Marzo 1st, 2018 Riccardo Fucile
SALVINI PARLA DI CONTRATTO CON GLI ITALIANI? NON RISPETTA NEANCHE QUELLO SOTTOSCRITTO CON BOSSI E BRIGANDI’ (CHE SI INCAZZA E VUOTA IL SACCO)
Guerriglia giudizaria tra ‘camicie verdi’: il legale di Bossi viene denunciato e lui replica con due testimonianze che accusano i vertici leghisti di avere fatto pagare alle Regioni gli stipendi del personale del partito e ora la Lega rischia grosso-
Al fondatore e presidente del Carroccio il segretario aveva promesso il 20 per cento dei candidati alle prossime elezioni. Era stato inoltre deciso di non proseguire la guerra giudiziaria in atto tra le due parti con nove procedimenti giudiziari.
Poi però il legale di Bossi viene denunciato e lui replica con due testimonianze che accusano i vertici leghisti di avere fatto pagare alle Regioni gli stipendi del personale delle “camicie verdi”
“Accuse gravissime”. “Salvini chiarisca”. “Ecco perchè il segretario del Carroccio non si è costituito contro Bossi e Belsito”. “Abuso di soldi pubblici”. “La Lega ha sempre fatto un uso politico delle istituzioni, asservendole al partito”. “Se accuse verificate, gravi ipotesi di reato”. “La Lega scivola sempre sui soldi”.
Le accuse dell’avvocato di Umberto Bossi contro la Lega (“Funzionari del Carroccio assunti dalle Regioni”) suscita la reazione dei partiti del centrosinistra.
La vicenda, pubblicata oggi su Rep, riguarda una rissa in corso tra due’fazionì leghiste da anni contrapposte: quella che fa capo al fondatore e presidente Bossi, e l’altra che fa riferimento al segretario Salvini.
La vicenda è intricata e complessa. E ha inizio con un accordo politico segreto tra Salvini e Bossi, siglato il 26 febbraio del 2014 tra fondatore e segretario in cui era precisato che “Bossi concorrerà a proporre candidature in posizione di probabile elezioni, previo accordo con il Segretario nella misura del 20 per cento”.
Nello stesso accordo i due leader leghisti rinunciavano a portare avanti ben nove procedimenti giudiziari allora pendenti intentati dagli uni contro gli altri: opposizione a pagamenti di parcelle, denunce per calunnie, citazioni per diffamazione, esecuzioni giudiziarie.
Insomma, ponevano fine a una vera e propria rissa fratricida tra ‘camicie verdi’. E così, per raggiungere una pace, si accordavano di versare all’avvocato di Bossi (Matteo Brigandì) una parcella di 200mila euro. E di revocare ogni mandato, invece, al legale vicino all’ex segretario Roberto Maroni (Domenico Aiello).
“In pratica – osserva Andrea Mazziotti, capolista di +Europa nel collegio Lombardia 2 – la Lega ha monetizzato le candidature. Salvini, per evitare grane giudiziarie, aveva regalato a Bossi il 20% delle candidature e 450.000 euro, oltre a promettere che non si sarebbe costituito parte civile nel processo penale sui finanziamenti pubblici spesi illegalmente. Io sono candidato nella stessa circoscrizione di Bossi ed è giusto che i cittadini di Varese sappiano in che modo pulito e trasparente sono nate le candidature della Lega. E meno male che loro sono quelli che chiedono che a scegliere siano i cittadini!”.
Il Pd parte all’attacco con quattro parlamentari. Emanuele Fiano, deputato: “La Lega usava i rimborsi dei gruppi regionali per pagarci cose non previste? Soldi destinati per legge alle attività a livello regionale per pagare il partito a livello nazionale? Dopo che qualcuno della Lega come dicono i processi ha usato il finanziamento pubblico per i diamanti, adesso quest’altra vicenda scoperta da Repubblica: dove può arrivare ? Perchè la Lega non si è mai costituita parte civile contro Bossi e Belsito? Salvini che ne avete fatto di questi soldi?”.*
Stefano Esposito, senatore dem: “Se corrispondesse al vero che la Lega avrebbe usato i fondi dei gruppi regionali per pagare i funzionari del partito, sarebbe una cosa estremamente grave. Insomma, se fosse confermato (dopo i diamanti, i 40 milioni di rimborsi elettorali) ancora una volta la Lega avrebbe abusato dei soldi pubblici. Adesso probabilmente si capisce perchè non si è costituita parte civile contro Bossi e il tesoriere Belsito. Quali verità inconfessabili volevano nascondere? Dicono di interessarsi agli italiani ma in realtà sono interessati solo a procurarsi denari”.
Laura Puppato, senatrice dem: “La Lega ha sempre fatto un uso politico delle istituzioni, asservendole al partito, anzichè gestendole per il bene comune, è una prassi consolidata che noi in Veneto conosciamo molto bene e che viene applicata dai comuni più piccoli fino alla Regione e alle istituzioni più importanti. Non mi sorprende per nulla dunque che tra di loro si accusino di avere usato denaro pubblico per pagare i dipendenti della Lega. Al di là dei procedimenti giudiziari che faranno luce su quest’aspetto, la mancanza politico-culturale di senso delle istituzioni della Lega è oggettiva ed è un motivo in più per non affidarsi a loro il 4 marzo”.
