Marzo 10th, 2018 Riccardo Fucile
IL LEADERISMO ARROGANTE E GLI ITALIANI CHE HANNO QUELLO CHE MERITANO
Siamo tra i pochi in Italia che non si vergognano a dire che, da diversi anni a questa parte, l’Italia non annovera un vero statista, ma soltanto una pletora di giovanotti arroganti e spesso nullafacenti: da Renzi a Di Maio per finire con Salvini.
Il degrado economico dei bilanci familiare ha portato gli italiani a giustificare i peggiori sentimenti, aumentando il divario tra ricchi e poveri, garantiti e non garantiti, seminando odio razziale, religioso e sociale.
Da un partito aziendalista che decideva le sorti del Paese ad Arcore si è passati a un altro dove chi decide, dietro le quinte, è una marionetta manovrata da un’altra azienda.
Il tutto mentre chi avrebbe dovuto rappresentare “la sinistra” ha fatto una politica da destra economica e chi avrebbe dovuto rappresentare una destra moderna è finito a fare la ruota di scorta prima di un puttaniere e poi di un razzista.
E qui si innesca la malattia del leaderismo fine a se stesso, non in quanto portatore di idee, valori e capacità di mediazione.
Nella prima Repubblica, tanto vituperata, le coalizioni governavano anche perchè contavano su diversi petali interni, rappresentativi non solo di interessi, ma anche di sensibilità diverse.
Le minoranze interne non venivano espulse, i dibattiti congressuali vertevano anche su diverse visione della società a confronto.
I maggiori partiti ( ma anche molti dei piccoli) potevano annoverare diversi leader e alcuni statisti in grado di subentrare a seconda delle esigenze politiche del momento.
Statista è chi ha senso dello Stato, della Comunità nazionale, capace di mediare e operare sintesi nell’interesse superiore del Paese.
Chi vince dovrebbe essere il primo a dimostrare tale capacità , non a rivendicare la poltrona da premier come un patetico dittatore della Repubblica delle banane.
Perchè, sia chiaro, lo dicono i numeri, non esiste un vincitore o presunto tale, che avendo raccolto solo un terzo dei consensi, non si trovi ad avere contro i due terzi degli italiani che non l’hanno votato.
E gli elettori stessi che starnazzano a favore di questo o quello non hanno forse ancora capito che rischiano di prendere due sberle da due italiani su tre, altro che rivendicare il potere assoluto.
Per questo siamo tra coloro che sono ben lieti che non abbia vinto nessuno: l’Italia non ha bisogno di esaltati narcisisti che sfogano nella politica il loro ego superomistico, ma di statisti capaci di fare personalmente un passo indietro pur di cercare un punto di mediazione per allargare la fascia degli italiani “rappresentati”.
Finiti i tempi dei programmi irrealizzabili e delle bufale per prendere per i fondelli gli elettori carpendo il voto degli illusi, è tempo di realismo e di responsabilità .
Non quella dei senatori comprati per garantire una maggioranza, ma quella nobile di “rappresentare l’unità e l’interesse della Nazione”.
Le coalizioni non sono la negazione della democrazia, ma una loro espressione mediata. Una necessità soprattutto in un Paese come il nostro dove troppo spesso chi vince è portato a fottersene di chi non l’ha votato, creando ulteriore divisione e conflitti sociali nel Paese.
Ma gli statisti non nascono dalle votazioni sul web , dai cenacoli dei caminetti o dai concorsi canori sguaiati su chi insulta di più da un palco, nascono attraverso lo studio, la cultura, l’analisi dei fenomeni sociali, il confronto delle idee, un percorso di esperienze amministrative locali, una selezione naturale delle classi dirigenti.
Nessun grande azienda affiderebbe il proprio timone ai sedicenti leaderini che si contendono il premierato oggi in Italia.
Al massimo li ritroveremmo in archivio a sistemare le polverose scartoffie.
Forse anche per quello non hanno mai lavorato in vita loro.
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Marzo 10th, 2018 Riccardo Fucile
LA MISSIONE TANTO DECANTATA DA MINNITI PER “BLOCCARE” IL FLUSSO DI PROFUGHI SI STA RIVELANDO L’ENNESIMO FLOP… CRESCE IL MALCONTENTO DELLA POPOLAZIONE LOCALE CONTRO LA PRESENZA DEI SOLDATI STRANIERI
Per il momento, sono giunti nel paese africano 40 specialisti italiani, per la prima fase di ricognizione che rischia di essere finita ancor prima di cominciare.
I soldati italiani secondo la triade Minniti-Alfano-Pinotti avrebbero dovuto essere impiegati nel combattere terrorismo e immigrazione clandestina, bloccando i flussi di profughi verso la confinante Libia
Ora emerge la contrarietà alla missione, espressa dal ministro dell’Interno, Mohamed Bazoum, che – parlando con l’inviato di Rainews Ilario Piagnerelli – ha definito “inconcepibile” la missione, aggiungendo che non ci sono mai stati contatti tra i due Paesi al riguardo.
