Marzo 24th, 2018 Riccardo Fucile
L’ACCORDO CONTIENE IL DNA PER UNA POSSIBILE INTESA DI GOVERNO CON TUTTO I CENTRODESTRA
C’è un’espressione che usa spesso Giancarlo Giorgetti, il Richelieu di Salvini: “Passo dopo passo”. Passo dopo passo di un cammino che porta al governo.
Diciamo la verità , l’elezione delle cariche istituzionali prefigura uno schema per il governo che verrà . Se alle elezioni è crollato il Nazareno di Berlusconi e Renzi, nel Palazzo si è andato in scena il secondo round.
Di Maio conquista lo scranno più alto di Montecitorio, con i voti di Berlusconi e senza doverlo riconoscere politicamente: senza un gesto, un incontro nemmeno una telefonata, addirittura negata quando il Cavaliere lo ha cercato e ha rifiutato la chiamata.
E Salvini, questo è il passaggio chiave, è riuscito a costringere Berlusconi a cedere sul punto decisivo: il voto a un candidato del Movimento senza un minimo riconoscimento politico.
Ciò che era inaccettabile è diventato possibile, passo dopo passo, fino al tumultuoso vertice di questa mattina, dopo una notte in cui gli ambasciatori di palazzo Grazioli avevano ancora tenuto aperti i canali col Partito democratico.
Una manovra del genere non è frutto di coincidenze fortunate. E c’è del vero quando Salvini dice di “sentire Di Maio più della madre”.
Della loro consuetudine e del loro affiatamento se ne è accorto Berlusconi dalle frequenti chiamate questa mattina: “Luigi”, “Matteo”, “allora, noi siamo pronti, tu ritira Fraccaro per darci il segnale, noi dichiariamo che ci siamo”.
Un candidato da bruciare per dare un segnale che l’interlocutore ha incassato qualcosa e convergere su un altro .
Quella vecchia volpe di Pier Ferdinando Casini, che di Repubbliche ne ha attraversate due, ha fiutato dove vogliono arrivare i due runner della Terza: “Beh, è evidente quello che è successo sui presidenti delle Camere. Questa vicenda dimostra che i due hanno un cordone che li unisce quindi aspettiamoci un bel governo presieduto da qualche ex presidente della Corte Costituzionale. E Berlusconi ci sta, perchè ci deve stare”.
E chissà se è un caso che venerdì sera, quando il gioco si è fatto duro, a palazzo Grazioli aleggiava una certa inquietudine. E nelle riflessioni sullo “schema” per le presidenze è entrato anche il futuro delle aziende, perchè Forza Italia può anche stare all’opposizione ma le aziende preferiscono sempre stare al governo. meglio sempre essere della partita piuttosto che stare fuori da un patto esclusivo Di Maio-Salvini, che terrorizza Berlusconi soprattutto quando ne parla col suo avvocato Niccolò Ghedini, un altro che ha una certa consuetudine con Salvini e con la neo-eletta presidente del Senato sin dai tempi della guerra santa alle procure.
Lo schema di gioco sulle cariche istituzionali prefigura un accordo politico per il governo. Così come lo prefiguravano le ipotesi franate.
Perchè c’è un motivo se Romani aveva la benevola astensione del Pd. Se fosse diventato presidente del Senato sarebbe potuto diventare “l’esploratore” consumato il primo giro di Salvini e il secondo Di Maio. E a quel punto col Pd ci sarebbe stato un altrettanto benevolo dialogo. Salvini lo aveva capito bene ed è per questo che lo ha terremotato, perchè le danze per il governo saranno condotte da lui e Di Maio.
Trattare da capo dell’intero del centrodestra, non da leader della Lega, con l’intero “pacchettone”: “Voglio essere io a portare al governo il 36 per cento del paese”.
E alle consultazioni riceverà la medaglia formale: “Si prende il pre-incarico — dicono fonti informate — si fa un giro che lo consacra e prepara lo step successivo, quando anche Di Maio avrà consumato il suo giro con il suo incarico”.
È a quel punto che inizia il gioco vero, con Berlusconi nei panni del comprimario che non detta i ritmi del gioco ma prova a restare dentro.
