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DIREZIONE PD : NO AL CONGRESSO SUBITO , “GOVERNINO LEGA E M5S”

Marzo 12th, 2018 Riccardo Fucile

DUE RIGHE DI DIMISSIONI DI RENZI, IL REGGENTE MARTINA ASSICURA GUIDA COLLEGIALE E CONFERMA LINEA DI OPPOSIZIONE

“Caro presidente, preso atto dei risultati elettorali rassegno le mie dimissioni da segretario del Pd”.
Così Matteo Renzi nella lettera di dimissioni dal vertice del Pd, letta dal presidente dem, Matteo Orfini, in apertura della direzione.
Renzi ha pregato Orfini di convocare l’assemblea e dare corso agli adempimenti previsti dallo statuto. Il segretario dimissionario ha sottolineato che durante l’assemblea spiegherà  le ragioni delle sue dimissioni.
Maurizio Martina, vicesegretario del Pd, ha aperto la sua relazione ringraziando Renzi: “Sento innanzitutto il bisogno di riconoscere la scelta che il segretario ha compiuto dopo il voto – ha detto -, con le sue dimissioni, e voglio ringraziarlo per questo atto forte e difficile ma soprattutto per il lavoro e l’impegno enorme di questi anni”.
“La prossima Assemblea Nazionale – ha spiegato – dovrebbe avere la forza di aprire una fase costituente del Partito democratico in grado di potarci nei tempi giusti al congresso. Perchè il nostro progetto ha bisogno ora più che mai di nuove idee e non solo di conte sulle persone. Ha bisogno di una partecipazione consapevole superiore a quella che possiamo offrire una sola domenica ai gazebo”.
“Abbiamo bisogno di una lettura politica e culturale all’altezza del tempo – ha proseguito – che stiamo vivendo. Di una profonda riorganizzazione, in grado di investire davvero sui territori e sulla partecipazione diretta della nostra comunità  alle principali scelte politiche da compiere. Questo lavoro potrebbe iniziare proprio con la prossima Assemblea dando vita a una Commissione di progetto incaricata di elaborare unitariamente ipotesi concrete per il percorso”.
Martina ha aggiunto: “La segreteria si presenta dimissionaria a questo appuntamento. Ma io credo sia importante che continui a lavorare insieme a me in queste settimane che ci separano dall’Assemblea. Con il vostro contributo cercherò di guidare il partito nei delicati passaggi interni e istituzionali a cui sarà  chiamato. Lo farò con il massimo della collegialità  e con il pieno coinvolgimento di tutti, maggioranza e minoranze, individuando subito insieme un luogo di coordinamento condiviso. Chiedo unità . Consapevoli che fuori di qui c’è un’intera comunità  che ci guarda, ci ascolta e ci chiede di essere all’altezza della situazione”.
Il vicesegretario ha spiegato: “Non cerchiamo scorciatoie o capri espiatori a una sconfitta netta e inequivocabile che ci riguarda tutti, ciascuno per la propria responsabilità , e da cui tutti dobbiamo imparare molto. Non ho timore a dire che si è realizzata una cesura storica tra le culture fondative della Repubblica e il paese”.