Non si sa se piangere o ridere.
Il Niger in queste settimane ha visto manifestazioni di piazza, scontri e feriti nelle principali città , slogan contro il governo ma anche contro i soldati stranieri presenti nel paese: non è proprio una situazione tranquilla quella in cui si ritrova al momento invischiato il paese africano divenuto negli ultimi anni sempre più centrale per le dinamiche politiche ed economiche del Sahel
E’ proprio in questo paese che avrebbero douto essere dispiegati almeno 450 nostri militari dopo il via libera della nuova missione dato dal Parlamento
Tutto è iniziato quando, nel bilancio per il 2018, il governo ha previsto una nuova tassa sulla casa e sulle successioni, oltre ad aumenti dei prezzi dei generi di prima necessità : un’austerity in salsa africana, che rischia di mandare sul lastrico migliaia di famiglie specie se si considera che il Niger è già uno dei paesi più poveri al mondo.
Il malcontento è divenuto talmente endemico nella società nigerina da far unire, per la prima volta dopo tanti anni, tutte le forze di opposizione assieme a tre dei dieci principali sindacati del paese.
Da almeno una settimana, presso la capitale Niamey così come nelle altre principali città , si organizzano manifestazioni in piazza con diversi attivisti pronti a mobilitare centinaia di cittadini; si chiede a gran voce il ritiro dell’ultima legge finanziaria e lo stop immediato agli aumenti sui costi del servizio di erogazione idrica, energetica e dei beni di prima necessità : il timore, secondo gli organizzatori delle manifestazioni, è che si possa giungere ad uno scontro sociale sempre più incandescente e difficile da domare, con numerosi cittadini che vedono avvicinarsi il rischio di non avere più prospettive per il futuro.
La protesta che per adesso infiamma il Niger, poggia anche sulle accuse di corruzione lanciate al governo ed alle autorità , colpevoli secondo i manifestanti di non essere in grado di sfruttare le tante risorse energetiche e minerarie del paese, uranio su tutti, e di svendere all’estero e soprattutto alla Francia le proprie ricchezze.
Slogan contro gli eserciti stranieri
Al fianco però delle proteste contro le nuove misure economiche, da qualche giorno a questa parte in piazza iniziano a comparire cartelli con riferimento alla presenza di truppe straniere nel paese, il Niger è diventato una vera e propria base per diverse missioni internazionali.
Attualmente sono presenti soprattutto i francesi, i quali hanno avviato nell’agosto 2014 l’operazione “Barkhane”, che comprende la presenza di numerosi militari tra Niger, Mali, Chad, Burkina Faso e Mauritania; ma nel paese, soprattutto nella parte settentrionale, sono presenti anche forze speciali americane e membri delle forze armate tedesche: l’obiettivo comune è quello di fronteggiare il dilagare del terrorismo e bloccare i flussi migratori, anche se in entrambi i casi attualmente i problemi appaiono ben lontani dall’essere risolti.
Per la popolazione nigerina, la presenza di truppe straniere è da considerarsi come vera e propria occupazione: “A differenza della Libia — si legge nelle dichiarazioni di un manifestante e Niamey — Uno Stato noi ce l’abbiamo, non servono eserciti stranieri nel nostro territorio”.
Gli slogan urlati sono quindi contro le forze armate occidentali, fatto questo che prima d’ora non si era mai verificato: secondo l’opposizione, nonostante la presenza di francesi, americani e tedeschi la situazione non sta migliorando ed il paese appare sempre più ostaggio delle forze straniere.
Oltre al pericolo sulla sicurezza, adesso emerge anche quello relativo ad un’accoglienza molto fredda della popolazione, in parte sempre più ostile ad ulteriori arrivi di militari stranieri nel paese.
E’ in questo contesto che l’Italia si muove con il consueto pressappochismo, vantando operazioni che non stanno nè in cielo nè in terra, legati all’illusione sovranista che esodi biblici si possano “fermare” con operazioni militari ridicole.
Incapaci di gestirle e indirizzarle, di creare corridoi umanitari e controllare abusi, di garantire il rispetto dei diritti umani nei centri di accoglienza libici, capaci solo di regalare mezzi e milioni a un governo corrotto per fare il “lavoro sporco” , ora si ritrovano smentiti dalla controparte di un accordo sbandierato ma inesistente.
Ma quando i nostri ministri sono volati in Niger con chi avranno parlato? Con la donna delle pulizie?
L’emergenza italiana non è quella di bloccare gli invasori, ma i ballisti.
