Marzo 9th, 2018 Riccardo Fucile
AVETE LETTO BENE, NON DOSI DI COCAINA, NON EVASORI DELLE TASSE COMUNALI, NON AUTO DI CHI GUIDA “FATTO”, MA MIMOSA ALO STATO PURO NON TAGLIATA
L’8 marzo, per celebrare la festa della donna, i vigili urbani di Genova con la supervisione dell’assessore Mr. Crisantemo, hanno sventato il colpo del secolo sulle rive del Bisagno.
Altro che neutralizzare Arsenio Lupin che agiva indisturbato in prossimità delle rive della Senna, qua si fa sul serio.
Un comunicato del Comune ci dà il dettaglio del bottino della poderosa macchina da guerra scesa in campo.
Sono stati sequestrati 1.237 mazzetti di mimosa “venduti abusivamente”, cosi ripartiti: in Centro 932 mazzi, nei vicoli 170 mazzi, altrove 135 mazzi.
La notizia non è stata ancora diffusa per la città con gli altoparlanti sulle auto dei vigili, ma i pochi fortunati che ne sono venuti a conoscenza stanotte hanno finalmente potuto riposare serenamente, sapendo che la legalità è stata ripristinata: padroni dei fiori a casa nostra, rimpatriare le mimose clandestine che vengono in Italia per delinquere.
Poi quel giallo è sospetto, fa pensare a infiltrazioni di terroristi asiatici, di strani infusi per “caricare” islamisti che odiano le rose italiane e pure i crisantemi e magari si fanno esplodere in un tripudio di petali.
E’ cosi’ che si bloccano le mimose invasive, fermandole sul bagnasciuga di Genova e affondando i vasetti, perbacco.
Altro che centinaia di guidatori fatti di coca e alcool che guidano indisturbati per la città tanto non li ferma nessuno per un controllo, altro che migliaia di cartelle esattoriali inevase, tubi che scoppiano, buche e rumenta, marchette ai poteri forti.
Il degrado è rappresentato dai poveri che frugano nei cassonetti e da chi vende dieci mazzette di mimosa per potersi mangiare un panino.
Che la mimosa sia con voi e una risata vi seppellisca.
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Marzo 9th, 2018 Riccardo Fucile
ALLA PRIMA RIUNIONE M5S ARRIVANO TUTTI A BORDO DI TAXI… CONSEGNA DEL SILENZIO DA PARTE DEI VERTICI
L’assemblea dei nuovi eletti M5s inizia con un corteo di taxi.
Tutti i deputati e i senatori arrivano davanti l’hotel Parco dei principi a bordo delle auto bianche e naturalmente si fanno dare la ricevuta per il rimborso. Le macchine sono talmente tante che intasano il lussuoso ingresso dell’albergone nel cuore dei Parioli di Roma.
Una neo deputata, tailleur e tacchi a spillo, scende dall’auto: “Come mi chiamo? Chiamatemi onorevole”.
In poche ore, nel mondo pentastellato, non ci sono più i mezzi pubblici, le passeggiate tra i “cittadini” e dal vocabolario sembra essere sparita anche la parola “portavoce”, come si facevano chiamare i parlamentari eletti.
Non c’è neanche più l’hotel Saint John in zona Esquilino, albergo abbastanza defilato e non utilizzato per eventi politici, dove i 5Stelle si erano radunati nel 2013. Ciò che è rimasto identico è la consegna del silenzio, ovvero il divieto assoluto di parlare con la stampa. Tra le tante auto bianche passa anche una smart. I cronisti chiedono: “È parlamentare?”. Questa volta si riceve risposta: “No, io sono berlusconiano nell’anima”. Niente da fare.
Eppure un tempo alcune riunioni venivano trasmesse in streaming e gli aspiranti capigruppo dovevano sottoporsi alla cosiddetta graticola, cioè a un fiume di domande per poi essere votati dai deputati e senatori.
Oggi, 5 anni dopo, i 334 tra deputati e senatori pentastellati (quasi il triplo della scorsa legislatura) si ritrovano per il loro primo appuntamento di ‘conoscenza e formazione’ in un hotel con soffitti stuccati, drappi, bar con le tovaglie di Fiandra e uomini della vigilanza ovunque.
Possono accedere alla sala riunione solo i deputati e i senatori eletti, mostrando il documento di identità . Viene dato loro un adesivo con scritto “Guest” così da essere riconoscibili ed evitare infiltrati.
A un certo punto, nel marasma dei taxi, dei grillini e delle telecamere, si vede una ragazza veneri fuori dall’hotel con la sacca della palestra. Non è una deputata ma è appena uscita dalla spa.
Inizia a urlare a favore di telecamere: “Sì, sì, Movimento 5 Stelle si chiamano così perchè vengono nell’albergo 5 stelle. Poi vogliono dare il reddito di cittadinanza, a me non serve… ma li voglio proprio vedere”.
Nessuno dei parlamentari raccoglie questa provocazione, che se scegli un hotel ai Parioli può arrivare.
Sta di fatto al bar dell’albergo, prima di iniziare l’assemblea, si sofferma un gruppetto di neo eletti un po’ spaesato: “Non so se i meetup se ne sono accorti, ma il M5S sta diventando partito a tutti gli effetti…”.
La hall dell’albergo è un proliferare di gruppetti in attesa che parli il capo politico. Una eletta risponde al collega, dopo uno scambio di congratulazioni per l’avvenuta elezione: “gli attivisti vanno portati dentro, è un processo che va fatto assolutamente dandoci una struttura ben radicata sul territorio”.
