Marzo 22nd, 2018 Riccardo Fucile
IL GRANDE STATISTA PALLIDO COME UN CENCIO, VATTI A FIDARE DEI FUORICORSO… NON HA ANCORA CAPITO CHE CON IL 32% E LA SPOCCHIA NON VAI DA NESSUN PARTE
Il Movimento 5 Stelle si ritrova spiazzato. “La Lega ci ha traditi”, l’aria che tira è pessima. Almeno questa è la sensazione odierna dopo l’incontro tra i capigruppo grillini e i rappresentanti degli altri partiti.
È con il Carroccio infatti che, fino a mercoledì mattina, Luigi Di Maio riteneva di aver chiuso un accordo per spartirsi le presidenze di Camera e Senato. Ma la proposta unitaria del centrodestra e l’insistenza con cui Forza Italia, con l’appoggio del Carroccio, sostiene il nome di Paolo Romani alla presidenza di Palazzo Madama ha mandato in tilt i pentastellati e l’alta tensione di queste ore si è riversata durante l’incontro con gli altri partiti. Tuttavia un punto fermo c’è: “Con Silvio Berlusconi non parliamo”, va ripetendo il capogruppo Danilo Toninelli reduce dal confronto dove .
Emissario perchè la strategia è stata decisa nelle oltre due ore di vertice nel quartier generale grillino tra Di Maio e i suoi fedelissimi. È qui che i 5Stelle hanno fatto i conti con un asse, quello M5s-Lega sulle presidenze delle Camere, che non c’è più.
Il volto di Luigi Di Maio tradisce nervosismo. “Come facciamo a dare i nostri voti a un candidato di Forza Italia?”, è il tormento.
Di Maio quindi prende l’iniziativa e chiede un nuovo incontro, ma non tra i leader come vorrebbe Silvio Berlusconi, bensì tra i capigruppo per portare tutti una rosa di nomi. Detto, fatto.
Alle 20 nella sala Tatarella di Montecitorio, in uso a M5s, si vedono Danilo Toninelli e Giulia Grillo per il Movimento, Fedriga e Centinaio per la Lega, Brunetta e Romani per Forza Italia, Pietro Grasso per Leu, Guerini e Martina per il Pd e Crosetto e Rampelli per Fratelli d’Italia. Un’ora e si finisce con un nulla di fatto. Nessuno si sposta dalle sue posizioni, Forza Italia chiede ai grillini di incontrare Berlusconi, loro rispondono picche e accusano il colpo.
Da Viterbo Matteo Salvini butta giù l’asso: “Domani sicuramente il centrodestra voterà compatto. Nomi e cognomi non ne faccio, però voteremo compatti”.
Una frase a effetto che colpisce al cuore M5s che fino a 48 ore fa vedeva un accordo con il Carroccio per convergere su un loro nome e invece è spuntato quello di Paolo Romani. “Non lo accettiamo poichè indagato per peculato”, dicono i grillini.
In realtà per loro è indigeribile qualsiasi nome che abbia come sigla di riferimento quella di Forza Italia.
Tuttavia si può discutere, purchè a discutere sia Matteo Salvini e non Silvio Berlusconi: “Non ci sarà un Nazaremo bis. Il leader del centrodestra è Salvini, non Berlusconi”.
Ma poi Salvini corregge il tiro: “Per rispetto del voto degli italiani, ribadisco la nostra disponibilità a riconoscere ai 5 stelle la presidenza di una delle due Camere”. E poi sottolinea: “Invitiamo tutti i gruppi presenti in Parlamento a essere responsabili e a scegliere nel nome della più ampia partecipazione”.
Un invito che appare essere rivolto anche a Forza Italia, a favore dunque dei 5Stelle con il cui leader Salvini sostiene di sentirci spesso: “Più che con mia mamma”. Ma battute a parte Di Maio non si aspettava un cambio di rotta così repentino in nome dell’alleanza con Forza Italia.
Dunque i 5Stelle accettano un presidente del Senato basta che non sia di Forza Italia e nello specifico Paolo Romani. In caso di nuovi nomi ne vogliono parlare con il leader del Carroccio e non con quello degli azzurri.
Tutto ciò è stato deciso dal capo politico che ha trascorso la sua giornata con il fedelissimo Pietro Dettori. Facce tirate, pochissime parole. Poco dopo nella sede del comitato elettorale è sopraggiunto Roberto Fico, il cui nome circola per ricoprire la poltrona della terza carica dello Stato. E’ su di lui che M5s punterà dal secondo giorno. Venerdì invece scheda bianca. Nell’attesa si prevede: “Romani al Senato sbatterà da solo e a quel punto con la Lega si riaprirà tutto”, è la speranza nelle stanze del comitato.