Martina ha continuato: “Alle forze che hanno vinto diciamo una cosa sola: ora non avete più alibi. Ora il tempo della propaganda è finito. Lo dico in particolare a Lega e Cinque Stelle: i cittadini vi hanno votato per governare, ora fatelo. Cari Di Maio e Salvini prendetevi le vostre responsabilità . Misureremo insieme ai cittadini le vostre coerenze, giorno per giorno, rispetto a quello che avete promesso facilmente e raccontato in mesi e mesi di propaganda senza limiti. Quanto alle presidenze delle Camere, noi richiamiamo le forze politiche, e prima di tutto chi ha vinto, al dovere di garantire che questi ruoli siano affidati a figure autorevoli ed equilibrate in grado di rappresentare pienamente gli interessi collettivi secondo la Costituzione”. “Esprimo stima e piena fiducia nell’operato del presidente Sergio Mattarella – ha affermato il reggente -, a cui chiedo che l’assemblea rivolga un applauso”.
Il ministro dell’Agricoltura ha proseguito: “Ripartiamo con umiltà  e unità . Solo noi possiamo essere l’alternativa popolare ai populisti. In ballo non ci sono i destini personali, ma la prospettiva e il futuro della sinistra italiana ed europea. Mettiamo in prima fila la nostra comunità  e lasciamo in ultima fila le correnti. Proviamo tutti a fare qualche intervista in meno e qualche assemblea in più. Apriamo subito le nostre sezioni, ascoltiamo iscritti ed elettori, chiamiamoli a raccolta, riflettiamo con loro. Ripartiamo dal basso e dal nostro popolo. Abbiamo seimila circoli, realizziamo seimila assemblee aperte tra venerdì, sabato e domenica prossimi. Io inizierò dal circolo Pd di Fuorigrotta a Napoli”.
Martina si è poi appellato ai militanti: “So che possiamo farcela. So che possiamo lavorare alla nostra riscossa. ‘Il successo non è mai definitivo, la sconfitta non è mai fatale; è il coraggio di continuare che conta’ diceva Winston Churchill. Ecco, vi chiedo di continuare con coraggio, insieme. L’Italia ha ancora bisogno di noi”.
“Emerge una domanda di legami sociali che sale in particolare da chi continua a pagare sulla propria pelle i costi di un cambiamento infinito. In questo senso, fatemi dire che il recente accordo unitario firmato tra le parti sociali sul nuovo modello contrattuale e di relazioni industriali è un passo utile che va nella giusta direzione. La grande sfida è riconnettere economia e società  come condizione essenziale per un modello di sviluppo nuovo, centrato sulla sostenibilità  integrale e la contribuzione di ogni cittadino a quello che Micheal Porter chiama ‘valore condiviso’. Io continuo a pensare che questo sia il cuore della sfida: nessuno si salva da solo”, ha concluso.
Delrio: “Opposizione seria e responsabile”.
“Abbiamo ricevuto una cartolina netta, chiara, dagli elettori. Noi staremo dove ci hanno messo gli elettori: all’opposizione”. Una opposizione “seria, responsabile, costruttiva”. Lo ha detto Graziano Delrio, a quanto si apprende, nel suo intervento in direzione Pd. “Quando il Paese si renderà  conto che le promesse saranno irrealizzabili, gli elettori chiederanno conto”, ha affermato.
*”Grazie a Renzi per tutto quello che ha fatto e per le dimissioni – ha continuato -. Dico ai militanti: il Pd c’è ancora, non siamo una sfumatura tra il giallo dei grillini ed il blu dei leghisti”. “Noi dobbiamo dire ai militanti che c’è bisogno del Pd – ha aggiunto -. Siamo riuniti non per cercare un nuovo capo ma una nuova direzione. Siamo di nuovo qua, siamo tornati. Abbiamo bisogno di un partito presente, presente nei territori, nella società “.