(da agenzie)
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Marzo 10th, 2018 Riccardo Fucile
SI PERDONO GLI STIMOLI A CERCARE STRADE NUOVE, IL LAVORO NERO POTREBBE DIVENTARE CRONICO E AUMENTARE LE TRUFFE
Suscitare un eccesso di attese al Sud e perdere consensi al Nord sono i rischi politici che il Movimento 5 Stelle avrebbe davanti se realizzasse quello che ha chiamato «reddito di cittadinanza».
Il nome, suggestivo, non è esatto, perchè si tratta di un’integrazione fino a un reddito minimo condizionata alla ricerca di lavoro.
Già cinquecento anni fa, gli umanisti Tommaso Moro (nel libro «Utopia») e Juan Luìs Vives proposero che ogni cittadino ricevesse dallo Stato un minimo vitale, per evitare che la miseria spingesse al furto.
Invece, nel mondo di oggi, fino a che punto la garanzia di un reddito può indurre alla pigrizia?
Un vero «reddito di cittadinanza» è uguale per tutti senza condizioni: lo stanno testando in Finlandia su duemila disoccupati estratti a sorte, 560 € al mese per 2 anni. Dovrebbe renderli più sereni nella ricerca di un impiego, o dargli tempo di metter su una attività autonoma.
Un anno è trascorso, ancora mancano dati su che cosa accada.
Il reddito del programma M5s ai pigri dovrebbe poi essere tolto. «Dopo la terza offerta di impiego rifiutata? Siamo sicuri che in Italia si riesca a controllare questo?» chiede l’economista Francesco Daveri, Università di Parma e Bocconi, che sta studiando gli effetti dell’innovazione tecnologica sul lavoro.
Tra 5 milioni di beneficiari, parecchi un’offerta non la riceverebbero mai.
Diversi Paesi con indennità di disoccupazione generose nei primi anni Duemila ne hanno irrigidito i criteri, subordinandole a un’attiva ricerca di impiego.
Sono documentati espedienti vari per eludere, perfino falsi licenziamenti concordati per tornare a percepire l’indennità : in Italia potrebbe nascerne un business.
Nelle intenzioni, il reddito garantito cancellerebbe i lavori precari più miseri, a cui nessuno vorrebbe più prestarsi.
Ma, al contrario, nelle aree dove il lavoro nero è già diffuso, si potrebbe tentare di sommare l’uno e l’altro. Inoltre le richieste potrebbero dilagare al di là dei calcoli fatti, come già avvenuto per un’erogazione della Regione Campania.
In linea di principio, concedere automaticamente una somma a tutti taglia corto con i ritardi delle burocrazie e i favori delle clientele. Per questo ci sta pensando l’India.
Ma nei Paesi avanzati se così si sostituiscono altre forme esistenti di soccorso alla povertà , avverte l’Ocse, le fasce più deboli potrebbero ricevere meno di prima. Soprattutto, osserva Daveri, «non è quello che serve di fronte ai problemi di oggi. La disoccupazione prodotta dall’arrivo di nuove tecnologie o da altre trasformazioni ha bisogno di interventi più mirati. Occorre pensare a strumenti nuovi, che durino se necessario più a lungo dell’attuale indennità ».
In altre parole, «va bene riqualificare i disoccupati, ma non possiamo chiederlo a un cinquantenne il cui posto di lavoro scompare. Per esempio, possiamo aiutarlo ad accettare un impiego differente con uno stipendio più basso, come è stato fatto negli Stati Uniti. Un piccolo stanziamento c’è già nella legge di bilancio 2018, occorre far meglio».
Da tempo il presidente dell’Inps Tito Boeri lamenta la mancanza di uno strumento unico per soccorrere sia gli indigenti sia chi a dispetto degli sforzi resta disoccupato oltre la durata dell’indennità .
Forse è da lì che, per un compromesso di governo, si può partire.
(da “La Stampa”)
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Marzo 10th, 2018 Riccardo Fucile
IL QUOTIDIANO BRITANNICO PUBBLICA UN PROFILO DEL LEADER M5S
Luigi Di Maio è “il vincitore delle elezioni politiche italiane” e “giovani, poveri e gli italiani del meridione in maniera sproporzionata si sono accodati dalla sua parte, sulla base della promessa di fermare la corruzione, le politiche di austerity dell’Ue, e altre misure in favore degli oppressi”.
Così il Financial Times dedica un profilo a Luigi Di Maio.
“A differenza dell’altro vincitore del voto populista, Matteo Salvini, Di Maio ha cercato di guidare i 5 Stelle verso posizioni più moderate, in particolare sull’euro. Si incontra regolarmente con leader industriali e ambasciatori europei, ed è volato anche a Londra per rassicurare gli investitori”, scrive il quotidiano.