Al vertice c’è anche Alessandro Di Battista, jeans e casco in mano, “non dico nulla, non dico nulla”, percorre di corsa le scale e sparisce. Negli uffici ci sono già Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro, Alfonso Bonafede e Vincenzo Spadafora.
Al termine vanno a mangiare una pizza. Prezzi popolari da “Anni cinquanta”. Fraccaro beve birra. Di Maio solo acqua e guarda compulsivamente il cellulare. Aspetta notizie del vertice. Andato male.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 22nd, 2018 Riccardo Fucile
IL CAV RIGUADAGNA LA SCENA E IMPONE LA SUA LINEA ANCHE A SALVINI.. FA CHIAMARE DI MAIO MA IL GRILLINO NON GLI RISPONDE…SCHEDA BIANCA PER PROTEGGERE ROMANI, MA CHI NE ESCE MALCONCIO E’ DI MAIO
C’è un momento in cui è saltato ogni schema. O meglio la ricerca di un candidato condiviso. Ed è iniziata la grande forzatura su Paolo Romani.
È stato quando mercoledì sera, a palazzo Grazioli, Silvio Berlusconi ha alzato la cornetta e ha chiamato la Batteria, dunque non un contatto diretto, segno che non aveva neanche il numero: “Mi cercate Luigi Di Maio, per favore?”.
L’altro, raggiunto dall’operatore, non si rende disponibile al colloquio. Non prende la telefonata.
Ed è al quel punto che quel che gran seduttore del Cavaliere, dopo il tentativo privato, ci prova sfacciatamente in pubblico, chiedendo un incontro tra i leader.
Ventiquattrore dopo, in un ufficio della Camera, si incontrano i capigruppo di tutti i partiti, al termine di una giornata confusa, segnata dal no di Di Maio a Romani e dalla richiesta di un incontro per cercare, ancora una volta, soluzioni condivise.
E quelli di Forza Italia, senza tanti distinguo da parte dei pari grado leghisti, ribadiscono la stessa richiesta: “Di presidenze si parla con Silvio Berlusconi”.
Una condizione, per il leader dei Cinque Stelle, semplicemente indigeribile.
Perchè è evidente che Di Maio non potrà mai accettare una stretta di mano col Caimano, come Renzi ai tempi della “profonda sintonia” sul Nazareno.
Ed è bastata solo l’ipotesi di un flirt a creare pressione della sua opinione pubblica e degli intellettuali vicini (leggete ad esempio Paolo Flores D’Arcais).
Questo Berlusconi lo sa bene e il gioco è proprio questo: nella sua puntigliosa richiesta di un gesto, diciamo così, d’attenzione, c’è la volontà di rompere con i Cinque Stelle, di rompere al tempo stesso quel gioco di sponda di Salvini con Di Maio, stabilendo una interlocuzione col Pd.
E non è un caso che se al Senato Romani non ha l’ostilità del Pd, l’altro candidato alla Camera, il leghista Giancarlo Giorgetti è un altro molto stimato dal Pd.
Due nomi, insomma, con cui si rompe coi Cinque Stelle.
In altri tempi, in una situazione del genere — un Parlamento senza alcun vincitore, un complesso iter per la formazione del governo — si sarebbe cercata una soluzione condivisa.
Stavolta, al momento lo schema è: incasso il mio candidato al Senato, a maggioranza e anche forzando, e poi si vede il resto. Romani o morte.
C’è un dettaglio, ma neanche tanto, che svela il senso dell’operazione.
Quando si riuniscono i gruppi di Forza Italia, il capogruppo e candidato allo scranno più alto di Palazzo Madama, annuncia che, nelle due votazioni previste per venerdì, si vota “scheda bianca”. E lo stesso faranno gli alleati di centrodestra.
Segno che non c’è un accordo, questo è chiaro, ma non solo. È la mossa per “non bruciare” il candidato del centrodestra.
Il ragionamento è questo: alle prime due votazioni serve la maggioranza assoluta, e non ce la fa, dunque meglio non spendere il nome; alla terza, dove serve la maggioranza dei presenti, si candida e, secondo il pallottoliere, può prendere 137-139 voti; alla quarta, quando c’è il ballottaggio, arriva primo.
Questo lo schema. Costringendo Salvini a sostenerlo.
E qui veniamo al cuore della questione. Perchè è vero che Salvini è contrariato, anche dispiaciuto per come stanno andando le cose e nel corso della giornata ha dato più di un segnale di insofferenza parlando di una trattativa “azzerata” e mantenendo un dialogo aperto con Di Maio.
