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SI PARLA DI GENOVA PIU’ PER LA MULTA AI POVERI CHE ROVISTANO NEI CASSONETTI CHE PER EUROFLORA: L’INDECOROSA GIUNTA LEGHISTA SOMMMERSA DI RIFIUTI E’ COSTRETTA ALLA MARCIA INDIETRO

Marzo 20th, 2018 Riccardo Fucile

LA MULTA “SOLO A CHI NON HA FAME”… OTTIMA IDEA, ORA FACCIAMO LE INTERVISTE: “SCUSI, STA ROVISTANDO PERCHE’ HA FAME O PERCHE’ CERCA IL PETROLIO?” …E SE CERCASSE UN PAIO DI SCARPE DISMESSE CHE FACCIAMO?… NIENTE PIU’ DASPO PER I REIETTI, SI SONO ACCORTI CHE IL DECRETO MINNITI NON LO PREVEDE

Multa da 200 euro a chi rovista nei cassonetti nelle strade del capoluogo ligure, ma “soltanto se non lo fa per cercare da mangiare”: un emendamento presentato da Mario Mascia (Forza Italia) e Stefano Costa (Vince Genova), e approvato dal consiglio Comunale, “lima” ulteriormente il raggio d’azione della delirante delibera di giunta che modifica il Regolamento di polizia Urbana e che prevede diverse misure per contrastare presunti fenomeni di degrado nel centro città , dove abitano tanto per capirci il sindaco e l’assessore leghista alla sedicente sicurezza.
La contestata delibera è stata approvata dal consiglio Comunale con 25 voti a favore e 14 contrari (Lista Crivello, Pd, Chiamami Genova ed M5S) su 39 presenti.
La modifica al regolamento non prevede, invece, alcun Daspo, perchè il “decreto Minniti” stabilisce che l’ordine di allontanamento possa essere disposto solo nei casi espressamente previsti dal decreto stesso, vale a dire stato di ubriachezza, atti contrari alla pubblica decenza, commercio abusivo o parcheggiatori abusivi.
Alla fine persino i leghisti devono aver capito che il decreto non era applicabile alla fattispecie.
L’emendamento Mascia-Costa specifica come possa essere sanzionato solo chi sia sorpreso a «deturpare e imbrattare il suolo pubblico con rifiuti solidi urbani di ogni tipo, indebitamente prelevati dai contenitori per la relativa raccolta e non manifestamente destinati all’alimentazione personale”.
Ne deriva che da domani un vigile urbano debba avvicinarsi al povero e chiedere nell’ordine: “Scusi sta rovistando alla ricerca di cibo o cerca il petrolio? Se sì, cerca cibo per uso personale o per i suoi figli? Ha poi intenzione di buttare le cartacce a terra o riporle nel contenitore?”
Poi si apre un altro problema: se uno preleva un paio di scarpe dismesse per sè o per i figli va multato in ogni caso?
O solo se lascia la scatola o le stringhe per terra?
Ma ci rendiamo conto, ha sottolineato un esponente della opposizione, che ci stiamo facendo ridere da tutta Italia? Che Genova è finita sui media nazionale più per questa cazzata che per Euroflora?
Li avete voluti? Ora godeteveli.

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SALTATI TUTTI GLI SCHEMI, SALVINI COSTRETTO AD APRIRE A FORZA ITALIA PER LA PRESIDENZA DEL SENATO

Marzo 20th, 2018 Riccardo Fucile

GIORGETTI: “L’IMPORTANTE E’ CHE UNA PRESIDENZA VADA AL CENTRODESTRA, NON NECESSARIAMENTE ALLA LEGA”