Riflessioni politiche che però non arriveranno nelle sale della riunione che invece rimane piuttosto logistica e organizzativa. A parte la scelta dei due capigruppo: Danilo Toninelli al Senato e Giulia Grillo alla Camera. È stato Luigi Di Maio a indicarli e la platea ha risposto con un applauso.
Niente a che vedere però con la standing ovation riservata al candidato premier, diffusa poi su tutti i social: “State tranquilli – ha detto – al governo ci andremo noi: ce la faremo”. E in ogni caso “se dovesse invece nascere un governo Pd-FI-Lega prenderemo i popcorn: vedremo presto crescere ancora il nostro consenso”.
Poco dopo Danilo Toninelli aggiunge: “Su Di Maio premier non si tratta” per il resto “parliamo con tutti”.
Solo i big possono dichiarare davanti alle telecamere. I parlamentari uscenti si limitano a brevi battute. Arriva per esempio Stefano Vignaroli, a bordo della sua moto, praticamente l’unico ad essere arrivato con un suo mezzo: “Alleanza tra Lega e Pd? Oggi parliamo di M5s. Abbiamo vinto”.
I riconfermati arrivano in trionfo, chi con occhiali da sole come Sergio Battelli saluta le telecamere, chi come i rappresentanti del sud fieri di aver fatto il pieno di collegi.
I nuovi si muovono con difficoltà . “Il mio nome? Non lo posso dire”. E un altro a domande precise risponde: “Buongiorno, buongiorno, buongiorno”.
E poi si infila nella hall dell’hotel in salvo. Carlo Sibilia, anche lui assalito dai cronisti, si ferma e dice: “Sicuramente il Def è una questione importante e noi cercheremo di inserire quelli che sono i nostri obiettivi per il programma”.
Anche di programma non si è parlato durante la riunione. Poi Davide Casaleggio ricorda: “Con Rousseau è stato creato un nuovo incredibile sistema di partecipazione”. Di Maio arriva quasi per ultimo e se ne va per primo dopo un’ora, anche in taxi, completo blu d’ordinanza dopo mezz’ora di discorso le chiedere ai suoi “di essere compatti in questa fase delicata”.
Come si addice a un leader, a un segretario, insomma a un presidente.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 9th, 2018 Riccardo Fucile
GIACCA E CRAVATTA E TAILLEURS D’ORDINANZA: “E’ TEMPO DI GOVERNARE”… NEOELETTI DEL SUD SPAESATI, CELLULARI VIETATI: “ABBIAMO GLI OCCHI PUNTATI ADDOSSO”
Uomini in giacca e cravatta e signore in tailleur perchè il tempo della felpa è chiaramente finito: basta barricate, è tempo di governare.
A Milano, a due passi dal cenacolo vinciano dove Salvini, che festeggia il suo compleanno, ha radunato la truppa dei suoi 183 parlamentari, c’è aria di festa, sì, ma si respira la serietà di una nuova investitura: via gli slogan e un mantra da recitare, quello della “responsabilità “.
Arrivano alla spicciolata, trafelati, qualcuno è parecchio in ritardo. C’è chi ha la valigia, chi ha fatto il viaggio insieme ai colleghi della stessa regione.
Sono tanti e sorridenti come non se ne erano mai visti, arrivati a Milano da tutta Italia per farsi dettare la linea da Salvini.
Ci sono i riconfermati, le new entry spaesate che a qualsiasi domanda dei giornalisti rispondono “decide Salvini”, i riciclati di altri partiti, dagli ex An agli ex Pdl, che hanno appena traslocato sotto il tetto di Alberto da Giussano, ormai sdoganato anche nel Sud più profondo.
Ed è da qui, dalla Puglia, dalla Campania, dalla Basilicata, dalla Calabria, dalla Sicilia, che arrivano una ventina di parlamentari del nuovo Carroccio.
Pina Castiello, chioma bionda che risalta sul completo nero, eletta col proporzionale ad Aversa, è stata riconfermata alla Camera. Ex An, poi Pdl, poi Forza Italia, è con la Lega da maggio del 2016 e ora difende l’avamposto salviniano in Campania.
Perchè, scandisce, “la nostra regione ha bisogno di più sicurezza e attenzione al territorio, a partire dalla Terra dei Fuochi”.
E, almeno da oggi in poi, per farlo serve Salvini. Perchè alla domanda “Berlusconi è tramontato come leader?” scappa ridendo: “Devo prendere un aereo”, taglia corto.
Roberto Marti, ex berlusconiano salentino appena eletto senatore, è riuscito nell’impresa di portare il Carroccio in Puglia sopra il 6 per cento, uno dei numeri più alti al Sud: “In alcune zone e comuni siamo arrivati all’otto percento”. Un successo che, a detta sua, gli permette di dire: “Nel Mezzogiorno meglio noi dei grillini perchè in questi anni hanno fatto i fantasmi nelle istituzioni locali”.
Di ex che hanno fatto il colpaccio, insomma, ce ne sono molti. Qualcuno scherza: “Se uno non ha proprio vent’anni è per forza ex di qualcosa…”.
Meno disinvolti dei colleghi di lungo corso sono invece i neoeletti.
Gianluca Cantalamessa arriva, abbronzatissimo, di corsa. Da Coordinatore di Noi con Salvini a Napoli a Montecitorio. Cosa si aspetta da un eventuale governo Salvini? “Tante belle cose”, liquida chi prova a fargli una domanda.
Alberto Stefani, 25 anni, giovanissimo neoeletto nella provincia di Vicenza, ripete un “deciderà Salvini” ad ogni piè sospinto.