Perchè il processo è avviato. Bastava parlare con i parlamentari azzurri in Transatlantico: “Io al prossimo giro la candidatura me la vado a trattare direttamente con la Lega”.
E Salvini questa percezione ce l’ha chiara, così come ce l’hanno chiara gli interlocutori pentastellati della Lega: “Forza Italia — dicono – sta franando, è un processo inarrestabile”. Ecco.
E l’ipotesi del governo è già al centro di riflessioni comuni. È chiaro che uno non potrà avere la Flat tax e l’altro non potrà avere il reddito di cittadinanza, ma quei quattro o cinque punti condivisi sono possibili: vitalizi, qualche misura sulle pensioni, una legge elettorale che preveda il premio di lista.
Premio che aiuta non solo Di Maio ma anche Salvini nella sua Opa costringendo tutti alla costruzione di un soggetto unico del centrodestra.
Poi di nuovo avversari, in un nuovo bipolarismo della Terza Repubblica. E se una volta c’era quello tra destra e sinistra e alla scorsa legislatura c’è stato, di fatto, quello tra “sistema” e “anti-sistema”, il progetto adesso è un bipolarismo Salvini-Di Maio, sulle spoglie di Forza Italia e Pd. Come avvenuto sulle cariche istituzionali.
Passo dopo passo.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 24th, 2018 Riccardo Fucile
QUANDO FICO DICEVA “MAI UN ASSE CON SALVINI” E LA CASELLATI DIFENDEVA RUBY E LE OLGETTINE
“Un asse con Salvini? Può trovare accordi solo con i condannati in via definitiva. Noi siamo lontanissimi dal suo becero populismo”.
Se si è avuto un bravo maestro di giornalismo, si sa perfettamente che un articolo non si inizia mai con una citazione. Soprattutto se lunga.
Ma quella che Roberto Fico ha regalato a Repubblica il 2 settembre del 2015 apre d’emblèe lo squarcio su come le convulsioni che hanno portato all’elezione di un grillino della prima ora e di una forzista di ferro alle presidenze di Montecitorio e Palazzo Madama segnino uno spartiacque.
Mai figure così differenti sono state affiancate alla seconda e terza carica dello stato. Mai due politici che hanno così tanto avversato le ragioni dell’avversario, fino a pronunciare parole di cui forse pentirsi, e a sostenere tesi in confronto alle quali gli aforismi di Bersani scolorano nelle tinte della banalità , sono assurti ai vertici delle istituzioni.
C’era un tempo in cui. C’era un tempo in cui Maria Elisabetta Alberti Casellati difendeva il capo del partito in cui milita dalle origini dalle accuse di ogni tipo. Prendiamo Ruby rubacuori, la “figlia di Mubarak”, per esempio. “Non leggo a fronte delle dichiarazioni significative del Ministro della Funzione Pubblica del Marocco, le scuse della sinistra”, disse nel gennaio del 2014, quando arrivò da Rabat un dispaccio che avrebbe certificato la maggiore età della ragazza, “prelevata” in commissariato su mandato di Silvio Berlusconi, spiegando che era la nipote dell’allora presidente egiziano.
C’era un tempo in cui. C’era un tempo in cui Roberto Fico imbracciava un mitra caricato a fonemi e sparava raffiche contro il partito della “collega di presidenza”. Quello grazie al via libera del quale si è seduto sullo scranno che fu di Laura Boldrini. “Perchè politicamente sono la stessa cosa”, scherza ma non troppo un senatore azzurro, contento di non doverlo votare per disciplina di partito.
Ecco qua due esempi. A caso. “Spero che Berlusconi esca dalla vita politica delle persone, è un incubo”, diceva lo scorso novembre all’agenzia Dire.
Aggiungendo: “Tende a non voler far ragionare le persone. Chi vota Movimento Cinque Stelle lo fa proprio perchè ragiona”. Bocciatura antropologica ancor prima che politica. E ancora, non più tardi di un mese fa a Rtl: “Berlusconi ha avuto per un anno a casa un mafioso, lo stalliere. Non è adatto a governare. Votare Berlusconi è pericoloso”.
Dal non votare a l’essere votati il passo è breve. Travagliato, certo, ma pur sempre breve. Vale anche per la Casellati.