Reset. È come se, arrivati alla stretta, si fosse azzerato tutto.
E saltato ogni schema forse perchè in questa trattativa finora di schemi definiti non ce ne sono mai stati. Un reset in cui l’unico punto fermo è il calendario, col vertice dei tre leader di centrodestra, previsto per ora in tarda mattinata a palazzo Grazioli.
E poi, se si troverà  una “quadra”, Matteo Salvini chiamerà  Luigi Di Maio per l’altra quadra, quella complessiva.
C’è, nel calendario, una novità , che prende forma nella parole di Giancarlo Giorgetti, principe della diplomazia leghista, a Porta a Porta: “L’importante — dice – è che una presidenza vada al centrodestra: se servirà  un presidente non della Lega per risolvere il rebus politico, noi saremmo disponibili”.
Toni nient’affatto ultimativi e ben diversi da quelli degli ultimi giorni, “Lega o morte”, a costo di creare una profonda linea di frattura con Berlusconi, spaccando l’alleanza in nome dell’asse con i Cinque Stelle.
Eventualità  che il mite Giorgetti esclude, per l’oggi e per il dopo: “Abbiamo la consapevolezza di avere la responsabilità  di delineare la strategia, noi avremmo i numeri per fare un governo con i Cinque Stelle, ma non vogliamo farlo”.
È una novità , e non di poco conto. Che azzera lo schema seguito finora, da giorni, di una “profonda sintonia” tra Salvini e Di Maio, a partire dalle presidenze delle Camere: Montecitorio ai Cinque Stelle, palazzo Madama alla Lega, col centrodestra in frantumi e la prospettiva di un’intesa di governo tra i due.
Perchè la verità  è che Salvini, questo il punto, vuole giocare fino in fondo la sua partita da leader del centrodestra. Il che significa che ha bisogno di arrivare all’incarico, o meglio al “pre-incarico”, pur nella consapevolezza che è complicato riuscire a fare il governo.
E dunque serve, al momento delle consultazioni, l’appoggio di Forza Italia per ottenere il quale non può rompere prima. Ecco perchè dà  l’idea di non impiccarsi a una presidenza leghista, a costo di sfasciare tutto: se Lega ha da essere, questo il senso del ragionamento, non ci si può arrivare contro, ma con Forza Italia.
È in questo quadro che nulla è ancora definito, perchè un conto è “aprire”, altro è “rinunciare”.
Le presidenze e palazzo Chigi sono un po’ come l’uovo e la gallina della celebre metafora, il certo e l’incerto: “Quelle restano — dicono i colonnelli vicini a Salvini, l’incarico chissà . Nel senso che lo può ottenere ma poi è difficile che Matteo riesca a fare il governo”.
È questo il punto critico di questa storia. In condizioni normali, se il centrodestra avesse avuto una maggioranza, sarebbe stato tutto più lineare: una Camera all’opposizione, una all’alleato (Forza Italia), Salvini a palazzo Chigi e le compensazioni coi ministeri.
Senza maggioranza è tutto diverso: “Forza Italia — dicono quelli attorno a Salvini – si lamenta senza tener conto della realtà . Dopo le presidenze vai a capire cosa accadrà  sul governo ed è difficile che riusciamo a farlo”.
È per questo che se per Luigi Di Maio il punto fermo è la presidenza della Camera, per il leader della Lega è assai meno scontato.
E proverà  a rovesciare questo schema: la sua best option resta, ad oggi, un leghista sullo scranno di Montecitorio e un pentastellato al Senato. Perchè la candidatura di Giancarlo Giorgetti sarebbe “perfetta”. Al tempo stesso si troverebbe una quadra nel centrodestra, una di sistema con Di Maio, e il profilo non suscita neanche un’ostilità  preconcetta da parte del Pd.
E terrebbe aperta, proprio in quanto si tratta di una candidatura “di coalizione”, la prospettiva di un incarico per palazzo Chigi.
Il problema è che, al momento, sono arrivati dei niet dai Cinque stelle: “Di Maio — spiegano fonti vicine al dossier — tiene il punto, perchè non ha gente adatta al Senato. E poi il presidente del Senato può ricevere l’incarico esplorativo… Troppo pericoloso per uno che lavora sul suo di incarico”.
È questo l’impasse che blocca la trattativa, risucchiando nomi e ipotesi, schemi di gioco che cambiano ogni ora. E c’è una specularità  tra i due vincitori alle elezioni, in questo risiko delle presidenze. Come Di Maio, anche Salvini ha profili meno adatti a palazzo Madama. Roberto Calderoli, il più competente a cui Berlusconi difficilmente può dire di no, non è un volto nella sua nuova Lega. Ed è troppo autonomo. Altre figure hanno scarsa esperienza per ricoprire il ruolo di seconda carica dello Stato. Vale per Lucia Borgonzoni, una fedelissima, ma al primo mandato e fragile di curriculum, vale per Erika Stefani, alla seconda legislatura, più esperta ma non fortissima.
È per questo che il nome più forte resta quello di Giulia Bongiorno, che ha la competenza, curriculum e anche la stima di Niccolò Ghedini sin da quando lo difese nel Ruby ter.
Il limite, diciamo così, è che difficilmente controllabile. Ed è su questo terreno che Silvio Berlusconi, al vertice di mercoledì, proverà  a giocare un suo nome per palazzo Madama. Si riparte da Paolo Romani, il capogruppo uscente, che non ha veti da parte della Lega, ma impatta sul criterio dei Cinque Stelle (“mai indagati e condannati”) per la vecchia storia della condanna per peculato.
È sul tavolo del centrodestra, nella logica di trovare prima un’intesa all’interno, poi una con i pentastellati. Reset.

(da “Huffingtonpost”)

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LA GIUNTA RAGGI TI PROMETTE UN MILIARDO E TI SCONTA DUE EURO

Marzo 20th, 2018 Riccardo Fucile

LA PROMESSA NON MANTENUTA DA DI MAIO E LA REALTA’

Sembra ieri ma era soltanto l’ottobre del 2015 quando Luigi Di Maio prometteva un miliardo diconsi un miliardo di investimenti “in trasporti, scuole, strade, servizi sociali e tanto altro”.
Una promessa che avrebbe dovuto essere mantenuta dall’allora Presidente della Commissione sulla Revisione della Spesa che oggi, dopo essere stato capo di gabinetto e vicesindaco, è soltanto, e non casualmente assessore allo Sport: Daniele Frongia.
Luigi Di Maio favoleggiava degli sprechi e dei privilegi che il presidente della Commissione sulla Revisione della Spesa (Daniele Frongia) aveva trovato e di un miliardo di euro di spese inutili “da investire in trasporti, scuole, strade, servizi sociali e tanto altro”.
Frongia, poi, sosteneva addirittura che potessero essere reinvestiti “nel giro di un anno” dopo le elezioni.
L’anno è passato ma non inutilmente.
Perchè è vero che del miliardo di Di Maio non si è visto nemmeno un euro così come è vero che gli investimenti nel bilancio del Comune appena approvato sono stati tagliati e non aumentati di un miliardo di euro.
Però ieri Virginia Raggi ha fatto sapere che c’è una buona notizia: per il servizio più deficitario (eufemismo) fornito dalle controllate del comune di Roma, ovvero quello dell’immondizia, della pulizia delle strade e della cura dei giardini, per il secondo anno consecutivo si avrà  un risparmio in bolletta, pari alla mostruosa cifra dello 0,73% per i cittadini e dello 0,93% delle imprese.
Certo, la Raggi non segnala che quest’anno lo sconto è DIMEZZATO rispetto a quello dell’anno scorso nè fa sapere che i decrementi dell’1,5% sono attivi dal 2015, quando ancora lei non amministrava la città .
Come calcola il Corriere Roma, infatti, nel 2017 la diminuzione era stata dell’1,6%, è scritto sul sito di Ama e nella semestrale di Bilancio 2017 online.
In pratica quest’anno una famiglia di 4 persone che vive in 70 metri quadrati risparmierà  2,5 euro su una tassa di 273 (il calcolo si può effettuare sul sito dell’azienda di proprietà  del Comune), mentre l’anno scorso aveva risparmiato circa 4euro rispetto al 2016.
In pratica a farsi lo sconto sullo sconto è stata l’AMA, ma questi sono dettagli. Così come sono dettagli i giudizi del direttore dell’agenzia che monitora la qualità  dei servizi di Roma (nominato dal M5S): «Roma è ridotta una vergogna e la sindaca è eterodiretta da Milano».
Il punto, quello importante, è che ci sono due euro in più in tasca ai cittadini.
E anche zio Paperone diceva che la strada per fare fortuna è quella di risparmiare un centesimo per volta. No?