Una squadra di nuovi deputati toscani arriva in taxi, con l’eloquente espressione di chi ha espungnato la regione rossa.
Salvini carica i suoi nel corso dell’incontro con i neo parlamentari, durato tre ore. Nel corso dell’incontro a porte chiuse – viene riferito – il segretario della Lega avrebbe più volte esortato i neo eletti a restare se stessi e a non farsi “ammaliare dalle sirene” romane. “Abbiamo gli occhi puntato addosso”, avrebbe detto.
Bossi che sottolinea “il mio cuore batte ancora per la libertà del Nord”, è l’unica voce fuori dal coro di questa Lega nazionale, mentre Giulia Bongiorno, la neo leghista più discussa di questa tornata elettorale, cerca di sfuggire invano alle telecamere.
Assalita da decine di giornalisti entra ad una riunione, quella con il nuovo leader del centrodestra, completamente blindata. “Non possiamo portare nemmeno un parente”, sorride un neoeletto.
E nemmeno il cellulare: va lasciato all’ingresso. Due ore di riunione dalla quale trapela poco, perchè “bocche cucite” è l’indicazione.
Così come “ricordatevi di mettere la cravatta in Senato” viene puntualizzato ai novellini. Benvenuti nella nuova Lega.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 9th, 2018 Riccardo Fucile
“NESSUN ACCORDO CON IL M5S, FACCIANO UN GOVERNO E VEDRETE CHE DURA DUE MESI”
“Se continua questa autoflagellazione, alle prossime elezioni ci troveremo a scegliere tra il movimento 5 Stelle e la Lega”. Parola del neo iscritto al Pd Carlo Calenda.
“E sarà la fine della partecipazione democratica in Italia – aggiunge il ministro dello Sviluppo economico parlando coi militanti dem nella sede Pd di via dei Cappellari – dobbiamo tenere il Paese sulla rotta delle riforme e della governabilità “.
“Sono state elezioni straordinariamente difficili – ha proseguito Calenda – perchè nuotiamo contro una corrente molto impetuosa che sta mettendo in crisi i partiti riformatori in tutti i Paesi occidentali. Siamo stati sonoramente sconfitti anche da un momento difficile della storia che impone un ripensamento profondo della partecipazione politica”.
alenda interviene sul tema delle possibili alleanze per un governo che al momento pare impossibile.
“Nessun accordo con il M5s – dice – dobbiamo salvare l’Italia riformista che scompare se facciamo un accordo con i 5 stelle”. “Facciamogli fare un governo – continua – dura due mesi. Ve lo dice chi ha provato a lavorare con Virginia Raggi. L’interesse generale del Paese è che il Pd torni sopra il 30 per cento, o il Paese va verso un periodo oscuro”.
(da agenzie)
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Marzo 9th, 2018 Riccardo Fucile
SE NE VA VIA CON UNA RENDITA DI POSIZIONE TALE CHE CHI RIMANE RISCHIA DI TROVARSI UN GUSCIO SEMIVUOTO
C’è una lettera, nelle mani del presidente del Pd Matteo Orfini, che contiene le dimissioni di Matteo Renzi da segretario del partito. Proprio una lettera, come in “La lettera ai Romani” di San Paolo, “La lettera rubata” di E. A. Poe, “La lettera scarlatta” di Hawthorne (che in questo caso è riferimento ad alfabeto), “La lettera a un bambino mai nato” di Oriana Fallaci, “La lettera sulla felicita’” di Epicuro.
Oggetto intensamente letterario, in quanto simbolo di una comunicazione che cambia I destini: disvelamento, buona novella, tragedia?
È possibile che il Segretario al momento della decisione non pensasse alla letteratura, e tuttavia, la scelta di inviare al proprio Partito una missiva, in epoca di tweet, blog, sms, facebook, è un gesto che da solo fornisce una particolare caratura alle dimissioni. Non a caso il dibattito di questi giorni è pieno, per ora, soprattutto di domande.
Cosa ci sarà scritto in quei fogli? Dimissioni sì, ma in che termini, con quale scadenza, con quali parole?
La prima cosa che si deve svelare sono proprio le condizioni perchè il segretario lasci, e, nelle frasi scelte e nei tempi, ci sarà da leggere il percorso di questo addio, se addio sarà e non un allontanamento.
La lettera insomma, ha creato, per pura forza dell’attesa, un evento. E finchè non sarà aperta e letta, è lo strumento con cui, pur rimanendo in silenzio, Matteo Renzi continua a tenere nelle proprie mani la comunità politica, non solo del suo partito.
Nemmeno nel momento del suo declino il segretario perde, così, la forza del suo protagonismo.
Prima era centrale nell’equilibrio della scena come dominus della costruzione, oggi lo è come “garante della instabilità “.
La sua figura, infatti, è ormai così controversa che se rimane al suo posto nulla si può sciogliere del nodo politico. Non il futuro del suo partito, non quello delle possibili o meno coalizioni future con altri partiti.
E siccome le grandi scelte passano (o cadono) in Parlamento attraverso piccole scelte, Renzi oggi ha in mano il pallino di molte decisioni grandi e piccole.
Cosa vorrà il segretario in cambio di queste dimissioni? È certo, ed è anche comprensibile, che il Segretario non vada via da Cincinnato.
Avrebbe già potuto farlo e non l’ha fatto dopo il referendum – il Cincinnato moderno va ad Harvard o a Science Po a studiare e insegnare.