Campionessa del garantismo spinta sull’onda delle oltre cento schede imbucate dalla forza più giustizialista che siede in Parlamento. Garantista anche quando la teoria difensiva rischia la gola al cospetto del rasoio di Occam.
Ai tempi del gran polverone su Berlusconi e le olgettine, la linea difensiva era spericolata ai limiti del cappottamento: “Lui è generoso con tutti, anche con le persone bisognose che incontra per strada. Poi noi abbiamo visto solo questo: e tutta la beneficenza che fa ai vari istituti, dal San Raffaele a Don Gelmini?”.
Quando, in tempi non sospetti, si vociferava di una sua scalata al ministero della Giustizia in caso di vittoria piena del centrodestra, un giornale di certo non antipatizzante come il Foglio così ne ricordava i fasti antichi: “Più il tema si faceva tormentato (Ruby? l’Europa? Mills? Tarantini?) più Casellati appariva in video”.
Si parlava di cose travagliate. Ed ecco quella che veniva considerata il maglio berlusconiano nella sua guerra contro le procure prendersi a mazzate con Marco Travaglio. Era il 2011.
E il direttore del Fatto le contestava una vicenda per la quale la presidentessa appena eletta era finita qualche tempo prima (nel 2005) nel mirino di buona parte della stampa. Che la accusava di aver fatto assumere la figlia al ministero della Salute. Dove lei ricopriva la carica di sottosegretario. Il direttore del Fatto in grande spolvero, nel bel mezzo del contraddittorio, l’apostrofò così: “Non si può interloquire con le puttanate che dice questa signora”.
Nelle cerimonie ufficiali la “signora” si siederà solenne al descamisado Fico. Che per l’occasione dell’elezione ha rispolverato un set di cravatte.
Lasciando a Roberto Giachetti il record di essere stato l’unico a presiedere l’emiciclo di Montecitorio con la sola camicia. Forse già impegnato a limare le distanze con Salvini (che ha riempito una fila di armadi con le felpe di un tempo per sostituirle con giacca e cravatta).
Le distanze di quando lo rincuorava “sul fatto che tra il M5s e la Lega, tra Beppe e te, la distanza di visioni, idee, contenuti è siderale”. “Siamo due universi diversi”, chiosava. I cui lembi – per ora solo quelli – al momento si sovrapposti. E la fantascienza non c’entra.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 24th, 2018 Riccardo Fucile
SALE IL TICKET BERNINI AL SENATO E GELMINI ALLA CAMERA
La strategia portata avanti sulle presidenze delle Camere sta scuotendo Forza Italia.
In un documento che, riferiscono alcune fonti parlamentari, ha raccolto la firma di una parte dei deputati ‘azzurri’, si chiede il rinnovo dei vertici.
Mentre, al Senato, Paolo Romani questa mattina ha spiegato apertamente di non aver condiviso la scelta operata su Palazzo Madama: “Sono preoccupato – ha spiegato – per quello che ci aspetta”.
“Vorrei tranquillizzare i tanti o pochi malpancisti del mio gruppo, che puntano a prendere il mio posto di presidente FI Camera: non ho alcuna intenzione di fare per altri 5 anni un mestiere così difficile, logorante e, per certi versi, pericoloso”. Lo scrive su twitter il capogruppo uscente di Fi Renato Brunetta.
Il timore in FI è che sia partita l’Opa di Salvini sul partito.
Ovvero che il segretario del Carroccio possa ora portare avanti l’operazione del partito unico, orientando tutte le decisioni della coalizione del centrodestra. “Siamo usciti da questa situazione con le ossa rotte”, confida un ‘big’ di FI.
Berlusconi ha sottolineato di avere fiducia in Matteo Salvini, lo ha ricevuto anche dopo la consacrazione di Fico e Casellati ai vertici istituzionali.
Ma ora la preoccupazione è che il Carroccio possa alzare la posta. Anche rispetto alle prossime amministrative. “Sui territori – sottolinea un altro esponente azzurro – hanno cominciato a chiedere di esprimere i propri candidati”.
Ora però il Cavaliere è concentrato sulla partita del governo. “Guardiamo agli interessi del Paese”, ha detto ai cronisti davanti palazzo Grazioli. Salvini da tempo ripete di non voler portare avanti un’azione di ‘shopping’ parlamentare ma la consapevolezza di deputati e senatori azzurri è che nelle trattative possa essere lui ora il punto di riferimento.