(da “Huffingtonpost“)

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IPOTESI GOVERNO DI SCOPO, CON IN POLE COTTARELLI

Marzo 12th, 2018 Riccardo Fucile

“NON SI ARRIVERA’ A UNA SOLUZIONE STABILE MA A UNA TRANSIZIONE VERSO NUOVE ELEZIONI”

Da qualche giorno, nei palazzi del potere politico, se ne comincia a parlare, sia pure sottovoce e a futura memoria.
Se lo stallo prosegue – si ragiona al Quirinale ma anche nei quartier generale dei leader – si potrebbe approdare a quello che viene già  definito il “governo di tutti e di nessuno”, con una maggioranza larga, dai Cinque Stelle alla Lega, passando per Pd e per Forza Italia.
Un governo e una maggioranza dai contorni assolutamente inediti e che proprio per questo avrebbe bisogno di una leadership forte e soprattutto riconosciuta da tutti: è questo il motivo per il quale nei colloqui informali si immagina che un personaggio sul quale potrebbe esserci una convergenza è quello dell’economista Carlo Cottarelli, già  commissario per la spending review nei governi Letta e Renzi, già  alto dirigente del Fondo monetario internazionale.
Certo, si tratta di scenari per ora disegnati sull’acqua, perchè prima dovranno consumarsi tentativi e scenari più fisiologici, ma in caso di stallo la possibile convergenza su una figura come Cottarelli già  oggi appare percorribile e plausibile per due ragioni: l’autorevolezza del personaggio e la sintonia che sulla sua visione si è manifestata da parte di alcuni dei protagonisti della trattativa in corso per la nascita del futuro governo, in particolare Cinque Stelle, Pd e Forza Italia.
Il professor Andrea Roventini, designato come possibile “ministro dell’Economia” di un governo Cinque Stelle, in una intervista al Sole 24 Ore, ha auspicato un no alle privatizzazioni, crescita e investimenti come leva per abbattere il debito, che «va tenuto sotto controllo, facendo tagli mirati alla spesa realizzando il piano Cottarelli e tagliando agevolazioni fiscali improduttive».
E anche il leader dei Cinque Stelle Luigi Di Maio fa riferimento a Cottarelli: «Noi prenderemo un po’ di deficit, abbasseremo le tasse alle imprese, le imprese produrranno di più, ripianiamo il debito. E se non bastano i 30 miliardi di Cottarelli e i 20 delle detrazioni, vuol dire che faremo un po’ di deficit».
E mentre il rapporto col Pd di Carlo Cottarelli è segnato dall’incarico ricevuto da Letta e poi risolto durante il governo Renzi, ma anche da un comune orizzonte, per Forza Italia fa testo la dichiarazione fatta da Silvio Berlusconi durante la campagna elettorale: «Cottarelli aveva presentato un piano ma è stato mandato a casa. Io gli ho fatto una telefonata e siamo d’accordo: che se vinciamo le elezioni ci vediamo e visto che ha due anni di vantaggio rispetto a chiunque altro, potrà  realizzare le cose che ha detto».
Cottarelli, incalzato anche ieri dai giornalisti, da una parte non ha lisciato il pelo dei partiti («Dalle urne è uscita un’Italia che vuole fare l’opposto di quello che dico io, cioè un’Italia che vuole fare più deficit»), ma al tempo stesso ha ipotizzato un esecutivo non politico: «Non credo che si arriverà  ad un accordo per un governo stabile, penso piuttosto ad un governo di transizione che avrà  il compito di portarci a nuove elezioni».
Naturalmente perchè la politica italiana viri di nuovo verso un governo tecnico servirebbero diversi acceleratori e “additivi”, il primo dei quali per ora non si è fatto sentire. Ed è l’irrequietezza dei mercati. Finora insensibili allo stallo italiano, i mercati – spontaneamente o mossi da qualche “mano invisibile” – potrebbero tornare a rumoreggiare?
Proprio Cottarelli getta acqua sul fuoco: «Nell’immediato non sono preoccupato e vedo che i mercati in questo periodo sono tranquilli. Mi aspetto un po’ di movimento ma il problema non è ciò che succederà  nei prossimi giorni ma nel giro di due anni quando i tassi d’interesse cominceranno ad aumentare in tutta Europa. E l’Italia potrebbe entrare di nuovo in recessione».