E nel corso del vertice a palazzo Grazioli ha chiesto di valutare nomi alternativi di Forza Italia capaci di allargare verso i Cinque Stelle, che aspettano solo un nome diverso da Romani per chiudere un accordo su entrambe le camere.
Però il punto strutturale è che il leader della Lega può “spingere” ma non può e non vuole rompere la coalizione, perchè il patto politico di fondo con Forza Italia regge. Sarà indicato come premier alle consultazioni, presentandosi in tal modo come il leader del centrodestra.
E se vuole fare questo giro è costretto a tenere unito il centrodestra. E infatti, al netto di tutti i dispiaceri, dichiara che il centrodestra “voterà compatto”.
In fondo il capogruppo uscente è sì figura che fa saltare l’interlocuzione con i Cinque stelle ma è anche un esponente di spicco di quel blocco nordista di Forza Italia, come il governatore della Liguria Giovanni Toti che ha già in Salvini se non il leader naturale quantomeno una naturalità di percorso comune, in prospettiva.
La presidenza del Senato non è solo questione di regolamenti e indirizzo dei processi legislativi, è un ruolo politico di rilievo tout court.
E il “cedimento” di Salvini presenta dei vantaggi in termini di consolidamento di questa cintura nordista dal Friuli alla Liguria e in un Parlamento dove gli eletti sopra il Po.
Ricapitolando, in sintesi, le ultime 24 ore che hanno fatto saltare tutti gli schemi.
La mossa di Berlusconi brucia il dialogo con i Cinque stelle, prefigurando una forzatura e un percorso che, sulla carta, tutela il candidato di Forza Italia.
Salvini spinge per cambiare cavallo ma non può permettersi una clamorosa rottura. Domani scheda bianca, per non bruciare nessuno.
Al momento di bruciato ci sono solo i ponti coi Cinque Stelle.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 22nd, 2018 Riccardo Fucile
DI MAIO NON VUOLE VEDERE BERLUSCONI, IL CENTRODESTRA REPLICA: INCONTRO CON I LEADER O TICKET ROMANI-GIORGETTI … PD: “FANNO IL GIOCO DEI VETI E CONTROVETI E BLOCCANO TUTTO”
Ancora stallo sulle presidenze delle Camere.
Il vertice tra i capigruppo, a Montecitorio, si è risolto con un nulla di fatto. “Non accettano di parlare dei nomi delle presidenze con il leader di Forza Italia, abbiamo fatto per un’ora questa domanda e loro ci hanno risposto di voler derubricare la cosa al tavolo dei capigruppo”, ha affermato Paolo Romani al termine della riunione.
Linea confermata dai vertici del Movimento 5 Stelle che, secondo quanto si apprende, sono disposti a parlare solo con Salvini e non con il Cavaliere.
“I nomi usciranno solo se ci sarà un incontro tra i leader altrimenti il centrodestra andrà con Romani al Senato e Giorgetti alla Camera”, è la linea di Forza Italia secondo quanto si apprende.
Il capogruppo di Fratelli d’Italia, Ignazio La Russa, ha dichiarato: “Incidentalmente la Lega ha fatto il nome di Romani, ma il Movimento 5 Stelle ha ribadito la sua preclusione verso persone sotto processo”.
Salvini ha annunciato che domani, quando prenderanno il via le votazioni per le presidenze, il centrodestra voterà “compatto”.
Il Pd, attraverso il reggente Maurizio Martina, ha spiegato come è andata: “Noi speravamo in un salto di qualità che purtroppo non c’è stato eppure il Pd è sempre stato propositivo. Il gioco dei veti e dei controveti ha bloccato tutto”.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 22nd, 2018 Riccardo Fucile
“FECE PRESSIONI PERCHE’ VENISSERO AUTORIZZATE LE SPESE DI VIAGGIO A TOKYO DELLA PATURZO, CON LA QUALE ERA LEGATO DA UNA RELAZIONE AFFETTIVA”
A due anni e 4 mesi dall’apertura della prima udienza il procuratore aggiunto Eugenio Fusco è riuscito a iniziare la requisitoria nel processo in cui è imputato l’ex governatore della Lombardia Roberto Maroni e a chiedere una pena.
L’accusa ha chiesto due anni e mezzo. L’ex segretario della Lega Nord è a giudizio per le ipotizzate pressioni per far ottenere un contratto di lavoro e un viaggio a Tokyo a sue due ex collaboratrici dell’epoca in cui era ministro dell’Interno, Mara Carluccio e Maria Grazia Paturzo.