“Di Maio potrebbe essere solo l’ultimo leader italiano a fare promesse irrealistiche a una generazione e a una regione (quella meridionale, ndr) che cercano disperatamente un cambiamento. Ma questa volta gli elettori gli hanno dato il beneficio del dubbio di poter diventare il primo premier dall’impoverito Mezzogiorno sin dal 1989”.
Il Ft ricorda l’infanzia e l’adolescenza di Di Maio, nato e cresciuto a Pomigliano d’Arco, e la sua rapida e per certi versi accidentale ascesa ai vertici della politica italiana.
“I leader M5S videro subito in lui il perfetto frontman con cui cercare di passare da un’opposizione arrabbiata a un potenziale partito di governo. Impeccabilmente vestito, in giacca e cravatta, si cade raramente in polemiche insulse e insultanti per le quali era noto il Movimento”
“L’onorevole Di Maio — conclude il quotidiano britannico – ha fatto alcune gaffe di alto profilo, come quando ha detto che il dittatore cileno Augusto Pinochet era venezuelano, e occasionalmente usa il congiuntivo in modo errato. Ma sfidarlo su grammatica e storia sa di elitarismo. Nessun altro attacco gli è rimasto addosso, [anche se] alcuni sostengono che sia il burattino del signor Grillo”.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 10th, 2018 Riccardo Fucile
“NESSUNA STRUTTURA, NEANCHE QUELLA DI DI MAIO, E’ IMMUNE DALL’ESSERE FAGOCITATA DAL SISTEMA”
Professor Zagrebelsky, che lettura dà del voto del 4 marzo?
Non una rivoluzione, piuttosto una ribellione o, se preferisce, una rivolta. Mi baso non su dati di demoscopia elettorale, ma su personali diffuse percezioni.
Rivolta contro chi o contro cosa?
La psicologia politica democratica è ciclica. Le democrazie, all’inizio, sono sistemi aperti alla larga partecipazione popolare; poi, più o meno rapidamente si rattrappiscono in oligarchie. Le forme possono restare tali, ma i cittadini iniziano a sentirsi estranei in casa propria. Della trasformazione delle democrazie in oligarchie è testimone la storia. La ribellione non è una malattia dello spirito, ma la reazione a un sentimento di spossessamento, tanto più forte quanto più la classe politica è stata sorda e si è costituita in casta. Non appena si toglie il coperchio, arrivano le sorprese.
Se questo è “populismo”, allora equivale alla ribellione delle masse contro le èlite?
La parola è carica di valenze negative. Che cosa davvero significhi è difficile dirlo. Di sicuro, chi la rivolge a un altro non vuole fargli un complimento. Senza risalire più indietro, populisti sono stati detti Perà³n e la moglie Evita in Argentina; papa Giovanni XXIII e papa Francesco; Obama, Trump e Sarah Palin negli Usa; Di Pietro, Berlusconi e Renzi da noi. Insomma, populisti sono sempre gli altri, quando li si teme. Salvo poi, quando serve, scambiare le vesti; così, per esempio, Berlusconi e Renzi, all’inizio esempi di populismo, diventano a un certo punto magicamente gli alfieri dell’anti-populismo. Chi parla di populismo, insomma, parla per frasi fatte e si esonera dal guardare dentro la complessità delle cose. Proporrei di abbandonare la parola tra gli scarti del lessico politico.
Se “guardiamo dentro”, come dice lei, che cosa vediamo?
Possiamo vedere tante cose, ma c’è una costante: si dice populista al leader, al movimento, al partito che, con l’appoggio del popolo, contesta i poteri costituiti. Oggi diremmo: contesta “la casta”. La parola populismo, non ha a che vedere con il conflitto tra idee politiche: si può essere populisti o anti-populisti di destra e di sinistra. Ha a che vedere, invece, con la competizione per il nudo potere. Nella contesa politica, chi più frequentemente la pronuncia appartiene (così rivelando di appartenere) al giro di coloro che si ritengono superiori e perciò pretendono d’impersonare il “buon-governo”. Pochi che sanno contro i tanti che non sanno: oligarchia, per l’appunto. Salvo poi constatare che il bene di tutti finisce presto per coincidere con gli interessi più forti.
E ora?
Mi pare di vedere che siamo pienamente in una fase di diffusa insofferenza nei confronti di questo modo di concepire la vita politica come affare di circoli riservati. Come dicevamo, ribellione di massa contro la cristallizzazione e l’autoreferenzialità di un potere chiuso, lontano, incapace di avvertire le tante ragioni di sofferenza della nostra società . I 5Stelle dovranno ancora chiarire diverse cose circa la propria identità , e non potranno non farlo quando saranno chiamati alla prova del governo. Ciò che, comunque, si può dire fin da adesso, è ch’essi sono una risposta all’insofferenza che caratterizza il ciclo attuale della democrazia di cui parlavo all’inizio.
Che succede, quindi?