(da “La Stampa”)

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PERCHE’ E’ MEGLIO TORNARE SUBITO ALLE URNE

Marzo 12th, 2018 Riccardo Fucile

ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA: “LO DICONO I NUMERI,LA SITUAZIONE DEL PAESE E IL BUON SENSO”

Più che in ogni altra occasione le righe che seguono esprimono un’opinione del tutto personale. Che è la seguente: nella situazione politica creata dai risultati elettorali del 4 marzo la cosa migliore da farsi è quella di andare in tempi brevi di nuovo alle urne. Lo consigliano a mio avviso i numeri, il loro significato, la situazione generale del Paese. E direi anche qualcos’altro: il buon senso.
Certo, le combinazioni possibili sono molte giocando con i numeri sul pallottoliere. Da un governo Pd-Forza Italia con l’astensione della Lega e dei 5 Stelle o di uno solo dei due, a un governo 5 Stelle-Lega, a una coalizione tra i 5Stelle e il Pd astenuto o alleato: e di sicuro ne ho dimenticato almeno un altro paio o di più.
Ma mi chiedo: è forse qualcosa del genere che l’elettorato ha chiesto con il suo voto? Un governo Franceschini—Di Maio? un ministero Renzi-Brunetta o Salvini-Di Battista?
Sarebbe bene, credo, non tirare troppo la corda: anche con la proporzionale, anche con le liste degli eletti prefabbricate dai partiti e i candidati paracadutati, considerare gli elettori come un semplice parco buoi non è consigliabile. C’è un limite a tutto.
Se si supera il quale diviene concreto il rischio che nasca nell’opinione pubblica un movimento dirompente di rifiuto e di disprezzo per le istituzioni dagli esiti imprevedibili.
Il Presidente Mattarella ha ragione: va tenuto presente innanzi tutto l’interesse generale del Paese, ma tale interesse non è forse rappresentato innanzi tutto dalla democrazia, dalla sovranità  popolare, dalla convinzione da parte dei cittadini del suo indiscutibile primato al di là  delle più improbabili intese e combinazioni?
Si dice: «Va bene, si formi allora un governo che faccia poche cose, una nuova legge elettorale, e poi al voto».
Ma vorrei sapere: quali cose di preciso? Nessuno, mi pare, ne ha la minima idea nè alcuno si azzarda a dire perchè mai su quelle «poche cose» dovrebbe trovarsi miracolosamente un qualche accordo tra forze così diverse.
E quanto a una mitica «nuova legge elettorale», mi chiedo non solo perchè mai 5 Stelle e Lega, che con quella in vigore hanno ottenuto risultati così favorevoli, dovrebbero essere indotti a cambiarla; ma soprattutto come è pensabile che forze politicamente eterogenee, anche molto eterogenee, si trovino poi d’accordo su una nuova legge elettorale, cioè su una tra le cose più intrinsecamente politiche che esistano.
Piaccia o non piaccia, il significato del voto, la direzione che esso indica, sono chiarissimi: un rinnovamento radicale del quadro e del personale politico.
Il problema è che dal numero dei voti risulta incerto il segno politico da dare a questo rinnovamento – se un segno di riequilibrio a dominante egualitaria di tono meridional-statalista (Movimento 5 Stelle), ovvero di svolta securitaria di tono nazional-antieuropeo (coalizione di centro-destra egemonizzata dalla Lega) – dal momento che come è arcinoto i numeri premiano queste due formazioni ma a nessuna delle due danno la forza necessaria per governare.
Che cosa c’è allora di più ovvio, mi chiedo, di più ragionevole, di più democraticamente coerente, del mandarle di nuovo di fronte al corpo elettorale perchè tra le due ipotesi questo si pronunci in via definitiva?
Mi sembra già  di sentire l’obiezione: e se dalla nuova consultazione da qui a tre mesi una tale pronuncia definitiva non venisse?
Ebbene: allora sì che sarebbe inevitabile dare il via a un tortuoso e spossante itinerario volto alla ricerca di qualche soluzione di ripiego, di una maggioranza purchessia.
Ma farlo oggi – a parte le debolissime probabilità  di successo di un simile tentativo – sarebbe assai probabilmente inteso – e proprio da quella parte dell’opinione pubblica che ha vinto le elezioni – solo come un modo da parte dei poteri tradizionali di salvare il proprio ruolo, di sopravvivere al naufragio dei propri referenti.
Quando parlo di poteri tradizionali non mi riferisco alle dirigenze di partito quanto soprattutto a quelle rancide èlite burocratiche, professionali e intellettuali, a quei soliti nomi – annidati nei piani alti e altissimi delle istituzioni, abituati da decenni a gestire di fatto una rilevantissima parte dell’attività  di governo attraverso le «consulenze», i gabinetti ministeriali, le Agenzie, le reti di relazioni, la Rai, i vertici delle aziende pubbliche, le istituzioni culturali, gli enti di ogni tipo – contro i quali il voto di domenica è stata un’indubbia clamorosa ancorchè sgangherata espressione.
Naturalmente non mi nascondo che per un grottesco paradosso tipico della proporzionale il partito da cui oggi soprattutto dipende che cosa fare è il partito che ha perso rovinosamente le elezioni, cioè proprio il Partito democratico.
A proposito del quale si parla molto – a ragione – della necessità  che nelle sua fila (e dove altro se no?) inizi un processo di ripensamento/ricostruzione della sinistra. Bene: ma è davvero pensabile che ciò potrebbe avvenire se per avventura esso s’impegnasse in qualche forma di collaborazione (sia pure «dall’esterno») con i 5 Stelle, come qualcuno vorrebbe?
È realistico credere che nel Pd qualcuno avrebbe mai la testa ai problemi, alla storia e ai destini della sinistra, che ci potrebbe mai essere l’esame o la discussione approfondita intorno a qualcosa, nel mentre che però ogni giorno al suo interno nascerebbero inevitabilmente dubbi e polemiche sui modi e i risultati della collaborazione di cui sopra, nel mentre che però ogni giorno ci si dividerebbe tra «governisti» e «antigovernisti», ci si accapiglierebbe sul che cosa fare l’indomani? Nelle situazioni d’incertezza e di crisi è necessario decidere.
Oggi l’Italia ha davanti a sè due strade: o quella di aspettare, vedere, mediare, tentare un «governo di scopo», poi un altro «del presidente», e poi ancora chissà  che altro; oppure andare a votare fra tre mesi.
Solo votando si può sperare, almeno sperare, di decidere qualcosa.

Ernesto Galli della Loggia
(da “il Corriere della Sera”)

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TORINO, IL M5S SI SPACCA SULLE OLIMPIADI

