Destra di Popolo.net

AUTOPSIE FANTASMA DELL’EX CAPO DEI MEDICI LEGALI: 46 CERTIFICATI SU SALME MAI VISTE, REFERTI IN BIANCO, ALTRI FALSIFICATI

Marzo 22nd, 2018 Riccardo Fucile

CHIESTI 6 ANNI E MEZZO DI CARCERE PER PECULATO, TRUFFA E FALSO: ANDAVA PURE A FARE LA SPESA CON L’AUTO DI SERVIZIO… IL PM:   “UN METODO AGGHIACCIANTE”

Il pubblico ministero Grazia Pradella ha chiesto oggi una condanna complessiva a 6 anni e 6 mesi di reclusione nei confronti della dottoressa Simona Del Vecchio, ex dirigente della struttura complessa di medicina legale dell’Asl 1 imperiese.
La Del Vecchio è accusata dei reati di falso, truffa e peculato.
I primi due per aver certificato sulla carta autopsie mai eseguite.
In particolare, avrebbe compilato referti in bianco, anzichè presentarsi, quando c’era da effettuare una ricognizione cadaverica per morti naturali o in caso di esami necroscopici su incarico della Procura.
L’accusa di peculato, deriva dal fatto che gli investigatori della Guardia di Finanza l’avrebbero sorpresa a fare la spesa o altre commissioni a bordo dell’auto di servizio. Nel mirino ci sono 46 certificati su salme che non sarebbero mai state viste.
L’unica parte civile, l’Asl 1 imperiese, ha formulato una richiesta risarcitoria complessiva pari a 153.769,64 euro, 120mila dei quali come danno di immagine.
Nel corso della discussione, il pm ha messo in luce l’esistenza di un metodo di lavoro, secondo cui i certificati venivano falsificati, di fronte alla morte di anziani, mentre venivano “scientificamente” escluse le morti di giovani o quelle cosiddette «strane», per evitare sospetti.
«Un metodo agghiacciante – ha affermato Pradella -. Quasi a fare una drammatica tabella di valori tra morti». Ed ha aggiunto: «Sono indignata come pubblico ministero, come paziente e come familiare di persona anziana».
Il pm ha parlato di «quadro avvilente», tanto da negare le attenuanti generiche all’imputata, malgrado sia incensurata.
L’accusa porta, poi, un caso emblematico, in cui la Del Vecchio avrebbe fatto scrivere sul certificato di un’anziana che era deceduta per «insufficienza respiratoria» e non per «trauma cranico», soltanto per fare un favore all’amica di un’agenzia funebre preoccupata di dover rimandare il funerale che era già  stato fissato.

(da “il Secolo XIX”)

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PD VERSO L’ASTENSIONE SIA ALLA CAMERA CHE AL SENATO: DI FATTO UN AIUTINO AL CENTRODESTRA