“La presenza di Maria Grazia Paturzo nella delegazione del viaggio a Tokyo era dettata esclusivamente dalla relazione affettiva” con Roberto Maroni ed è “in questo contesto che si inserisce la condotta di Maroni affinchè la società Expo si accollasse le spese“.
Il leghista Maroni rinunciò poi al viaggio in Giappone e al suo posto andò l’allora vicepresidente della Lombardia, Mario Mantovani. La Paturzo a quel punto, ha proseguito il pm, “scomparve” e non partecipò alla missione.
Secondo l’accusa fu “una pressione, una induzione indebita” e non una “sollecitazione” perchè sarebbe stato lui a chiedere a Giacomo Ciriello, capo della sua segreteria politica, “di insistere” per ottenere da Christian Malangone, ex dg di Expo e “braccio destro” dell’allora commissario Beppe Sala, “la promessa” affinchè venissero autorizzate le spese del viaggio a Tokyo per Maria Grazia Paturzo, sua ex collaboratrice ai tempi del Viminale, nel 2014 temporary manager a Expo e con la quale era “legato da una relazione affettiva”.
Malangone condannato in primo grado è stato poi assolto in appello. Verdetto che il pubblico ministero ha cercato di smontare. Peri Ciriello l’accusa ha invece chiesto 2 anni e 2 mesi.
Imputati con Maroni anche Ciriello, Andrea Gibelli ex segretario generale del Pirellone e Mara Carluccio, l’altra ex collaboratrice di Maroni ai tempi del suo incarico di Ministro dell’Interno.
Per il pm, sulla base degli sms e WhatsApp scambiati tra i protagonisti della vicenda tra il 27 e il 29 maggio 2014, “ricorrono i requisiti fissati dalle Sezioni Unite della Cassazione per dire che ci troviamo di fronte a una induzione indebita: c’è reiterazione, insistenza, perentorietà e carattere ultimativo“.
Inoltre, ha aggiunto “la condotta di Ciriello è diretta conseguenza delle insistenze di Maroni che gli chiede di insistere con Expo”. Quanto alla prospettazione del vantaggio indebito, “anche potenziale”, Fusco ha sostenuto che per Malangone, che di lì a poco “si sarebbe ritrovato a ricercare un nuovo posto di lavoro (Expo spa si è sciolta dopo l’Esposizione Universale, ndr), la benevolenza del Presidente Maroni contava tanto”.
Infine il pm Fusco ha voluto dare qualche “nota di colore”.
Ricordando la telefonata in cui Maroni ha spiegato a Sala di aver rinunciato alla missione a Tokyo perchè era troppo lontano e incompatibile con la sua agenda ha affermato: “Tutte balle”.
E rivolgendosi alle difese ha ribadito che il cambio improvviso di programma era dovuto al “malessere” di Isabella Votino, la sua portavoce, che non vedeva di buon occhio la Paturzo.
E ancora ha ricordato che quando Ciriello, si accinge a organizzare la trasferta del Presidente lombardo a Berna, telefona in ambasciata per sapere se è diponibile un “palco per un discorso di Maroni, si sente rispondere: ‘Ma qui non abbiamo nemmeno un microfono’”.
Per Gibelli l’accusa ha chiesto un anno di reclusione e 800 euro di multa, mentre per Mara Carluccio la proposta è di 10 mesi e 800 euro di multa.
Il pubblico ministero, prima di concludere la requisitoria, ha spiegato che l’indagine è stata “in presa diretta”, cioè “che tutto quello che è avvenuto si è appreso dalle telefonate a cui poi sono stati trovati riscontri”.
Il pm Fusco ha inoltre tenuto a sottolineare che Maria Grazia Paturzo e Mara Carluccio “in tutta questa storia non si sono mai mosse e sono rimaste sempre a Roma, in piazza del Gesù”, dove ha sede l’ufficio di rappresentazione di Regione Lombardia, “andando in ufficio quando volevano, prima o dopo i loro contratti. Questo credo sia una grande anomalia — ha sottolineato — così come l’eccessiva rapidità nelle procedure di assunzione per entrambe”.
Per tutti gli imputati, il pm Fusco ha comunque chiesto le attenuanti generiche.
