Marzo 15th, 2018 Riccardo Fucile
NON VUOLE UN MANDATO ESPLORATIVO MA UN INCARICO PIENO SENZA PERO’ AVERE I NUMERI… ALEGGIA LO SPETTRO DI BERSANI 2013
C’è una formula che racchiude il dilemma, e tutte le difficoltà di Luigi Di Maio, nel suo tentativo di formare un governo.
Da giorni va dicendo, memore del precedente di cinque anni fa, di non volere un mandato “esplorativo” ma un “incarico pieno”: “Non faremo la fine di Bersani — dice il suo staff – chi accettò quel tipo di mandato, non riuscì a fare una maggioranza e si bruciò”.
Perchè una bruciatura sul sentiero di palazzo Chigi è una bruciatura politica tout court, che indebolisce il profilo politico di una leadership nel suo complesso: chi ce l’ha avuta una volta — accade così di solito, anche nei partiti più monolitici — raramente ha una seconda occasione (soprattutto se il voto non è ravvicinato).
Il problema, però, è questo. Per avere un incarico “pieno”, e dunque un mandato a formare un governo e ad andare alle Camere per la fiducia, Di Maio deve avere una “maggioranza”: numeri, chiari e definiti, altrimenti, a rigor di Costituzione (strenuamente difesa dai 5 Stelle il 4 dicembre), non lo avrà mai.
Può avere solo un “pre-incarico”, che sarebbe ciò che il suo staff chiama “incarico esplorativo”. Esattamente come Bersani nel 2013: lo ottiene, si fa un giro, verifica che non ci sono le condizioni, rimette il mandato nelle mani del capo dello Stato.
Il punto è tutto qui. Proiettiamoci in avanti, per comprendere l’oggi.
Il capo dello Stato inizia le consultazioni. Sono elezioni “senza vincitori”, perchè ci sono forze che hanno avuto un risultato sorprendente ma nessuna ha una maggioranza. Al Colle si stanno già interrogando su “dove iniziare” col primo tentativo, se dal partito che è arrivato primo (ma non ha vinto), ovvero i 5 Stelle o dalla coalizione che è arrivata prima (ma non ha vinto), ovvero il centrodestra.
Unico punto fermo: non sarà mandato nessuno allo sbaraglio in Aula senza maggioranza, anche perchè con un governo che, dopo il giuramento, va in Aula e viene bocciato, a quel punto non ci sarebbe più neanche il governo Gentiloni, in carica per gli affari correnti. Praticamente il caos totale.
Torniamo alle consultazioni. È presumibile che, a meno di clamorose novità , si inizi con i tentativi da parte dei 5 Stelle perchè con una legge “prevalentemente” proporzionale ha una logica iniziare col partito che “prevale”, almeno così pensa chi ha qualche consuetudine col Quirinale.
Bene, immaginate il colloquio. Il capo dello Stato, interprete garbato e mite di una lunga consuetudine repubblicana, chiede al giovane vincitore cosa intende fare per dare al paese un governo e se ritiene di potersi assumere l’onere di un tentativo, appunto, secondo il precedente del 2013.
A parlare con quelli attorno a Di Maio, ad oggi si registrano difficoltà , incertezze, confusione su questo passaggio, che poi è il passaggio chiave.
“Può rifiutare”, dicono. Per carità , tutto è possibile, anche se non ci sono precedenti . E comunque, sempre a proposito di bruciature, anche il rifiuto è un gran falò per un’ambiziosa carriera. O quantomeno, normalmente, la risposta, per evitarlo, sarebbe: “Signor presidente, non è opportuno conferire un incarico alla mia persona, perchè non sono in grado di avere i numeri, ma ritengo che il nome X possa riuscire nel tentativo”.
Insomma, spetta a Di Maio la prima mossa: dimostrare che ha una maggioranza o indicare un nome in grado di formarla.