(da “NextQuotidiano”)

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VIAGGIO A BRESCELLO, IL COMUNE SCIOLTO PER MAFIA DEI FILM DI DON CAMILLO

Marzo 20th, 2018 Riccardo Fucile

DOVE LA STORIA “ROSSA” E’ ARRIVATA AL CAPOLINEA

Brescello, elezioni del 1948 . Il Fronte popolare democratico di Palmiro Togliatti e Pietro Nenni registra il 52,59 per cento dei consensi. Alla vigilia della caduta del muro di Berlino il Pci è al 41. Soglia abbondantemente superata dal Pds nell’anno della prima discesa in campo del Cavaliere nero Berlusconi.
Poi, il 2008 è l’anno del Pd. Inizia una lenta e drammatica emorragia di elettori. Fino al 4 marzo, giorno della disfatta nazionale per il centrosinistra.
Che nell’Emilia, intellettuale e operaia, diventa evento drammatico, storico, da raccontare alle future generazioni. La regione rossa per eccellenza stinta e ridipinta di verde leghista e giallo grillino.
Due tonalità  nuove per la roccaforte della sinistra, modello sociale e culturale, ora in mano ai conquistatori populisti e sovranisti.
Di questa capitolazione del Pd esistono luoghi simbolici. Microscopiche realtà , che racchiudono in sè ogni elemento per comprendere il cammino suicida di un partito che avvitandosi su se stesso ha lasciato al proprio destino le classi medie, le periferie, i lavoratori, i giovani.
C’era una volta il mondo piccolo di Brescello dove la realtà  era condita di poche e solide certezze. Il partito e la chiesa, punti di riferimento della comunità .
Chi si aspettava, però, che quel granitico consenso rimanesse tale dopo il ciclone populista è rimasto deluso. Anche su Brescello, il paese di 5 mila anime nella bassa reggiana al confine con la Lombardia mantovana dove Giovannino Guareschi aveva ambientato le sue storie, soffia un vento diverso.
Alle 8 di mattina la piazza è deserta. Il Burian siberiano dei giorni pre elettorali ha lasciato posto a un tepore inaspettato. Come del resto inatteso è stato il risultato del voto.
Il Pd nel municipio di Peppone, il sindaco comunista interpretato da Gino Cervi nell’adattamento cinematografico dei racconti di Guareschi, ha incassato una sonora sconfitta. Terzo partito.
Primi i Cinquestelle e subito dopo con oltre il 21 per cento la Lega sovranista di Matteo Salvini, la vera sorpresa. Perchè i grillini rispetto alle scorse politiche hanno totalizzato appena 30 voti in più, con il Pd che aveva retto piazzandosi comunque al primo posto.
Questa volta per i democratici il crollo è stato notevole, meno 13 per cento.
Ecco, se solo potesse parlare la statua di Peppone, lì immobile sotto il palazzo del Comune, gliene canterebbe quattro agli eredi che hanno rottamato il partito. E, di certo, troverebbe un alleato nel suo storico avversario, don Camillo, che lo guarda smarrito dall’altra parte della piazza.
Messe da parte le statistiche, le percentuali, i dati, il vero cambiamento da queste parti è tangibile volgendo lo sguardo verso il palazzo comunale.
La sedia del sindaco è vuota da un anno e mezzo. Commissariato per il condizionamento della ‘ndrangheta, cosca Grande Aracri.
Il sindaco deposto si chiama Marcello Coffrini. Avvocato e figlio di Ermes, il Peppone per moltissimi anni alla guida del paese.
Coffrini è stato per il Pd emiliano una sciagura di proporzioni enormi. Un grosso guaio da cui è uscito con le ossa rotte. Già , perchè Coffrini sarà  ricordato come il primo sindaco emiliano sciolto per infiltrazioni mafiose, grave danno di immagine per il Pd nella sua terra eletta. Ciò ha prodotto conseguenze che oggi l’intero partito paga. Del resto, però, c’era da aspettarselo.
Intervistato dai cronisti di Cortocircuito, Coffrini si lasciò sfuggire una sua opinione personale sul boss del paese. Parole che poi hanno fatto il giro delle televisioni: «Persona perbene, gentile».
Quell’elogio ingenuo sancì l’inizio della fine per Brescello e per il partito, molti giovani elettori che contribuirono al 40 per cento delle Europee solo quattro mesi prima decisero che non avrebbero sopportato oltre.
Anche perchè a distanza di un anno a intorbidire le acque della Val Padana è arrivata anche la valanga di arresti con la maxi inchiesta ribattezzata Aemilia.
Centinaia in manette, indagati anche politici e imprenditori locali. Ma soprattutto l’antimafia di Bologna ha indicato in Brescello il cuore della ‘ndrangheta emiliana, al pari di San Luca per quella calabrese.
Da quel momento i brescellesi hanno dovuto fare i conti con dati non più giornalistici ma giudiziari. Elementi che hanno portato, poco più tardi, alla decisione del Viminale di affidare il comune ai commissari con il compito di ripulire l’ente dalle scorie criminali. Fine di un’epoca, insomma.
«La storia di Peppone e don Camillo è ai titoli di coda, non c’è più attaccamento ideologico e i giovani ragionano in tutt’altro modo», riflette don Evandro Gherardi, «il tracollo del partito è dovuto anche allo sfilacciamento del tessuto, alla solidarietà  fagocitata dall’individualismo».
Il parroco di Brescello, moderno don Camillo senza più validi concorrenti, ritiene lo scioglimento per mafia una vera ingiustizia: «Ha spaccato la comunità , e anche i miei parrocchiani. Divisi dalle tensioni e da attriti scaturiti dopo le dimissioni dell’ex sindaco».
Il prete è figlio di comunisti di Cavriago, paesone poco distante dove in piazza resiste al tornado Cinquestelle il busto di Lenin, nonostante, persino qui, la sinistra sia ai minimi storici. «Brescello viene usata dai partiti per farsi pubblicità  sulla lotta alla mafia. Oggi viviamo in un paese sfibrato, cittadini gli uni contro gli altri, chi avrà  il coraggio di amministrare in futuro?», si chiede don Evandro.
E in effetti la domanda è legittima, i commissari andranno via tra pochi mesi, possibile che si voti a giugno, se non a maggio. In paese gira voce che l’unica lista in caldo e pronta a buttarsi nella mischia sia quella degli ex amministratori della giunta Coffrini caduta per mafia.
Scenario simile, dunque, ai tanti comuni del sud che addirittura dopo lo scioglimento non riescono a rieleggere un sindaco per mancanza di candidati.
E la Lega o i Cinquestelle? Con i fuochi d’artificio delle ultime politiche in questi seggi, più di qualcuno si aspetta una lista dei due partiti. Eppure non è scontato, benchè un’ipotetica assenza alle comunali possa apparire priva di ogni logica.
Ma è la politica postmoderna. I voti si raccolgono senza neppure muoversi da casa. In campagna elettorale da queste parti, in uno dei pochi comuni sciolti per mafia al Nord, non si è visto nessuno. Nè Salvini, nè Di Maio, nè Di Battista, nè Renzi.