Nessuna struttura di potere è immune dal rischio oligarchico. Nemmeno chi ha avuto successo in nome della lotta contro le oligarchie. Vedremo se e come ci si renderà conto del rischio sempre presente d’essere fagocitati.
Si è interrotta la connessione sentimentale con gli elettori?
Miopia politica del ceto politico, direi piuttosto. O forse arrendevolezza, impotenza di fronte agli effetti sociali di un sistema di relazioni dominato dalla libertà della speculazione finanziaria. I diritti sociali conquistati nel secolo scorso si sono progressivamente erosi. I più deboli sono in difficoltà . Il numero dei poveri e degli emarginati cresce.
Facciamo qualche esempio?
Si rinuncia a fare studiare i propri figli; si rinuncia a cure mediche pur essenziali; si cerca altrove la prospettiva d’un futuro; si vive di carità o di espedienti. A fronte di ciò stanno i garantiti, anzi i super-garantiti. Andare all’estero per cercare un proprio futuro non è per tutti la stessa cosa. Per alcuni è questione di sopravvivenza; per altri, è status symbol della upper class. Non sono la stessa cosa il cameriere o il barista, e lo studente del college esclusivo che si prepara a entrare nell’agognato cerchio della finanza internazionale. Lei parla di connessione sentimentale. Come può esserci qualcosa di questo genere quando si fronteggiano precarietà e sicurezza, fragilità e immunità , ingiustizia e privilegio. Sono patetiche illusioni, vuote parole quelle di chi si propone il recupero della fiducia tacendo delle responsabilità maggiori che gravano su chi sta più in alto nella scala sociale. Anche gli atti simbolici sarebbero importanti. Non si risolvono i problemi della finanza pubblica riducendo indennità , emolumenti, regalie varie, ma certo si darebbe un segno importante. È un segno negativo la difesa a testuggine “fino alla sentenza definitiva” dei politici e degli amministratori che incappano in incidenti giudiziari, anche se non è solo su questo terreno che si sconfigge la corruzione dilagata nel nostro Paese.
Tutto questo genera frustrazione?
Certo. Al fondo della piramide c’è una massa di cittadini con difficoltà a vivere il presente e a immaginare il futuro. È irritante sentir dire, per esempio, che il Jobs Act ha creato migliaia di nuovi posti di lavoro: parli con i giovani e scopri che sono lavori sottopagati, a tempo limitato, senza garanzie e spesso aggravati dalla minaccia del licenziamento facile. Spesso non è diritto al lavoro ma sfruttamento.
La democrazia si basa sul consenso: come non capire i rischi di questa cecità ?
Le oligarchie si considerano depositarie del verbo. Se dovessimo definire “oligarchia” non solo da un punto di vista numerico, potremmo dire questo: pochi che si sentono tutti. Ma siamo in democrazia e almeno ogni cinque anni si dà voce agli elettori: si può tenere la rabbia sociale sotto un coperchio per un po’, ma arriva il momento in cui il coperchio salta. Ed è esattamente il tempo che stiamo vivendo.
Vuol dire che il coperchio peraltro è saltato nella forma giusta, con la protesta nelle urne.
È saltato democraticamente. Chi ha a cuore la democrazia deve sempre temere che l’insofferenza prenda altre strade, il ricorso all’uomo forte, all’uomo della provvidenza. Per questo è pericoloso soffocare oltre misura l’espressione per vie democratiche di quel sentimento.
Sta dicendo che si sarebbe dovuto andare a elezioni anticipate?
Dico solo che anche a questo riguardo l’impressione che si è avuta è che si sia voluto posticipare il redde rationem elettorale, pur quando ci sarebbe stato più d’un motivo per ridare la parola agli elettori. Se si fosse potuto, le elezioni si sarebbero rinviate a non si sa quando.
Si potrebbe obiettare che sono stati sempre rispettati i meccanismi della democrazia parlamentare.
Certamente. La forma è salva, la sostanza ha scricchiolato.
Nel sentimento di autosufficienza della “casta” quanto pesa la legittimazione dei media?
L’informazione viene considerata o un’alleata o una nemica. Ma chi governa dovrebbe sapere che una stampa indipendente e vigile, nè alleata nè ostile per principio, alla lunga fa il suo bene, non il suo male. L’aiuta a non cadere nell’autoreferenzialità e a evitare d’essere vittima di “populismo”.
Alla base forse c’è un equivoco che nasce dal desiderio di alcuni giornalisti di far parte del mondo che si deve raccontare.
In un passo di La politica come professione, il celebre saggio di Max Weber, un grande capitano d’industria invita a cena alcuni suoi colleghi e anche un giornalista, lusingato di essere associato a questa cerchia di ottimati. Quando se ne va, il padrone di casa si scusa con gli ospiti per la presenza dell’intruso: “Ho dovuto invitare quello zotico perchè prossimamente si occuperà delle nostre cose”.