Altro dilemma del giovane vincitore. L’ipotesi, su cui si è ragionato a lungo, è esclusa, senza se e senza ma: “Mai — dicono fonti a lui vicine — e poi mai. Il candidato è e resta Di Maio, senza alcuna alternativa”.
Il motivo è semplice: si chiama leadership. Metti il caso che il Gustavo Zagrebelsky di turno riesca a coagulare una maggioranza evidentemente diventerebbe un leader naturale, o uno dei leader, alle elezioni successive.
Sono dilemmi sostanziali, per una forza che ha in mano il boccino dell’iniziativa. E che hanno prodotto un altro altrettanto sostanziale immobilismo.
C’è poco da fare. La questione è tutta qui, al netto di un’orgia di parole che, quasi due settimane dopo il voto, non ha prodotto una sola novità politica.
L’ha fotografata Marco Travaglio, nel suo editoriale: “Arrivare primi significa partire favoriti per l’incarico di formare un governo. Ma non conferisce il diritto divino di fare un governo con i voti altrui, per giunta gratis. Bisogna costruirla: non aspettando che si facciano vivi gli altri e poi meravigliandosi perchè ‘finora non si è visto nessuno’ (e ti credo!) ma facendo ai partner una proposta che non possono rifiutare. Se Di Maio vuole i voti del Pd derenzizzato e di LeU, glieli chieda”.
Ragionamento che non fa una piega. Sembra però che Di Maio non lo farà , in queste forme esplicite.
Piuttosto continuerà a lanciare segnali, non banali, al Pd ma senza un esplicito riconoscimento, perchè il Pd è, agli occhi dei Cinque Stelle, ancora sinonimo di Renzi, il grande nemico di questi anni, e il confronto esplicito equivale a un tabù. L’HuffPost ha raccontato due importanti mosse che, rispetto ai giorni scorsi, fanno chiaramente capire che l’attenzione dei Cinque Stelle è rivolta al centrosinistra e che, nei fatti, non è vero che Pd e centrodestra pari sono o che il vero obiettivo sia un governo con la Lega.
Anzi, questa prospettiva è un rischio per due giovani leader, concorrenti, alternativi che si considerano protagonisti di una nuova era politica, nata sulle macerie dell’establishment, e appena iniziata.
I segnali, dicevamo. Sul Def i Cinque Stelle preparano una risoluzione “moderata” con un impegno sulla riduzione del debito e nessuno sforamento del tre per cento, assai lontana dunque dal mantra anti-europeista di Salvini.
E Roberta Lombardi, un dirigente di primo livello del Movimento annuncia che, diversamente dal centrodestra, “non andrà dal notaio” e propone convergenza sui temi al governatore del Lazio Nicola Zingaretti.
Segnali, appunto, nella speranza che il tempo, diciamo così, porti consiglio in casa Pd, favorendo aperture senza chiederle. Un po’ poco.
Ma, al momento, la volontà di una “mossa” non c’è. Perchè le trattative sono trattative, piene di rischi, disponibilità a rinunciare a qualcosa in nome di un accordo, ricerca di un compromesso anche se alto e limpido.
Compromessi, accordi, che significano politica, al netto della retorica dell’inciucio. E se il Pd dicesse: disponibili a un confronto ma non con Di Maio premier?
Mai, dicono i Cinque Stelle. Perchè questo è l’alfa o l’omega di un negoziato che negoziato non è. Per scioglierlo bisognerà attendere che Luigi Di Maio, con tutti i suoi dilemmi, entri nella stanza di Mattarella.
Con lo spettro di Pier Luigi Bersani dietro la porta.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 15th, 2018 Riccardo Fucile
SCOUNTING VERSO M5S MA NON SOLO, OBIETTIVO RASTRELLARE PARLAMENTARI, ALLONTANARE DI MAIO DA SALVINI E RAFFORZARE BERLUSCONI
L’operazione è partita ad Arcore, neanche tanto sottotraccia.
