Destra di Popolo.net

IL MONITO ALLA RESPONSABILITA’ DI MATTARELLA METTE QUALCHE IDEA AL PD

Marzo 8th, 2018 Riccardo Fucile

TIPO UNA ASTENSIONE A UN GOVERNO DI CENTRODESTRA MA SENZA SALVINI PREMIER… RENZI CONTROLLA IL 60% DEI GRUPPI PARLAMENTARI PD, PER UN APPOGGIO AL M5S MANCANO I NUMERI

Il Pd fa spallucce di fronte al primo appello del capo dello Stato alla responsabilità . “Tocca a Di Maio e Salvini dire cosa vogliono fare”, è la risposta dei renziani Luca Lotti e Andrea Marcucci.
Il Pd starà  “all’opposizione”, giurano, mentre il partito si surriscalda in vista della direzione nazionale di lunedì e sale la pressione.
Perchè l’appello di Sergio Mattarella era certamente atteso, il primo di una lunga serie. Ma pesa e spinge i Dem a confrontarsi con le alternative in campo: il ritorno al voto anticipato fa paura a un partito uscito col 18 per cento dalle urne, anche se non è escluso a priori.
Invece escluso è un governo con il M5s: solo l’area Emiliano lo vorrebbe.
E tra i renziani si vaglia un’alternativa molto hard: un’astensione ad un possibile governo di centrodestra, con una figura meno radical di Matteo Salvini per la premiership.
Al momento non è nemmeno un piano, ma un’idea di cui però si discute tra le truppe del segretario dimissionario. Prima però vanno conclusi i passaggi necessari in direzione nazionale lunedì.
Una riunione che ancora adesso sembra nel caos, nonostante che da ieri si sappia della lettera formale di dimissioni di Renzi. La minoranza orlandiana infatti chiede una gestione unitaria.
Vale a dire le dimissioni di tutti gli organi insieme a quelle del segretario e una squadra collegiale che insieme al vice Maurizio Martina traghetti il partito fino all’assemblea di aprile.
Lì poi si deciderà  se fare le primarie per il nuovo segretario oppure se eleggere direttamente in quella sede un nuovo segretario (come è accaduto a Franceschini e Epifani). Ma l’idea degli orlandiani di una gestione collegiale ancora non passa tra i renziani.
La questione non è di lana caprina.
Perchè chi guiderà  il Pd nelle prossime settimane parteciperà  alla scelta dei capigruppo che saliranno al Colle per le consultazioni sul governo con Mattarella.
E i capigruppo guideranno anche il confronto con le altre forze politiche per l’elezione dei presidenti di Camera e Senato, vero test per il governo che sarà , se sarà . “I gruppi sono al 60 per cento renziani: senza una gestione unitaria non è assicurata la discontinuità  nella scelta dei capigruppo”, dice una fonte dell’area Orlando.
Ecco perchè nel Pd già  si ragiona su come comportarsi sul governo.
Tutti i passaggi prossimi sono collegati e chi non si muove per tempo al primo step, potrebbe trovarsi in ritardo per il secondo.
Dalla nottata elettorale, le ostilità  ormai sono aperte. Lotti, per dire, che in questi anni ha dichiarato pochissimo alla stampa e sui social, oggi ha preso parola contro Orlando: “Ha ragione il ministro Orlando quando chiede un dibattito nel Pd, sul Pd. Almeno, così, avremo modo di parlare di chi ha perso nel collegio di residenza ma si è salvato col paracadute, di chi non ha proprio voluto correre e di chi ha vinto correndo senza paracadute. Se vogliamo aprire un dibattito interno facciamolo. Perchè sentire pontificare di risultati elettorali persone che non hanno mai vinto un’elezione in vita propria sta diventando imbarazzante”.