Veniamo a vincitori e vinti. Proviamo a tracciare la parabola di Renzi dal 4 dicembre al 4 marzo? Nel discorso in cui ha annunciato le sue strane dimissioni ha fatto intendere che tutti i guai derivano dalla vittoria del No al referendum costituzionale.
Chi ha avversato la riforma costituzionale ha capito una cosa semplice: che si trattava, per chi l’aveva promossa, di uno strumento potente per vincere una battaglia politica, legittimarsi plebiscitariamente, rivestirsi d’una corazza anche istituzionale. Ma le costituzioni non possono essere bozzoli del potere. Devono essere limiti e aperture nel potere. Quell’eccesso d’immedesimazione di Renzi e dei suoi non ha fatto che convincere i più a difendere la costituzione esistente.
C’è, secondo lei, un rapporto di continuità tra il 4 dicembre 2016 e il 4 marzo 2018?
Mi pare di sì. Nel referendum costituzionale è prevalso il rigetto della prospettiva della politica privatizzata a vantaggio d’un certo “giro di potere”. È stato la premessa, l’introduzione al secondo atto, l’atto finale. Non avere intravisto lo svolgimento e non essersi messo da parte allora hanno portato al disastro attuale del partito democratico. Ogni cosa ha il suo tempo giusto e i suoi tempi sbagliati.
Molti hanno detto che era materia troppo complicata per il popolo: poteva votare chi ci capiva qualcosa, non l’uomo della strada.
Nei Quaderni Gramsci risponde così a chi gli chiede come possa la democrazia equiparare il voto di Benedetto Croce a quello del pastore della Barbagia: è vero, è ingiusto. Ma la colpa non è del pastore sardo, la colpa è di chi non ha saputo informarlo, creargli una coscienza e una cultura politica. Quanto alla riforma costituzionale, non si è trattato tanto di bicameralismo perfetto, di competenze regionali concorrenti, o di altre delizie di questo genere. Si è trattato d’una operazione di potere tentata con mezzi costituzionali. Per capirlo, non c’era bisogno d’essere professori di diritto costituzionale e, infatti, lo si è capito benissimo. Questo è stato il primo errore di Renzi; il secondo, dopo la sconfitta, l’aver voluto restare al centro della scena. Muoia Sansone e tutti i Filistei: accecamento per megalomania e preludio di rovine.
Direbbe che aveva pur avuto l’investitura delle primarie.
Ma io mi riferisco non solo a lui, anzi nemmeno principalmente a lui. Mi riferisco soprattutto a quelli che gli sono stati vicini, ne hanno approfittato, non sono stati capaci o non hanno voluto aprire gli occhi, innanzitutto a se stessi e poi a lui. Tipico d’ogni oligarchia è di far quadrato anche oltre il tempo massimo. Della sconfitta renziana anche loro, anzi forse loro più di tutti, sono responsabili. Della distruzione della sinistra e del Partito democratico non si faccia di Renzi un solitario capro espiatorio.
Si evoca un possibile governo di scopo per modificare l’ennesima legge elettorale, probabilmente incostituzionale. Se in un’azienda un dirigente venisse incaricato di portare a termine un compito e questo per sei anni la facesse sempre male, che fine farebbe? C’è anche un problema d’incapacità ?
No, non credo. Leggendo ciascun comma di queste leggi — Porcellum, Italicum, Rosatellum — è subito chiaro a favore o contro chi è stato scritto. Il ceto politico pensa le norme elettorali come strumenti per fare i conti al proprio interno. Ma le leggi elettorali — sarò ingenuo a pensarlo — devono essere soprattutto nell’interesse dei cittadini. L’elettore non esiste in natura, ciascuno diventa elettore dopo che la legge gli ha dato o negato certi poteri. Tutte le altre leggi non hanno questa intensa caratteristica “definitoria” dei soggetti cui si riferiscono. Le nostre ultime leggi elettorali non sono leggi (solo) mal scritte; sono leggi mal tournèes, leggi che guardano cioè dalla parte sbagliata.
Se anche il Rosatellum dovesse essere dichiarato incostituzionale, cosa accadrebbe?
Probabilmente, niente. Il principio di continuità dello Stato, già utilizzato per salvare il Parlamento eletto tramite una legge incostituzionale, può essere utilizzato indefinitamente: si fa una legge elettorale, si elegge un Parlamento, la legge è annullata, il Parlamento continua e fa quel che gli pare, poi magari si fa un’altra legge incostituzionale e si ricomincia da capo. Uno scherzetto, indice d’irresponsabilità democratica. Non può non avere contribuito ad alimentare l’idea di senso comune di essere nelle mani d’un ceto politico autoreferenziale.
Come si può rimediare?