Quel “fatevi un amico” tra i 5 Stelle pronunciato da Silvio Berlusconi di fronte ai suoi parlamentari è tutt’altro che una battuta. È il segno visibile di uno “scouting” che c’è, anche se non si vede.
La caccia è partita, soprattutto verso il mondo pentastellato, ma non solo. Con l’obiettivo di rastrellare parlamentari per formare un governo. E a quel punto dire a Salvini: “La maggioranza c’è ma il candidato non sei tu”.
Comunque una maggioranza che allontani lo spettro di un ritorno al voto. Perchè è chiara la posta in gioco del derby all’interno del centrodestra tra Berlusconi e Salvini. Il leader della Lega la evoca apertamente: un premio di maggioranza alla legge elettorale vigente, poi si torna alle urne, “unico modo per non prendere in giro gli italiani”.
È questo il vero “asse” tra Salvini e Di Maio.
Ecco i numeri, squadernati sul tavolo della war room di Arcore. Il riparto dei seggi non è ancora definitivo. Ma secondo le ultime stime, il Movimento 5 Stelle può contare su 229 deputati e 114 senatori. La Lega ha 124 eletti a Montecitorio e 57 a Palazzo Madama. Alla Camera dunque Lega e Cinque stelle hanno, assieme, 353 deputati, una trentina in più della quota necessaria; a palazzo Madama 171 senatori, 13 in più della quota necessaria.
Una maggioranza che consente un governo “elettorale”, che permetta a grillini e leghisti di aggiustare il Rosatellum secondo i loro desideri. Poi, al voto, nemici come prima sulle spoglie di Forza Italia e del Pd.
Rompere questa maggioranza potenziale è il primo step di ogni manovra.
L’ex premier sa bene che le truppe pentastellate sono un mondo tutto da scoprire. Non un universo compatto. Ci sono, ad esempio, gli otto espulsi per la storia dei rimborsi. E poi tanti volti nuovi, arrivati in Parlamento quasi per caso, poco esperti delle dinamiche di Palazzo, e magari sensibili all’agio dei velluti e alle lusinghe dei benefici derivanti dal nuovo status.
Un vecchio amico del Cavaliere gli ha raccontato di un colloquio con un neo eletto: “Mi ha detto che quando ha visto il suo nuovo stipendio gli è preso un colpo. Prende in un anno quello che guadagnava in dieci. Sai, si è iscritto alle parlamentarie, è lì per caso. Mi ha detto: col cavolo che mi taglio lo stipendio per darne più della metà al movimento”.
Musica per i professionisti dello scouting. Quella vecchia volpe di Maurizio Gasparri sorride sornione. Dice all’HuffPost: “I 5 Stelle hanno sempre avuto una dispersione di persone. Quindi chi li conosce? Chissà come si comporteranno…
Un’emorragia di parlamentari 5 Stelle stroncherebbe sul nascere ogni gioco di sponda tra Salvini e Di Maio. E cambierebbe i rapporti di forza a destra. Questo il punto: “Salvini — ripetono ossessivamente i berlusconiani – non farà un governo con Di Maio, perchè ha troppo da perdere a fargli da stampella. Non è questo il disegno. Ma non vuole che nasca un governo di centrodestra, preferisce tornare al voto o stare all’opposizione preparandosi a lanciare l’Opa alle prossime elezioni”.
È in questo clima di veleni e sospetti che i contatti, all’interno della coalizione, sono al minimo. E non c’è aria di un nuovo vertice.
Indicative del clima da separati in casa le parole di Giorgia Meloni, in conferenza stampa: “Vorrei che si credesse un po’ di più nell’ipotesi di un governo del centrodestra”. Un messaggio evidentemente rivolto a Salvini. L’altro è: se il leader della Lega non riuscirà a fare il premier, dovrà essere lui stesso “a indicare un nuovo nome”. Non il voto, appunto.