“Lotti attacca me per mandare un messaggio ai renziani in fuga”, commenta Orlando con i suoi, ricordando che diede la disponibilità  a candidarsi in un collegio plurinominale salvo poi scoprire di essere candidato solo nel listino proporzionale.
Veleni che rischiano di avere serie ripercussioni al momento della scelta decisiva sul governo. Dunque: tranne Emiliano, tutti nel Pd escludono un governo con il M5s. Una linea politica cui oggi si è aggiunta anche una valutazione tecnica, confortata dai numeri ormai definitivi dei neoeletti.
I pentastellati sono 227 alla Camera e 112 al Senato. Per far nascere il loro governo sarebbe necessario il sì compatto di tutti i parlamentari del Pd (112 deputati, 53 senatori).
E anche considerando l’eventuale sì di tutti gli eletti di Leu (14 alla Camera, 4 al Senato) e di tutti gli eletti nell’alleanza di centrosinistra col Pd (10 alla Camera, 7 al Senato), è difficile che il Pd garantisca così tanti sì quanto sono necessari ad avviare l’operazione.
Il no di Renzi è irremovibile e, pur da segretario dimissionario, può contare sul 60 per cento degli eletti, sempre che rimangano nella sua area. Basterebbe solo il suo no a far fallire l’operazione.
Invece, ed è questa l’altra ‘pericolosa’ ipotesi sul tavolo, per i Dem far nascere un governo di centrodestra sarebbe più semplice.
Il ragionamento fa capolino nell’area renziana del partito. Non nella minoranza orlandiana che ieri, dopo una riunione, ha messo in chiaro il suo no ad un governo M5s tanto quanto un governo di centrodestra. Invece tra i renziani questa ipotesi viene vagliata, anche se ‘molto hard’.
Per far nascere un governo di centrodestra (265 deputati, 137 senatori) basterebbe l’astensione dei Dem alla Camera e l’uscita dall’aula al Senato (dove l’astensione vale no).
Certo, ‘salvare’ così un governo Salvini sarebbe un salasso per il Pd.
Nei conciliaboli, tra uno scenario e l’altro, se ne rendono conto. Ma il quadro sarebbe diverso se il premier fosse una personalità  meno radical del leader leghista, tipo Giorgetti o un altro esponente più moderato.
Dipende anche da come andranno le interlocuzioni nel centrodestra, da qui alla fine di aprile passando per l’elezione dei presidenti di Camera e Senato (a metà  aprile al massimo).
Non a caso oggi Silvio Berlusconi scrive ai neoeletti di Forza Italia in questi termini: “Intendo fare tutto il possibile, con la collaborazione di tutti, per consentire all’Italia di uscire dallo stallo, di darsi un governo, di rimettersi in cammino sulla strada della crescita nella responsabilità  e nella sicurezza”.
Il punto è che il Pd teme di ritrovarsi in un cul-de-sac, obbligato alla stretta finale a scegliere tra il ritorno al voto anticipato e la partecipazione a un governo che non vuole.
E’ per questo che la linea iniziale di opposizione sempre e comunque (“Questo hanno deciso gli elettori”, ha detto Renzi all’indomani della debacle) non promette di tenere fino all’ultimo.
Il voto anticipato potrebbe essere altrettanto pericoloso per un partito dissanguato dalle urne del 4 marzo. Senza contare la voglia dei parlamentari di tenersi il seggio conquistato, un evergreen in ogni legislatura.
Va detto che nel Pd ci sono scuole di pensiero che invece considerano il voto anticipato, se proprio tutto dovesse precipitare.
Stavolta con Paolo Gentiloni candidato premier, senza ripetere l’errore appena compiuto. Magari con primarie per la premiership, dicono in area renziana. Basterebbe?