Il procuratore aggiunto, inoltre, ha chiesto alla Corte di inviare in Procura gli atti relativi alle testimonianze di Isabella Votino, Mara Carluccio, Maria Grazia Paturzo e dell’avvocato Cristina Rossello per valutare se, testimoniando nel corso del processo, abbiano commesso falsa testimonianza.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 22nd, 2018 Riccardo Fucile
ECCO LE CARRIERE DEGLI POLIZIOTTI DELLA MACELLERIA DELLA DIAZ
Un superpoliziotto che dall’Fbi italiano finì ai domiciliari, nell’interregno ha fatto il consulente del gigante pubblico Finmneccanica ed è tornato nel gotha dell’investigazione.
L’uomo che fece portare le (false) molotov alla scuola Diaz, divenuto di recente numero uno del dipartimento che controlla la sicurezza sulle autostrade.
E uno dei più famosi inquirenti degli ultimi vent’anni, andato in pensione e però rimasto in contatto con l’intelligence.
Quando il magistrato Enrico Zucca ribadisce che «chi coprì i torturatori del G8 di Genova è ai vertici della polizia» ha in testa tre nomi .
Mentre se s’incrociano attualità e storia molto contemporanea se ne possono ripescare altrettanti: personaggi che nel clou dei processi sono stati promossi a ruoli di primo piano, ricoperti a lungo da condannati.
Proviamo a fissare qualche paletto.
È del settembre scorso la nomina di Gilberto Caldarozzi a vicario della Dia, la Direzione investigativa antimafia, di fatto il leader operativo che ha il polso delle inchieste più delicate.
Protagonista della caccia a svariati latitanti, è tecnicamente un pregiudicato per falso: la Cassazione fissò una pena a 3 anni e 8 mesi poichè aveva firmato in larga compagnia il verbale di perquisizione in cui si dichiarava che dalla scuola dove dormivano i noglobal, poi manganellati durante l’irruzione degli agenti, spuntarono due bottiglie incendiarie.
Le stesse che furono esibite la mattina successiva nel corso d’una conferenza stampa, sebbene gli ordigni fossero stati in realtà introdotti dagli uomini in divisa.
Sempre Caldarozzi, quando il verdetto divenne definitivo il 5 luglio 2012 (finì brevemente agli arresti nei mesi successivi) era il capo del Servizio centrale operativo. Sospeso durante l’interdizione dai pubblici uffici, scaduta nel luglio 2017, era stato ingaggiato da Finmeccanica nel momento in cui presidente era Gianni De Gennaro, ovvero il capo della polizia ai tempi del G8.
A dicembre 2017 risale invece il nuovo incarico di Pietro Troiani: comandante del centro operativo della Polstrada a Roma, il più importante d’Italia.
Troiani, secondo le carte del caso Diaz, è l’uomo che nella notte del 22 luglio 2001 ordinò a un assistente di trasportare nell’istituto le bombe trovate il giorno prima in tutt’altra parte della città , e custodite su un furgone senza che ne fosse stato registrato il rinvenimento: ha preso 3 anni.
Sull’affaire Caldarozzi – Troiani il Viminale aveva ribadito che non si trattava di avanzamenti, ma di posti assegnati in base al grado e alle professionalità dei funzionari al momento della sospensione.
Figura particolare è quella di Francesco Gratteri, il più noto fra i condannati per il verbale fasullo.
Fra il 2001 e il 2012 (data della sentenza definitiva) diviene prima capo dell’Antiterrorismo, poi questore di Bari e, con il grado di prefetto, coordinatore del Dac, la divisione centrale anticrimine.
È a un certo punto il numero tre della polizia italiana, e corona con successo indagini cruciali rimanendo in sella nonostante il verdetto sfavorevole. Va in pensione poco dopo il pronunciamento della Cassazione e nei mesi scorsi il Ministero dell’Interno aveva preferito non rispondere su successive collaborazioni con i servizi segreti, per comprensibili ragioni di riservatezza.
Nell’intervallo fra secondo e terzo grado avevano ottenuto promozioni altri condannati per le prove truccate sul blitz: Giovanni Luperi (divenuto capo-analista dei nostri 007 interni e a riposo post-Cassazione), Spartaco Mortola (scelto come questore vicario a Torino e rientrato nei ranghi, con mansione differente, terminata l’interdizione dai pubblici uffici), Vincenzo Canterini, nominato questore già dal 2007, mai sospeso e andato in quiescenza dopo la dichiarazione di colpevolezza della Suprema Corte.
(da “il Secolo XIX”)
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Marzo 22nd, 2018 Riccardo Fucile
ALTRO CHE SCELTA “GREEN”, E’ UNO SCEMPIO DEL PATRIMONIO ARBOREO DELLA CAPITALE
Governare è un’impresa difficile, amministrare una città come Roma — con tutti i guai, i problemi e i disastri — può essere un’impresa impossibile.