(da agenzie)
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Marzo 1st, 2018 Riccardo Fucile
L’INQUIETANTE INCHIESTA DE L’ESPRESSO: PARENTI E AMICI VIVONO GRATIS NEL CENTRO DI ROMA… VENTI APPARTAMENTI DI CUI NESSUNO CONOSCE I RESIDENTI
Grand Hotel CasaPound.
Nel cuore della capitale, con vista sulle cupole della basilica di Santa Maria Maggiore, la stazione Termini dietro l’angolo.
Loro, i fascisti del terzo millennio che puntano a portare “guerrieri” in Parlamento, la chiamano «ambasciata d’Italia nel quartiere multietnico della capitale».
§Ma il palazzo sede ufficiale di CasaPound è un edificio pubblico occupato senza titolo dal 27 dicembre 2003. In più di quattordici anni neanche un tentativo di sgombero. E non si tratta di un appartamentino popolare in uno dei quartieri periferici, là dove il partito di Simone Di Stefano punta a raccogliere consensi alle prossime elezioni.
Si tratta invece di sessanta vani, almeno una ventina di appartamenti in una zona dove i prezzi di mercato sono tra i più alti di Roma.
Sei piani, una quarantina di finestre con affaccio sulla centralissima via Napoleone III, una terrazza con vista mozzafiato. Una sala per gli incontri politici all’ultimo piano dove ospitare presentazione di libri, conferenze stampa e confronti in diretta streaming con le star del giornalismo.
Il Grand Hotel non ha prezzi popolari. «Un appartamento normale per una famiglia con due camere da letto in via Napoleone III? Non meno di 1.100 euro al mese», spiega all’Espresso una agenzia immobiliare di piazza Vittorio.
Un valore sul mercato degli affitti di circa 25 mila euro al mese – includendo anche gli spazi per le iniziative politiche – 300 mila all’anno, più di quattro milioni nei 14 anni di occupazione abusiva.
Soldi che ha perso il Demanio, ovvero lo Stato, proprietario dell’immobile.
Il Comune di Roma nel 2007 aveva inserito il palazzo in una lista di occupazioni da parte di famiglie in emergenza abitativa.
Nell’aprile del 2016 il commissario straordinario Francesco Tronca aveva compilato una shortlist di 16 immobili da sgomberare, rispetto ai quasi cento edifici occupati abusivamente nella capitale.
La sede di CasaPound, però, era inclusa in una più ampia lista, non interessata in quel momento da operazioni di sgombero. La decisione su questi altri immobili era rinviata a «successivi provvedimenti». Da allora nulla è accaduto, qui.
Invece gli etiopi e gli eritrei che occupavano via Curtatone – poco distante – sono stati cacciati via manu militari la scorsa estate, lasciando in strada famiglie con bambini e anziani.
Per la felicità di Simone Di Stefano, che lo scorso agosto dichiarò: «Giusto sgomberarli». Per gli abusivi di CasaPound i parametri però sono altri.
Il Comune di Roma non ha fatto nulla: «Non è mai stato realizzato un censimento delle famiglie che abitano in via Napoleone III», spiegano gli uffici capitolini, che aggiungono: «Nessuno ce lo ha richiesto».
Censire le famiglie, individuando le fragilità sociali, è l’atto che normalmente la Prefettura chiede prima di liberare un edificio occupato. Passaggio necessario, soprattutto dopo l’ultima circolare del Ministero dell’Interno che impone ai Comuni di trovare soluzioni abitative per le famiglie obbligate a lasciare uno stabile occupato. Ma nel caso di CasaPound nessuno sa chi vive nell’edificio nel quartiere dell’Esquilino.
E nessuno sa se qui abbiano preso casa famiglie veramente in stato di bisogno. Quell’edificio è un’isola abusiva di fatto sconosciuta, mai censita.
Invisibile, tanto da essere stata curiosamente esclusa, nel 2010, dalla mappatura degli edifici occupati abusivamente compilata dalla Commissione sicurezza di Roma Capitale, all’epoca della giunta guidata da Gianni Alemanno.
Abusivi, ma “per necessità ”, sostengono da sempre i militanti della tartaruga frecciata. È così?
All’Espresso risultano residenti nel palazzo occupato i vertici nazionali dell’organizzazione di estrema destra.
A partire dal candidato premier Simone Di Stefano, che al momento della presentazione delle liste per le politiche del 2013 ha dichiarato come residenza anagrafica proprio via Napoleone III, civico 8.
C’è poi la moglie del presidente Gianluca Iannone, Maria Bambina Crognale, che alla Camera di Commercio nel 2014 aveva dichiarato quello stesso domicilio nelle schede delle società dove ancora oggi ha ruolo di rilievo.
È una delle socie della catena di ristoranti “Angelino dal 1899”, con locali nella capitale, a pochi passi dal Colosseo, vicino alla stazione centrale di Milano, a Malaga e a Lima, in Perù.