Nel documento che in queste ore circola in Transatlantico si fa riferimento al momento politico.
Nell’ultima riunione di gruppo, Berlusconi ha di fatto avanzato l’idea di prorogare Brunetta ma molti deputati azzurri non nascondono che anche Maria Stella Gelmini ambisce a guidare i deputati di FI, mentre per Palazzo Madama si fa il nome di Anna Maria Bernini.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 24th, 2018 Riccardo Fucile
“E’ UN FATTO POLITICO, E’ NATA UNA MAGGIORANZA, SE SERVONO LE POLTRONE I VOTI DI FORZA ITALIA NON PUZZANO”
“Un fatto politico, a differenza di quanto diceva il M5s”, lo chiama il reggente Maurizio Martina annunciando che il Pd sarà forza di minoranza e si prepara “per essere l’alternativa alla destra e ai Cinque Stelle”.
Nelle fila dei dem, le sue parole sono le più istituzionali, insieme all’analisi di Matteo Renzi: “Ha vinto lo schema del tocca a loro. Era l’unico schema possibile, perchè rispettoso della volontà popolare. Immaginate cosa sarebbe successo se avessimo fatto l’accordo con il centrodestra o con i Cinque stelle, privando uno dei due della presidenza di una Camera…”. Soddisfatto? “Sarei stato soddisfatto se avessi vinto le elezioni”, aggiunge.
Ma in area renziana l’analisi dopo l’elezione di Roberto Fico e Maria Elisabetta Alberti Casellati è assai più ficcante.
Per Lorenzo Guerini ed Ettore Rosato “è nata la nuova maggioranza”, guidata da Grillo e Di Maio e nella quale Silvio Berlusconi è “il ruotino di scorta”.
Il pasdaran Andrea Marcucci parla di “modello Grillusconi, con Matteo Salvini che fa la levatrice”. Secondo il senatore toscano, i Cinque Stelle “avevano promesso il cambiamento ed invece sono prevalsi i favori reciproci, con un rito prelevato a forza dalla Prima Repubblica“. Adesso, spiega, “il Pd starà all’opposizione, ad evitare che il Grillusconi che avanzerà anche per il governo, tenti di scassare i conti dello Stato”.
La viceministra dello Sviluppo Economico, Teresa Bellanova, commenta così l’intesa: “Con la confluenza del Movimento 5 Stelle sulla candidata obtorto collo di Silvio Berlusconi non è fuor di luogo dire che il Movimento 5Stelle perde la sua verginità e si piega al mercato della politica“.
Adesso, osserva, “si apre adesso la partita del Governo” e “se le premesse sono queste, ne vedremo delle belle e già adesso possiamo dire che alla prova dei fatti evidentemente, per i 5 Stelle, il governo val bene la svendita dell’ostentata purezza dell’identità ”.
Sulle barricate anche Debora Serracchiani. Per la presidente del Friuli Venezia Giulia, “a parti invertite, sarebbe partito l’urlo all’inciucio con il criminale”.
I pentastellati, dice ironicamente la deputata dem, “hanno poteri taumaturgici e con il loro abbraccio purificano anche i voti berlusconiani, se servono a prendersi una poltrona”.
I voti di Forza Italia “non puzzano più se servono a Fico e i voti di Grillo e Di Maio — aggiunge — possono far presidente del Senato una fedelissima del Cavaliere. E allo stesso tempo trafficano per un governo con Salvini. Comincia così la rivoluzione a 5 Stelle”.
(da “agenzie)
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Marzo 24th, 2018 Riccardo Fucile
FATELO, COSI’ POI CI DIVERTIAMO (SI FA PER DIRE)
Gli elettori di Lega e MoVimento 5 Stelle cominciano a guardare con interesse all’ipotesi di un governo dei due partiti e ormai in maggioranza per entrambi gli schieramenti aprono all’alleanza esplicita, dopo quello che è successo ieri sui presidenti di Camera e Senato.