Tornando ad Arcore. Lo scouting non riguarda solo i pentastellati. Qualche azzurro che conta nei giorni scorsi si è fatto due chiacchiere con Pier Ferdinando Casini, fresco di elezione nella rossa Bologna.
Un “sondaggio” per capire quanti, nel Pd, sarebbero disponibili a sostenere un governo di centrodestra, non a guida Salvini. Uomini “responsabili”, pieni di buona volontà , che hanno a cuore la “stabilità ” e il “bene del paese”.
Perchè Silvio Berlusconi vuole un governo di centrodestra, ma lavora per un governo non guidato da Salvini. Per la serie: i numeri ci sono, ma il candidato non puoi essere tu.
E poi c’è Roberto Maroni, perno di questo disegno all’interno della Lega. È solo l’inizio, a quindici giorni dalle lunghe consultazioni. Che consentono un lungo corteggiamento alle tante anime nuove appena arrivate nei palazzi del potere, delle lusinghe, delle irresistibili tentazioni che non cambiano mai.
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 15th, 2018 Riccardo Fucile
SUL DEF ORA PROMETTE ASSOLUTO RIGORE, NESSUN SFORAMENTO DEL 3%, IMPEGNO SULLA RIDUZIONE DEL DEBITO, SPARITO IL REDDITO DI CITTADINANZA: BENVENUTO TRA I FALCHI DEL RIGORE
“Assoluto rigore”. Le parole di chi sta lavorando alla risoluzione del Movimento 5 stelle sul Def sono limate al millimetro.
Nel frasario utilizzato per tracciare le linee sul Documento di programmazione economica e finanziaria fanno capolino due termini che fino a poco tempo fa erano siderali nell’universo stellato.
Ha aperto le danze ieri Luigi Di Maio: “Prima di parlare di sforamento del deficit bisogna procedere alla spending review”. Sorprendendo il Pd al punto tale che alcuni capannelli l’hanno ribattezzato Luigi Katainen, dal cognome del vicepresidente della Commissione Ue, considerato tra i più ferrei alfieri dell’austerità .
La capogruppo a Strasburgo Patrizia Toia ha ironizzato: “Tra un po’ Di Maio lo supererà . Per rassicurare l’Ue fa preoccupare noi: ormai parla come un falco del rigore”.
Dopo una campagna elettorale spesa a invocare lo sforamento unilaterale del 3% del rapporto fra deficit e Pil, il Movimento ha spuntato le lance che aveva indirizzato verso palazzo Berlaymont.
Nessuna spesa in deficit, la continuità con il Def del 2017, nessuno scostamento rispetto all’obiettivo di medio termine sulla riduzione del debito, l’assoluto rigore.
Nessun riferimento al reddito di cittadinanza, tra le principali pietre dello scandalo nel rapporto con i Dem.
Tra le assolute priorità verrà inserita la neutralizzazione delle clausole di salvaguardia sull’aumento dell’Iva.
Il passaggio è da uno sforamento pressochè unilaterale, a “una volta al governo ci siederemo al tavolo e tratteremo con l’Ue”
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 15th, 2018 Riccardo Fucile
IL PARLAMENTO HA CENSURATO IL COMPORTAMENTO DEI PARLAMENTARI DELL’ENF PRESENTI CHE HANNO CHIESTO SCUSA … COSA ASPETTA A FARE ALTRETTANTO?
Matteo Salvini non aveva gradito il richiamo alle regole da parte dei giornalisti della sala stampa di Strasburgo.
Il 13 marzo era il giorno del suo addio all’Europarlamento e il leader della Lega si era portato la claque di eurodeputati e assistenti parlamentari. Applausi scroscianti ad ogni suo intervento.
Più che una conferenza stampa sembrava un comizio, e qualche giornalista ha appunto chiesto se almeno i non addetti ai lavori potevano evitare di applaudire.