Marzo 22nd, 2018 Riccardo Fucile

CONTATTI TRA LOTTI E GIANNI LETTA: I DEM OTTERREBBERO DUE VICEPRESIDENZE E MAGARI ANCHE IL COPASIR

Astensione. Dovrebbe essere questa la posizione del Pd nelle votazioni per i presidenti di Camera e Senato al via domani in Parlamento.
Una decisione che evidentemente lascia fare agli altri gruppi, ma di fatto in Senato aiuta il candidato di Forza Italia Paolo Romani, nome sul quale Silvio Berlusconi è irremovibile nonostante il no del M5s e le critiche del leghista Matteo Salvini.
Ecco, in questo modo Romani verrebbe eletto con il lascia passare del Pd, una sorta di astensione tecnica frutto anche dei contatti continui di questi giorni tra i Democratici e Forza Italia.
In particolare, i fili della trattativa li sta tenendo Luca Lotti con Gianni Letta, ma non solo. Sono interlocuzioni certo non nuove al cerchio magico renziano.
Ma sembrerebbe che l’accordo tenga insieme anche altre caselle, tra cui una per la minoranza orlandiana che otterrebbe una vicepresidenza al Senato.
Il nome più quotato è quello di Anna Rossomando, senatrice dell’area del Guardasigilli. Inoltre i Dem otterrebbero una vicepresidenza anche alla Camera, con Ettore Rosato, il capogruppo uscente.
Sono queste le carte sul tavolo dei Democratici, almeno della parte renziana che su queste basi avrebbe un asse anche con gli orlandiani.
Un patto che ai renziani frutterebbe anche l’elezione dei due capigruppo: Lorenzo Guerini per la Camera e Andrea Marcucci per il Senato.
Certo bisogna vedere come reagirà  la parte non-renziana del Pd che va dal capogruppo uscente al Senato Luigi Zanda a Dario Franceschini. Ma la scommessa renziana è che su Romani nessuno potrà  sfilarsi.
Tanto più che formalmente si tratta di un’astensione, anche se torna vitale per un candidato voluto fortemente soltanto da Forza Italia, mal digerito dalla Lega che però a questo punto per contrastarlo dovrebbe votargli contro e mettere in crisi definitivamente la coalizione di centrodestra.
Salvini certo continua a dire che per lui è tutto “azzerato”, ma pare che il messaggio non sia stato ricevuto da Berlusconi che insiste su Romani, confidando nel Pd. A lui la scelta.
“Noi non voteremo Romani. Non abbiamo nessuna intenzione di votare Romani. Gli riconosciamo serietà  ma non lo vogliamo votare”, dice Ettore Rosato a Porta a Porta, anticipando evidentemente le indicazioni che verranno esposte dal reggente Maurizio Martina all’assemblea dei gruppi Pd, gruppi che si riuniscono oggi ma probabilmente verranno riconvocati domattina prima delle votazioni.
Perchè? Perchè, anche se la decisione è quella esposta fin qui, stasera si terrà  il vertice tra tutti i capigruppo proposto da Luigi Di Maio dopo che il Pd ha deciso di disertare la riunione convocata da Berlusconi a Palazzo Grazioli. “Non partecipiamo a vertici con posizioni precostituite”, recitava infatti ieri sera la nota in cui il Pd ha rifiutato l’invito.
Stasera invece i Dem ci andranno, ascolteranno le posizioni degli altri, “sta a loro, dire”, ci dice Rosato. Dopodichè la via dell’astensione sembra segnata, anche perchè — almeno dal punto di vista renziano — non ci sono le condizioni per proporre nomi del Pd per le presidenze, come Franceschini alla Camera per esempio oppure come Emma Bonino al Senato, carta pensata in area orlandiana per mettere in crisi il M5s.
Non succederà , si scommette tra i dirigenti Dem che stanno tenendo le trattative tentando allo stesso tempo di non far scoppiare la guerra sotterranea sempre viva nel partito.
E’ chiaro che l’astensione dei Democratici alla Camera lascia il candidato del M5s — Roberto Fico o chi per lui – alla mercè del voto, interamente dipendente dai voti della Lega per avere la maggioranza ed essere eletto in una votazione a scrutinio segreto che non prevede il ballottaggio finale tra due candidati come al Senato.
Ma allo stesso tempo l’astensione riesce a tenere insieme un partito spaccato tra diverse tentazioni all’indomani della debacle elettorale.
Anche se — e questo i renziani non se lo nascondono — se il candidato del M5s venisse eletto alla Camera con i voti della Lega, il tutto risulterebbe propedeutico ad un accordo di governo tra Di Maio e Salvini.
Tutto da vedere, certo, perchè dovranno discutere di premiership e programmi, ostacoli da non poco conto. Ma in questo quadro verrebbe salvaguardata la posizione del Pd all’opposizione, scelta iniziale di Matteo Renzi sulla quale ha comunque votato quasi tutta la direzione nazionale dei Democratici.
E al Pd all’opposizione potrebbero spettare importanti incarichi, come per esempio la presidenza del Copasir, la commissione di vigilanza sui servizi segreti.
Per questo ruolo sul tavolo c’è il nome di Lotti, che però prima dovrebbe chiudere la sua vicenda giudiziaria nell’inchiesta Consip. Ma c’è tempo per sperare in un’archiviazione, chissà , sono i giudici a decidere.
Certo però è che c’è tempo: le presidenze delle commissioni si decidono solo dopo la nascita di un nuovo governo.