(da “Huffingtonpost”)

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ASPETTANDO LA DIREZIONE PD, SI FA STRADA LO SCHEMA M5S-LEGA PER SPARTIRSI I PRESIDENTI DI CAMERA E SENATO

Marzo 8th, 2018 Riccardo Fucile

CALDEROLI AL SENATO E FICO O CARELLI ALLA CAMERA… CAMBIANO LE REGOLE PER LE RESTITUZIONI DEGLI ELETTI GRILLINI

Il doppio binario M5s. Quello dell’alta velocità  è con la Lega e riguarda le presidenze delle Camere, l’altro invece è a percorrenza più lunga e lenta, e guarda al Pd per un eventuale accordo di governo.
Corrono paralleli e fanno di tutto per non incrociarsi.
Per adesso, il giorno segnato in rosso sul calendario del comitato elettorale di Luigi Di Maio è lunedì 12, quando si riunirà  la Direzione dei dem dopo le dimissioni di Matteo Renzi e la sconfitta elettorale.
La strategia dei pentastellati è quella dell’attesa, ma nello stesso tempo, nel vedere che il Pd è “in preda a uno psicodramma” – è così che viene definita nelle stanze grilline l’attuale situazione degli avversari – gli M5s tessono rapporti con il Carroccio relativamente a un’intesa su chi guiderà  il Senato e la Camera, quindi sulla seconda e terza carica dello Stato.
Rapporti che hanno però anche un altro fine, molto più tattico: mettere pressione sui dem per farli “scongelare” in prospettiva governo.
“I numeri parlano chiaro”, ragiona lo stato maggiore grillino. “È un fatto di cultura democratica”, dice a taccuini chiusi un esponente che segue da vicino questa fase così delicata: “Le presidenze delle due Camere devono andare a chi ha preso più voti. Quindi una a noi e una al centrodestra”.
Il punto è che a Palazzo Madama, alla terza votazione si va al ballottaggio e il centrodestra potrà  eleggere da solo il presidente, è per questo che ai grillini conviene cedere la poltrona della seconda carica dello Stato.
Per di più la Lega Nord, al netto di dissidi interni alla coalizione (Forza Italia punta su Paolo Romani), vuole che venga eletto Roberto Calderoli, nome che ai pentastellati non dispiace.
A questo punto al Movimento spetterebbe la presidenza della Camera. Tra i nomi che circolano ci sono quello di Roberto Fico e quello del giornalista Enrico Carelli, quest’ultimo, per la sua storia, apprezzato dal centrodestra e da Forza Italia.
I contatti sono in corso e gli ambasciatori a lavoro ma precisano ancora fonti M5s: “Un’intesa sulle presidenze delle Camere non è da leggere in chiave governo”.
Infatti sullo sfondo la porta con il Pd per un’alleanza di governo a sinistra è sempre aperta. Servirà  tempo anche perchè dentro il Movimento il dibattito è aperto tra chi preferirebbe un accordo con la Lega e chi invece con il Pd.
Sta di fatto che questa mattina al Quirinale, in occasione delle celebrazioni per la festa della donna, Di Maio è rimasto piuttosto freddo davanti all’intervento di Maria Elena Boschi. Non sembrano esserci segnali di disgelo ma in fondo – dicono i 5Stelle – “il Pd che verrà  fuori dopo lunedì sarà  un altro”.
Di tutto ciò che ha un respiro politico però non si parlerà  venerdì pomeriggio quando a Roma si riuniranno i circa 340 parlamentari eletti, vecchi e nuovi. In queste ore lo staff comunicazione, il capo politico e i fedelissimi Riccardo Fraccaro, Alfonso Bonafede, Alessandro Di Battista, Danilo Toninelli, Laura Castelli e Stefano Buffagni, riuniti nelle stanze del comitato elettorale stanno mettendo a punto l’incontro. E quindi i nodi da affrontare da subito come quello che ha gettito i grillini nella ‘rimborsopoli’.
Dovrebbe essere ufficializzato l’addio agli scontrini, ovvero la fine della contestata rendicontazione a favore di una restituzione basata su una quota fissa da devolvere mese per mese.
Dopo il caso ‘Rimborsopoli’ è stato inoltre deciso un passaggio intermedio, con l’istituzione di un conto corrente ad hoc dove confluiranno le donazioni di tutti i parlamentari per consentire e rendere più agevoli i controlli.
A Roma, nel lussuoso hotel dove gli M5s hanno seguito lo spoglio elettorale, ci sarà  anche Davide Casaleggio. Sarà  una riunione organizzativa, viene chiarito. Le decisioni politiche invece si prendono nelle stanze del comitato elettorale. Al riparo da tutti.