Soprattutto se durante la campagna elettorale (due anni fa, come passa il tempo) si è promesso proprio l’impossibile e gli elettori ci hanno creduto.
Si dirà che in fondo tutti i partiti promettono mari e monti (e anche qualcosa di più) pur di andare al governo. Ma loro — quelli del MoVimento 5 Stelle — sono diversi.
A loro interessa cambiare le cose, per il meglio.
Succede però che i metodi adottati per il cambiamento siano gli stessi del passato. Ad esempio le capitozzature.
Ecco quindi che ogni giorno un assessore, un consigliere comunale o un presidente di Municipio del MoVimento 5 Stelle si alza e sa che dovrà postare su Facebook almeno un successo della sfavillante nuova Amministrazione guidata da Virginia Raggi.
Ieri è toccato al consigliere capitolino Daniele Diaco immolarsi sull’altare delle critiche a mezzo Facebook dei cittadini infuriati.
Scrive Diaco in un post che il M5S sta rendendo Roma “una città sempre più green e decorosa”.
A dimostrarlo “gli interventi quotidiani e puntuali realizzati dal Servizio Giardini”. L’attenzione del Comune sul verde cittadini — conclude il consigliere pentastellato — “resta alta, a tutela dei diritti dei romani a una città pulita e degna di essere vissuta”.
A corredo del post Diaco carica due foto di Piazzale Dunant che dimostrano che il Comune ha davvero preso a cuore il tema delle alberature.
Il problema è che — dopo le polemiche per le decine di alberi caduti nelle scorse settimane — il Servizio Giardini sembra aver voluto adottare una soluzione piuttosto radicale per evitare la caduta dei rami ed “alleggerire” l’albero: la capitozzatura.
Si tratta di una tecnica di potatura delle chiome degli alberi che la SIA, la Società Italiana di Arboricoltura, definisce come la più dannosa perchè indebolisce gli alberi rendendoli più pericolosi nel tempo.
Il Comune di Roma non è certo l’unico comune italiano a ricorrere alla capitozzatura per risolvere rapidamente il problema delle alberature.
Roma però è uno dei comuni amministrati dai 5 Stelle, quel partito politico che nel corso degli anni ha sostenuto di sapere come dovevano essere svolti correttamente tutti i lavori pubblici: dall’asfaltatura delle strade alla pulizia delle caditoie passando ovviamente per la cura e la gestione del verde pubblico.
Non è certo una novità che le persone che hanno a cuore l’ambiente siano fortemente contrarie alla capitozzatura. Inoltre questa tecnica è stata utilizzata in passato dalle contestatissime precedenti amministrazioni.
Non sorprende quindi che molti cittadini infuriati si siano riversati sulla pagina del povero consigliere Diaco per rinfacciare il fatto che capitozzare le piante non sia proprio una scelta “green”.
C’è chi parla di scempio del patrimonio arboreo (cose che succedono quando si rimanda a lungo un bando) e chi invece va dritto al punto dicendo che il Comune a 5 Stelle sta facendo la stessa cosa che faceva Marino e che il M5S contestava.
Altri cittadini parlano di tagli ingiustificati e abbattimenti preventivi fatti forse per paura ed evitare la caduta degli alberi e le conseguenti polemiche.
Meglio tagliare che imbarcarsi in un delicato lavoro di censimento e alleggerimento delle chiome. I risultati devono essere visibili, possibilmente subito, per mettere a tacere le voci di coloro che dicono che in due anni di governo la Raggi non ha fatto nulla.
Forse il Comune potrebbe fare di più, in nome della trasparenza, per spiegare la ratio di certi interventi così radicali. Almeno in questo modo i cittadini potrebbero capire se i lavori sono stati fatti bene o meno. Ma la partecipazione evidentemente serve solo quando fa comodo.
Mettere la foto di una capitozzatura non sembra essere stata una buona idea per fare buona pubblicità sulla qualità dell’operato, commenta garbatamente un utente.
Altri invece sono decisamente più infuriati, anzi: disgustati.
C’è chi si lamenta della lentezza dei lavori di potatura, che procedono a singhiozzo e lasciano rami e ramaglie a terra per settimane. Così non va, commenta un cittadino che sembra essere un elettore del MoVimento sull’orlo della delusione (ma che non vuole cedere).
Ad esempio il Comune avrebbe potuto spiegare, magari con incontri pubblici, che certi alberi (come ad esempio i pini marittimi) sono di delicata gestione e non sono adatti ad una città .