(da “Huffingtonpost”)

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L’IPOCRISIA DEI VINCITORI CHE PARLANO DI “FIGURE DI GARANZIA”, MA POI PROPONGONO I LORO FEDELISSIMI

Marzo 22nd, 2018 Riccardo Fucile

SE QUALCOSA FOSSE DAVVERO CAMBIATO NELLA POLITICA ITALIANA, I PRESIDENTI DI CAMERA E SENATO DOVREBBERO ESSERE ASSEGNATI A FORZE MINORI, COME FIGURE DI CONTROLLO… DUE NOMI? BONINO E MELONI

Siamo alle solite.
Alla vigilia della votazione per la presidenza di Camera e Senato, i vincitori delle elezioni non hanno neanche raggiunto l’accordo sul nome di Fico alla Camera e di Romani al Senato.
Il primo è oggetto di pugnalate alle spalle, in quanto “ortodosso”, dall’ala destrorsa del M5S che gli preferisce Fraccaro.
Il secondo, in quanto condannato per peculato, è giustamente giudicato “improponibile” dai Cinquestelle.
Il sedicente erede di De Gasperi a questo punto propone di ricominciare con una riunione dei capigruppo, come se cambiasse qualcosa se non si cambia il metodo.
E continua a parlare di “figure di garanzia”, proprio lui che ha proposto Fico e Fraccaro, ovvero due uomini del suo partito.
Stesso discorso nel centrodestra dove l’alternativa a Romani sarebbero la Bernini e la Casellati, altre espressioni di Forza Italia.
Nessuno che faccia un semplice ragionamento: le elezioni le hanno vinte M5S e Lega?
Bene, le presidenze “di vera garanzia” vadano a chi le ha perse o almeno a persone qualificate appartenenti a forze minori, altrimenti “di garanzia” non sono.
Questa sarebbe una vera svolta politica di “cambiamento”, non le manfrine democristiane di sagrestani improvvisati.
Si abbia il coraggio di indicare una “rosa di nomi” graditi tra i quali scegliere fuori da schemi di potere, altra cosa è votare un premier per cui necessita una maggioranza, qua si tratta di scegliere per l’appunto “figure di garanzia” per far capire che il metodo è cambiato.
Qualche nome? Due donne, ad esempio.
Emma Bonino, espressione di una forza alleata al centro sinistra, personaggio stimato a livello internazionale e sicuramente indipendente da logiche partitocratiche.
Giorgia Meloni espressione della forza minoritaria del centrodestra che in quel ruolo avrebbe tutto da guadagnarci come immagine super partes, piuttosto che passare la vita a fare il clone di altri.
Ovviamente non sono le uniche, ma potrebbero rappresentare una soluzione temporanea. per quanto potrà  durare questa legislatura.
Poi Di Maio e Salvini provino a trovare una maggioranza, se ci riescono, altrimenti tra un anno si torni al voto senza tanti schiammazzi: gli italiani non hanno dato una maggioranza a nessuno, fatevene una ragione.

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GELATAIA SI RIFIUTA DI SERVIRE MATTEO SALVINI: “E’ RAZZISTA”. HA FATTO BENE, LA NOSTRA SOLIDARIETA’

Marzo 22nd, 2018 Riccardo Fucile

LA MAMMA DELLA RAGAZZA: “LICENZIATA PER COLPA DI UNA TELEFONATA DI SALVINI”…LA TITOLARE: “NON L’ABBIAMO LICENZIATA NOI”… SCOPPIA LA POLEMICA TRA MINACCE DI QUERELE