Prendiamo la Lega. Qui ha vinto per il marchio mediatico di Salvini, ma non esiste più. L’immigrazione tra l’altro non ha mai creato problemi di ordine pubblico.
Però anche a Brescello la retorica razzista salviniana ha fatto presa: sarà  per quel centinaio di rifugiati che vivono nell’hotel quattro stelle “Don Camillo” alle porte del paese? Probabile, intanto girando per le viuzze del centro di stranieri che bivaccano nemmeno l’ombra.
«La mattina si alzano presto e vanno a lavorare in provincia», ci spiega una dipendente dell’hotel. Ma dove dormono? «In una dèpendance», dice sbrigativa alla fine.
L’immagine del paradosso del Carroccio che cresce senza un radicamento sul territorio è Catia Silva.
«Qui la Lega non ha più sede e militanti», racconta Silva, leghista della prima ora, che ha abbandonato il partito dopo la svolta sovranista di Salvini. Non solo, «in realtà  ho lasciato soprattutto per la gestione scriteriata che ha portato nelle Lega personaggi equivoci, penso a tutti i riciclati del Sud», spiega Silva, che in questi anni quando ancora indossava la camicia verde ha subito decine di minacce per le battaglie antimafia portate avanti.
Ha vinto pure un processo contro alcuni sgherri del clan per le intimidazioni subite. Tuttavia dal partito nazionale silenzio assoluto.
«Salvini non si è mai degnato di venire in paese, nè tantomeno di spendere parole di sostegno e appoggio nei miei confronti. Per non parlare dei candidati che ha messo in lista, per me la legalità  è un punto fermo, per questo ho tolto il disturbo».
Salvini qui a Brescello ha comunque fatto un exploit notevole.
La Lega è andata molto bene anche nei seggi in cui vanno a votare le famiglie di “Cutrello”, la piccola Cutro, il paese della provincia di Crotone da cui proviene il clan Grande Aracri che ha conquistato questo pezzo dell’Emilia.
Anche chi ha votato Movimento Cinquestelle l’ha fatto sulla fiducia, senza poter vedere all’opera alcun meetup o gruppo attivo sul territorio. Ufficialmente non esistono grillini a Brescello.
A differenza della Lega, però, qui i dirigenti del Movimento si sono fatti vedere e non in campagna elettorale, ma nei momenti di massima tensione.
La parlamentare Maria Edera Spadoni ha sempre sostenuto le denunce di Silva e lei stessa si è battuta in prima linea contro la ‘ndrangheta emiliana, per lo scioglimento del Comune e per le dimissioni dell’ex sindaco Pd.
Tuttavia neanche i Cinquestelle hanno intenzione di mettersi in gioco per le prossime comunali. Lo ritengono un rischio troppo elevato. Temono – raccontano fonti interne al movimento – che l’apparato burocratico sia ancora contaminato.
Intanto l’appuntamento con il voto si avvicina. Ma nessuno pare abbia grande voglia di metterci la faccia nonostante lo storico risultato ottenuto che ha trasformato il Pd in una forza con percentuali inferiori ai Cinquestelle di un lustro fa.
«A Brescello il partito democratico non ha più un segretario da quando mi sono dimesso», racconta Saverio Bonini, 24 anni, studente di Scienze politiche che tre anni fa aveva preso in mano il partito in piena bufera mediatica: «Mi sono dimesso perchè c’è stata una frattura, chi stava con il sindaco Coffrini e chi con me. Così ho preferito farmi da parte per non essere divisivo».
Bonini ci guida lungo le stradine del centro, ci mostra la vecchia sede del Pci: un palazzo a due piani ora di proprietà  di una nota azienda.
«Era sproporzionata anche ai tempi d’oro per un paese di queste dimensioni», sorride. Un tempo si facevano le cose in grande. Oggi gli eredi di quel pezzo di storia si ritrovano in un appartamento al piano terra di una palazzina residenziale.
Una grande sala con i quadri di Che Guevara, di Berlinguer, i funerali di Togliatti di Guttuso e poi libri a non finire, da Marx e Engels a numerosi saggi di storici e intellettuali. «Io sono renziano convinto, però non rinnego il patrimonio ideale del passato. Le nostre radici sono queste».
Bonini non è affatto stupito dal balzo della Lega nel feudo rosso: «Sicuramente una parte di voti di chi non ha digerito lo scioglimento per mafia si è disperso, un po’ ai Cinquestelle un po’ alla Lega».
Una forma di punizione per il partito che ha cacciato l’amatissimo sindaco che tanto imbarazzo ha creato con le sue uscite sulla mafia. Bonini oggi è un semplice militante con due sole certezze.
La prima è che non sarà  lui il candidato del Pd alle prossime elezioni locali. La seconda è che sarebbe assurdo ritrovare gli amministratori dello scioglimento di nuovo in lista. Anche perchè giunti al termine del commissariamento il lavoro da fare non è esaurito.
I tre commissari -Antonio Giannelli, Antonio Oriolo e Giacomo Di Matteo – si limitano a dire che in questi mesi il loro obiettivo è stato quello di ripristinare la legalità . In realtà  hanno lavorato a pieno ritmo e a differenza di quanto avviene in altri Comuni sciolti per mafia loro sono presenti ogni giorno della settimana. È recente la notizia della chiusura dell’ex bocciodromo comunale.
Merito loro, troppe anomalie nell’iter autorizzativo e parentele ingombranti degli interessati. Il rapporto tra i cittadini e i commissari non è mai facile.
Ma chi si aspettava una storia diversa solo perchè siamo nella civile Emilia e non in Calabria si sbagliava di grosso. Anche qui per la triade di funzionari prefettizi è stato complicato. Hanno lavorato pressochè isolati. Hanno provato in qualche modo a coinvolgere la comunità  con attività  culturali. Per esempio organizzando il cinema sotto le stelle in piazza. Con molta ironia hanno deciso di proiettare “L’ora legale” di Ficarra e Picone.
La storia incredibile, cioè, di quel sindaco onesto che alla fine con la sua onestà  radicale mette in crisi l’intera comunità , affezionata in fondo a quel po’ di illegalità  che in alcune circostanze fa comodo.
Tuttavia, i commissari, con esperienze in municipi del Sud infettati dal malaffare, hanno riscontrato un forte clima di silenzi e omertà . E non sono mancate le critiche, come in occasione dell’alluvione di dicembre.
Chi li accusava però si sta ricredendo. Perchè nell’inchiesta in corso su eventuali responsabilità , il Comune risulta parte offesa. E gli stessi commissari hanno chiesto di effettuare i carotaggi lungo la sponda bucata dal fiume Enza.
Qualcuno ha fatto il furbetto a spese della collettività ?
Se così fosse poco può fare il “Cristo parlante” di don Camillo per fermare il grande fiume. Il Cristo – quello originale dei film – è ancora custodito da Don Evandro nella parrocchia. Ogni settembre lo porta in processione sul Po. L’ultima volta al posto del sindaco c’era uno dei commissari. Don Evandro e il commissario. E poi il Cristo, l’unico cimelio intatto di un mondo piccolo volato via.