Marzo 12th, 2018 Riccardo Fucile

SALTATO IL CONSIGLIO COMUNALE CHE AVREBBE DOVUTO DISCUTERE UNA MOZIONE SULLA CANDIDATURA DI TORINO

Il Movimento 5 Stelle si spacca sulle Olimpiadi e salta il Consiglio comunale che oggi pomeriggio avrebbe dovuto discutere una mozione del PD sulla candidatura di Torino. Per la prima volta da inizio amministrazione, in Sala Rossa è mancato il numero legale.
Assenti, tra i banchi della maggioranza, i consiglieri Damiano Carretto, Daniela Albano, Marina Pollicino e Viviana Ferrero.
Assenze che le minoranze hanno rimarcato non rispondendo all’appello e mandando ‘sotto’ la maggioranza
Carretto e Paoli nei giorni scorsi, prima della discesa in campo di Beppe Grillo, avevano proposto insieme il modello Los Angeles per le Olimpiadi di Torino, ovvero una edizione senza soldi pubblici e soltanto con sponsor privati: “Dalle stime che circolano l’impegno di spesa di denaro pubblico previsto per le Olimpiadi Torino 2026 potrebbe aggirarsi intorno al miliardo di euro (o poco meno). Vogliamo ribaltare il paradigma delle grandi opere da “investimenti pubblici e guadagni privati” a “investimenti privati e guadagni pubblici”.
La Pollicino invece nei giorni scorsi ha pubblicato su Facebook il post di Davide Bono e Francesca Frediani in cui si parlava di una presunta impossibilità  di candidare una città  italiana, peraltro smentita dal comitato promotore.
Oggi sul profilo le scrivono: “Il tempo per andare su fb lo avevi, mentre per andare in Consiglio Comunale non lo hai trovato!”.
La Ferrero aveva invece scritto il 10 marzo una lettera aperta a Beppe Grillo per esprimere il suo dissenso:
Chi e’ No Tav è Movimento 5 Stelle. Chi sogna lo vuole fare nella sicurezza di potersi svegliare bene. Non carico di debiti come e’ successo al Comune di Torino , comune post olimpico,dove siamo costretti alla politica del macellaio , costretti a tagliare o venderci qualcosa per non andare in dissesto
Io valsusina e no Tav e grillina ci ho creduto sin dall’inizio e faro’ tutto quello che potro’ per tenere insieme gli ideali comuni che ci legano e che ci hanno reso baluardo di tanta speranza. Per una politica della prossimità , dell’onestà , del rigetto dello spreco, quella politica che sta accanto ai cittadini, che li ascolta che non li molla mai.
Si tratta della prima volta che salta il numero legale in Consiglio comunale dall’insediamento della maggioranza guidata da Chiara Appendino.

(da “NextQuotidiano”
)

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IL DIRIGENTE DI MARINE LE PEN BECCATO IN UN VIDEO A INSULTARE UN BUTTAFUORI

Marzo 12th, 2018 Riccardo Fucile

IL CASO DI DAVY RODRIGUEZ VANIFICA GLI SFORZI DELLA LE PEN A DARSI UNA IMMAGINE “RIPULITA”… I SONDAGGI CONTINUANO A SCENDERE

Mentre Marine Le Pen si impegna al massimo per dimostrare che il suo Front National non è un covo di razzisti, un dirigente, in pieno Congresso del partito a Lille, si fa beccare in un video a dare del “negro di merda” al buttafuori di un locale.
Il protagonista della scena è Davy Rodriguez, che ieri, quando il video è stato diffuso, ha detto che era stato manipolato con strumenti informatici. Il partito non ci ha creduto: l’ha sospeso.
Il video è stato registrato sabato sera all’uscita di un bar di Lille.
Si sentono chiaramente gli insulti razzisti di Rodriguez nei confronti di un buttafuori, mentre le persone che sono con lui tentano di calmarlo.
Uno di loro gli chiede: “pensi che Sebastien (Chenu, ndr) vorrebbe vederti così? Pensi che Marine apprezzerebbe?”.
Rodriguez risponde “non me ne frega un c….”, mentre un altro replica: “ora basta, tu sei un assistente parlamentare…”.
Il partito lo ha sospeso in via cautelativa in attesa di un’inchiesta interna.
Intanto il Congresso che doveva segnare il rilancio si è consumato senza troppe novità . Il partito cambia nome ma non aggettivo, il Front diventa Rassemblement, sempre National.
Per il resto, poca verve sul palco e poco entusiasmo in platea.
Marine, mortificata dalle sconfitte, si è ripresentata candidata unica e con il 100% dei voti sarà  presidente per il terzo mandato. Invece Jean-Marie, il padre fondatore espulso dalla figlia e reintegrato dal tribunale, è stato definitivamente cacciato grazie alla cancellazione della sua poltrona, quella di presidente onorario.
Ma su Marine e la sua leadership, i sondaggi sono impietosi. E continuano ad allungarsi le ombre di Florian Philippot, il braccio destro che l’ha lasciata, e soprattutto di Marion Marechal-Le Pen, la giovane nipote che ha preferito allontanarsi temporaneamente dalla politica.