Sicuramente ci sarebbe stato chi avrebbe contestato la scelta di abbatterli ma la decisione non sarebbe stata calata dall’alto.
Naturalmente però per organizzare cose del genere serve programmazione, una cosa che a Roma manca oggi come è mancata in passato.
In perfetta continuità ideale e materiale con le amministrazioni precedenti.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 22nd, 2018 Riccardo Fucile
L’HASHTAG #ESPLOSIONI TREND TOPIC SU TWITTER, TRA IRONIE E FAKE NEWS
I primi a dare notizia dei due forti boati in Lombardia provocati da una coppia di caccia dell’Aeronautica militare decollati per intercettare un Boeing 777 di Air France sono stati i social network.
Tra le 11.20 e mezzogiorno Facebook e Twitter sono stati invasi dalle segnalazioni degli utenti che si interrogavano su due forti “esplosioni”.
Una vera e propria psicosi, che ha fatto entrare l’hashtag #esplosioni tra i trend topic della giornata.
C’è chi ha pensato a una bomba, chi al terremoto: “La prima esplosione, fortissima, con forte spostamento d’aria, la seconda, dopo 10″, meno forte… però confermo di aver sentito il rumore prolungato” scrive qualcuno, “Aiutooooo ci sono stati due botti forti ke mi è tremato il negozio paura” scrive un altro utente su un gruppo Facebook cittadino e subito sotto compaiono decine di commenti. “Quasi mi veniva un infarto” dice Mario 17. “Ho chiamato a scuola di mia figlia e mi hanno detto che li hanno fatti uscire in cortile” risponde un altro.
Insomma, nel giro di pochi minuti il panico da “attentato” si è diffuso per tutta la Lombardia, amplificato anche dai passaparola su Whatsapp.
Centralini intasati di telefonate, evacuate scuole e tribunale di Bergamo. La paura si era diffusa in un raggio di circa 50 km.
E’ stata un’emergenza vera e non una manovra incauta quella che ha messo in allarme mezza Lombardia, questa mattina intorno alle 11.30 quando due caccia F-2000 “Eurofighter” dell’Aeronautica militare hanno rotto il muro del suono provocando un boato avvertito in un raggio di 50 chilometri in Lombardia.
I caccia erano decollati dalla base di Istrana (Treviso), sede del 51esimo Stormo. Il loro comando era in allarme per un Boeing 777 dell’Air France che, partito dall’Isola della Reunion e diretto a Parigi, non rispondeva al contatto radio con l’Agenzia italiana del traffico aereo.
Il velivolo sembrava dirigersi verso Milano o Torino e, come prevedono le procedure militari, il responsabile delle operazioni ha ordinato ai piloti di superare la barriera del suono e affiancare l’Air France che, a quel punto, ha ripreso i contatti radio facendo immediatamente cessare la paura generale di un dirottamento in corso.
Il bang per quella manovra supersonica assomigliava al rumore di un’esplosione e aveva spaventato mezza Lombardia.
Si era udito a Como e in Brianza, a Saronno, ma anche a Brughiero e a Cantù, ad Agrate, Biassono, Verderio, nei comuni sul Seveso e sull’Adda. A Bergamo, addirittura, alcune scuole erano state evacuate così come il tribunale. In procura, addirrittura, si è staccato il vetro di un rosone all’ingresso, fortunamente nessuno è rimasto ferito. E anche a Milano le segnalazioni erano state tantissime.
I casi in cui caccia si alzano in volo su allarme per intercettare velivoli sospetti non sono rari, come ha spiegato l’Arenautica militare. I “decolli su allarme”, i cosiddetti “scramble”, nella quasi totalità dei casi avvengono quando voli di linea perdono il contatto radio con gli enti del traffico aereo, come avvenuto oggi con il Boeing
L’Aeronautica militare assicura “la sorveglianza dello spazio aereo nazionale 365 giorni all’anno, 24 ore su 24, con un sistema di difesa integrato, fin dal tempo di pace, con quello degli altri paesi appartenenti alla Nato”.
Per ridurre al minimo i tempi d’intervento, legati alla particolare situazione di necessità i velivoli militari superano la barriera del suono causando veri e propri boati come quelli di oggi.
(da agenzie)
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Marzo 22nd, 2018 Riccardo Fucile
GIOCA NEL CAMPIONATO DI PROMOZIONE E HA IL PERMESSO DI SOGGIORNO IN SCADENZA
Ha trovato il portafoglio di un giocatore avversario e gliel’ha restituito. Per questo, gli hanno offerto un lavoro.