“Io non servo i razzisti”: così una giovane gelataia di Milano, davanti a un cliente. Non uno qualsiasi: il segretario della Lega Matteo Salvini.
Una reazione che sta provocando centinaia di reazioni su Facebook, ma anche minacce di querele.
Tutto nasce da un post su Facebook che diventa virale, provoca la reazione delle persone coinvolte e anche quella dell’involontario protagonista della storia: Salvini, appunto.
Tutto accade martedì pomeriggio, in una gelateria di piazzale Siena a Milano.
“Qui Salvini viene spesso, anche con i suoi figli”, racconta Rosaria Di Stefano, la titolare di “Baci Sottozero”.
Quel pomeriggio, quando tocca a lui scegliere il gelato, la commessa al banco si rifiuta di servirlo, tanto – racconta sempre la titolare, “interviene un’altra commessa, che serve il gelato a Salvini e, dopo, mi riferisce l’accaduto”.
A quel punto c’è un confronto tra la titolare e la ragazza, assunta in prova da 10 giorni attraverso una agenzia interinale.
“Le ho detto chiaramente che comportamenti del genere non sono ammessi, perchè per me tutti i clienti sono uguali. La ragazza mi ha risposto: “Io non servo i razzisti, Salvini è un razzista”, e a quel punto si è tolta il grembiule ed è andata via, lasciandomi tra l’altro con il negozio pieno di clienti”.
Ma una versione molto diversa arriva dalla mamma della ragazza, autrice del post che ha scatenato la polemica.
Cristina Villani – ex assessora del comune di Corsico, di Forza Italia – scrive su Facebook: “Signor Matteo Salvini, sono la mamma della ragazza che serviva al banco della gelateria. Desidero informarla che a seguito della telefonata che lei ha fatto alla titolare del negozio in quanto non soddisfatto del servizio da parte di mia figlia, mia figlia ha perso il lavoro”.
Il post si chiude con una frase. “Credo che, invece di fare il bambino offeso e dirlo alla mamma, avrebbe potuto, da persona adulta, fare le sue rimostranze direttamente a mia figlia”.
In poche ore decine sono le reazioni al post, molte di sostegno alla signora e di accuse di razzismo alla titolare della gelateria e allo stesso Salvini.
Sulla pagina Facebook di “Baci Sottozero” arrivano decine di messaggi di accuse – con riferimenti alla perdita del lavoro, al razzismo, alla mancanza di tutele di una commessa di fronte a un politico – e recensioni negative.
La signora Di Stefano scrive la sua versione, che ripete a Repubblica: “Non ho ricevuto nessuna telefonata, ho solo   rimproverato la ragazza, che è andata via di sua iniziativa”.

(da agenzie)