(da “La Stampa”)

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L’EURODEPUTATA LAURA FERRARA E IL VIDEO MANIPOLATO DI MILENA GABANELLI

Marzo 20th, 2018 Riccardo Fucile

PUBBLICA UN VIDEO IN CUI LA GIORNALISTA SPIEGA CHE IL REDDITO DI CITTADINANZA SI PUO’ FARE, MA TAGLIA LE PARTI DOVE LO CRITICA

L’eurodeputata del MoVimento 5 Stelle Laura Ferrara ha trovato l’arma finale per mettere a tacere le polemiche sul Reddito di cittadinanza.
Perchè se l’ex conduttrice di Report, la giornalista Milena Gabanelli, da molti considerata imparziale e preparatissima, dice che il Reddito di cittadinanza si può fare allora deve essere certamente così.
Ed è per questo che la Ferrara ha postato ieri un video dove la Gabanelli sembra dire che il Reddito di cittadinanza si può fare. Peccato però che il video sia tagliato.
Il taglia e cuci del M5S sul video di Dataroom sul reddito di cittadinanza
Dove si trovano questi 17 miliardi di euro?
Con “nuove tasse su banche, assicurazioni e concessioni” dice la Gabanelli nel video postato dalla Ferrara che però ha tagliato la parte successiva, quella in cui la giornalista fa notare che poi magari queste tasse “le scaricano aumentando i costi per i cittadini“.
Evidentemente il MoVimento 5 Stelle non vuole far pensare che il reddito di cittadinanza lo devono pagare i cittadini stessi. Meglio far credere che a sostenerne i costi siano “i cattivi”, le lobby, la casta.
Ma la misura del M5S, che prevede una spesa di 17 miliardi (29 secondo l’INPS) è sostenibile?
Il video di Laura Ferrara non lascia spazio a dubbi: «La Ragioneria dello Stato ha detto sì» conclude la Gabanelli. Proprio   le stesse parole utilizzate dal MoVimento 5 Stelle durante la campagna elettorale.
Insomma la Gabanelli diventa la testimonial perfetta per il programma del MoVimento. Prima “smonta” le misure di sostegno alla povertà  proposte da Partito Democratico e da Silvio Berlusconi e poi “approva” il reddito di cittadinanza dei 5 Stelle.
Cosa dice davvero la Gabanelli sul reddito di cittadinanza del M5S
Peccato però che il fact checking della Gabanelli non si concluda lì.
Nel video integrale infatti prosegue dicendo che «è bene sapere che tutti i paesi europei hanno messo cifre ben più consistenti per contenere la povertà , ma dentro a piani strutturati che prevedono contemporaneamente la creazione di posti di lavoro e la lotta all’evasione fiscale».
Un piano complessivo, continua la giornalista nel video pubblicato il 21 febbraio scorso, che «in questa campagna elettorale nessun partito ha» e, conclude «il rischio è che qualunque misura vada ad aumentare il debito».
Non proprio un atteggiamento virtuoso. E si capisce qui perchè il MoVimento 5 Stelle ha preferito tagliare questa parte.
Perchè nel video manipolato la Gabanelli critica solo le proposte di PD e Forza Italia lasciando intendere che quella del M5S è l’unica credibile e indolore.
Ma non è così. Ciononostante il video con i tagli operati da Laura Ferrara ha ottenuto oltre 4mila condivisioni.

(da “NextQuotidiano”)

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IL COMUNE M5S DI CASTELFIDARDO VARA IL REDDITO DI CITTADINANZA: 400 EURO AL MESE E LE AZIENDE HANNO LA MANODOPERA A COSTO ZERO

Marzo 20th, 2018 Riccardo Fucile

LA STORIA DELLA COOP CHE LICENZIA UNA DIPENDENTE PER ASSUMERNE DUE CON IL REDDITO DI CITTADINANZA

Cosa succederà  con il tanto agognato e molto promesso “reddito di cittadinanza” declinato secondo le interpretazioni del MoVimento 5 Stelle?
A quanto pare per scoprirlo ci vorrà  qualche anno, giusto il tempo attuare la riforma dei centri per l’impiego.
Nel frattempo però nei comuni amministrati dai sindaci del M5S si sperimentano forme di reddito di cittadinanza a livello locale.
A Castelfidardo (Ancona) lo hanno chiamato reddito di cittadinanza ma in realtà  sono “borse lavoro”. Un contributo di 400 euro mensili della durata sei mesi (per un impegno lavorativo di 20 ore settimanali) erogato dal Comune per favorire l’occupazione.