Protagonista della storia un giovane calciatore, ivoriano d’origine e con il permesso di soggiorno in scadenza. Jean-Marc M’Boua, 20 anni, che gioca nella Vaianese Impavida Vernio, nel campionato Promozione, in Toscana, alla fine della partita contro il Folgor Marlia ha trovato un portafoglio fuori dagli spogliatoi. Dentro, 145 euro.
È allora che, come racconta il «Tirreno», il 20enne si attiva prima per cercare di contattare telefonicamente il proprietario, poi decide di prendere il treno da Prato a Lucca per trovarlo. Nulla anche qui.
Finchè decide di andare allo stadio dove si allena la Folgor. L’allenatore lo mette in contatto con colui che aveva perso il portafoglio, Andrea Della Maggiora. Che per ringraziarlo gli dà 50 euro.
È Davide, il padre di Andrea però a decidere di non fermarsi qui: decide di fare di più per questo 20enne, con il permesso di soggiorno in scadenza.
E gli offre un posto di lavoro nella sua azienda che produce contenitori per la conservazione di alimenti a Cremona. «Vogliamo aiutare Jean-Marc in ogni modo possibile – ha spiegato l’uomo – Non so davvero quante persone si sarebbero comportate in questo modo. Mi ha stupito la sua bontà . La mia famiglia gli sarà sempre vicino»
(da “Il Corriere della Sera”)
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Marzo 22nd, 2018 Riccardo Fucile
UNO DEI RAGAZZI ABUSATI FINI’ TRAGICAMENTE SOTTO IL TRENO A PISA… MOLTE VITTIME MINORENNI ERANO NORDAFRICANI
Clamorosi sviluppi sul caso della morte di Nicolay Vivacqua, il pisano di 19 anni travolto dal treno la mattina dello scorso 21 dicembre all’altezza di Riglione-Oratoio, in seguito ad un altro caso allora dai contorni poco chiari, quello dell’incendio doloso di una Ford Focus parcheggiata nella vicina via Alberello.
Nella mattina di giovedì 22, personale della squadra mobile della questura di Pisa ha dato esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa del gip Giulio Cesare Cipoletta nei confronti di un pensionato di 75 anni, residente a Pisa, proprietario dell’auto incendiata.
«L’uomo — si legge in una nota della polizia – è ritenuto responsabile di aver compiuto ripetuti atti sessuali e violenze sessuali nei confronti di quattro giovani che all’epoca dei fatti erano quasi tutti tredicenni. L’attività investigativa era già nata nell’ambito di un procedimento penale della locale Procura per i reati di violenza sessuale e prostituzione minorile avviato da una denuncia resa da un giovane cittadino marocchino per fatti avvenuti quando era ancora minorenne, denuncia che è apparsa oltremodo fondata sulla base delle risultanze investigative».
Nel corso delle indagini, sottolinea la questura, «si verificava un altro drammatico evento: il 21 dicembre 2017 due giovani 19enni che avevano casualmente scoperto di condividere la terribile esperienza di aver subito abusi sessuali da parte dell’indagato, con un gesto inconsulto avevano deciso di vendicarsi incendiando l’autovettura dell’uomo, che per anni era stata il teatro delle violenze sessuali. Purtroppo da questo gesto era derivata l’inimmaginabile conseguenza della tragica morte di uno dei due ragazzi, investito dal treno in corsa mentre fuggiva a pochi metri dal luogo dell’incendio».
L’orco militava nelle amicizie del calcio
Quest’ultimo evento «ha indirizzato le indagini in maniera serrata — si legge ancora – ed ha consentito di acquisire non solo prove per i fatti reato avvenuti in passato, ma di individuare alcune vittime attuali dell’indagato, in particolare minori di etnia rom e nordafricana. L’uomo, difatti, da tempo gravitante negli ambienti delle squadre giovanili di calcio locali, avvicinava le giovanissime vittime, millantando di avere contatti influenti con squadre di calcio di serie A e carpendo la loro fiducia di fatto li soggiogava ai suoi voleri.
È apparso evidente come l’indagato individuasse quali vittime, minori che non erano sotto il diretto controllo delle famiglie, di cui agevolmente riuscisse ad ottenere la fiducia, facendo leva sui sogni e le aspirazioni di una carriera calcistica, in tal modo isolandoli. I minori erano accomunati da caratteristiche sociali ed economiche come il disagio, l’emarginazione e il bisogno di denari, e l’indagato li spingeva a sopportare riprovevoli condotte di abuso, prospettando loro un futuro nel mondo del calcio e comunque nell’attesa li accontentava anche solo con qualche sigaretta, un gelato o pochi euro».
(da agenzie)
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