(da “Huffingtonpost”)

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COSA FARA’ MATTEO RENZI DA GRANDE

Marzo 8th, 2018 Riccardo Fucile

LE PROSPETTIVE DEL LEADER CHE VUOLE DIVENTARE “SENATORE SEMPLICE” TRA AVENTINO PROGRAMMATO, NUOVE ELEZIONI E IPOTESI NUOVO PARTITO

Dopo la caduta dell’impero renziano è il momento di fare i conti. Al contrario di quanto aveva detto a caldo, Matteo Renzi ha intenzione di partecipare alla Direzione del Partito Democratico di lunedì che sancirà  il no a qualunque tipo di accordo con il MoVimento 5 Stelle e con la Lega ma dovrà  porsi il problema della successione al segretario dimissionario.
Già , dimissionario: perchè dopo le polemiche scatenate dal suo discorso di lunedì, Matteo Orfini ieri ha fatto sapere che Renzi le dimissioni le ha date davvero: “Si è formalmente dimesso lunedì”, ha annunciato il presidente del Partito Democratico sorvolando, come d’abitudine, sul fatto che l’ex segretario avesse detto altro in conferenza stampa.
Nel breve periodo l’intenzione di Renzi è quella di gestire la fase del voto per la presidenza della Camera e del Senato secondo la filosofia dell’Aventino totale: nessun accordo con chi ha vinto le elezioni e ora ha l’onere di governare, votare scheda bianca senza ascoltare offerte in camera caritatis o alla luce del sole.
L’obiettivo è quello di puntare a nuove elezioni entro pochi mesi, come sarebbe dovuto accadere dopo il referendum del 4 dicembre se non si fossero messi in mezzo Mattarella e Gentiloni.
Goffredo De Marchis su Repubblica fa i conti sui fedelissimi e sulle possibilità  che alcuni decidano di non esserlo fino in fondo:
Il banco di prova e lo scontro finale hanno una scadenza ravvicinata. Il 23 marzo si riuniscono le Camere per eleggere i presidenti. Già  il 24, col ballottaggio, si sceglie quello del Senato. Renzi pensa che li debbano indicare la destra e i grillini. Perciò il Pd voterà  scheda bianca. A quel punto chi ha trovato un accordo per le nomine in Parlamento, verrà  chiamato dal Quirinale ad assumersi la responsabilità  di formare un governo. «Se ce la fanno…», ripete Renzi.
L’ex premier si affida a numeri blindati in sostegno dell’Aventino.
Almeno 60-65 tetragoni deputati su 107 e 35 senatori su 53.
È il pallottoliere in mano a Luca Lotti. Dario Franceschini, che conosce le dinamiche dei gruppi, è sicuro che col passare dei giorni questa certezza granitica si scioglierà .
Può succedere già  il 23 quando i vincitori offriranno una carica istituzionale all’opposizione (e succederà ).
Oppure più avanti quando sarà  più chiaro il bivio che il partito del Colle (Franceschini, Orlando, Gentiloni, Delrio, Finocchiaro, lo stesso Calenda al dunque) ha già  chiaro oggi: o responsabilità  o il suicidio come nelle sette.
E allora cosa accadrà  se Renzi si dovesse ritrovare a dover subire il tradimento dei renziani?
Una delle critiche dello Stato Maggiore del partito all’indirizzo del segretario è stata quella di aver riempito le liste di fedelissimi: almeno potrà  finalmente rispondere che non lo erano poi così tanto.
Per il resto, lui ha detto che non ha intenzione di fuggire:   «Farò un lavoro che mi affascina: il senatore semplice di Firenze, Scandicci, Signa, Lastra a Signa e Impruneta. Si riparte dal basso, militante tra i militanti».
Ma, scrive Francesca Schianci sulla Stampa, quando perse le primarie con Pierluigi Bersani in molti tra quelli a lui vicini lo dipingevano come pronto a fare un nuovo partito, uscendo dal PD.
Oggi però sono tutti più prudenti, visto anche il calo della sua popolarità : «Vedo solo una possibilità  che faccia una scelta del genere — ragiona un renziano sulla via del pentimento — che il Pd faccia l’accordo coi grillini. Allora sì, potrebbe uscire dal partito strillando “voi pensate alle poltrone, io invece rispetto il volere del popolo e sto all’opposizione”. Gli faremmo un regalo».
Al momento, con i dem compatti a dire no al governo Di Maio, una prospettiva che appare lontana. Ma non così improbabile è invece la creazione di un’associazione, una nuova fondazione oltre a quella — “Open” — attiva da tempo: un’altra “comunità ” che possa essere l’eventuale embrione di qualcosa d’altro, come spesso hanno fatto leader in temporaneo disarmo nel passato.
Ma la prospettiva è comunque quella di una lunga marcia. Se avrà  davvero un’altra possibilità  di tornare al potere, per Renzi questo potrà  avvenire soltanto tra qualche anno. Nel frattempo potrà  solo attendere e vedere quello che succede, dipendendo dalle scelte altrui. La prospettiva più odiata per lui da sempre.