(da agenzie)

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L’EMERGENZA SICUREZZA INVENTATA: I REATI CALANO, CRESCE LA PAURA

Marzo 12th, 2018 Riccardo Fucile

MENTRE IN FRANCIA E GERMANIA SONO IN AUMENTO, IN ITALIA I REATI SONO CALATI DAL 10% AL 20%… MA GLI ISTIGATORI ALL’ODIO HANNO INTERESSE CHE NON SI SAPPIA

I reati calano, la paura cresce. In Italia nel 2017 ci sono stati l’11,2% di omicidi in meno, il 7% di furti in meno e l’8,7% di rapine in meno rispetto all’anno precedente. Il tendenziale dal 2017 è chiaro: cali di un quarto per gli omicidi e di un quinto per i furti e le rapine.
Ed è in controtendenza rispetto ai maggiori paesi europei come Francia e Germania, dove gli omicidi e i furti sono aumentati dal 2014 al 2016, ovvero anche negli anni in cui in Italia erano in diminuzione.
Questi i dati elaborati dal Dataroom del Corriere della Sera illustrato da Milena Gabanelli, che punta il dito sulle dichiarazioni allarmanti dei politici che per fini propri hanno innescato negli italiani la percezione di un paese a scarsa sicurezza proprio mentre i numeri dicevano il contrario.
E come hanno reagito gli italiani?
Lafotografia del Viminale è chiara: un aumento del 41,63% delle richieste di licenze di porto d’armi ad uso sportivo negli ultimi quattro anni.
Solo nel 2017 le licenze in più, rispetto al 2016, sono state 80.416.
Forse non proprio tutti appassionati di tiro al piattello o di tiro a segno,mentre è sicuro che questo tipo di licenza è la più facile da ottenere.
In calo del 12,01% invece la licenza per difesa personale, dove la procedura è più complessa e viene concessa solo in casi gravi e comprovati (di solito a chi esercita professioni a rischio rapina); mentre i numeri relativi alla caccia sono stabili negli anni.

(da “NextQuotidiano”
)

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L’IDEOLOGO DI SALVINI PATTEGGIO’ PER BANCAROTTA FRAUDOLENTA UNA CONDANNA A UN ANNO E OTTO MESI

Marzo 12th, 2018 Riccardo Fucile

ORA ARMANDO SIRI GUIDA LA SCUOLA DI FORMAZIONE POLITICA DELLA LEGA… OTTIMA PREMESSA PER LA FLAT TAX UNO CHE GUIDATO UNA SOCIETA’ CHE HA LASCIATO 1 MILIONI DI DEBITI, TRASFERENDO IL PATRIMONIO IN UN PARADISO FISCALE

Prima della campagna elettorale Matteo Salvini, segretario della Lega, pensava per lui a un ruolo di governo, magari un ministero economico.
Eppure, stando a quanto riporta L’Espresso, Armando Siri, 46 anni, eletto al Senato, ideologo della flat tax, ha patteggiato una pena per bancarotta fraudolenta.
Tre anni e mezzo fa un giudice ha accolto l’accordo tra accusa e difesa per il fallimento della MediaItalia, società  che avrebbe lasciato debiti per oltre 1 milione di euro.
Nelle motivazioni, riporta il settimanale, i magistrati che hanno firmato la sentenza scrivono che, prima del crack, Siri e soci hanno svuotato l’azienda trasferendo il patrimonio a un’altra impresa la cui sede legale è stata poco dopo spostata nel Delaware, paradiso fiscale Usa.
La società , secondo quanto ricostruito nell’articolo, aveva iniziato l’attività  nel 2002 nel settore della produzione di contenuti editoriali per media e aziende: oltre Siri, già  giornalista Mediaset, altri due soci.
Nel 2005 però il rosso è già  di un milione di euro. Il patrimonio viene trasferito a un’altra società , la Mafea Comunication: i creditori rimangono a bocca asciutta anche perchè MediaItalia viene chiusa e viene nominata liquidatrice una cittadina dominicana, che fa la parrucchiera. Per i giudici una testa di legno.
Ci sono poi due società  italiane in cui il neosenatore ha avuto ruoli importanti che hanno trasferito la sede legale in Delaware e hanno lo stesso indirizzo. In un caso ricompare anche la parrucchiera dominicana.
Responsabile della “Scuola di formazione politica” della Lega, Siri in pochi anni è diventato uno dei fedelissimi del segretario federale, che lo ha infatti nominato responsabile economico di Noi con Salvini.
Della tassa che con aliquota fissa negli ultimi giorni ha continuato a dire: “È un progetto necessario al Paese, finora abbiamo curato per anni una polmonite con la tachipirina”.
Quindi ha aggiunto: “Inutile cercare di spremere un limone secco” a proposito della possibilità  di una rottamazione delle cartelle di Equitalia a sostegno della ‘flat tax’ spiegandone i dettagli. “Il condono sarà  di 60 miliardi — continua Siri — in passato abbiamo fatto la ‘voluntary disclosure’ dando la possibilità  a chi aveva portato i capitali all’estero di riportarli in Italia con uno sconto che può sembrare un paradosso per i poveri cristi che sono rimasti qui, magari hanno le cartelle, hanno chiuso l’attività  ed hanno lo Stato che li insegue per farsi dare 40mila euro quando non hanno i soldi per vivere”.
Chissà  se, quando diceva queste parole, pensava anche alla sua esperienza di imprenditore fallito.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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META’ DEGLI ITALIANI CAMBIA VOTO A OGNI ELEZIONE