Si poteva sperare nei custodi della Costituzione — Corte costituzionale e presidente della Repubblica — che facessero valere ciò che è ovvio: vera l’esigenza di continuità , ma altrettanto vera la necessità di sanare al più presto il vulnus che si era realizzato al piano più alto delle istituzioni rappresentative.
Molti trovano strano chiedere al Pd e alla sinistra di sostenere un governo con i 5 Stelle. E lei?
Io per nulla. La direzione è quella. Ma ci vorranno tempi lunghi. Quindi avremo modo di riparlarne.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 10th, 2018 Riccardo Fucile
“ABBIAMO IL DOVERE DI STARE ALL’OPPOSIZIONE, NOI NON DOMANDIAMO NULLA”
“Nessuna paura di tornare alle urne. Nostro dovere è stare all’opposizione. Le forze che hanno vinto le elezioni, e che hanno programmi e toni comuni (Lega e M5s), spiegheranno ai loro elettori perchè, pur avendo i numeri, non avranno voluto governare”.
Ettore Rosato, il deputato pd che ha dato il nome alle legge elettorale – finora capogruppo del partito alla Camera – interviene nel dibattito sulle trattative in corso fra i tre poli usciti dalle elezioni del 4 marzo (oltre al centrosinistra, centrodestra e M5s), a proposito della formazione di un eventuale governo. E sulla discussione per la scelta dei vertici dei due rami del Parlamento.
Formazione del governo: M5s e Centrodestra aprono al Pd. Per stanarvi, viene agitato lo spettro di una vostra dèbacle nel caso si rivotasse fra sei mesi: avete paura di tornare alle urne?
“Nessuna paura, e comunque se quelli che hanno i numeri non vogliono governare, noi che ci possiamo fare? Chi ha i numeri, se non vuole governare deve spiegarlo poi ai suoi elettori se non lo fa. I numeri consentono di governare a forze che hanno programmi e toni molti simili, come M5s e Lega”.
Questa è la linea che sarà confermata lunedì in segretaria pd, o c’è la possibilità che passino posizioni alla Emiliano favorevoli a una alleanza coi 5 Stelle?
“A me sembra che questa sia la linea condivisa completamente all’interno del partito, tranne qualche piccola eccezione. Non mi pare che ci sia una discussione sul fatto che abbiamo la responsabilità e il dovere di stare all’opposizione”.
Questa situazione di impasse è colpa della legge che prende spunto dal suo nome, il Rosatellum?
“Semmai questo è il risultato del tripolarismo, non della legge elettorale. Come dimostrato da molti studi, qualsiasi legge elettorale (tranne quelle bocciate dalla Consulta), avrebbe prodotto lo stesso risultato”.
Era prassi prevalente la presidenza della Camera all’opposizione. Ci contate?
“Sì, esisteva quella prassi, la presidenza della Camera all’opposizione. Ma oggi nessuno sa se sarà ancora così. Visto che dalle elezioni sono uscite due formazioni vincitrici (centrodestra e M5s), e una, quella sconfitta, che ha annunciato la sua ferma intenzione di stare all’opposizione, logica vorrebbe che una presidenza toccasse a noi. Bisogna vedere: se ci dicessero ‘Vogliamo riconoscere al Pd una presidenza in quanto forza di opposizione’, registreremmo l’offerta. Sarebbe una scelta intelligente per chi la propone. Ma certo è che noi non domandiamo nulla”.
(da “La Repubblica”)
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Marzo 10th, 2018 Riccardo Fucile
“IL M5S SE MI RITIRO MI HA OFFERTO DI FARE IL CAPO DI GABINETTO DELLA RAGGI, GUADAGNEREI IL DOPPIO, MA NON VOGLIO DIVENTARE UN POLITICO DI PROFESSIONE”
Come ampiamente annunciato, Fabio Fucci annuncia che si ricandiderà come sindaco di Pomezia senza il MoVimento 5 Stelle.
Lo annuncia su Facebook: “Ho scelto una lista civica perchè il Movimento 5 Stelle non mi permette una nuova candidatura nel nome di una regola miope che non tiene conto del merito e delle persone. Io ci metto ancora una volta la faccia e il cuore”.
La maggioranza pentastellata sabato prossimo, in occasione della presentazione del bilancio, potrebbe decidere di sfiduciarlo.
In una conferenza stampa stamattina Fucci non ha risparmiato qualche stoccata alla Giunta Raggi: “Siamo stufi che la Capitale dirotti i suoi problemi in periferia o in provincia, perchè Pomezia vuole crescere e non vuole freni. Qui non abbiamo avuto grandi vantaggi da quando Raggi è diventata sindaca, anzi: ho conservato un messaggio che le ho mandato mesi fa sul campo nomadi di Castel Romano e non ha dato neanche un cenno di vita. Lo stesso è successo quando ci fu l’incendio sulla Pontina, quando l’ho chiamata per coordinare l’azione di Protezione civile visto che si trattava di un territorio di confine ma non mi ha mai risposto”.