In buona sostanza il Comune paga e le imprese locali assumono, a costo zero.
Con l’ovvia soddisfazione da parte delle aziende che possono “ottenere” stagisti pagati meno di 5 euro l’ora.
Ben al di sotto della soglia del reddito minimo che vorrebbe il M5S e anche meno dei tanto criticati e contestati voucher.
E proprio a differenza dei voucher non è previsto il versamento degli oneri pensionistici. Una volta scaduto il periodo dei sei mesi sarà  l’azienda a valutare o meno l’assunzione del “borsista” con reddito di cittadinanza.
Della vicenda, visto che sono tutti curiosi di sapere se il reddito di cittadinanza potrà  funzionare, si è occupata qualche giorno fa la trasmissione di Rai 3 Agorà .
I requisiti per partecipare al progetto sono semplici: bisogna avere un’età  compresa tra 30 e 65 anni, un reddito Isee inferiore a 25mila euro e avere la residenza nel comune da dieci anni. Il reddito si può ottenere però solo una volta, come se quei sei mesi risolvessero tutti i problemi.
Il Comune di Castelfidardo, governato dal sindaco Roberto Ascani, ha stanziato 188 mila euro in due anni per lanciare il suo progetto di reddito di cittadinanza.
Ma l’opposizione denuncia che non si tratta di una vera misura in grado di favorire la fuoriuscita dalla disoccupazione, se non in maniera temporanea. Una volta scaduto il periodo di prova (e quindi l’incentivo pubblico) le aziende non assumono gli “stagisti” che quindi tornano a casa.
C’è poi il dubbio su quanto 400 euro al mese possano realmente incidere sul bilancio familiare.
Enrico Santini, consigliere del Partito Democratico, è stato il primo a denunciare i “lati oscuri” del reddito di cittadinanza di Castelfidardo.
Un’azienda che ha una cassa integrazione in corso ha deciso di usufruire della “borsa lavoro” del Comune per “assumere” sei nuovi stagisti. Le ragioni sono ovvie: i costi per l’azienda sono irrisori (assicurazione e INAIL) ed evidentemente l’inserimento dei “borsisti” non pregiudica l’erogazione della cassa integrazione.
Più che un sostegno all’occupazione sembra un sostegno alle imprese per fornire lavoratori sottopagati a costo zero.
Poi, prosegue Santini, c’è un “noto albergo locale che avrà  sì e no 4 o 5 dipendenti” che ha attivato sei percorsi con le “borse lavoro”.
Ed infine il caso più clamoroso: “una società  che ha in gestione un servizio comunale (asilo nido) ha pensato bene di licenziare una dipendente con contratto a tempo indeterminato per sostituirla con due redditi di cittadinanza”.
Personale che difficilmente, visto il comportamento dell’azienda, verrà  assunto al termine del progetto.
Per il sindaco si sta facendo “troppo rumore per un solo caso” e ricorda che “su 35 borsisti abbiamo avuto 6 assunzioni”, ma evita di conteggiare che quelle sei assunzioni sono costate la perdita di almeno un posto di lavoro.
La capogruppo del PD di Castelfidardo Laura Piatanesi ci va giù dura: «Siamo di fronte a un caso gravissimo: una donna è stata licenziata per far posto ad altre due persone assunte a costo zero proprio grazie al reddito di cittadinanza».
Prosegue Santini: «La coop che gestisce l’asilo comunale con contratto di servizio di 139 mila euro per due anni ha prima ridotto l’orario di lavoro e poi licenziato una dipendente con contratto a tempo indeterminato da 9 anni».
Manca poi la formazione, una persona intervistata da Rai Tre ha raccontato di essere assunto per fare il cuoco, ma in cucina era da solo.
E non è chiaro se tra i criteri per le assunzioni temporanee si guardano anche le competenze pregresse. Il rischio è di trovare, come spiegava Luigi Di Maio qualche anno fa, un geologo a coltivare un campo di patate.
Secondo il Capo Politico del M5S per finanziare il reddito di cittadinanza era necessario chiudere gli enti inutili (e mandare a casa i dipendenti, con l’ormai storico esempio del geologo). A Castelfidardo hanno fatto meglio: hanno fatto licenziare una lavoratrice per poter erogare due “redditi di cittadinanza”.
Tutto a spese della collettività .