Marzo 12th, 2018 Riccardo Fucile

RILIEVO SWG: SOLO IL 50% DEGLI ELETTORI VOTA COME HA FATTO LA VOLTA PRECEDENTE

Metà  degli italiani cambia voto a ogni elezione.
Il voto 2018 si colloca dopo quelli altrettanto “forti” del referendum di fine 2016, delle europee del 2014 e delle politiche del 2013.
In tutte e quattro le occasioni l’orografia dell’elettorato italiano è mutata moltissimo. La società  di sondaggi SWG lo certifica in una rilevazione pubblicata oggi dal Messaggero .
«I nostri carotaggi ci segnalano che ormai solo il 50% degli italiani vota come ha fatto la volta precedente, l’altra metà  è in marcia verso una nuova meta», assicura Enzo Risso, direttore della società .
E così, mentre girano gli appelli della “sinistra europea” per un asse PD-M5S, i conti di SWG arrivano anche come un severo monito nei confronti di chi già  punta a nuove elezioni politiche
E la prova che l’elettorato sia mobile, qual piuma al vento sta nello scioglimento, domenica scorsa e a soli 14 mesi di distanza, dell’iceberg elettorale “renziano” di 13 milioni di “Sì” (pari al 40% del totale) al referendum istituzionale del dicembre 2016.
Secondo i flussi analizzati da SWG solo il 41%, fra gli italiani che scelsero il “Sì”, domenica scorsa hanno votato Democrat.
Il 25% si è spostato verso il centrodestra: il 12% si è schierato con le bandiere della Lega, l’11% con quelle berlusconiane e il 2% ha scelto la Meloni.
Oltre 2,5 milioni di italiani del “Sì”, il 20% del totale, questa volta hanno riversato sui Cinquestelle la loro domanda di innovazione e il 3%, infine, ha scelto i Liberi e Uguali di Pietro Grasso.
In più, spiega SWG, oltre il 23% degli astenuti del 4 marzo, ovvero tre milioni di italiani, ha scelto di non votare non per disinteresse o per protesta ma perchè «non c’è alcun partito che mi rappresenti».
Tre milioni di voti senza rappresentanza.

(da “NextQuotidiano”)

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INTERVISTA A BERLUSCONI: “RISCHIO DEMOCRATICO CON NUOVE ELEZIONI, NO AL PARTITO UNICO CON LA LEGA, ABBIAMO VALORI DIVERSI”

Marzo 12th, 2018 Riccardo Fucile

“ANCHE IL PD SI FACCIA CARICO DEL GOVERNO, PRESIDENTE DELLE CAMERE DI GARANZIA, NON A CHI HA VINTO”