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COME SI ELEGGONO I PRESIDENTI DELLA CAMERA E DEL SENATO

Marzo 22nd, 2018 Riccardo Fucile

TUTTO QUELLO CHE C’E’ DA SAPERE SU VOTI, QUORUM E PROCEDURE

Venerdì le due Assemblee saranno chiamate (rispettivamente alle 11 a Montecitorio e alle 10:30 a Palazzo Madama) ad adempiere al loro primo atto della legislatura: l’elezione dei successori di Laura Boldrini e Pietro Grasso.
Ecco, in dettaglio, le procedure per eleggere chi siede negli scranni più alti di Montecitorio e Palazzo Madama.
Le sedute saranno presiedute da Roberto Giachetti (Pd) e dal senatore a vita Giorgio Napolitano: il primo è il più anziano dei vicepresidenti della Camera rieletti della scorsa legislatura; il secondo è il senatore più anziano d’età .
E’ previsto che entrambi i presidenti provvisori tengano un breve discorso prima di dare il via alle votazioni.
ALLA CAMERA
La votazione avviene per schede ed in modo segreto. Nella prima votazione è richiesta la maggioranza dei due terzi dei componenti l’Assemblea (comprese nel computo le schede bianche), ovvero 420 voti.
Per il secondo e terzo scrutinio il regolamento di Montecitorio prescrive che il quorum si abbassi ai due terzi dei votanti, contando anche le schede bianche.
Si prevede che i primi tre scrutini si terranno tutti nella giornata di venerdì. Per gli eventuali scrutini successivi, da sabato, è sufficiente la maggioranza assoluta dei voti, contando pure in questo caso anche le schede bianche.
Ciascun deputato esprime il proprio voto nella scheda all’interno di cabine allestite tra il banco della presidenza e quello del governo e la deposita in un’urna. Lo spoglio delle schede è pubblico ed avviene in Aula.
Nel caso in cui fossero necessari più scrutini per eleggere il presidente, la seduta potrebbe protrarsi per più di una giornata; in ogni caso, formalmente si tratta di una seduta unica. Nelle ultime sei legislature il presidente è stato eletto il giorno successivo all’inizio della seduta (quarto scrutinio).
I gruppi alla Camera sono così composti:
M5S: 227 deputati
Lega: 124 deputati
Pd: 112 deputati
Forza Italia: 106 deputati (mancano 10 seggi)
Fratelli d’Italia: 31 deputati
LeU: 14 deputati
Altri: 6 deputati
AL SENATO
Anche a Palazzo Madama la votazione avviene a scrutinio segreto, ma il meccanismo assicura comunque l’elezione del presidente entro la quarta votazione.
Al primo scrutinio è eletto chi raggiunge la maggioranza assoluta dei voti dei componenti del Senato, che è pari a 161 voti.
Qualora non si raggiunga questa maggioranza neanche con un secondo scrutinio, si procede, nel giorno successivo, ad una terza votazione nella quale basta la maggioranza assoluta dei voti dei presenti, computando tra i voti anche le schede bianche.
Se nella terza votazione nessuno ha riportato detta maggioranza, il Senato procede nello stesso giorno ad un ballottaggio fra i due candidati che hanno ottenuto nel precedente scrutinio il maggior numero di voti e viene proclamato eletto quello che consegue la maggioranza, anche se relativa.
A parità  di voti, è eletto il più anziano di età . Pure a Palazzo Madama lo spoglio delle schede votate è pubblico e avviene in Aula.
I gruppi al Senato sono così composti:
M5S: 112 senatori
Lega: 58 senatori
Forza Italia: 58 senatori (mancano 10 seggi)
Pd: 54 senatori
Fratelli d’Italia: 16 senatori
LeU: 4 senatori
Altri: 3 senatori
Senatori a vita: 6
I GRUPPI PARLAMENTARI ED I CAPIGRUPPO
Entro due giorni dalla prima seduta, e quindi il 27 marzo i parlamentari devono dichiarare a che gruppo aderiscono: a quel punto i gruppi sono convocati per eleggere i rispettivi presidenti.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO
Da quando son eletti i presidenti delle due Camere il presidente del Consiglio uscente può salire al Quirinale per dimettersi: resterà  comunque in carica per il disbrigo degli affari correnti fino alla nuova del nuovo premier.
GLI UFFICI DI PRESIDENZA
Le due Camere verranno convocate tra il 27 ed il 28 marzo per eleggere i rispettivi vicepresidenti, questori e segretari d’Aula.

(da “Huffingtonpost”)

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ANCORA ROMANI

Marzo 22nd, 2018 Riccardo Fucile

NUOVO VERTICE A PALAZZO GRAZIOLI, CONFERMATO IL NOME DI PAOLO ROMANI PER LA PRESIDENZA DEL SENATO … SALVINI ANNULLA LA REGISTRAZIONE A PORTA A PORTA

Resta Paolo Romani, attuale capogruppo di Forza Italia al Senato, il nome su cui il centrodestra punta per la presidenza di palazzo Madama.
È questa, a quanto si apprende, la decisione presa da Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni nel corso di un vertice a palazzo Grazioli.
Dopo la riunione che si è tenuta ieri, sempre nella residenza romana del Cavaliere, oggi un nuovo vertice del centrodestra al quale hanno preso parte, oltre a Berlusconi, Meloni e Salvini, anche il leghista Giancarlo Giorgetti, il capogruppo di Fi alla Camera Renato Brunetta e lo stesso Romani.
Il segretario della Lega ha annullato la registrazione delle 16 a Porta a Porta, secondo quanto comunica la produzione.