Un piccolo impero della ristorazione. E, ancora, tanti altri volti noti dell’estremismo di destra romano, infilati nelle liste elettorali durante le ultime elezioni comunali del 2016.
Tutti in “emergenza abitativa”?
Il Grand Hotel CasaPound è poi la sede amministrativa di cooperative e associazioni, parte integrante di quel network creato dal movimento politico nel corso degli anni. CasaPound è probabilmente la lista elettorale con più metri quadrati a disposizione nella capitale per l’attività politica.
«CasaPound? È un’isola, non interagiscono con il quartiere», spiega un commerciante, che lavora all’Esquilino dal 1988.
«Escono solo quando serve politicamente», aggiunge. Come a metà febbraio, quando in una trentina hanno organizzato una delle tante “passeggiate per la sicurezza”: una sfilata a uso e consumo di fotografi e operatori, con spintoni e insulti verso una ragazza che aveva provato a contestare il taglio xenofobo del sit-in.
Una trentina di militanti, foto di rito nel centro dei giardinetti, un giro di piazza Vittorio e poi di nuovo chiusi nell’edificio di via Napoleone III.
Poco prima, accanto ai rituali slogan anti migrazione, Davide Di Stefano – fratello del candidato premier che nel 2011 rivendicava con orgoglio: «Io abito qui». Gratis, in un edificio pubblico
Il palazzo di via Napoleone III non è solo un ottimo alloggio a costo zero per militanti e vertici del movimento. È diventato il vero simbolo di CasaPound, un avamposto nel cuore della capitale.
Quando, a fine gennaio, girò la voce di un possibile sgombero, Gianluca Iannone spiegò senza mezzi termini: «Sarebbe un atto di guerra. Ma se non altro vorrà dire che, in un’epoca ignobile come questa, anche noi avremo la possibilità di morire per un’idea».
La scelta di mettere l’avamposto nazionale nel cuore del quartiere più multietnico di Roma ha sempre avuto un significato altamente politico per il movimento ultradestra. Il problema però è un altro: in questi quattordici anni nessuno ha affrontato seriamente la questione.
Gli abusivi di CasaPound hanno potuto vivere e agire politicamente nel cuore della capitale senza mai pagare neanche un euro per gli spazi e senza che nessuno bussasse alla loro porta per chiedere il conto.
Dopo l’occupazione del 27 dicembre 2003 il Miur – il dicastero che ha in carico l’edificio – ha presentato una denuncia informando il Prefetto e l’avvocatura dello Stato, chiedendo lo sgombero.
Pochi mesi dopo, però, nel maggio del 2004, viale Trastevere ha comunicato all’Agenzia del Demanio di voler riconsegnare il palazzo “per cessate esigenze istituzionali”: richiesta respinta proprio per via dell’occupazione abusiva di CasaPound.
Da allora, spiegano all’Espresso gli uffici del Miur, «il ministero non ha intrapreso azioni per rientrare in possesso dell’immobile», salvo sollecitare nel 2008 «le autorità competenti in merito alla denuncia, richiedendo ancora una volta lo sgombero».
Atti che – a quanto sembra – non hanno avuto conseguenze, tanto che oggi la Prefettura di Roma segnala che «non ci sono provvedimenti dell’autorità giudiziaria» sull’immobile.
Nel frattempo i militanti di destra sono diventati padroni incontrastati dello stabile. Gli ex uffici si sono trasformati in appartamenti, con l’installazione di telecamere di videosorveglianza all’ingresso.
Sulla facciata del palazzo è comparsa l’enorme scritta in pietra – abusiva anche quella – in stile ventennio: “CasaPound”. Demanio e Ministero dell’Istruzione oggi si rimpallano le responsabilità : l’agenzia che gestisce gli immobili dello Stato sottolinea di aver chiesto al Miur di adoperarsi contro l’occupazione abusiva. Il Miur, dal canto suo, sostiene di non avere più in carico il bene e che il palazzo è «rientrato nella sfera di competenza dell’Agenzia del Demanio».
La situazione sembrava potersi sbloccare nel 2009, ma non nella direzione sperata. Un anno dopo l’elezione a sindaco di Gianni Alemanno, il Demanio accetta di inserire il bene in un protocollo d’intesa col Comune di Roma, con l’intenzione di cederlo al Campidoglio per 11 milioni e 800 mila euro. L’operazione viene inserita con discrezione in un pacchetto di permute di immobili, ex caserme e terreni demaniali. Ma non passa inosservata.
L’opposizione di sinistra già vede il palazzo, una volta acquistato da Alemanno, concesso in comodato d’uso ai neofascisti.
Così l’accordo salta tra le polemiche e tutto resta come prima. Intanto i solleciti inviati dal ministero in Prefettura e ai carabinieri sono sempre rimasti lettera morta.
Ma l’aura di intoccabilità della sede di CasaPound non finisce qui. Le utenze di acqua e luce, ad esempio, sono attive nonostante il decreto Lupi del 2014 richieda l’esistenza di un titolo abitativo valido per l’allaccio delle utenze.