Galvanizzato dalla vittoria il futuro premier del Centrodestra ha detto ai colleghi (eh, sì, Salvini è un giornalista) «Se a qualcuno danno fastidio gli applausi può accomodarsi fuori».
Le regole della sala stampa dell’Europarlamento vietano esplicitamente gli applausi durante le conferenze stampa. Il motivo è piuttosto ovvio. Come è ovvio quello per cui Salvini si è presentato attorniato da alcuni esponenti dell’ENF, l’eurogruppo dell’estrema destra europea (Harald Vilimsky del Fpà¶, Nicolas Bay del Front National francese, e Marcel de Graaff il Pvv).
Tra le proteste dei giornalisti accreditati Salvini ha proseguito imperterrito a costruire la sua narrazione della vicenda
Evidentemente per Salvini le regole della sala stampa europea sono contrarie al volere del popolo italiano. Che però non risulta abbia votato per cambiarle.
Nella visione salviniana delle cose i giornalisti sono “complici” nella diffusione dell’ideologia europeista.
Lui invece, da giornalista e da leader politico, non ha alcuna responsabilità della diffusione delle balle sull’invasione organizzata e sul coinvolgimento di Soros e delle ONG nel pianificare gli sbarchi volti a sostituire il popolo italiano.
Quelle del resto servono a prendere i voti con i quali Salvini legittima il suo diritto a raccontare balle.
Il suo non è solo disprezzo per i giornalisti in quanto lavoratori. Non è nemmeno disprezzo per l’Europa e le istituzioni europee. È disprezzo per le regole.
I giornalisti della sala stampa hanno scritto al Presidente dell’europarlamento Tajani per far notare che è la prima volta che accade che un politico invita i giornalisti ad uscire dalla sala stampa “preferendo loro chi in sala dovrebbe esserci (oppure essere presente come ospite che osserva, non come tifoso da stadio)”.
La risposta del portavoce dell’Europarlamento Jaume Duch non è tardata ad arrivare. Secondo l’Europarlamento il comportamento degli invitati di Salvini e la condotta tenuta dai membri dell’ENF è stata in palese violazione delle regole delineando una mancanza di rispetto nei confronti del lavoro dei giornalisti.
Duch ha scritto ai rappresentanti dell’ENF che come tutti i bulli quando vengono ripresi dalla maestra hanno promesso di non farlo più.
Che farà Salvini ora? Utilizzerà la vicenda per raccontare ai suoi elettori di quella volta che ha violato le regole europee (della sala stampa)?
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 15th, 2018 Riccardo Fucile
“NEL LAZIO IL PD REGIONALE HA UNA STRUTTURA DIVERSA DA QUELLO NAZIONALE, POSSIBILE CONVERGENZA SUI TEMI”
Il piano diabolico di Sergio Pirozzi per portare i consiglieri regionali a dimettersi dal notaio allo scopo di affossare Nicola Zingaretti è già morto.
Dopo la smentita di Parisi, anche Roberta Lombardi chiude la porta al sindaco di Amatrice, che aveva detto stamattina di voler portare i consiglieri appena eletti a dimettersi per causare la caduta della giunta non ancora eletta offrendosi anche di pagare il conto dal notaio. Pirozzi quindi per la caduta di Zingaretti può attendere. Almeno risparmierà i soldi del notaio.
Roberta Lombardi sta lavorando alle prime proposte da presentare in Regione. Risponde al telefono ed esclama: “Guardi, nel Lazio non ci sono nè manovre nè intrecci con il centrodestra”.
Si racconta di un’intesa tra M5S e centrodestra per far cadere il governatore Nicola Zingaretti, non è così? Dimissioni di massa e nuovo voto?
È una cosa che non esiste. Noi dal notaio non ci andiamo, quel metodo appartiene a qualcun altro. Le persone si sfiduciano nelle aule democratiche. Poi, certo, se oggi Zingaretti non ha i numeri è perchè prima di chiudere la consiliatura ha fatto una legge elettorale che non garantisce la governabilità .
