Li ha conosciuti?
“A quattordici anni scrissi una lettera a Montanelli e tutto mi potevo aspettare tranne che mi chiamasse. Invece, lo fece. Mi diede appuntamento per il giorno dopo alla sede del Corriere di Roma. Marinai la scuola e andai. Fino a quando morì rimanemmo in contatto”.
Lei ha incontrato moltissime persone.
“Di tutte, mi mancano sopratutto Vittorio Gassman e Alberto Sordi. Gassman era un vulcano. Arrivava all’improvviso nel camerino del teatro Parioli e cominciava a raccontarmi cosa aveva letto e pensato durante il giorno. Fumava e parlava. Fumava e parlava. Fumava e parlava”.
E Sordi?
“Non ho mai conosciuto nessuno legato alla famiglia come lo era lui. Una volta mi disse: “Ma perchè me devo mette n’estranea ‘n casa?”. Credo non si sia sposato per una forma di fedeltà  al fratello e alla sorella. E poi era un custode della semplicità . Aveva una villa stupenda alle Terme di Caracalla: piscina, giardino magnifico, vista sulle rovine romane. La guardava e come parlando tra sè e sè un giorno mi confessò: “Ma che cazzo ma so’ fatta a fa’…”.
È passato tanto tempo, ma non sono riuscito a rimpiazzarli, nè lui nè Gassman. Forse è colpa mia, forse non c’è granchè in giro”.
Lei ha standard molto alti.
“Chiamai Totò mentre stava girando “Uccellacci e Uccellini” con Pier Paolo Pasolini, un uomo di una grazia sconvolgente. Gli domandai: “Come va, Principe?”. Rispose: “Gli attori sono come i tassisti, vanno dove vuole il cliente”. Non aveva ancora capito che stava girando un capolavoro”.
È riuscito a far parlare Andreotti della sua vita in tv.
“Entrai in studio e lui era già  seduto sulla poltrona rossa: pensavo fosse uno scherzo, non ci credevo. Fu un evento. Durante la pubblicità , lui che era già  presidente del Consiglio, mi disse: “Sa, io ho tre compagni di classe che sono diventati cardinali”. Pausa. “Loro sì che hanno fatto carriera”. Geniale”.
Poi vennero i comunisti.
“Per loro, era ancora più insolito andare in televisione a parlare della loro vita. Prima invitai Amendola, poi Pajetta. Enrico Berlinguer non venne, però mi volle conoscere. Voleva capire chi fossi. Dopo, mi fece dire che mi aveva trovato “più intelligente che cattivo””.
Con quelle interviste, mostrò che anche il personale è politico.
“Non me ne fregava niente delle alleanze o delle tattiche. Cercai di stanare la persona, perchè solo penetrando oltre la corazza delle architetture razionali potevo supporre di far capire chi avevamo di fronte”.
Chi ha capito meglio?
“Massimo D’Alema. L’ho frequentato a lungo, eravamo molto amici. Quando era segretario del PDS, andavo ogni lunedì mattina alle nove a trovarlo a Botteghe Oscure. Parlavamo poco di politica, molto di vita. Ho scoperto di una donna che aveva amato prima di conoscere la moglie morta in un incidente d’auto. Era una ferita molto forte per lui, che è anche un uomo di una certa sensibilità . La superbia che esibisce è una forma di difesa. Probabilmente, necessaria per la politica di oggi”.
Si aspettava potesse fare una scissione dal PD?
“Io non credo nelle scissioni, spero che ci ripensi: hanno sempre fatto del male alla sinistra”.
Roma è la sua città  da sempre.
“L’ho vissuta occupata dai militari tedeschi e sotto i bombardamenti durante la Seconda guerra mondiale. C’ero quando la liberarono, con i soldati neri americani che fumavano Pall Mall per le strade del centro; e poi nel pieno dei fervori e delle sciocchezze degli anni Sessanta. Mi fa male, oggi, vederla sporca e abbandonata a se stessa, ma penso che questa città  possieda una bellezza che nessuno può distruggere. I Cinque Stelle hanno vinto indicando il disastro. Ora vi pongano rimedio, anzichè dire sempre no, no, no”.