Nel 2004 vi fu un primo distacco, per disattivare le vecchie utenze Acea e Telecom intestate al ministero. Il 10 febbraio del 2016 la Polizia di Stato ha fornito il supporto per il taglio delle forniture, poi però misteriosamente riallacciate. Acea – società partecipata al 51 per cento dal Comune di Roma – non vuole commentare la questione trincerandosi dietro alla privacy: «Alla luce dei vincoli di riservatezza gravanti sull’Azienda non è consentito fornire informazioni circa la titolarità e lo stato di specifiche posizioni», è la burocratica risposta.
Impossibile, dunque, sapere a chi siano intestate oggi le utenze. E chi le paga, se qualcuno le paga.
Nessun soggetto istituzionale ha mai predisposto una stima del danno erariale causato dall’occupazione del palazzo di via Napoleone III. E tra gli sgomberi che le autorità hanno in programma nella capitale, su quello di CasaPound resta sempre il timbro “non prioritario”.
(da “L’Espresso”)
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Marzo 1st, 2018 Riccardo Fucile
SE IL CENTRODESTRA NON AVRA’ I NUMERI PER GOVERNARE, DA LUNEDI OGNUNO PER LA SUA STRADA
Il finale rattoppato è solo una foto, con Berlusconi nei panni del vecchio zio che si atteggia ancora a leader con i nipoti inquieti. E li rassicura, promettendo fedeltà qualunque sia l’esisto del voto: “Ciascuno di noi — scandisce – ha preso l’assoluto impegno di non aprire a degli inciuci o ad altre coalizioni se non raggiungiamo la maggioranza”.
Alla sua destra Giorgia Meloni si compiace, perchè comunque lo scatto finale è anche un suo successo: “Quindi alla fine siamo riusciti a fare la manifestazione anti-inciucio!”. Annuiscono Matteo Salvini e Raffaele Fitto, seduti alla sinistra del Cavaliere.
Al tempio di Adriano, in piazza di Pietra, va in scena uno show unitario, la cui traduzione italiana potrebbe essere “messinscena”, per fotografi e telecamere, non un evento politico, al termine di una campagna da “separati in casa”.
Non farlo avrebbe creato un caso, dopo che l’ultimo incontro dei tre risaliva alla famosa foto sotto l’albero di Natale ad Arcore, ai tempi dell’accordo sulle liste e sulle quote.
Complicità ostentata, sorrisi che sembrano veri, un’orgia di retorica unitaria, il richiamo al programma, entità metafisica per tutta la campagna elettorale, neanche fosse il Vangelo.
Dopo un’oretta di una specie di conferenza stampa senza domande, ognuno va verso la propria chiusura di campagna elettorale in piazza o in tv.
Solita claque per il Cavaliere, con coretto finale “un presidente c’è solo un presidente”, “Silvio Silvio”, e qualche bionda appariscente a cui non viene concesso l’onore di avvicinarlo all’uscita.
Si sa, Berlusconi è incapace di concepire se stesso se non come padre padrone del centrodestra. E in questi casi dà il meglio di sè, show nello show, con picchi messianici. Sua la prima, sua l’ultima parola: “L’unica coalizione che potrà garantire un governo forte e stabile e solo quella del centrodestra, formata da questi quattro eroi della libertà e della democrazia. Andate e convertite gli infedeli”.
Tra l’inizio e la fine fa il presentatore, interrompe con battute, annuisce, è così calato nella parte che guarda tutti come se fossero figli suoi.
Siparietto: eccolo cacciarsi un fazzoletto dal taschino, e passarlo sulla fronte di Salvini quando il leader della Lega racconta dei trecento comizi e dei oltre millecinquecento chilometri percorsi.
Altro siparietto: eccolo annuire, “bravo Matteo”, alle battute su Renzi che fa training autogeno e non gli riesce, la Boldrini.
È così calato nel ruolo che, come se il tempo non fosse passato, annuncia che è già pronto il primo provvedimento che sarà portato al primo consiglio dei ministri: “Toglieremo ogni tassa e decontribuzione alle aziende che assumono un disoccupato”. Sembra che gli alleati non fossero a conoscenza del coniglio cacciato dal cilindro, a giudicare dalla nonchalance con cui la proposta viene fatta cadere.
Con altrettanta nonchalance nessuno si sofferma su come “abolire la Fornero” o approfondisce il far west salviniano sulla “difesa che è sempre legittima se mi entri in casa”, a qualunque ora del giorno e della notte.
Brusii in sala verso la fine. Sono dieci minuti che Berlusconi sta leggendo “gli effetti” della flat tax, “perchè non me lo fanno fare in tv”: “E qui — dice a un pubblico distratto — ci vuole l’applauso”.
Gli alleati sono quasi imbarazzati dall’interminabile filippica e a stento lo nascondono. La foto, sui giornali, sembra dare l’idea, al netto di tutto, di una “coalizione”, calamita per il voto utile perchè, oggettivamente, solo una vittoria del centrodestra garantirebbe la nascita di un governo espressione di una volontà popolare e non frutto di accordi, dopo, in Parlamento.