(da “NextQuotidiano”)

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PERCHE’ IL M5S E’ DIVENTATO IL PARTITO DELLE DUE SICILIE

Marzo 8th, 2018 Riccardo Fucile

ANALISI CATTANEO: AL SUD L’ASSENZA DELLA CONCORRENZA DELLA LEGA HA PRODOTTO IL BOOM, AL NORD FATICA… LA RICERCA SU GOOGLE: REDDITO DI CITTADINANZA CERCATO ANCHE DAGLI ELETTORI DEL NORD

Sono diverse le ragioni che hanno portato il Movimento 5 Stelle ad affermarsi come il partito del Sud Italia, e non tutte hanno a che fare con l’interpretazione certamente semplicistica che si sta facendo largo, secondo la quale gli elettori meridionali si sono fatti sedurre dalla proposta di introdurre il reddito di cittadinanza.
L’ultima analisi dei flussi condotta dall’Istituto Cattaneo spiega come si sono spostati i consensi nei confronti del M5S, partendo da alcuni numeri.
Se nel 2013 i grillini avevano ottenuto il 25,5% delle preferenze, con 8,7 milioni di voti, con un consenso trasversale in tutte le aree del Paese, cinque anni dopo sono riusciti non solo a consolidare quel bottino ma anche, com’è noto, ad accrescerlo: due milioni di voti in più, in valore assoluto quasi il 20%.
La differenza, però, sta nell’incremento dei consensi disomogenea avuta nel 2018, grazie alle prestazioni avute nelle regioni centrali (+7,2%) e soprattutto in quelle meridionali (+20,7%).
Per dire, in Campania M5S ha registrato un incremento pari al 27,3%, in Basilicata al 20,1%, in Puglia al 19,4% e in Calabria al 18,6%.
È da questa disomogeneità  che bisogna iniziare a ragionare per comprendere il boom M5S nel sud Italia.
Perchè questo exploit ha permesso di mascherare la lieve diminuzione di consensi nell’Italia settentrionale (-2,6% in Friuli, -2% in Liguria e via dicendo).
Mentre M5s conquista voti in maniera distribuita ai danni del Pd, “nelle città  del Nord ne cede a vantaggio della Lega”.
Ad esempio, a Brescia i grillini hanno ottenuto un 4,9% di consensi provenienti da ex elettori del Partito Democratico ma hanno ceduto una cifra simile di voti, il 4,7%, a favore della Lega. A Parma addirittura il M5s perde da questo meccanismo di scambio: guadagna 1,7 dal Pd ma ne perde ben 5,5 verso la Lega.
Questo meccanismo di scambio è sistematicamente presente nelle restanti città  della “Zona rossa” (Modena Bologna, Livorno, Firenze) e si caratterizza per dei saldi sempre positivi per il M5s (le entrate dal Pd sono sempre maggiori delle uscite verso la Lega)
C’è un passaggio quindi costante di voti da Pd verso M5S, e da M5S verso la Lega, seppur variabile a seconda delle aree della penisola.
Cosa succede invece al sud? Anche qui, i flussi provenienti dal Pd verso i Cinque Stelle sono presenti ma la novità  è rappresentata dalla mancanza di movimenti in uscita verso la Lega.
Al Sud, la concorrenza della Lega è assente e il panorama elettorale è meno competitivo per il Movimento, che può continuare a fare da partito «pigliatutti»Istituto Cattaneo
Sottolinea quindi l’istituto Cattaneo come la “svolta moderata” data da Luigi Di Maio al Movimento 5 Stelle, risultata vincente da un punto di vista elettorale, abbia certamente attratto quegli elettori del Pd delusi dall’azione di governo dei democratici ma al tempo stesso abbia allontanato i Cinque Stelle più radicali e più fedeli al movimento delle origini che, lì dove hanno potuto (al Nord e in parte al Centro), si sono dirottati verso la proposta leghista.
Naturalmente, c’è una componente del successo M5S che deriva dalle difficoltà  economiche e sociali più marcate nel sud Italia e, in questo senso, alcune misure popolari del suo programma per il contrasto alla povertà , come il reddito di cittadinanza o l’aumento delle pensioni minime, hanno avuto un ruolo.
Ma questo non vuol dire che provvedimenti visti da taluni come “assistenzialistici” siano la ragione principale del risultato elettorale nell’ex Regno delle Due Sicilie.
Può essere certamente indicativa, ma ovviamente non esaustiva, una ricerca fatta su Google Trends: la chiave di ricerca “reddito di cittadinanza” è molto utilizzata anche nelle regioni non meridionali.