(da “NextQuotidiano”)

argomento: Lavoro | Commenta »

ESPLOSIONE, TRAGEDIA A CATANIA: ALMENO QUATTRO MORTI, TRE SONO VIGILI DEL FUOCO

Marzo 20th, 2018 Riccardo Fucile

ALL’ORIGINE UNA FUGA DI GAS IN PIENO CENTRO STORICO … L’ESPLOSIONE APPENA INTERVENUTI I VIGILI DEL FUOCO… ALTRI DUE VIGILI SONO GRAVI

È una tragedia. Sarebbero almeno quattro le vittime. E tra queste alcuni Vigili del Fuoco. Tre i feriti gravi.
Un’esplosione, dovuta probabilmente ad una fuga di gas, si è verificata nel cuore del centro storico catanese. In un palazzo di via Vittorio Emanuele, angolo via Plebiscito.
Nella deflagrazione sarebbero rimasti coinvolti alcuni vigili del fuoco che erano intervenuti sul posto.
Ma è ancora presto per avere un bilancio definitivo delle vittime.   Sono otto le squadre dei Vigili del Fuoco presenti sul posto. Inoltre presenti carabinieri, polizia, unità  cinofile, vigili urbani e tecnici dell’Asec.
Da una prima ricostruzione pare che una squadra dei Vigili del Fuoco sia arrivata sul posto per una perdita di gas, ma poi – per cause ancora da accertare – sia avvenuta l’esplosione e poi la tragedia.
Tutta la zona, da piazza Palestro a via Garibaldi, è stata transennata ed inibita al traffico.

(da “Sicilia Live”)

argomento: emergenza | Commenta »

SCHEMA FICO ALLA CAMERA E BORGONZONI AL SENATO, QUESTA CI MANCAVA

Marzo 20th, 2018 Riccardo Fucile

SALVINI E’ PROPRIO LEGATO ALLE SUE ORIGINI DI EX LEONCAVALLINO, VUOL PORTARE L’EX ATTIVISTA DEL CENTRO SOCIALE LINK A UN RUOLO ISTITUZIONALE…   DA BARISTA DEI COMPAGNI RIPUDIATI A TACCO 12, SIAMO ALLA FARSA