(da “Huffingtonpost”)

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LA SVEZIA RISPONDE ALLE BALLE DI TRUMP CON I DATI SU IMMIGRAZIONE E VIOLENZA: “ORGOGLIOSI DI AVER ACCOLTO 143.000 SIRIANI IN FUGA DAI MASSACRI”

Febbraio 26th, 2017 Riccardo Fucile

IL GOVERNO: “VIOLENZA DIMINUITA NEGLI ULTIMI 20 ANNI, L’UNICO TENTATIVO DI ATTENTATO BEN SEI ANNI FA”

Il governo svedese ha lanciato sul web una campagna di «dati» sulle politiche migratorie e sulla delinquenza nel Paese, in risposta alle affermazioni del presidente americano Donald Trump.
«Recentemente sono state diffuse informazioni sempliciste e a volte del tutto inesatte sulla Svezia e sulla politica migratoria del Paese», ha dichiarato il governo in una nota sulla sua pagina web in inglese, senza citare Trump.
Il ministero degli Esteri, quindi intende smontare le falsità  che considera «più comuni».
Trump è tornato ieri a citare la Svezia come esempio dei pericoli che secondo lui vengono portati dagli immigrati, dopo che giorni prima aveva lasciato intendere che un attentato sarebbe avvenuto nel Paese nordico.
«L’unico tentativo noto di attentato è stato nel 2010. Nessuno rimase ferito, fatta eccezione per l’assalitore», afferma il governo.
«In termini generali, la violenza è diminuita in Svezia negli ultimi 20 anni», afferma il comunicato, mentre la «percezione è che la violenza sia in aumento», ma «non ci sono prove che indichino che l’origine sia l’immigrazione».
Invece, il governo ammette che il numero di stupri è aumentato, ma ricorda anche che è fuorviante paragonare i dati relativi al passato e ad altri Paesi, perchè l’evolversi delle leggi ha cambiato i parametri di giudizio.
Inoltre, sui dati sui migranti il governo ricorda che tra 2010 e 2015 solo un quinto dei nuovi arrivati ha chiesto asilo, il resto è arrivato per motivi famigliari, è cittadino di altri Paesi dell’Unione europea, è svedese che rientra o cerca lavoro.
Per il ministro della Giustizia, Morgan Johansson, gli svedesi dovrebbero essere «orgogliosi» di aver accolto 143mila siriani che fuggivano dalla guerra dal 2011.
«C’è un dibattito che sembra dare per scontato che dovremmo in qualche modo vergognarcene. Non lo dobbiamo fare: dobbiamo esserne orgogliosi, questa è la più grande operazione umanitaria della Svezia dalla Seconda guerra mondiale», ha aggiunto il ministro.

(da “Huffingtonpost”)

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UN TEAM DI PSICHIATRI VALUTI TRUMP

Febbraio 26th, 2017 Riccardo Fucile

TRE PSICHIATRE: “AFFETTO DA DISORDINI DELLA PERSONALITA’ DI NATURA NARCISISTICA, NECESSARIA UNA VALUTAZIONE NEUROPSICHIATRICA”