Nel gioco dei condizionamenti è molto importante la carica di presidente del Senato, dove le maggioranze sono sempre più friabili. In molti hanno pensato che Renzi volesse per sè questa carica. Ma questa possibilità appare già sfumata, visti gli scarsi numeri nelle assemblee del Pd sconfitto nelle urne.
In ogni caso è quasi certo che, come ha fatto anche quando è andato via da Palazzo Chigi dopo il referendum, Renzi intenda lasciare una rete propria di influenza nei palazzi del potere.
Si parla ora di presidenza del Copasir, il comitato di controllo parlamentare della intelligence. Una vecchia ossessione renziana, questa dei Servizi, la cui guida va sempre in bilanciamento, essendo una Commissione di garanzia.
Ma la lista delle posizioni che i renziani potrebbero chiedere è lunga: c’è dentro la ampia area delle poltrone nelle aziende pubbliche, in cui i renziani hanno già fatto la parte del leone in passato e dove potrebbero volere molte riconferme.
Non ultima nella lista c’è anche una quota Rai che, in virtù del suo grande potere economico e mediatico, è notoriamente un boccone che entra a pieno titolo nella compensazione di cariche politiche.
Ci sono poi le future garanzie dentro il partito stesso per quel che riguarda lo spazio dei renziani. Le regole per la scelta del successore sono in questo senso decisive: si sceglierà un Segretario nel pieno delle proprie funzioni in Assemblea nazionale?
La assemblea è però sede molto squilibrata dagli attuali rapporti di forza tutti a favore di Renzi, ed è un organo elitario per quanto ampio. Occorrerà dunque andare direttamente al congresso? e con quali regole? Con primarie o meno? E quando, senza entrare in fase di nuova tornata elettorale nel 2019?
In ogni caso è improbabile che Renzi rinunci ad avere un suo uomo o un uomo di mediazione al vertice del Partito.
A complicare le cose di questo passaggio di testimone è il fatto che presto, cioè già dal 23 quando si sarà insediato il Parlamento, il governo del Pd retto da Gentiloni sarà infine dimissionario. Il Pd come partito dunque non avrà più lo strumento che finora ha usato a suo vantaggio, che è quello di operare dentro le istituzioni da Palazzo Chigi. Cosa che renderà più debole il partito già uscito debole dalle urne
Viceversa i gruppi parlamentari della legislatura sono nelle mani del Segretario, che ha fatto le liste elettorali.
Insomma, come si vede, le dimissioni sono in effetti solo una parte della dinamica in corso. Se il Segretario infatti va via ma con una rendita di posizione molto forte, chi rimane nel partito rischia di trovarsi nelle mani un guscio semi-vuoto. Altro che trattative per coalizioni, e altro che nuovo Pd.
Non è dunque strano che in queste ore tutti, da membri del Pd a avversari e/o alleati politici, stiano in attesa di cosa farà il Segretario. Con la conseguenza surreale che nella prima settimana dal voto i due vincitori delle urne, Salvini e Di Maio, sono rimasti silenziosi a guardare a bordo campo, in attesa di chiarimenti.
E l’ex premier e Segretario, che ha avuto in mano il boccino della vita politica italiana nella sua traiettoria di successo, continua a tenerselo bello stretto, anche nella traiettoria del suo insuccesso. L’importanza di essere Matteo Renzi.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 9th, 2018 Riccardo Fucile
L’UNINOMINALE INGLESE E IL MATTARELLUM AVREBBERO SOLO AVVICINATO IL CENTRODESTRA A UN PELO DALLA VITTORIA
Non tutta la colpa è del Rosatellum. Se non c’è una maggioranza è soprattutto colpa dei risultati elettorali, cioè dei numeri.
C’è un però: con altri sistemi elettorali la situazione sarebbe “meno ingestibile” di quanto è in questi giorni in cui è difficile comporre una base parlamentare per far partire un governo, con tre poli inconciliabili (due più larghi, uno meno).
Per esempio con il Mattarellum al centrodestra non mancherebbero 60 voti come ora, ma “solo” 25, mentre con il sistema uninominale all’inglese avrebbe raggiunto i 160 senatori e i 301 deputati, quindi a 15 deputati dalla meta.
I numeri emergono da una elaborazione di YouTrend.
“Che lo stallo prodotto dalle elezioni di domenica scorsa sia dovuto al Rosatellum è una vera e propria bufala” scrive Salvatore Borghese su YouTrend.
Più chiaramente, aggiunge Borghese, “il meccanismo di trasformazione dei voti in seggi (una legge elettorale è essenzialmente questo) non può intervenire sui voti espressi dagli elettori: può soltanto usare metodi diversi per convertirli in seggi. Il risultato di queste elezioni è uno stallo per un semplice motivo: i voti si sono distribuiti in modo tripolare.
‘Tripolare’ non vuol dire che ci sono tre poli che hanno avuto lo stesso numero di voti: vuol dire che ci sono tre poli di grandezza rilevante“. Dunque “non è certo stato il Rosatellum a far votare gli italiani in questo modo: le intenzioni di voto segnalavano che esisteva un tripolarismo già molti mesi prima che la legge fosse concepita e approvata“.
Nessuna maggioranza con qualsiasi sistema
Nessuno dei sistemi elettorati “provati” dagli analisti applicando i risultati del 4 marzo avrebbe dato al Parlamento una maggioranza.
Nè il Consultellum o lo “spagnolo” che negli anni è stato proposto dai Cinquestelle, nè il sistema di doppio turno di collegio (“alla francese”) di cui era fautore Bersani quando era leader del Pd nè il simi-tedesco su cui si erano messi d’accordo Pd, M5s, Fi e Lega a giugno (l’accordo poi saltò per altre questioni).