(da “L’Espresso”)

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NELLA RICHIESTA DEI MODULI DEL REDDITO DI CITTADINANZA C’E POCO DA RIDERE

Marzo 8th, 2018 Riccardo Fucile

“SI SONO PRESENTATE PERSONE CHE HANNO DIFFICOLTA’ A METTERE INSIEME IL PRANZO CON LA CENA”… SONO PERSONE CHE AVREBBERO BISOGNO DI VERA POLITICA, NON DI ESSERE PRESE PER IL CULO DA PIAZZISTI

Stamattina la Gazzetta del Mezzogiorno ha pubblicato un articolo che raccontava come a Giovinazzo in Puglia i centri per l’impiego si siano sentiti rivolgere lunedì mattina la richiesta di moduli per il reddito di cittadinanza.
I gestori di alcuni CAF, chiamati per nome e cognome nell’articolo a testimonianza della credibilità  del racconto, hanno spiegato insieme ai sindacalisti che si trattava di promesse elettorali e non c’era nulla da compilare, in attesa della formazione del nuovo governo.
A prima vista la vicenda ha suscitato una certa ilarità , mentre su Facebook e Twitter cominciavano a circolare falsi moduli per la richiesta del reddito di cittadinanza e in molti ricordavano che lo stesso Luigi Di Maio durante la sua partecipazione a Porta a Porta il 2 marzo scorso aveva ammesso che per il reddito di cittadinanza “dovremo aspettare qualche anno perchè prima devono essere riformati gli uffici per l’impiego”.
E mentre anche da altre città  (Bari, Palermo, Potenza) arrivavano altre testimonianze riguardo cittadini che passavano ai CAF a chiedere lumi sul reddito di cittadinanza, le ulteriori precisazioni che arrivavano da Giovinazzo facevano però cambiare un po’ la prospettiva di quella che sembrava una soft news sulla quale farsi due risate.
Ad esempio l’assessore alle politiche sociali Michele Sollecito segnalava che “i cittadini si recano da tempo in quegli uffici per le domande sul reddito di Dignità  (Red) della Regione Puglia e sul reddito di Inclusione (REI) del governo”.
Massimo Bagnoli, uno dei coordinatori della Consulta dei CAF invece faceva sapere che “c’è stato un forte incremento delle richieste di ISEE (l’indicatore della situazione economica) per ottenere il reddito di inclusione. A gennaio l’aumento è stato del 30%”.
Messa così fa meno ridere, vero?
Perchè dietro le battute sulle promesse da campagna elettorale ciò che dimostra la storia dei cittadini che chiedono i moduli per il reddito di cittadinanza lo ha spiegato benissimo l’addetta allo sportello del CAF di Giovinazzo: «Da noi si sono presentate persone molto giovani, semplici, ingenue, che fanno fatica a mettere insieme il pranzo con la cena».
Persone che della Politica — di quella vera, non dei piazzisti — avrebbero davvero bisogno.
E che non si meritano di essere prese per il culo nè dalle promesse elettorali nè da chi ha la pancia piena.