Fucci ha anche fatto sapere di aver ricevuto la proposta di diventare capo di gabinetto della Giunta Raggi: “La politica di professione non mi piace, e per questo, oggi posso dirlo, quando mi è stato proposto l’incarico ben pagato di capo di gabinetto di Virginia Raggi alla Città metropolitana di Roma, con uno stipendio di circa 100mila euro all’anno, il doppio di quello attuale, ho rinunciato perchè ho voluto puntare tutto su Pomezia”.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 10th, 2018 Riccardo Fucile
QUANDO UN BEL TACER NON FU MAI SCRITTO
L’assessore al bilancio della Giunta Raggi Gianni Lemmetti ha pubblicato ieri un post sulla sua pagina Facebook in cui si autoelogia perchè per la neve a Roma l’amministrazione ha speso meno di quanto è stato speso nel 2012: 15 milioni di euro per un disastro all’epoca di Alemanno contro “una situazione ben gestita con 2 milioni di euro” nel 2018.
Curiosamente, insieme a una buon numero di Bene, Bravo Bis, c’è anche un buon numero di persone che contesta l’ottimismo panglossiano dell’assessore: “Lasciar stare queste polemiche, non parlare male degli altri ma darsi da fare. Inoltre in tutta onestà nel 2012 è stata molto più intensa la nevicata. Il fair play ci migliora, lasciamo le polemiche ai chiacchieroni”, dice Leonardo.
“Sig.Lemmetti, non so chi lei sia nè mi interessa, so solo che è un ultrà¡ a cinque stelle dalla corbelleria che ha scritto. Non dico tanto, ma almeno un centimetro da sarto lo potrebbe usare,o almeno una visita oculistica. Nel 2012 l’Italia è stata sommersa dalla neve e neanche Roma è stata risparmiata con una nevicata record con cm di neve. Quest’anno si è trattato di mm di neve, quindi mi sembra più spropositata la cifra spesa dalla vostra sindaca”, gli fa eco Peppino.
Ma c’è anche chi è più esplicito: “il problema delle buche vedo che invece lo state gestendo alla grande!! non posso nemmeno andare al lavoro da tor bella monaca ad ottaviano per paura di caderci dentro e rompermi qualcosa oltre allo scooter che tanto vi guarderete bene dal risarcire!! siete dei barbari!!”, sottolinea Gianni.
“Mi soffermo solo all’inizio per evitare di leggere altre stronzate. Non è per difendere Alemanno di cui non mi frega una cippa ma mi dite quale differenza c’è tra il 2012 che ha superato ogni record di nevicate negli ultimi 100 anni con la nevicatina di quest’anno??? Non le scrivete ‘ste cose per favore altrimenti mi fate pensare che siete convinti di parlare con gli asini….ma per piaceeereee….”, gli fa eco Giuseppe.
E ancora: “Ma nei due milioni di euro sono compresi anche i soldi che spenderete per riparare le buche che, se il sale fosse stato sparso per tempo, non si sarebbero aperte?”, scrive Federica;
“Parlate solo di soldi risparmiati se non fate niente,non spendete. I soldi ci sono ma noi vogliamo strade sicure e servizi , non ci interessano le chiacchiere da casalinga depressa”, segnala Nadia.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 10th, 2018 Riccardo Fucile
QUANDO I NOSTRI IMMIGRATI SI AFFRANCANO DAI PREGIUDIZI DEGLI INGLESI … OGGI FATTURANO 10 MILIONI DI STERLINE AFFILANDO E AFFITTANDO
Un business da oltre dieci milioni di sterline l’anno, poco più di undici milioni di euro. E’ quello degli arrotini del Trentino che a Londra hanno il monopolio dell’affilatura dei coltelli.
I primi emigrarono dalla Val Rendena, dopo la Seconda guerra mondiale.
Alcuni sbarcarono a New York, la maggior parte nella capitale inglese.
Il mercato si ampliò negli anni ’50 e ’60, tanto che i primi emigranti chiamarono parenti e amici per coprire la crescente richiesta.
Fin quando il 21 febbraio del 1970 a Londra venne fondata la prima associazione del genere, la “London Grinders Association”: 49 membri tutti con cognome italiano di origine trentina.
Quasi cinquant’anni dopo, quell’associazione esiste ancora, portata avanti dagli eredi dei vari Collini, Nella, Povinelli, Beltrami, Ferrari, Maestri, Ambrosi, Tisi e molti altri ancora.
Una storia di emigrazione e successo raccontata anche da Patrick Grassi in un libro e in un documentario dal titolo “Sharp families, tagliati per gli affari”
(da “La Repubblica”)
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