Sostiene infatti un sondaggio SWG per il Messaggero che se solo due settimane fa l’ipotesi di un esecutivo che mettesse insieme la Lega di Matteo Salvini e i Cinquestelle di Luigi Di Maio piaceva solo al 31% degli elettori leghisti e a quasi metà degli elettori pentastellati, oggi il quadro è sensibilmente mutato.
L’ipotesi di un esecutivo a due, che vede insieme i due vincitori, non è più un anatema, ma incomincia a divenire una soluzione «giusta» e «auspicabile» per il 59% dei supporters del partito fondato da Beppe Grillo e per il 58% di quelli del Carroccio.
La Lega e il M5S quindi vanno a braccetto anche nei sondaggi — dove sono dati in tumultuosa crescita — oltre che nella spartizione delle cariche istituzionali.
E questo non può che avvicinare rapidamente la prospettiva di un governo insieme. Magari di scopo, all’inizio, poi l’appetito viene mangiando.
Magari solo con l’obiettivo di fare una legge elettorale che ci riporti rapidamente al voto. Oppure all’interno di un accordo che porti finalmente i due schieramenti populisti a cercare di realizzare i punti del loro programma.
Secondo uno schema di fiducia reciproca già dimostrato in occasione dei primi passi della legislatura. E con la benedizione degli elettori.
Così poi ci si diverte (si fa per dire…)
(da agenzie)
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Marzo 24th, 2018 Riccardo Fucile
IN DIECI ANNI IL RISCHIO DI ESCLUSIONE SOCIALE E’ AUMNETATO DI 4 PUNTI… ALTRO CHE LITI DA CORTILE DI POLITICI DA AVANSPETTACOLO
Con tasse record una spesa sociale tra le più basse d’Europa, in Italia il rischio povertà o di esclusione sociale ha raggiunto livelli di guardia molto preoccupanti.
E’ quanto emerge dall’analisi realizzata dall’Ufficio studi della Cgia, secondo la quale il rischio di povertà o di esclusione sociale tra il 2006 e il 2016 è aumentato in Italia di quasi 4 punti percentuali, raggiungendo il 30% della popolazione. In buona sostanza le persone in difficoltà e deprivazione sono passate da 15 a 18,1 milioni.
Il livello medio europeo è invece salito solo di un punto, attestandosi al 23,1%: 6,9 punti in meno rispetto alla nostra media.
In Francia e in Germania, invece, in questi 10 anni il rischio povertà è addirittura diminuito e attualmente presentano un livello di oltre 10 punti in meno al dato medio Italia.
A livello regionale per quanto riguarda la povertà la situazione al Sud è pesantissima. Gli ultimi dati disponibili riferiti al 2016 ci segnalano che il rischio povertà o di esclusione sociale sul totale della popolazione ha raggiunto il 55,6% in Sicilia, il 49,9% in Campania e il 46,7% in Calabria.
Il dato medio nazionale, come dicevamo più sopra, ha raggiunto il 30% (4,1 punti percentuali in più tra il 2006 e il 2016).
In questi ultimi anni di crisi, nota la Cgia, alla gran parte dei Paesi mediterranei sono state “imposte” una serie di misure economiche di austerità e di rigore volte a mettere in sicurezza i conti pubblici. In via generale questa operazione è stata perseguita attraverso uno “smisurato aumento delle tasse, una fortissima contrazione degli investimenti pubblici e un corrispondente taglio del welfare state”.
“Da un punto di vista sociale — commenta il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo — il risultato ottenuto è stato drammatico: in Italia, ad esempio, la disoccupazione continua a rimanere sopra l’11 per cento, mentre prima delle crisi era al 6 per cento. Gli investimenti, inoltre, sono scesi di oltre 20 punti percentuali e il rischio povertà ed esclusione sociale ha toccato livelli allarmanti. In Sicilia, Campania e Calabria praticamente un cittadino su 2 si trova in una condizione di grave deprivazione. E nonostante i sacrifici richiesti alle famiglie e alle imprese, il nostro rapporto debito/Pil è aumentato di oltre 30 punti, attestandosi l’anno scorso al 131,6 per cento”.
In questi ultimi anni la crisi ha colpito indistintamente tutti i ceti sociali, anche se le famiglie del cosiddetto popolo delle partite Iva ha registrato, statisticamente, i risultati piu’ preoccupanti. Il ceto medio produttivo, insomma, ha pagato più degli altri gli effetti negativi della crisi e ancora oggi fatica ad agganciare la ripresa.