Dunque come farà Zingaretti a governare se mancano due consiglieri per avere la maggioranza?
Il voto dei cittadini va rispettato, è l’essenza della democrazia. Laddove Zingaretti si mostrerà ancora una volta incapace di gestire adeguatamente la macchina amministrativa e di governare nell’interesse dei cittadini saremo i primi a chiederne le dimissioni.
Ci sono margini per trovare un’intesa programmatica con Zingaretti?
Noi dei 5 Stelle convergiamo sui punti. Se ci sono proposte in sintonia con il nostro programma non avremo problemi a votare a favore.
Da prima capogruppo alla Camera nella scorsa legislatura, a capogruppo in Regione Lazio. Adesso i due piani, quello nazionale e quello regionale, sembrano intrecciarsi sempre di più. È vero?
Guardi, i due piani sono di norma interconnessi, come dovrebbero essere interconnessi anche con il Comune di Roma, finora invece questo non lo abbiamo visto. Mi auguro di vedere un cambio di rotta, il mio lavoro in Regione Lazio sarà anche questo: ricordare al presidente che ha un obbligo verso Roma, che è la Capitale d’Italia, indipendentemente dal colore politico. Dunque il nostro lavoro sarà aiutare Virginia e tutta l’amministrazione capitolina, tenere accesso il riflettore sulle Province e vigilare sul lavoro della Giunta regionale.
Che significa l’incontro tra Zingaretti e il sindaco di Roma Virginia Raggi? Zingaretti si vuole blindare con M5S per avere in regione i voti che mancano?
È stato un incontro di carattere istituzionale. Al riguardo credo possa chiedere al Campidoglio.
Il vostro dialogo con il centrodestra nel Lazio si intreccia con i possibili accordi M5S-Lega, al di là delle presidenze delle Camere?
Non c’è nessun dialogo con il centrodestra e pertanto nessun intreccio. Quel che è certo è che un governo senza il M5S, in Italia, oggi non è possibile.
Oppure M5S alla Camera e al Senato spera in fondo nell’accordo con il Pd. Dunque si può arrivare al risultato che M5S in Regione appoggia il Pd e il Pd appoggia M5S al governo?
È fantapolitica. E poi in Regione Lazio il Pd ha una struttura, in Parlamento un’altra. Lo abbiamo visto anche nelle alleanze pre-elettorali. LeU diviso dal Pd sul nazionale e alleato nel Lazio.
Vede un voto anticipato politiche e regionali insieme?
Vedo il primo governo del M5S e la nascita della Terza Repubblica.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 15th, 2018 Riccardo Fucile
A CITTADELLA SI DIMETTE FILIPPO DE ROSSI: A SUO CARICO DUE TESTIMONIANZE, REGISTRAZIONI TELEFONICHE, VIDEO E SMS
Ha resistito soltanto poche ore, poi l’assessore comunale al Commercio del Comune di Cittadella si è dimesso.
In mattinata aveva ricevuto dalla Guardia di Finanza la notifica di un avviso di garanzia per tentata concussione, una specie di mazzetta a sfondo sessuale che avrebbe prospettato, con avances, a due giovani venditrici ambulanti.
È così giunta al capolinea, per il momento, la parabola politico-amministrativa di Filippo De Rossi, 35 anni, che ha dichiarato: “Ho deciso di dimettermi per potermi difendere con più tranquillità ”.
Sposato, un figlio nato da poco, proveniente da ambienti di Forza Italia, nel 2012 era entrato in consiglio comunale appoggiando l’allora sindaco leghista Giuseppe Pan, ora assessore regionale.
Nel 2016 è stato rieletto in una lista azzurra (“Forza Cittadella”) e il sindaco Luca Pierobon gli ha assegnato l’assessorato al Commercio.
A De Rossi vengono contestati due episodi che riguardano due giovani ambulanti titolari di banchi di cibo e dolciumi.