Vista da vicino è l’istantanea di una coalizione “costretta” a stare insieme, come conseguenza di un quadro politico mutato.
Diciamo le cose come stanno: questa campagna elettorale di Berlusconi è iniziata con il viaggio in Europa da Juncker, col Cavaliere “riabilitato” che si propone come perno “moderato” per le larghe intese contro i “lepenisti”, e termina con una foto assieme alla Meloni e Salvini, sia pur senza entusiasmo, convinzione, come una scelta subita. Dall’inciucio all’anti-inciucio, per dirla con gergo abusato.
Vanno dunque prese sul serio le parole del Cavaliere, sull’indisponibilità a larghe intese “anche se non avremo maggioranza”. Parole frutto della necessità , più che della volontà .
Al momento non c’è alternativa realistica all’ipocrisia delle foto.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 1st, 2018 Riccardo Fucile
DI MAIO ABBOZZA: “LO SAPEVAMO”… LEI CADE DAL PERO: “MAI FIRMATO”
C’è anche la firma di Paola Giannetakis, che oggi il MoVimento 5 Stelle ha “nominato” “candidata ministra” degli Interni, su un appello pubblicato da Repubblica a favore del referendum sulle riforme del 4 dicembre 2016.
Le firme si trovano anche sul sito pacatosi e il testo voleva dare al referendum “Un sì pacato che, sulla scorta delle considerazioni espresse in maggio dai giuristi e costituzionalisti che si sono pronunciati in materia, sente il dovere di esprimersi”.
A parlarne oggi è stato Il Foglio.
Il M5S attraverso il suo staff cerca di parare il colpo : “Lo sapevamo, nessun imbarazzo, i candidati ministri sono patrimonio del Paese e non sono dei 5 stelle”.
Ma, e qui arriva il colpo di scena, Giannetakis fa sapere di non aver mai firmato quell’appello: “Non si capisce come il suo nome sia stato accostato all’appello”.
Lei stessa dice: “Non ho mai firmato nulla, nè fisicamente nè virtualmente. Non so come il mio nome sia finito lì”.
E qui siamo alla farsa: lo sapeva Di Maio e non lo sapeva lei.
Si vede che non legge i giornali. ottime credenziali per un ministro degli Interni.
(da agenzie)
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Marzo 1st, 2018 Riccardo Fucile
RENZI PUBBLICA UN VIDEO IN CUI SALVATORE GIULIANO, MINISTRO ALL’ISTRUZIONE DEL “GOVERNO DI MAIO”, SI DIMOSTRA ENTUSIASTA DELLA RIFORMA CHE ADESSO CONTESTA
Matteo Renzi ha pubblicato su Twitter un video in cui si vede Salvatore Giuliano, attualmente “candidato ministro” con il MoVimento 5 Stelle, mentre a Venaria per l’Italian Digital Day elogia l’allora presidente del Consiglio e sostiene, a proposito della riforma della Buona Scuola, che “la scuola è con lei”.
«Signor presidente, la rivoluzione è partita dal basso e io di basso me ne intendo — dice Giuliano scherzando sulla sua statura — Ascolti ancor di più le tantissime esperienze di eccellenza che abbiamo nella scuola. Noi siamo pronti a migliorare questo paese. La scuola è con lei, Presidente!», conclude prendendosi l’applauso di Renzi, di Chiamparino, di Antonio Campo Dall’Orto e di Ernesto Carbone.
Salvatore Giuliano ha anche firmato appelli sulla Buona Scuola e criticato lo sciopero del 5 maggio contro il provvedimento del governo Renzi.
Ha anche firmato un appello pubblicato dalla rivista specializzata Tuttoscuola: “Pur riconoscendo che il DDL 2994 Giannini-Madia-Padoan sia suscettibile di elementi migliorativi e di chiarimenti interpretativi ne difendiamo con forza l’impianto e il coraggio con il quale interviene a riformare la scuola con l’obiettivo di rinnovarla e renderla rispondente ai bisogni della società complessa”.
Definendo lo sciopero “demagogico”, contro un DDL che invece “interviene finalmente a precisare e definire i contorni dell’autonomia scolastica, per la quale abbiamo sempre tutti lamentato un’esistenza di principio ma una sostanziale inesistenza di fatto”.
(da agenzie)
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Marzo 1st, 2018 Riccardo Fucile
TRAGICA PRIMA APPARIZIONE IN TV A L’ARIA CHE TIRA (IN EFFETTI TIRA UNA BRUTTA ARIA)
Luigi Di Maio, tenendo fede alla visione seriale (nel senso di serie televisiva) della politica che si è impadronita del MoVimento 5 Stelle ha “nominato” il prossimo ministro della Salute.
Sarà Armando Bartolazzi: «è uno scienziato, l’ho apprezzato perchè continua ad operare in Ospedale, al Sant’Andrea di Roma, ha scoperto un’innovazione assoluta nella diagnosi della tiroide ma soprattutto è uno di quelli che si sporca le mani, non sta lì a teorizzare».