“A differenza dei lavoratori dipendenti — nota il Segretario della Cgia Renato Mason — quando un autonomo chiude l’attività non beneficia di alcun ammortizzatore sociale. Perso il lavoro ci si rimette in gioco e si va alla ricerca di una nuova occupazione. In questi ultimi anni, purtroppo, non è stato facile trovarne un altro: spesso l’età non più giovanissima e le difficolta’ del momento hanno costituito una barriera invalicabile al reinserimento, spingendo queste persone verso impieghi completamente in nero”.
Ritornando ai dati della ricerca, In Italia la pressione tributaria (vale a dire il peso solo di imposte, tasse e tributi sul Pil) si attesta al 29,6% nel 2016.
Tra i nostri principali paesi competitori presenti in Ue nessun altro ha registrato una quota cosi’ elevata.
La Francia, ad esempio, ha un carico del 29,1%, l’Austria del 27,4%, il Regno Unito del 27,2% i Paesi Bassi del 23,6%, la Germania del 23,4% e la Spagna del 22,1″.
Al netto della spesa pensionistica, il costo della spesa sociale sul Pil (disoccupazione, invalidità , casa, maternità , sanità , assistenza, etc.) si è attestata all’11,9 per cento.
Tra i principali paesi Ue presi in esame in questa analisi, solo la Spagna ha registrato una quota inferiore alla nostra (11,3% del Pil), anche se la pressione tributaria nel paese iberico è 7,5 punti inferiore alla nostra.
Tutti gli altri, invece, presentano una spesa nettamente superiore alla nostra. In buona sostanza siamo i più tartassati d’Europa e con un welfare “striminzito” il disagio sociale e le difficoltà economiche sono aumentate a dismisura.
(da agenzie)
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Marzo 24th, 2018 Riccardo Fucile
LA DONNA ERA AFFETTA DA UN GRAVE LINFOMA, GARA DI SOLIDARIETA’ PER SALVARE IL BAMBINO…. “I FRANCESI HANNO DIMENTICANO L’UMANITA'”
È stata respinta alla frontiera di Bardonecchia, nonostante fosse incinta di poche settimane e affetta da un grave linfoma.
I militari francesi non le hanno permesso di entrare in Francia e lei, una migrante nigeriana di 31 anni, soccorsa dai volontari di Rainbow4Africa, è morta all’ospedale Sant’Anna di Torino dopo il parto cesareo.
“Le autorità francesi sembrano avere dimenticato l’umanità “, dice Paolo Narcisi, presidente dell’associazione che da dicembre ha aiutato un migliaio di migranti.
Salvo il suo bimbo, che al momento della nascita pesava 700 grammi. Il fatto che sia in vita è considerato “un miracolo” dai medici.
La nigeriana è stata ricoverata un mese a Torino, seguita dall’Ostetricia e Ginecologia diretta dalla professoressa Tullia Todros e dall’ematologia ospedaliera delle Molinette diretta dal dottor Umberto Vitolo.
È stata tenuta in vita il più possibile, per consentirle di portare avanti la gravidanza. Il neonato è ora ricoverato nella Terapia Neonatale del Sant’Anna, diretta dalla professoressa Enrica Bertino, assistito dal padre, anche lui respinto alla frontiera.
“I corrieri trattano meglio i loro pacchi”, continua Narcisi, secondo cui respingere alla frontiera una donna incinta e malata “è un atto grave — dice ai microfoni del Tg3 — che va contro tutte le convenzioni internazionali e al buon senso, proprio come criminalizzare chi soccorre”.
La notizia si aggiunge a quella della guida alpina francese che rischia una condanna fino a cinque per avere soccorso un’altra migrante incinta. “Tutto questo è indice di una paura strisciante, ma non bisogna avere paura”, aggiunge il presidente di Rainbow4Africa, che ha lanciato la campagna Facebook ‘Soccorrere non è un crimine’.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 24th, 2018 Riccardo Fucile
IL TRENO INAUGURATO IN POMPA MAGNA DA TOTI ACCUMULA 30 MINUTI DI RITARDO… E DALL’INTERCITY CHE CI SUPERA QUALCUNO CI FA PURE IL GESTO DELL’OMBRELLO
Ci sarà un motivo per cui gli italiani stanno al quarantottesimo posto nella classifica della felicità ? Un’idea io ce l’ho e anche per verificarla ho voluto provare il nuovo Frecciarossa Genova-Venezia: una delle ragioni, dicono, per essere ottimisti sul futuro.