Avrebbe prospettato o promesso di mettere in regola la disposizione dei rispettivi banchi, ma in cambio si attendeva favori di natura sessuale.
Entrambe le donne sono state interrogate dal pubblico ministero che ha poi emesso l’avviso di garanzia, anche perchè interrogherà il 23 marzo l’ormai ex assessore. Soltanto una delle due donne aveva presentato una denuncia, ma nel racconto aveva fatto riferimento a quanto accaduto alla collega.
I fatti risalgono all’autunno (Fiera Franca di Cittadella) e al Natale del 2016 (mercatini per le festività ). I banchi delle due donne in precedenza si trovavano nel centro della città , ma non erano in possesso di regolarizzazione. Per questo si erano rivolte all’assessore competente. Ed è a questo punto che sarebbero spuntate le proposte. Non avevano risposto favorevolmente e le domande di regolarizzazione erano state respinte.
Una delle due si è decisa a presentare denuncia quando ha saputo dai vigili urbani che contro di lei non c’erano verbali di contestazione, nè multe in arrivo, come avrebbe invece affermato l’assessore per essere più persuasivo.
L’incontro con una delle due sarebbe avvenuto in un parcheggio a Camposampiero, con l’altra nel bed and breakfast di cui lei è proprietaria.
In questo secondo caso ci sarebbe stato un tentativo di approccio fisico. Tra le prove raccolte dalla Finanza, ci sono, oltre alle due testimonianze, anche registrazioni telefoniche, video e sms.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 15th, 2018 Riccardo Fucile
CONTESTATO IL REATO DI VIOLENZA SESSUALE AGGRAVATA A DANNO DELLE DUE STUDENTESSE USA
“Ci siamo comportati da maschietti”. Lo avrebbe affermato uno dei due carabinieri – l’appuntato Marco Camuffo e il militare scelto Pietro Costa – accusati di aver violentato due studentesse Usa a Firenze il 7 settembre scorso, dopo averle accompagnate a casa con l’auto di servizio, interrogato dalla pm Ornella Galeotti pochi giorni dopo il fatto.
Entrambi i militari hanno affermato davanti al pubblico ministero che sarebbero state le ragazze a prendere l’iniziativa, e di non essersi accorti che erano ubriache.
La Procura di Firenze ha chiuso le indagini sui due carabinieri.
Violenza sessuale aggravata il reato contestato ai due militari, secondo quanto riportato da alcuni quotidiani. La Procura contesta l’aggravante di aver agito abusando della qualità di carabiniere in servizio e di aver violato gli ordini impartiti dai superiori.
A far partire le indagini fu la denuncia delle due studentesse, di 20 e 21 anni, che raccontarono di aver subito violenza nell’androne delle scale del palazzo dove vivevano nel centro di Firenze, da parte dei due carabinieri che si erano offerti di riportarle a casa con l’auto di servizio.
Una volta arrivati sotto la casa delle giovani, i militari, secondo quanto raccontato al momento dell’interrogatorio da uno dei due, avrebbero deciso di accompagnarle dentro al palazzo “per galanteria”, senza secondi fini.
“Si è sempre fatto così, anche per una cosa di galanteria”, e per motivi di sicurezza, “perchè magari le aggrediscono nel portone”.
Entrambi, inoltre, avrebbero affermato di essere a conoscenza di aver violato il regolamento decidendo di farle salire sull’auto di servizio per portarle a casa: “Ci siamo consultati… eravamo titubanti” avrebbe detto uno dei militari.
Entrambe le ragazze, salite “illegittimamente” a bordo della Fiat Bravo del 112, sono risultate in stato di ebbrezza alcolica (1.68 grammi per litro una, 1.59 l’altra, rilevazione effettuata alle 6.51 del mattino).