I muri ai confini, le espulsioni di massa, i miliardi di dollari agli arsenali militari, la schizofrenia sul ruolo della Russia, la cacciata dei media fuori linea, la controriforma sanitaria.
Bastano i fatti politici a definire la follia trumpiana. Ma c’è dell’altro. È forse è l’ora di prenderlo in considerazione.
In “Oltre il Giardino”, film di Hal Ashby del 1979, un presidente degli Stati Uniti a fine mandato parla estasiato di Chance il Giardiniere, misterioso personaggio spuntato dal nulla sul palcoscenico di Washington: “Pochi uomini nella vita pubblica hanno il coraggio di non leggere i giornali, nessuno ha il fegato di ammetterlo”.
Non sa che se l’oggetto della sua ammirazione mai ha letto un articolo, non è per scelta: è analfabeta.
In compenso, Chance guarda tanta tv, dunque sarà  lui, intuiamo nell’ultima scena, il nuovo inquilino della Casa Bianca.
Quanta preveggenza nella sceneggiatura di Jerzy Kosinski: nemmeno Donald Trump legge i giornali e si dice non abbia mai finito un libro.
Se li fa riassumere a voce, così come i report quotidiani dei ministeri e dei servizi segreti. Anche lui sta davanti al televisore giorno e notte.
In più, a surclassare Kosinski in fantasia, Trump è stato davvero eletto presidente dal popolo americano.
Il gioco delle similitudini può spingersi avanti. Chance ha comportamenti eccentrici che vengono scambiati per lampi di intelligenza e lo rendono simpatico, quasi irresistibile. “The Donald” ne sfoggia altrettanti, pur senza innescare alcuna empatia. Sia Chance sia Trump sono coinvolti in episodi che indicano la presenza di un malessere irrisolto.
Un paio di esempi forniti dal realissimo neopresidente.
L’8 febbraio, appena insediato, minaccia i grandi magazzini Nordstrom perchè hanno annunciato la rinuncia alla linea di intimo firmata da Ivanka, la first figlia prediletta. Sabato 18 febbraio, parlando alla folla dell’Orlando Melbourne International Airport, dice: “Avete visto cos’è accaduto la scorsa notte in Svezia. Chi l’avrebbe creduto? In Svezia! Ne ha accolti in grande quantità  (di immigrati ndr) e ora ha problemi che non s’immaginava fossero possibili”.
Basta un check: nella notte precedente nel regno di Carlo XVI Gustavo tre fatti si sono guadagnati un titolo nei tg, un tentato suicidio con il fuoco, un mortale incidente sul lavoro, l’inseguimento di un tossico alla guida di una Peugeot nel centro di Stoccolma. Nulla in grado d’attrarre l’attenzione della più curiosa casalinga di Norrkà¶ping.
Invece, insonne, Trump nella notte tra venerdì e sabato incappa su Fox News, la rete che segue ossessivamente, nel breve trailer di un reportage “freddo” sulle tensioni tra immigrati e governo in Svezia.
Scambiandolo per una vicenda in corso, lo cita a sproposito nel discorso di metà  pomeriggio.
Di sospetti problemi cognitivi, relazionali e comportamentali di Trump si discute da molto tempo.
Durante le primarie, il suo staff aveva ammesso off-the-record che il candidato repubblicano è affetto da gravi problemi di concentrazione.
Da più parti sono state proposte verifiche mediche. Ovviamente, con il passare del tempo le richieste sono raddoppiate.
L’edizione americana di Huffington Post ha raccontato della lettera mandata il 29 novembre a Barack Obama da tre psichiatre, Judith Herman di Harvard, Nanette Gartrell e Dee Mosbacher, entrambe di San Francisco.
Le loro analisi sono impietose: “Siamo molto preoccupate riguardo la stabilità  mentale del presidente eletto. Gli standard professionali non ci permettono di avventurarci in una diagnosi di una persona pubblica che non abbiamo personalmente valutato. Tuttavia, il racconto dei suoi sintomi di instabilità  mentale – eccessività , impulsività , ipersensibilità  alle offese e alle critiche e apparente incapacità  di distinguere tra fantasia e realtà  – ci conduce alla questione dell’adeguatezza di Trump rispetto alle immense responsabilità  connesse alla sua carica”.
La conclusione spaventa: “Raccomandiamo che riceva una piena valutazione medica e neuropsichiatrica da parte di un team imparziale”.
L’ipotesi è che il presidente sia affetto da disordini della personalità  di natura narcisistica.
Dopo l’Huffington, il tema viene affrontato, in un crescendo del quale forse nessuno ha avuto il coraggio d’informare Trump, dal New York Times, da Forbes, da UsNews e da altre testate, sempre con attenzione a non esagerare nei toni.
Tanta cautela trova ragione nella formula usata dai tre psichiatri: “…gli standard professionali non ci permettono di avventurarci in una diagnosi su una persona pubblica che non abbiamo personalmente valutato”.
E’, questa, una storia che parte da lontano, dalla campagna elettorale del 1964, quando il guerrafondaio e razzista Barry Goldwater, secondo solo a Trump in quanto a estremismo di destra, ottenne la nomination repubblicana (sarà  sconfitto dal democratico Lyndon Johnson).
Un controverso periodico, il Fact, chiese allora a 12.356 psichiatri se ritenevano che il candidato conservatore fosse “psicologicamente inadatto” alla presidenza.
Tra quanti risposero, prevalsero i no. Tuttavia, dopo quel sondaggio l’organizzazione professionale degli psichiatri, l’APA, stabilì che dare giudizi di sullo stato mentale di personaggi pubblici fosse eticamente inaccettabile per i propri associati.
Venne creato ad hoc un codice che fu chiamato “Goldwater Rule”. Da qui la cautela con la quale tutti i media, anche nel caso di Trump, affrontano l’argomento.
La CJR, autorevole rivista della facoltà  di giornalismo della Columbia University, approccia il problema con un altro taglio: “Evitare le domande sulla salute mentale di Trump è un tradimento della fiducia pubblica”.
Insomma, la questione non è più eludibile nè da parte della politica americana nè dai media. Non ci sono codici deontologici che tengano.
Bisogna accertare se Trump è psichicamente instabile. Se no, bene. Se sì, il Congresso e il Senato dovranno occuparsi della faccenda, si spera senza, per questo, trovarsi assediati dai milioni di americani che vedono nel nuovo presidente il loro campione

Claudio Giua
(da “Huffingtonpost”)

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