Genova, si sa, è lontana da tutto, specie da Milano: ci vogliono quasi due ore ad andare e altrettante a tornare, con l’Intercity.
Così, per tacitare i pendolari, da sempre sul piede di guerra, il centrodestra ligure ha ottenuto da Trenitalia la Freccia 9796, che poi prosegue sino a Venezia, per una botta di vita.
Io lavoro ancora più in là , a Trieste, e già arrivare a Venezia senza cambio a Milano è un bel colpo; per rendere la Freccia concorrenziale con l’Intercity, inoltre, per me il prezzo è minore, sinchè dura.
Insomma: alla 6 e 58 del 20 marzo mi sono presentato al binario, carico di bagagli e speranze.
La mia carrozza, la nove, era deserta: come sempre. Ma non perchè i pendolari sono refrattari alle novità bensì perchè la Freccia arriva a Milano solo nove minuti prima dell’Intercity e costa di più.
Inoltre, metà dei cessi erano rotti, come al solito. I
n più i miei unici compagni di viaggio — due tipici manager genovesi diretti nel capoluogo meneghino — si scambiavano le solite frescacce, come: per lucidare i cerchioni della BMW bisogna procurarsi un marocchino; mai sposare donne straniere, chiedono il pacchetto completo, suocera compresa; il problema della Sardegna sono i sardi.
Su quest’ultima vorrei anzi aggiungere — per amicizia con i sardi — che, primo, anche la Liguria sarebbe bellissima se non ci fossero i liguri, secondo, nel caso dei sardi il problema è l’inverso.
È la Sardegna il problema dei sardi: ormai ci si arriva solo in aereo da Roma e neppure con Alitalia ma con la compagnia rumena Blue Air.
Nel frattempo, ogni tanto la Freccia si fermava in aperta campagna, e pure lì i manager scherzavano: andavamo così veloci, per loro, che ci sembrava d’essere fermi. Macchè, eravamo proprio fermi.
L’altoparlante, a intervalli regolari, scandiva che un (misterioso) «guasto tecnico all’infrastruttura» ci aveva fatto accumulare prima cinque, poi 14, infine 22 minuti di ritardo.
A un certo punto siamo stati sorpassati dall’Intercity, e qualcuno, là sopra, deve averci anche fatto il gesto dell’ombrello.
Che poi per me il ritardo è stato salutare, altrimenti a Mestre, la mia stazione di cambio, avrei dovuto aspettare due ore il treno per Trieste: dalle 10 e 58 alle 12 e 53, per la precisione.
Invece ho aspettato solo un’ora e mezza, ma che sarà mai, sono andato a mangiare alle Botti, pure quelle comprate dai cinesi.
Alla fine ho persino chiesto alla padrona: ehi, v’interesserebbe comprare anche le Ferrovie dello Stato?
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 24th, 2018 Riccardo Fucile
DOPO DIECI ANNI ALL’ESTERO, AVEVO SCELTO DI TORNARE, MA L’ITALIA NON OFFRE NULLA A CHI HA TALENTO… A LONDRA SE SEI BRAVO TI FANNO CRESCERE, PROMUOVONO I GIOVANI, FINANZIANO PROGETTI, NON TI CHIEDONO SE HAI INTENZIONE DI FARE UN FIGLIO
Oggi è una giornata di grigio e di pioggia a Milano, e io mi sveglio presto anche di sabato mattina perchè devo organizzare le mie cose di una vita in due valigie e poi partire. In questo momento storico nel nostro Paese, non potevo che usare la mia storia per raccontare cosa vuole dire davvero essere un giovane in Italia.
Io sono nata fortunata, ho viaggiato fin da bambina e con vari scambi all’estero ho imparato bene anche l’inglese.