(da “NextQuotidiano”)

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I (FALSI) MODULI PER LA RICHIESTA DEL REDDITO DI CITTADINANZA

Marzo 8th, 2018 Riccardo Fucile

SUL WEB NE GIRANO ORMAI DIVERSI

Dopo la bella storia di Giovinazzo, stanno circolando su Facebook una serie di falsi moduli di richiesta del reddito di cittadinanza.
Si tratta chiaramente di documenti falsificati che non valgono assolutamente nulla. Uno dei più gettonati è questo, che contiene l’indiscutibile intestazione MODELLO NTGF/01 (Nun teng Genio e Fatica’) e non è stato possibile risalire alla fonte primaria.
Interessante che in questa versione si preveda il “Timbro e firma per garanzia del presidente della sezione del M5S di competenza”.
La pagina Facebook Clicca Qui invece ne ha proposto un altro, più scarno e sintetico ma ugualmente suggestivo.
Mentre la pagina Gruppo Bilderberg invita a richiedere i moduli «presso gli uffici della Guardia Forestale della vostra provincia. In alternativa potete commentare questo post scrivendo = RDC+metodo di pagamento preferito. Se preferite un comodo bonifico bancario (opzione più vantaggiosa per motivi fiscali) scrivete nei commenti = “RDC + bonifico bancario” — Un commento un assegno mensile».
Su Facebook ne girano molti altri
Intanto l’ADN Kronos scrive che oltre alla Puglia, anche a Potenza venti persone si sono recate allo sportello locale del Csp (Camera sindacale) della Uil.
“Confermo che anche in Basilicata stiamo ricevendo queste richieste presso i nostri uffici — dice all’AdnKronos Antonio Deoregi, della segreteria regionale Uil — da parte di cittadini che chiedono come funziona il reddito di cittadinanza. Capisco la loro aspettativa ma stiamo spiegando che questa misura non è ancora attiva e non sappiamo se si verificherà . Se dovesse avvenire, tanto meglio”.
A Potenza tale aumento di utenza si era già  registrato per la verifica dell’Isee ai fini del Reddito di Inclusione del Governo ma in quel caso (inizio dicembre scorso) si trattava di una misura diventata operativa.
“Tra i richiedenti — aggiunge Deoregi — ci sono anche persone che già  beneficiano del Reddito di inclusione. Ci sono anche beneficiari del reddito minimo di inserimento regionale che chiedono se è possibile passare al reddito di cittadinanza visto che le somme sono superiori”.

(da “NextQuotidiano“)

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IL SINDACO DI TRIESTE PARCHEGGIA AL POSTO DEI VIGILI, VIENE MULTATO E LUI MINACCIA CONTROLLI NEI CONFRONTI DEGLI AGENTI

Marzo 8th, 2018 Riccardo Fucile

IL GRAN SENSO DELLA LEGALITA’ DEL CENTRODESTRA

Al sindaco di Trieste Roberto Dipiazza non è andata giù la sanzione di 41 euro (scontabili fino a 28 se pagati entro i primi 5 giorni) ricevuta mercoledì 7 marzo, per aver parcheggiato al posto dei vigili urbani.
Una volta vista la multa appoggiata sotto al tergicristalli, il primo cittadino ha fatto riprendere la sua reazione in un video, che ha poi postato sulla sua pagina Facebook.
«Interessante – esordisce-. Non giro con l’autista perchè uso la mia auto. Questa mattina sono arrivato dietro al Comune e non c’era spazio. Forse perchè i vigili non controllano bene chi parcheggia lì… Ho così lasciato l’auto al posto dei vigili».
E poi la chiosa con tono minaccioso: «Andrò immediatamente a pagare la multa, ma d’ora in poi controllerò molto attentamente l’operato della polizia locale».
La richiesta di scuse avanzata dal Sapol Fvg.
A stretto giro di posta arriva la reazione del Sindacato autonomo di polizia locale (Sapol). «È proprio molto interessante aprire Facebook e scoprire che il sindaco di Trieste è stato giustamente multato in quanto il suo veicolo personale si trovava in divieto. E ancora più interessante scoprire, guardando il piccolo cortometraggio postato, che il sindaco ritiene che i “suoi vigili urbani” non facciano il proprio dovere e poi si lamenti quando lo fanno minacciando, neanche tanto velatamente, di controllare personalmente l’operato della polizia municipale, come se ritenesse che vi sia qualcosa di “losco” all’interno del Corpo.
Ricordiamo al signor sindaco – riprende la nota – che la polizia locale di Trieste non ha nulla da nascondere, che può venire a controllare il nostro operato quando e come vuole, così magari imparerà  tante cose in più sul nostro lavoro colmando le attuali gravi lacune».
E ancora: «Ricordiamo al signor sindaco che non è il padrone di Trieste ma solo un amministratore della res publica e che quindi i vigili non sono “suoi”.
Per questo chiediamo le formali scuse da parte del primo cittadino al Corpo della polizia locale e agli agenti che, multandolo, hanno compiuto il proprio dovere».
Poco dopo è arrivato anche il post del vice di Dipiazza e assessore alla Polizia locale, Pierpaolo Roberti, che al sindaco dà  il “benvenuto nel club del “chi sbaglia paga”, mi sento meno solo ora!».
Solo a dicembre, infatti, anche lo stesso vicesindaco era stato multato, come ricorda lui stesso in un post.