Il Movimento 5 Stelle ha deciso. Sarà  Roberto Fico il candidato alla presidenza della Camera. È il nome estratto nella terna che comprendeva Riccardo Fraccaro ed Emilio Carelli, che rimangono allertati nel caso si dovesse passare repentinamente a un piano B.
Una candidatura che procede su un binario parallelo a quella che avanzerà  la Lega al Senato. Anche qui le riserve sono a un passo dall’essere sciolte.
E la carta è una di quelle a sorpresa. Si tratta di Lucia Borgonzoni, fedelissima di Matteo Salvini, un passato agitato come attivista del centro soicale Link di Bologna, denominata “sindachessa della fattanza” quando si presentò come candidata a sindaca di Bologna dai suoi ex compagni di merenda.
La fotografia del momento è questa. Le variabili per arrivare a dama tante.
E riguardano soprattutto il centrodestra. Perchè i 5 Stelle sono convinti che con il segretario leghista non ci sia alcun problema sui nomi.
Ognuno decide il suo, e si va avanti. Più complicato farlo digerire agli alleati, con una Forza Italia ancora riottosa a dare il via libera a una camicia verde a Palazzo Madama, e che nel caso di disco verde sembrerebbe puntare invece su Giulia Bongiorno, uno stretto rapporto con Niccolò Ghedini, tra i più stretti plenipotenziari di Silvio Berlusconi.
Fico l’ha spuntata sugli altri nomi in lizza per due ragioni fondamentali.
La war room di Di Maio è convinta che il profilo del presidente della Vigilanza Rai sia quello giusto per intercettare qualche voto anche dal centrosinistra, o quantomeno disinnescare pericolose manovre di disturbo.
Puntando molto sulla pattuglia di Leu, ma anche su una manciata di voti Pd, soprattutto se si dovesse arrivare a chiudere un accordo complessivo sull’intero ufficio di presidenza.
In secondo luogo, il deputato napoletano è uno dei capofila — se non il principale — dell’ala del Movimento più ancorata alle istanze originarie della creatura che fu di Beppe Grillo.
Quella che digerisce meno la mano tesa al Carroccio, e che si vedrebbe riconosciuto dalla leadership un ruolo fondamentale negli equilibri interni della nuova legislatura.
La bocciatura di Di Maio di “indagati e condannati” come figure apicali delle Camere ha dato una mano notevole a Salvini.
Mettendo un serio argine alle candidature di Roberto Calderoli (che il capo leghista non è mai arrivato a considerare come un suo uomo) e di Paolo Romani, nome forte degli azzurri.
A Palazzo si rincorrono le voci di una mossa concordata fra i due, boatos che non trovano conferme.
Il leader della Lega al momento punta sulla Borgonzoni, anche se nel centrodestra la partita resta ancora da giocare. Salvini stima la Bongiorno, ma non si fida del suo profilo eccessivamente autonomo, in grado di dare grattacapi nella seconda fase, quella ancor più complicata che porterà  alla formazione di un governo.
All’avvocato ex Fli, viene preferita la pasionaria Borgonzoni, un passato di sinistra che potrebbe farle gioco nel farla finire nel vortice dei veti incrociati.
E che soprattutto viene considerata una fedelissima, sulla quale contare nel complicato incastro delle consultazioni.
Sarà  decisivo il vertice di domani, nel quale il capo della Lega dovrà  far passare la propria linea nei confronti di una Forza Italia che procede con il freno a mano tirato.
E saranno importanti anche le consultazioni che nel pomeriggio avranno i capigruppo 5 Stelle, Danilo Toninelli e Giulia Grillo, con le altre forze politiche, soprattutto sul versante della composizione degli uffici di presidenza.
L’istantanea del momento è pronta a essere strappata nel giro di qualche ora, ma al momento fotografa uno schema a due nel quale si è anche parlato di nomi.
E mai un venerdì è stato così lontano dal martedì. Anni luce.

(da “Huffingtonpost”)

argomento: Parlamento | Commenta »

IL PAUPERISMO DELLA NEO-DEPUTATA M5S DI BARI CHE CI TIENE A FAR SAPERE DI AVER VIAGGIATO CON TARIFFA SUPER ECONOMY

Marzo 20th, 2018 Riccardo Fucile

MA LA RUGGIERO HA DIMENTICATO DI DIRE CHE IL BIGLIETTO   ERA DI PRIMA CLASSE

Manca poco alla prima seduta del Parlamento, i neoeletti a 5 Stelle sono pronti. E non vogliono certo fare brutta figura.
Per questo motivo Francesca Anna Ruggiero, deputata eletta al collegio uninominale (quindi scelta personalmente da Luigi Di Maio) di Bari-Bitonto ha già  preso il biglietto del treno per andare a Roma.
Roma, stiamo arrivando, scrive su Facebook in un impeto di entusiasmo dovuto anche al fatto di aver conquistato poco meno di 84mila preferenze.
La Ruggiero vuole partire col piede giusto, ed ecco perchè ci tiene a far sapere che andrà  a Roma «Con le mani libere e in esse solo il biglietto in classe SUPER ECONOMY, per non incidere troppo nelle tasche dei contribuenti».
Già  ce la immaginiamo in uno di quei posti striminziti, con pochissimo spazio per le gambe, con il trolley appoggiato sulle ginocchia.
Ma non è così, perchè “super economy” è la tariffa scontata di Trenitalia. La classe invece è un’altra cosa e la Ruggiero ha scelto di viaggiare in prima classe
Non c’è nulla di sbagliato nel viaggiare in prima classe spendendo poco. Per la verità  non c’è nulla di sbagliato nemmeno nel viaggiare in prima classe.
Ma per il MoVimento è diverso: il “lusso”   (tra virgolette perchè stiamo parlando di un freccia argento e non certo di un volo privato sul Concorde) è uno dei simboli della casta.
§Fa sorridere il tentativo di far passare la decisione di spendere poco per “non incidere sulle tasche dei contribuenti”.
Il che tenuto conto che un parlamentare oltre allo stipendio (sarà  da vedere a quanto ammonterà  quello pentastellato) riceve dai seimila agli ottomila euro al mese (di soldi pubblici) per pagarsi tutte le spese è ridicolo.
Tanto più che i 5 Stelle hanno dimostrato di saper usare i rimborsi forfettari fino all’ultimo centesimo, con buona pace dei “risparmi” veri o presunti.
La deputata pentastellata ha acquistato il biglietto due giorni prima della partenza, ma se lo avesse acquistato qualche giorno prima avrebbe risparmiato ancora di più.
La tariffa Super Economy per la prima classe parte infatti da 29,90 euro.
E volendo spendere ancora meno è possibile acquistare il biglietto di seconda classe (ben 5 euro di risparmio).
La tariffa base per la prima classe è di 80 euro, la Ruggiero ne ha spesi 50 risparmiando la cifra stellare di 30 euro.
La Ruggiero conclude dicendo «Ci rivediamo presto per rendicontare direttamente cosa sarà  successo a Montecitorio in questa importantissima settimana».
E non si capisce se si limiterà  a rendicontare le spese (compreso lo scontrino per il caffè al bar o alla Buvette) o se relazionerà  su quello che è successo in Aula.

(da “NextQuotidiano”)

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