Sono sempre stata curiosa e ho scelto dopo la laurea in Bocconi di partire definitivamente dall’Italia più per provare un’esperienza nuova che per necessità .
Ho cominciato a mantenermi da sola lavorando in diverse città europee, poi in America e dopo ancora nel Sud-Est Asiatico, sempre inseguendo nuove opportunità per crescere la mia carriera.
Dopo dieci anni da «cervello in fuga» ho scelto di tornare in Italia, grazie a una piccola start-up della Silicon Valley che mi aveva assunta per lanciare la loro app.
Sono stata in Italia cinque anni, e ho capito tantissime cose.
Prima di tutto, che il nostro è il Paese più bello al mondo.
Secondo, che non solo noi italiani ma anche tantissimi stranieri sognerebbero di vivere in Italia.
Terzo, che siamo un Paese pieno di talento e questo talento è distribuito davvero in ogni angolo. Infine, abbiamo una attitudine che ci distingue, ed è quella che in ogni situazione riusciamo a cavarcela, quello che in americano chiamano «street smart».
Ho anche capito che però tutto questo non basta, e con grande tristezza scelgo oggi di rimettermi in viaggio.
Penso che la politica abbia sbagliato dal principio a chiamarci «cervelli in fuga», perchè io come tanti altri non vogliamo fuggire, ma siamo costretti a scegliere una vita più dura in qualche città straniera, pur di portare avanti le nostre ambizioni.
Oggi torno a vivere nella quinta «città italiana», proprio Londra dove ci sono quasi 300 mila connazionali che l’hanno scelta come me.
Londra è una città cara, faticosa, si viaggia spesso oltre i 45 minuti, schiacciati in una metropolitana pienissima, per raggiungere l’ufficio, e si mangia malissimo.
Si vive in case con muri di cartapesta, spesso con parecchi «roommates» per abbattere i costi. Ma le opportunità sono tantissime.
Qui a Londra si incoraggia l’imprenditoria, si promuovono i giovani. Ci sono centinaia di migliaia di opportunità di lavoro, e il contratto non esiste determinato.
Se sei bravo le società ti fanno crescere, se no ti lasciano andare.
Qui noi veniamo per lavorare, non tanto per vivere e purtroppo questa è la scelta che dobbiamo fare. Mettiamo via ogni mese un po’ del nostro stipendio e saltiamo su un aereo per casa appena possiamo, con la gioia di rivedere un tramonto sul nostro meraviglioso mare.
Con tre soci italiani ho scelto di aprire un’azienda innovativa, che potesse rivoluzionare il mercato finanziario. Siamo arrivati a sedici impiegati oggi nei nostri uffici di Torino, alcuni di loro anche cervelli rientrati.
Il talento lo abbiamo trovato ma se vogliamo crescere e diventare una di quelle start-up che davvero scala, raccoglie importanti capitali e si espande in Europa, dobbiamo avere una sede centrale, che sia davvero centrale in Europa.
Non siamo i primi che prendono questa decisione, di start-up fondate da Italiani a Londra ce ne sono tante, e non saremo gli ultimi.
Qui si assume in poche settimane, e il costo aziendale di un impiegato nuovo è esattamente quel costo lordo che hai scelto di offrire.
Qui i capitali si trovano scrivendo ai fondi di venture capital una email, e le tasse dell’azienda si pagano online.
Qui a una donna non chiedono mai se ha intenzione di fare un figlio prima di decidere se finanziarle la sua start-up.
E così, le aziende anche piccole come la mia sono forzate ad andare via, e il lavoro lo creano altrove. E quello che rimane è un Paese che si accontenta di politiche assistenzialistiche perchè sono la unica opzione per raccogliere voti.
Io, nella quinta città d’Italia trovo l’ambizione, la vedo negli occhi degli italiani che faticano in questa città ma non mollano perchè vogliono di più.
Queste sono le persone che a me tutti i giorni ispirano e che mi rendono la permanenza lontana da casa più serena.
Solo qui trovo la passione, la voglia di condividere i sogni, la determinazione, quelle qualità di noi Italiani che piano piano nella penisola stanno svanendo.
Non le voglio fare sparire del tutto quindi continuerò a lavorare per scovare i nostri talenti in ogni regione d’Italia
(da “La Stampa”)
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