L’esordio di Bartolazzi, oncologo e patologo che vanta 67 pubblicazioni scientifiche tra 1987 e 2010, è avvenuto questa mattina a L’Aria che tira (in televisione ovviamente).
Come tutti sanno il MoVimento 5 Stelle ha una posizione chiara, anzi chiarissima su certi temi. Ad esempio sulle vaccinazioni obbligatorie. Ed è per questo che Myrta Merlino ha chiesto subito al “ministro” Bartolazzi cosa ne pensa dei vaccini e delle vaccinazioni obbligatorie.
La risposta di Bartolazzi lascia esterrefatti per la qualità del cerchiobottismo che racchiude (e per una buona dose di ignoranza).
Bartolazzi ha risposto alla domanda della Merlino dicendo che «in tempi non sospetti in questo Paese, parliamo di decine di anni fa, abbiamo sconfitto la poliomielite, abbiamo sconfitto il vaiolo con una semplice campagna di informazione, i vaccini sono importanti, è chiaro che si tratta di come si spiegano queste cose. Va corretto il modo di propinare questi strumenti».
In questa fantastica riscrittura della realtà che sta operando il MoVimento 5 Stelle da cinque anni a questa parte probabilmente non avevamo mai sentito una balla così clamorosa.
Possiamo infatti stare qui a discutere su quale sia l’approccio migliore per aumentare la copertura vaccinale, oggi nel 2018, tra quello fondato sull’obbligatorietà e quello basato sulla raccomandazione.
Ma non possiamo pensare di cambiare la storia, ovvero di fingere che il vaiolo sia stato debellato grazie allo stesso approccio che — che coincidenza — il M5S vuole proporre oggi.
In Italia, l’obbligo di vaccinazione è stato introdotto con la legge di riforma sanitaria del Regno d’Italia n. 5849 del 1888 (legge Crispi-Pagliani) che prevedeva la somministrazione del vaccino antivaiolo per tutti i nuovi nati.
L’obbligo è stato sospeso in Italia nel 1977 e definitivamente abrogato nel 1981 per il semplice motivo che l’anno prima — nel 1980 — l’Organizzazione mondiale della sanità aveva dichiarato ufficialmente eradicata la malattia.
Per la cronaca — e per fare un po’ di storia — il Regno Unito fu il primo paese che rese obbligatoria l’antivaiolosa con i Vaccitation Act del 1840, 1841 e 1853.
In Regno Unito l’obbligo venne però abolito nel 1898. Anche per quanto la vaccinazione antipoliomielitica è stata istituita “decine di anni fa”. Precisamente con la legge n. 51 del 1966, che non è mai stata abrogata.
Checchè ne dica Bartolazzi quindi la polio e il vaiolo non sono stati sconfitti “grazie alla raccomandazione” o alla “buona informazione” ma grazie ai vaccini obbligatori. Vale la pena di ricordare che anche altre vaccinazioni sono state rese obbligatorie per legge “decine di anni fa” quella per la difterite con la legge n. 891 del 1939 mentre quella per il tetano con la legge n. 292 del 1963 e la legge n. 419 del 1968.
I 5 Stelle ci hanno fatto una testa così con la storia della ministra non laureata ma alla prima uscita pubblica il loro “ministro” della Salute dimostra di non sapere i fondamentali della legislazione in materia di salute pubblica.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 1st, 2018 Riccardo Fucile
ERA SUFFICIENTE AMMETTERE QUELLO CHE HA SCRITTO, INVECE CHE INCOLPARE I GIORNALISTI E MENTIRE AGLI ELETTORI
Lorenzo Fioramonti, professore all’Università di Pretoria, candidato per il MoVimento 5 Stelle e “ministro” dell’inesistente (per ora) governo di Luigi Di Maio non ci sta ad essere strumentalizzato dai giornali.
I giornalisti, brutti e cattivi, ieri hanno scritto che il “ministro” per lo Sviluppo Economico del MoVimento 5 Stelle due anni fa era favorevole al boicottaggio nei confronti di Israele e che si era rifiutato di partecipare ad una conferenza organizzata in Sud Africa perchè era previsto l’intervento dell’Ambasciatore israeliano Arthur Lenk.
Per la cronaca, in seguito alla defezione di Fioramonti, che in un’intervista ha dichiarato esplicitamente di non voler partecipare alla conferenza e di aderire al boicottaggio contro Israele, il Water Summit 2016 venne cancellato.
Oggi Fioramonti ha trovato il coraggio di scrivere su Facebook per spiegare come mai due anni fa parlava di boicottare Israele.
In realtà non l’ha fatto, si è limitato a ricordare che “nelle ultime settimane, sono passato dall’essere descritto come un ‘sionista’ in virtù di relazioni fantasiose con il capitalismo internazionale di Soros, Rothschild e Rockefeller, all’essere accusato di ‘antisemitismo’ in virtù di una mia posizione sul diritto di accesso all’acqua in Africa ed in Medio Oriente”.
Sembrerebbe quasi che i giornali soffrano di schizofrenia: prima accusano il professore di essere sionista poi di essere antisionista.