Un aspetto, però, questo studio lo indica: una “correzione” maggioritaria o un premio di maggioranza permettono al partito o alla coalizione che arriva prima almeno di avvicinarsi un po’ all’asticella utile dei 316 deputati alla Camera e dei 158 senatori. Quindi è vero che la maggioranza non sarebbe stata comunque raggiunta, ma è anche vero che dei meccanismi per facilitare le operazioni di “assemblaggio” ci sono.
Il sistema simil-tedesco del patto Pd-M5s-Fi-Ln
Partiamo dai sistemi proporzionali. Uno di questi è proprio il “simil-tedesco” (perchè fu chiamato “tedesco” in Parlamento ma era parecchio diverso). In questo schema il meccanismo si sviluppa su base regionale.
Ad ogni modo, i primi sarebbero stati — come adesso — i Cinquestelle con 250 deputati, mentre il centrodestra si sarebbe fermato a 228 (seguito dal centrosinistra con 138).
Tutt’e tre i poli avrebbero avuto un gruzzolo di voti in più a Montecitorio per effetto della soglia di sbarramento che in questo caso sarebbe stata al 5 per cento e quindi avrebbe tagliato fuori — per esempio — Liberi e Uguali e Fratelli d’Italia.
Lo spagnolo preferito dal M5
Poi c’è lo “spagnolo“, che prevede collegi molto piccoli (diciamo su base provinciale) con liste di candidati molto brevi, al quale si ispirava a un certo punto il modello principale dei Cinquestelle, quello elaborato con le numerose votazioni online sul blog di Beppe Grillo.
In questo caso il M5s, secondo YouTrend, avrebbe raggiunto quota 266 deputati contro i 212 del centrodestra. Il centrosinistra ne avrebbe avuti 139.
Il Greco, tra le vecchie opzioni Pd
Il sistema greco, che prevede un premio di maggioranza al partito vincente. Ma è un premio che funziona solo se la prima lista — nel caso italiano il M5s — supera il 35 per cento. Col 32 viene fuori una situazione più incerta: il Movimento avrebbe eletto 290 candidati, il centrodestra sarebbe stato rappresentato da 203 deputati, il centrosinistra da 106 (la pattuglia di Liberi e Uguali sarebbe stata di poco più consistente: 19).
Quel gran pezzo del Porcellum
Il sistema che avrebbe dato la maggioranza è il Porcellum, ma proprio per effetto di quel premio di maggioranza decretato come “incostituzionale” dalla Corte costituzionale. In questo caso, comunque, al centrodestra sarebbero andati 341 deputati, ma solo 136 senatori per effetto del “bug” che la “Porcata” di Calderoli ha sempre portato con sè, cioè sulla diversa distribuzione del Senato che — per indicazione della Costituzione — deve seguire un modello regionale.
Tra i proporzionali c’è anche l’Italicum, altra legge spazzata via dalla Consulta.
In questo caso, spiegano da YouTrend, è difficile prevedere il numero esatto di parlamentari per ogni schieramento perchè la legge fatta approvare con i voti di fiducia dall’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi prevedeva un ballottaggio. Quindi gli analisti hanno previsto tutti gli scenari (vittoria M5s, vittoria centrodestra, vittoria centrosinistra).
In realtà , dopo le correzioni profonde della Corte Costituzionale, quello che è rimasto è il Consultellum, sistema sul quale spingeva a un certo punto il M5s.
Ma anche in questo caso, niente: i Cinquestelle avrebbero raccolto al massimo 224 deputati, il centrodestra 243, il centrosinistra 128.
Questa legge — essendo proporzionale pura, dopo che la Consulta l’ha “denudata” — sarebbe stata la più generosa nei confronti di Liberi e Uguali che avrebbe avuto alla Camera 23 suoi rappresentanti.
Il sistema francese e “l’effetto Parma
Poi ci sono tre opzioni maggioritarie o comunque “più maggioritarie“.
In un caso, il sistema “alla francese“, che funziona con il doppio turno di collegio (cioè se un candidato non supera un tot, vanno al secondo turno tutti coloro che hanno superato il 12,5), non permette naturalmente di avere un’idea chiara sul numero dei parlamentari per ogni schieramento.
Infatti YouTrend può solo ipotizzare — dati alla mano — a quanti duelli avrebbe partecipato ogni coalizione o partito: così, per la Camera, il M5s sarebbe stato in 201 sfide, il centrodestra in 133 e il centrosinistra in 113. E in un quadro tripolare, a seconda delle aree del Paese, si è visto che quasi sempre i Cinquestelle sono quelli che ne beneficiano perchè gli elettori di destra votano contro quelli di sinistra e viceversa (o almeno è stato così finora, come si è visto in tutte le vittorie alle amministrative, da Parma e Livorno a Roma e Torino).
Caro vecchio Mattarellum
Ci saremmo avvicinati a una maggioranza (di centrodestra) col caro vecchio Mattarellum, che peraltro la Lega e il Pd avevano proposto ma Forza Italia non ha voluto nel patto che alla fine ha portato al Rosatellum.
Con il sistema ideato dall’attuale capo dello Stato il centrodestra avrebbe avuto 291 deputati, lasciandone 249 ai Cinquestelle e 90 al centrosinistra, mentre al Senato la ripartizione sarebbe stata con 152 parlamentari per Berlusconi, Salvini e Meloni, 117 per il M5s e 61 per il centrosinistra.