(da “La Stampa”)

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BOSSI: “LA LEGA A LIVELLO NAZIONALE SI FERMA SUBITO”

Marzo 8th, 2018 Riccardo Fucile

“IL RISULTATO BASSO DI BERLUSCONI? HA DETTO TROPPE CAZZATE”

“Il risultato basso di Berlusconi? Era prevedibile, ha detto troppe cazzate. Come quando ha detto “do il lavoro ai giovani, non facendo pagare i contributi Inps alle imprese”. Ma così salta il paese”.
C’era anche Umberto Bossi alla festa organizzata dai militanti leghisti di Varese per Attilio Fontana, il presidente della Regione Lombardia.
Neoeletti, amici di Fontana (tra cui anche l’ex ministro Francesco Speroni e il presidente uscente del Consiglio regionale, Raffaele Cattaneo) e circa 200 militanti si sono radunati sotto il balcone della storica sede leghista.
Anche il fondatore della Lega ha voluto partecipare e, intercettato dai cronisti, ha commentato i risultati delle elezioni e le manovre per formare un governo.
“Me l’aspettavo, la Lega è troppo forte, sapevo che avrebbe trascinato chiunque. Ma a livello nazionale si ferma subito. Sarà  difficile fare un governo”

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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LA LOMBARDI NE HA PER TUTTI MA SOPRATTUTTO PER LA TAVERNA

Marzo 8th, 2018 Riccardo Fucile

LA CANDIDATA SCONFITTA DA ZINGARETTI SPIEGA CHI L’HA AIUTATA E CHI NO

Roberta Lombardi rompe il silenzio dopo la batosta epocale che ha preso a Roma da Nicola Zingaretti e in un’intervista rilasciata a Simone Canettieri sul Messaggero oggi mette qualche puntino sulle i riguardo il suo rapporto con base e vertici del MoVimento 5 Stelle, lanciando anche una stoccata a un obiettivo impensabile (si fa per dire): Paola Taverna.
Con una delle tecniche preferite dal M5S: ignorarla.
Sicuramente ho commesso degli errori, è umano, ma ho dato davvero il massimo e di più non avrei potuto umanamente fare
Ma i suoi errori?
Lo sbaglio, forse, è stato forse farci trovare impreparati sui territori. In molti hanno lavorato duro, altri andavano rilasciando interviste dicendo che avrebbero votato Zingaretti
Parla del sindaco ex M5S di Pomezia Fabio Fucci, d’accordo. Però lei è divisiva, non crede?
Quando sono partita in gran parte dei comuni e delle province ho trovato il vuoto. Meet up che non si parlavano, faide interne. Me lo faccia dire: eravamo meno uniti noi nel Lazio con una sola lista che gli altri con un’ammucchiata di sigle.
Nè Di Maio nè Raggi si sono mai spesi per lei nè fisicamente e nemmeno virtualmente sui social
Su Luigi ho spiegato, riguardo a Virginia è il sindaco di Roma, ha voluto mantenere un profilo istituzionale. Tra l’altro mi ha chiamata ieri, è stata molto carina e cordiale.
Forse al M5S andava bene la sua sconfitta.
No, sono stata sovrastimata: di fronte a un avversario durissimo come Zingaretti e a un centrodestra che sui territori ha ritrovato compattezza, pensavano bastassimo io, la mia forza e la mia conoscibilità  per vincere nel Lazio. Serviva tutto il M5S
Le è stato vicino Di Battista ma Taverna, romanissima, si è defilata. Perchè?
Alessandro è una persona sincera, leale, a cui voglio bene.

(da “NextQuotidiano”)

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