Non è così: a muovere le ridicole accuse di essere al soldo di Soros o dei Rothschild sono stati i cosiddetti siti di “informazione alternativa”.
Le dichiarazioni sul boicottaggio invece sono comparse su diversi giornali e addirittura sul sito del dipartimento universitario di cui Fioramonti è direttore.
L’unica differenza è che mentre i giornali che hanno dato la notizia non hanno cancellato l’articolo il comunicato stampa di Fioramonti è scomparso.
Altri siti all’epoca scrissero che la cancellazione della conferenza era “la prova che il boicottaggio contro Israele stava funzionando”.
Se ne trova traccia naturalmente, grazie alla cache di Google.
Ma Fioramonti evidentemente si è “dimenticato” di rimuovere il tweet nel quale linka l’intervista dove parla della necessità di aderire al movimento accademico di boicottaggio contro Israele.
Un tweet dove il futuro ministro dello Sviluppo Economico menziona l’account di BDSsouthafrica. BDS è un acronimo che identifica il movimento internazionale “BOYCOTT, DIVESTMENT AND SANCTIONS AGAINST ISRAEL” che appunto si prefigge lo scopo di boicottare lo Stato di Israele.
Non è infatti un caso che BDS del Sud Africa abbia pubblicato all’epoca una dichiarazione nella quale loda la posizione di Fioramonti riportando un passaggio di quel famoso comunicato (ora scomparso) dove Fioramonti diceva: “there is an international academic boycott against Israel’s public officials, which is supported by progressive groups both in Israel and Palestine and has a lot of support in South Africa too. This boycott is key to help the cause for sustainable and equitable peace in the Middle East, highlighting how behind the facade of technological solutions lies a systematic exploitation of Palestinian communities”
Oggi Fioramonti arriva a scrivere che la sua posizione nei confronti dello stato di Israele “non è diversa da quella tradizionale sostenuta dall’ONU”.
Ma l’ONU non ha mai promosso il boicottaggio nei confronti di Israele nè ha invitato a disinvestire dal Paese.
Il fatto che il futuro ministro dello Sviluppo Economico abbia queste posizioni — per quanto legittime — è imbarazzante. Ma ancora peggio è il continuo tentativo di accusare i giornali di aver strumentalizzato le sue posizioni quando in questi due anni non risulta che Fioramonti si sia mail lamentato della massiccia copertura mediatica data alla sua posizione sui giornali internazionali.
Non si può dire che ora tutti attacchino Fioramonti perchè è del M5S, anzi: fuori dall’Italia le sue posizioni furono ampiamente criticate.
Il motivo per cui in Italia nessuno si è interessato del boicottaggio di Fioramonti nei confronti di Israele è perchè sostanzialmente a quasi nessuno interessava le posizioni di Fioramonti su Israele (o sull’economia).
Oggi invece, visto che il professore dell’Università di Pretoria si presenta come il consulente per le politiche economiche del M5S e che aspira addirittura ad un ministero le sue opinioni assumono un altro valore.
Quando Fioramonti rivendica di aver lavorato con le università israeliane (nel 2009) senza nemmeno accennare alle opinioni espresse nel 2016 assomiglia molto a quei razzisti che dicono “razzista io? ma se ho anche amici negri!”.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 1st, 2018 Riccardo Fucile
LE NOTTI DEL’ATTACCANTE DEL NAPOLI CHE IN INCOGNITO AIUTA CHI VIVE PER STRADA E HA PRESO IN CARICO UN RIFUGIO DI CANI ABBANDONATI
In campo sbalordisce, nella vita privata intenerisce. Dries Mertens è l’uomo (non il calciatore) che non ti aspetti.
Da esterno è diventato centravanti del Napoli da trenta gol a stagione.
Ma scorgerlo tra i senzatetto della città , a tagliare e distribuire tranci di pizza, è una scena che riempie gli occhi e riscalda l’anima.
Senza voler dare per forza un significato eccezionale a un gesto di solidarietà che per tanti volontari è anche normale, soprattutto in queste ultime notti di neve, ma che il pizzaiolo di fiducia dei clochard sia un ragazzo non qualunque di nome Dries (battezzato Ciro dai napoletani) fa un certo effetto.
Mimetizzato con le pizz
È successo spesso, la prima volta fu al ritorno di una trasferta notturna di dicembre. L’aereo con la squadra era appena atterrato da Torino e Mertens chiamò al telefono due dei suoi più cari amici napoletani: «Vediamoci, compriamo pizze Margherita e le portiamo a chi ha fame e vive in strada. Fa molto freddo».
Ed ecco che in meno di un quarto d’ora Dries era alla Stazione di piazza Garibaldi con tante confezioni di pizza. Ben mimetizzato, certo. Non aveva voglia di essere riconosciuto.
Non cercava notorietà ulteriore, nè titoli sui giornali. Voleva regalare un sorriso, dare calore ai più bisognosi di una città che lo ha adottato e che nelle occasioni pubbliche ha creato attorno a lui una culla di calore e solidarietà .
Cappellino e occhiali scuri, Dries le ha comprate tante altre volte le pizze per i clochard, andando in diverse zone di Napoli.