Più vicini alla maggioranza? Con il sistema inglese
A sorpresa, ma mica tanto, il sistema che si sarebbe avvicinato di più a una maggioranza è quello uninominale “puro”, come c’è nel Regno Unito, cioè col sistema first-past-the-post che tradotto alla grossa significa che, a turno unico, il candidato che ha un voto in più viene eletto e gli altri restano a secco.
Il centrodestra in questo caso avrebbe superato la quota al Senato (160), mentre alla Camera avrebbe dovuto cercare una quindicina di deputati in soccorso. I Cinquestelle avrebbero avuto 253 deputati, il centrosinistra solo 76.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 9th, 2018 Riccardo Fucile
“QUESTA LEGISLATURA E’ UN ESPERIMENTO, TUTTI DEVONO FARE LA LORO PARTE”
Il successo elettorale dei Cinque Stelle e della Lega non preoccupa più di tanto chi, come Elena Cattaneo, negli ultimi anni ha visto in prima persona quanto sia complicato il rapporto tra scienza e politica.
Il punto, secondo la ricercatrice e senatrice a vita, è che il lavoro da fare è talmente grande e importante che sarebbe riduttivo farlo dipendere da questa o quella maggioranza di governo.
“Serve un altro livello di pensiero, oltre al quotidiano, che è la visione a lungo termine. Serve una strategia per il Paese a 10-20 anni che dovrebbe prescindere dai cambi di governo”.
Incontriamo Elena Cattaneo all’Accademia dei Lincei, dove ha appena tenuto una conferenza dal titolo “Scienza e politica: dal dialogo all’integrazione possibile”, parte di un ciclo di lectures affidate a cinque donne che stanno contribuendo allo sviluppo umano con il loro impegno nel campo della scienza e della politica.
Dove sono finite la scienza e la ricerca in campagna elettorale? Chi le ha viste?
“Non si è parlato mai nè di scienza nè di ricerca, non sembrano essere parole nella testa del Paese. La domanda è: della scienza importa qualcosa a qualcuno in questo Paese? Se andiamo a vedere i programmi elettorali, c’erano coalizioni in cui la parola ricerca non compariva affatto o addirittura figurava con voci contrarie. Non penso che la scienza sia la panacea di tutti i mali, ma dobbiamo ribadire che una solida cultura scientifica tende a evitare e risolvere i conflitti, tende a consigliare approcci pragmatici e non ideologici nell’affrontare le questioni”.
Perchè è così difficile per la politica capire che dalla scienza può derivare ricchezza, non solo culturale, ma anche economica?
“La percezione è che la scienza non serva alla sopravvivenza di una politica che è fatta di azioni quotidiane, ricerca del consenso, confronto pubblico e conflitto elettorale. Come parola chiave la scienza non riesce a entrare perchè si avrebbe bisogno di un altro livello di pensiero, oltre al quotidiano, che è la visione a lungo termine. Ci deve essere una strategia per il Paese, che significa decidere oggi dove vorremmo essere tra vent’anni. Nel momento in cui si stabiliscono degli obiettivi, servono delle procedure e delle regole per raggiungerli, per impedire i deragliamenti”.
Di deragliamenti, anche negli ultimi anni, ne abbiamo avuti parecchi…
“Gli esempi per me più lampanti, anche se diversi, sono il caso Stamina e il finanziamento arbitrario di Human Technopole. Nel primo caso, per inseguire il consenso e non passare per il partito che non voleva curare i bambini, la politica italiana ha scelto deliberatamente di sbagliare: le regole e le competenze per capire c’erano, non eravamo talmente allo sbaraglio da essere così esposti al ciarlatano di turno. Se ci ricordiamo esisteva un decreto (Turco-Fazio del 2006) la cui semplice adozione avrebbe impedito all’ospedale di Brescia e al Parlamento di andare nelle direzioni in cui si è andati. Già da li si capiva che non c’era storia, che Stamina non poteva essere un trattamento compassionevole perchè non rispondeva neanche ai requisiti di questo decreto che pure aveva molte lacune. Non solo avevamo una legge, ma c’erano anche le prove: l’Aifa aveva già emesso un’ordinanza di blocco, ma è stata disattesa. Senza dimenticare che l’Italia è un faro nel mondo per le terapie staminali: possibile che a nessun parlamentare fosse venuto in mente di sentire uno di questi luminari? Poi c’è stata un’indagine conoscitiva in Senato e un’ammissione di colpa, ma questo per me resta un esempio molto forte di cosa vuol dire una decisione sbagliata”.
L’altro esempio è Human Technopole, che lei ha criticato in varie occasioni.
“Per me, è un altro esempio di decisione aberrante per come è nata. È mancato completamente il principio di moralità , vale a dire l’uso corretto, produttivo e verificabile dei fondi pubblici che impone la possibilità un’apertura a tutta Italia. Qual è il beneficio per il cittadino nel procedere verso questa assegnazione arbitraria? In assenza di un bando competitivo, non sapremo mai se ci sarebbe potuta essere un’idea migliore. Così è stato un gesto d’imperio, dall’oggi al domani. Se si mettono lì 100 milioni ogni anno al resto del Paese non resta più niente”.
Perchè è così difficile nel nostro Paese tenere dritta la barra? Cosa manca?
“Non c’è una catena di trasmissione che consenta di utilizzare l’innovazione per produrre un mercato. Manca una certa qualità nelle istituzioni scientifiche, nella loro capacità di trasmettere e innovare. Manca una struttura che permetta alle nostre idee di emergere. Questi elementi sono abbandonati alla fortuna o alle occasioni casuali di generare valore”.
Da dove si comincia?