Presidente Berlusconi, rispondendo all’appello di Mattarella, che ha chiesto di mettere al centro «l’interesse del Paese», lei ha detto che intende fare il possibile, «con la collaborazione di tutti» per uscire dallo stallo. In quel «tutti» chi intendeva, anche il Pd?  
«Intendo esattamente quello che ho detto. Gli italiani hanno deciso di dare una maggioranza al centro-destra, ma anche di non assegnare ad alcun partito o coalizione la forza di governare da sola. Ciò significa due cose: che il centro-destra ha il diritto ma soprattutto il dovere di guidare il prossimo governo, e che nessuno, fra chi ha ottenuto un consenso importante dagli elettori, può pensare di non farsi carico della necessità  che il Paese sia governato. I problemi dei quali tutti abbiamo parlato in campagna elettorale, la povertà , la disoccupazione fra i giovani, le difficili condizioni del sud, il pericolo sicurezza, l’emergenza immigrazione sono urgenze drammatiche, non solo temi da campagna elettorale».
Salvini si rivolge, più che alle forze politiche in quanto tali, ai “singoli” parlamentari chiedendo di convergere sul suo nome. È un approccio realistico?  
«Credo che in questa fase tocchi a Salvini scegliere la strada che ritiene più opportuna. Noi lo sosterremo lealmente. Certo, è evidente che se intere forze politiche dimostreranno disponibilità  e responsabilità , si potrà  andare verso una soluzione più stabile».
Forza Italia proverà  a cercare delle convergenze o lascerà  condurre le trattative al candidato premier della coalizione?  
«Una cosa non esclude l’altra, ma sempre nello spirito di una collaborazione leale».
Se Salvini non dovesse trovare i voti, sarebbe legittimo tentare comunque di dare un governo al Paese prima di tornare al voto?  
«Preferisco non prendere in considerazione ora questa ipotesi, perchè le subordinate indeboliscono la principale, e comunque richiederebbero l’accordo di tutta la coalizione di centro-destra. Ma io credo che responsabilità  significhi prendere atto del fatto che Salvini è il leader del partito più votato all’interno della coalizione più votata. Significa anche la consapevolezza del fatto che nuove elezioni sarebbero allo stesso tempo un pessimo segnale per la democrazia e una strada probabilmente non risolutiva. Meglio, molto meglio perdere qualche settimana per un buon governo, se possibile, che mesi in una nuova campagna elettorale».
Lei in campagna elettorale ha parlato spesso del rischio che avrebbe corso il Paese affidandosi ai grillini. Pensa sia possibile un governo Lega-M5S?  
«Lo escludo nel modo più assoluto. Mi fido di Salvini sul piano della lealtà  e su quello dell’intelligenza politica. Non vedo come una forza della nostra coalizione possa immaginare di collaborare al governo con i Cinque Stelle. Escludo che la Lega possa fare una scelta così in contrasto con i suoi stessi elettori».
Un mese fa lei disse che se non ci fosse stata una maggioranza chiara l’unica sarebbe stata «andare al voto con il governo Gentiloni, magari facendo una legge elettorale migliore». È ancora di questo avviso?  
«Il fatto è che non vedo alcuna possibilità , con questi numeri parlamentari e con questa situazione nel Paese, di fare una legge elettorale migliore. Voglio essere ancora più esplicito: non considero migliore una legge elettorale che consegni il governo del Paese a una minoranza, qualunque essa sia. Il voto ha detto con chiarezza che oggi una maggioranza politica fra gli elettori non c’è. Non può essere la legge elettorale a crearla, a meno di non voler ancora aggravare il distacco fra i cittadini e la classe dirigente del Paese».
Quindi non sarebbe disponibile ad accettare un premio di maggioranza oppure il doppio turno?  
«Ci sono due modelli, in Europa, nei quali si è conseguita la governabilità  pur con numeri elettorali difficili. In Francia il presidente Macron — con un sistema maggioritario a doppio turno – è stato eletto pur essendo il candidato preferito da meno del 25% dei francesi andati al voto. In Germania la signora Merkel sta varando un governo costituito da forze politiche che alle elezioni hanno ottenuto il voto del 53% dei tedeschi. Nessuno dei due metodi è applicabile alla situazione italiana, ma fra i due considero quello tedesco certamente più coerente con la mia idea di democrazia».
Avete poi deciso se andare tutti insieme alle consultazioni?  
«L’indicazione che vogliamo dare è univoca. Dipenderà  dal presidente Mattarella decidere come dovranno avvenire gli incontri».
Intanto la prima cosa da risolvere sarà  la questione delle presidenze di Camera e Senato. Forza Italia ne chiede una?  
«Anche su questa materia il risultato elettorale non consente alcun automatismo. Le presidenze delle due Camere, soprattutto in una situazione complessa come questa, devono essere figure di alto profilo istituzionale e di garanzia per tutti. Non si può ridurre la questione a delle caselle da riempire nell’ambito di un equilibrio politico complessivo. Naturalmente Forza Italia è in grado di esprimere figure perfettamente adeguate a questi ruoli. Il tema non è porre noi una candidatura: il centro-destra dovrà  fare una riflessione complessiva al proprio interno, e per proporre unitariamente una soluzione di alto livello».
Quale futuro per il centro-destra? Visti i risultati pensa anche lei, come Toti, che la strada del partito unico sia inevitabile?  
«Il nostro futuro si chiama semplicemente Forza Italia. Il nostro è un grande partito liberale, quindi tutte le opinioni sono legittime. Però, proprio perchè siamo una grande forza liberale, parte integrante della grande famiglia del Ppe, il nostro avvenire rimane ben distinto da quello dei leghisti che sono certo alleati leali, ma che hanno una storia diversa dalla nostra, un linguaggio diverso dal nostro, valori diversi dai nostri. Aggiungo che in questa campagna elettorale Forza Italia è stata fortemente penalizzata dalla non candidabilità  del suo leader. Ma io continuo a pensare che – come in tutto il mondo – il futuro sarà  dei liberali, dei cattolici, dei moderati».

(da “La Stampa”)

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