I due militari, secondo il capo d’imputazione, avrebbero violentato le due ragazze agendo in modo “repentino e inaspettato”. A Camuffo, più alto in grado, il pm Ornella Galeotti contesta anche di aver imposto un rapporto orale a una delle due studentesse.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 15th, 2018 Riccardo Fucile
RIVOLTA DEI PENDOLARI: NOVE TRENI LOCALI PENALIZZATI PER PERMETTERE LA MARCHETTA MEDIATICA DEL “FRECCIAROSSA”
È partito dal capoluogo ligure in perfetto orario il primo treno Frecciarossa della Liguria, che dopo le fermate di Milano, Brescia, Verona, Vicenza e Padova, è arrivato a Venezia Santa Lucia alle 11 (in ritardo, anche se Fs ha spiegato che le cause «non sono imputabili nè conseguenza del nuovo Frecciarossa 9796, ma riconducibili al guasto di un passaggio a livello tra Bressana e Pinarolo Po).
Le opposizioni e i pendolari svelano però cosa si nasconde dietro lo spot del governatore Toti che ha fatto ovviamente da padrino a uso telecamere del viaggio inaugurale, accompagnato dal noto leghista sotto processo per peculato.
“Nel giorno in cui Toti inaugura in pompa magna l’ennesimo treno velocetto, evocando addirittura i fasti delle gloriose Repubbliche Marinare si guarda bene dall’enumerare le devastanti conseguenze che quei 9 minuti appena di risparmio nella tratta Genova-Milano avranno su 9 treni locali e sulle vite di migliaia di pendolari liguri: infausti cambi di orario, riduzione dei servizi, tempi di percorrenza allungati, ulteriori minuti di ritardo per 9 treni, tra Intercity e regionali».
“Tutto per un Frecciarossa farlocco da 79 minuti per pochi privilegiati, da cui migliaia di pendolari saranno esclusi per volere di Regione Liguria. La Giunta Toti non finisce mai di stupirci: da oggi farà pagare a caro prezzo questo nuovo Frecciarossa proprio a quei pendolari a cui non servirà e che, comunque, non potranno utilizzarlo”
Il treno Frecciarossa Genova-Milano è l’ennesima bufala del presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, impiega 9 minuti in meno dell’Intercity perchè salta due fermate, costa di più e crea problemi agli altri treni pendolari
(da agenzie)
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Marzo 15th, 2018 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DI UNA ONG SPAGNOLA INVIATA SUL POSTO DALL’ITALIA… FINANZIAMO UN’ASSOCIAZIONE A DELINQUERE CHE CI SPUTA PURE ADDOSSO, UN GOVERNO INCAPACE DI INVIARE LA NOSTRA MARINA A FAR RISPETTARE LA LEGALITA’
Giornata ad altissima tensione nel Mediterraneo. La nave umanitaria spagnola Proactiva Arms si è trovata sotto il tiro delle armi di una motovedetta libica che avrebbe minacciato di aprire il fuoco se non fossero stati consegnati i migranti salvati qualche ora prima
A dare l’allarme è stato il team leader Oscar Camps: ” Siamo a 73 miglia dalle coste libiche – racconta – e la guardia costiera libica ci minaccia di sparare per uccidere se non consegnamo loro le donne e i bambini che abbiamo salvato”.
Un episodio senza precedenti. Fino ad ora, infatti, sono stati diversi gli episodi in cui navi umanitarie, chiamate ad intervenire dalla sala operativa della guardia costiera di Roma, sono state costrette a fermarsi e a lasciare il soccorso dei gommoni individuati alle motovedette libiche che riportano indietro i migranti
Ma non è mai successo che i libici abbiano preteso, per altro sotto la minaccia delle armi, di avere consegnati i migranti salvati.
Questa mattina la proactiva Open Arms ha preso a bordo 114 persone salvate quando erano ormai finite in mano dal gommone sul quale stavano viaggiando.
Sono ancora in corso le ricerche di altre quattro imbarcazioni in difficoltà che hanno inviato un Sos alla sala operativa della Guardia costiera di Roma.
(da agenzie)
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