“È necessario creare degli strumenti che accompagnino e aiutino la politica nel prendere le decisioni. Servono dei presidi scientifici a cui il Parlamento possa rivolgersi. Negli altri paesi con un’economia florida si tende sempre più a costruire attorno all’evidenza perchè ci sono questi presidi che rappresentano dei punti di riferimento per la politica: sono l’ingranaggio che collega ciò che si fa nei laboratori e alle scelte dei politici. Hanno il ruolo di informare e arginare le bufale, ma anche di diffondere una cultura del metodo e della responsabilità nell’assegnazione delle risorse pubbliche. Negli altri paesi le Agenzie della ricerca non sono una brutta parola, come sembra in Italia. Secondo la European Science Foundation, su 44 paesi del continente europeo siamo tra i cinque che non hanno un’Agenzia, quando molti paesi ne hanno più di una. Ma noi non abbiamo mai avuto neanche degli science advisors che consiglino il governo, nè uno science office che possa essere consultato dal Parlamento. Manca una visione, e in assenza di strategie il vuoto rischia di riempirsi di corruzione, anche del metodo. Abbiamo del denaro che si disperde in mille rivoli. Anche dove ci sono finanziamenti, manca addirittura un registro dei progetti finanziati. L’aspetto rassicurante è che non sono misure difficili da attuare, si tratta solo di formare una catena di procedure”.
Lei insiste molto sulla sacralità dei finanziamenti pubblici alla ricerca. “Ogni singolo euro del cittadino è sacro”, ha detto poco fa. Una frase che potrebbe essere uno slogan M5S…
“Ed è proprio così: quel denaro è sacro, ma sacro veramente. Ogni singolo euro. Per questo serve una catena di procedure che risponda a questo impegno di etica pubblica, che è la gestione del denaro dei cittadini con cui puoi disegnare le strade. Ma oltre alla percezione a monte di quella sacralità , servono la capacità e l’ambizione di vedere da qui a vent’anni”.
Il risultato delle elezioni italiane è finito anche su Science, che in un articolo pubblicato il 6 marzo ricorda le posizioni antiscientifiche espresse in passato da M5S e Lega e segnala il rischio di effetti negativi sulla scienza. Se se ne preoccupa una delle più influenti riviste scientifiche del mondo, come facciamo a non preoccuparcene noi?
“Preoccuparsi è lecito e normale, la cosa fondamentale è che ciascuno si senta chiamato a contribuire, ora più che mai. Come diceva Nanni Bignami (il celebre astrofisico scomparso nel maggio scorso a cui Cattaneo ha deciso di dedicare la conferenza, ndr), “se non sei soddisfatto della politica messa in atto da chi hai eletto, sostituisciti a lui”. Governare una democrazia, ho capito appoggiando leggermente il piede là dentro, non è facile. Ci sono urgenze ed emergenze continue, e il nostro è un Paese complesso. Ma è proprio per questo che serve un livello separato, una catena operativa che possa essere svincolata dalle decisioni quotidiane della politica”.
Cosa si aspetta dalla nuova legislatura?
“Non lo so, sono curiosa. È un grosso cambio, un esperimento: facciano il governo e poi vediamo. Sono di quelli che dicono che bisogna comunque fare la propria parte, senza deflettere mai. Saremo lì, vigili e attenti. Se qualcuno ha delle idee buone in questo nuovo governo, saremo pronti ad accoglierle. Su tutto, non solo sulla scienza”.
Quindi tutto sommato resta ottimista?
“Sì, perchè che siamo capaci: questo Paese, nonostante una disattenzione perdurante verso la scienza e la ricerca, fa conquiste straordinarie. Basta aprire oggi Nature per trovare uno studio incredibile su Giove condotto da un gruppo italiano. La capacità della scienza e della cultura italiana di contribuire a livello europeo è enorme. Non siamo ultimi, siamo nelle posizioni più alte delle varie classifiche come produttori di scienza. I nostri giovani sono bravissimi e non hanno paura. Ovvio che hanno la domanda sul futuro, ma questo non li blocca. Ogni giorno arrivano, aprono la porta del laboratorio e si cimentano come se partissero per la Luna. Sono persone che non si spaventano, non si rassegnano. Vorrei solo che qui avessero migliori opportunità “.
Cosa possono insegnare gli scienziati ai politici?
“Lo scienziato tante volte sbaglia, tante volte fallisce. Disegna delle strade per scoprire cose che nessuno conosce. Ci vogliono coraggio, un allenamento costante al pensiero critico e la volontà di consegnare un pezzo alle generazioni future. È un metodo che può contribuire non solo ad arginare le bufale, ma a costruire una società migliore, composta da cittadini informati, allenati al fatto che attorno le cose sono complesse, chè quando erano semplici è perchè si stava peggio”.
Non la spaventa dunque la tendenza alla semplificazione che sta caratterizzando questa epoca?
“Penso sempre che siano momenti di passaggio. Prendiamo internet e l’accusa di semplificare troppo i messaggi. Anche quel mezzo cambierà , come sono cambiate la stampa e la televisione. Pensiamo alla prima locomotiva che è passata dagli Stati Uniti: qualcuno temeva che fosse la fine della società americana. Tutto passa e si modifica. E la scienza serve proprio a questo, a farci passare da un momento all’altro. Certo, in alcune fasi c’è il conflitto… ma anche la semplificazione passerà “.
Cosa fare, nel mentre?