Lì dove gli invisibili sfidano freddo, gelo e negli ultimi giorni anche neve. Nei giardini di via Posillipo, sotto ai portici di Chiaia: il fuoriclasse del calcio è un benefattore molto speciale.
Nei luoghi dove quasi nessuno lo riconosce, dove nessuno si sognerebbe di chiedergli un selfie. Nel silenzio della notte Mertens festeggia così i suoi successi sportivi, si regala e regala momenti di amore e di carità .
Visite negli ospedali
Sul suo profilo Instagram pubblica di tutto: c’è lo spogliatoio, ci sono gli incontri con gli amici, le feste. Non c’è però traccia delle visite ai senza tetto, non c’è clamore per un gesto che definisce «normale». Non è l’unico.
Pizze per i senzatetto ma anche vestiti per i bambini poveri. Visite negli ospedali dove ai suoi piccoli tifosi regala maglie da gioco e gadget.
Aurora è una bimba ammalata di cancro e ricoverata all’ospedale Pausilipon alla quale fa visita spesso. «L’ho voluto sposare e adesso siamo marito e moglie», ha raccontato più volte la piccola felice, pur sapendo che si tratta solo un gioco.
L’impegno con la moglie
Dries a tutto tondo sul fronte della solidarietà : insieme con la moglie Katrin adotta cani abbandonati. Hanno sposato la causa di un rifugio per cani di Ponticelli, quartiere periferico e anche degradato di Napoli. Un canile che senza aiuto il loro aiuto rischiava la chiusura. È il vissuto quasi quotidiano di un ragazzo «normale» che sceglie di fare cose «normali», sperando di dare esempi positivi. Poi, il campo.
Dove «Ciro» diventa Mertens-gol, il centravanti che vuole regalare a Napoli il terzo scudetto della sua storia. Intanto, la neve (che qui come il tricolore pure è un evento eccezionale) e il pensiero di una pizza da portare ai clochard.
I suoi genitori, dal Belgio, gli scrivono. Per loro è anche questo un gol da mettere in bacheca.
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 1st, 2018 Riccardo Fucile
CON LA FEDERICI ANCHE L’ALTRA ARRESTATA, LA BIAFORA… E LA FEDERICI OTTO MESI FA ERA RAPPRESENTANTE DI LISTA DELLA LEGA
Stefania Federici, ex assessora ai Servizi Sociali nel paese natale di Umberto Bossi, Cassano Magnago, dal 2007 al 2012 e candidata sindaco per la Lega Nord nel 2012, è stata arrestata ieri con l’accusa di peculato e abuso d’ufficio.
Secondo le indagini condotte dalla Guardia di Finanza la Federici, che attualmente è in carcere, avrebbe abusato della sua posizione di amministratrice di sostegno di almeno quattordici malati per sottrarre alle sue vittime un milione e centoventimila euro che avrebbe utilizzato per estinguere il mutuo della casa, acquistare una macchina e giocare alle slot machine.
Nel provvedimento del Tribunale di Busto Arsizio — riferisce il Giorno — si legge che la Federici «nello svolgimento delle proprie funzioni pubbliche, ha procurato per sè un ingiusto vantaggio patrimoniale», intestandosi «in qualità di beneficiaria mortis causa, una polizza vita del valore di 350mila euro del proprio ignaro amministrato».
Assieme alla Federici è stata arrestata anche una funzionaria della Procura: Raffaella Biafora, candidata alle scorse elezioni amministrative (giugno 2017) a Cassano Magnago nella lista civica “Donna e lavoro”, una lista di appoggio alla Lega.
All’ex assessora leghista la GdF ha sequestrato beni e contati per un valore di poco inferiore ai 600mila euro e conti correnti e polizze assicurative per circa 850mila euro.
La Lega Nord ha preso le distanze dalla Federici dicendo che non è più iscritta al partito “da anni”.
Varese News riporta un comunicato della segreteria provinciale dove si legge che «Fortunatamente, l’ex assessore Stefania Federici è ormai distante dal nostro movimento da anni. Gli ultimi ruoli di rilievo li aveva avuti durante il vecchio corso del partito. E i reati che le vengono contestati non hanno nulla a che fare con la sua precedente attività amministrativa».
Alle ultime elezioni comunali, nel 2017, prosegue il comunicato Stefania Federici «non è stata ricandidata, dal momento che non era più persona di fiducia e in linea con il nuovo corso della Lega di Matteo Salvini».
Eppure c’è un video dove si vede la Federici accogliere l’arrivo di Salvini a Cassano Magnago nel giugno 2017. Il Segretario della Lega Nord si è intrattenuto a parlare con l’ex assessora e si è anche fatto fotografare tra la Federici e la Biafora.
A rivelarlo è Matteo Sommaruga di Grande Nord che ricorda come durante le ultime elezioni comunali la Federici fosse delegata di lista per la Lega.
Come già accaduto in passato non basta dire che quella era la “vecchia Lega Nord”, a quanto pare le due “leghe” sono ancora legate a doppio filo.
(da “NextQuotidiano”)
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