“Non dobbiamo smettere di vigilare. La comunità degli studiosi ha una buona dose di colpe nel filo interrotto tra scienza e politica. La nostra passione non basta, dobbiamo aiutare la politica a costruire sulla razionalità , è un ruolo da riconquistare ogni giorno, soprattutto oggi. Abbiamo la fortuna che è semplice: dobbiamo solo dire la verità , alzarci in pedi ogni volta che qualcuno tenta di omettere o modificare delle scoperte. Certo, la scienza è difficile da spiegare. Quando esci dal laboratorio e cominci a parlare di embrionali staminali o di ogm c’è qualcuno che ti spara addosso. Ma lo scienziato non deve tirarsi indietro, non deve temere il confronto. Dobbiamo essere i primi a combattere contro ogni interferenza che danneggia non solo la nostra libertà , ma l’interesse del cittadino. Dobbiamo difendere la sacralità dell’investimento, quel pezzo di verità conquistata”.
(da “La Repubblica”)
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Marzo 9th, 2018 Riccardo Fucile
RAPPORTO OCSE-PISA: SIAMO IN FONDO ALLA CLASSIFICA QUANTO AI RAGAZZI CHE RIESCONO A ELEVARSI DAL LIVELLO SOCIALE DI PARTENZA
Ascensore sociale fermo, oltre che all’università , anche a scuola in Italia.
A sostenerlo è l’Ocse — l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico — che conta decine di paesi aderenti in tutti i continenti.
Nel nostro Paese, la quota di quindicenni “provenienti da ambienti svantaggiati” capaci comunque di ottenere buoni risultati nel Pisa 2015 — il Programma di valutazione internazionale delle competenze degli studenti in lettura, matematica e scienze — è inferiore alla media Ocse e sotto il dato delle principali nazioni europee. Segno che la scuola italiana non riesce a fare abbastanza per gli alunni provenienti da ambienti deprivati.
All’estero le cose vanno meglio. Basta scorrere i dati forniti dall’istituto con sede a Parigi nell’ultimo report (dal titolo Resilienza scolastica) messo a curato da quattro autori italiani: Tommaso Agasisti, Francesco Avvisati, Francesca Borgonovi e Sergio Longobardi.
L’Italia fanalino di coda
In Italia, soltanto il 20,4 per cento dei quindicenni provenienti da famiglie in situazione di svantaggio socio-economico riescono a ottenere risultati soddisfacenti nei test Ocse-Pisa.
La media Ocse si attesta sul 25,2 per cento. Mentre oltralpe siamo a quota 24,1 per cento, in Germania al 32,3 e in Finlandia al 39,1 per cento.
In pratica, la scuola italiana fa poco per gli studenti più sfortunati. Perchè è evidente che il retroterra culturale e socio-economico degli alunni influenza le performance. Per questa ragione l’Invalsi, che conduce in Italia indagini sulle competenze in Lettura e Matematica di oltre un milione e mezzo di alunni ha recentemente inaugurato il “valore aggiunto”: quanto le scuole riescono ad incidere sugli alunni durante il loro percorso scolastico.
Indagare le cause dell’ennesima bocciatura della scuola italiana, poco efficace con gli ultimi della classe, non è semplice.
A preoccupare anche il confronto con il dato del 2012, quando la quota di studenti che, nonostante lo svantaggio, riuscivano a cavarsela dignitosamente era del 24,7 per cento, oltre quattro punti superiore rispetto al dato di tre anni dopo. L’indagine si sofferma anche sulle condizioni che nei vari paesi membri influenzano la quota di studenti resilienti.
Nel Belpaese a giocare un ruolo positivo solo due aspetti: il clima scolastico in classe e le assenze degli studenti. Meno assenze “strategiche” durante il corso dell’anno scolastico e un clima in classe più sereno aumentano le probabilità di successo degli alunni meno attrezzati. Incidono relativamente poco invece quantità di dotazioni tecnologiche (computer e tablet) e numero di attività parascolastiche svolte durante l’anno.
(da “La Repubblica”)
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Marzo 9th, 2018 Riccardo Fucile
VIA LIBERA DA PD E LIBERI E UGUALI
Sarà Antonio Di Pietro il candidato presidente del centro sinistra alle regionali molisane del 22 Aprile prossimo.
La sintesi è stata raggiunta dalla coalizione la notte scorsa, dopo il passo indietro del presidente uscente, Paolo Frattura.
Nella tarda mattinata è arrivato il via libera anche da Liberi e uguali e dalle altre sigle che avevano avviato un percorso autonomo nel segno della discontinuità .
Di Pietro, 67 anni, fondatore dell’Ulivo e dell’Italia dei Valori, sarebbe la figura che riconcilia il centro sinistra, come dallo stesso ex pm auspicato nelle settimane scorse.
“Di Pietro non è Frattura”. Nel linguaggio della politica basterebbe solo questa dichiarazione per affermare che le quotazioni di Antonio Di Pietro quale candidato del centro sinistra alla carica di Governatore del Molise, ora salgono notevolmente.
Parole del senatore uscente del Pd, Roberto Ruta, e leader della coalizione ‘Molise 2.0’, che stamani in una conferenza stampa ha annunciato anche di ritirarsi dalla competizione elettorale dopo il ‘via libera’ ricevuto dall’assemblea dei ‘mille’ che per acclamazione lo aveva ‘incoronato’ candidato alla presidenza della Regione.
Il passo indietro di Ruta arriva a poche ore dall’analoga decisione del Governatore uscente, Paolo di Laura Frattura (Pd), presa nell’ottica di ricompattare il centro sinistra e puntare su un nome che faccia sintesi.
Identica anche la ‘sostanza’: non sarà candidato, come Frattura, nel proporzionale.
(da “Huffingtonpost”)
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