(da “Huffingtonpost”)

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LA PAURA DEL M5S DI RIMANERE CON IL CERINO IN MANO: SLITTA LA RIUNIONE DEGLI ELETTI PER SANCIRE LA CANDIDATURA DI FICO ALLA CAMERA

Marzo 22nd, 2018 Riccardo Fucile

SILENZIO ASSOLUTO ALLE RICHIESTE DI INCONTRO DEL CENTRODESTRA

Trentasei ore di assoluto silenzio.
In una fase politica difficilissima, nella quale le grandi manovre di posizionamento, le tattiche da guerriglia d’attacco e di difesa spesso segnano il discrimine tra una strategia vincente e un fallimento totale.
Il ricompattamento del centrodestra e, soprattutto, la mossa di Silvio Berlusconi di chiedere a tutti i leader di sedersi intorno a un tavolo, hanno mandato in profonda difficoltà  il Movimento 5 stelle.
Crisi che con il passare delle ore nessuno si preoccupa di smentire.
Luigi Di Maio da ieri mattina è un fantasma. Si va a registrare alla Camera, pubblica le foto dei tesserini sui social, poi si inabissa in una serie di riunioni senza soluzione di continuità . Incerti i luoghi, incerta la composizione della schiera dei consiglieri che lo affiancano.
La comunicazione non comunica, taglia tutti i ponti, i cellulari di chi solitamente ne condivide le giornate squillano a vuoto.
C’è la paura, che con il passare delle ore si innerva di schegge di terrore, di essere fatti fuori dalle presidenze delle Camere.
L’uno-due tra l’apertura dell’ex Cavaliere (raccontano suggerita da Gianni Letta) e il caminetto serale del Pd che ha certificato la possibilità  di un rientro in gioco dei Dem “se il dialogo riparte dall’inizio” hanno a cascata generato una chiusura totale.
Sintomatico l’annullamento dell’assemblea di tutti i parlamentari 5 stelle, che all’ora di pranzo avrebbe dovuto incoronare Roberto Fico candidato alla presidenza di Montecitorio.
Doveva essere lo snodo principale del percorso comune intrapreso, pur con tutte le difficoltà , negli scorsi giorni con Matteo Salvini. Ma il banco è saltato.
“Noi al tavolo con Berlusconi non possiamo sederci”, spiega una qualificata fonte del Movimento. Oltre a un problema d’immagine, il vero dilemma riguarda il dopo. Perchè se già  l’alchimia di un governo gialloverde sarebbe complicata, ai confini della realtà  si collocherebbe un Di Maio che accettasse di entrare in un governo con tutto il centrodestra, interpretandone il ruolo di partner di minoranza.
In Transatlantico alla Camera i 5 Stelle si fanno vedere poco. C’è Stefano Buffagni, volto lombardo molto vicino alla leadership, che non sembra affatto all’esordio in Parlamento e scherza ostentando sicurezza: “Vi stupiremo”.
Poco più in là  si intercetta uno dei più influenti tra i deputati del nuovo gruppone stellato. Coperto dall’anonimato svela i dubbi veri. Che dici? “Dico che con questi numeri governare è un suicidio”. Con la stessa sicurezza però afferma: “Le Camere sono un’altra cosa, Montecitorio spetta a noi”.
Lo sguardo non oltrepassa le prossime quarantott’ore, perchè la certezza di ieri, oggi si è frantumata come un vaso di cocci.
Giancarlo Giorgetti, il leghista già  saggio di Napolitano, è il vero spauracchio, con il consenso largo che raccoglie anche dalle fila del Pd. Ci si guarda alle spalle.
Ieri mattina un senatore di lungo corso ragionava ad alta voce: “Non vorrei che trattassimo trattassimo e poi rimanessimo con niente in mano”.
Una profezia?

(da “Huffingtonpost”)

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SALVINI NON VUOLE RISCHIARE DI DIVENTARE SOCIO DI MINORANZA DI UN GOVERNO GRILLINO

Marzo 22nd, 2018 Riccardo Fucile

E INVITA DI MAIO A SEDERSI AL TAVOLO CON BERLUSCONI COME “PROVA D’AMORE”

Siamo già  alle prove d’amore. Quella che Matteo Salvini pretende da Luigi Di Maio è tale da mandare potenzialmente all’aria tutti i piani dello strano flirt: il leader dei Cinquestelle dovrebbe accettare di sedersi a un tavolo con i tre leader del centrodestra nessuno escluso, dunque anche con Giorgia Meloni e addirittura con tal Silvio Berlusconi.
L’incontro dovrebbe tenersi in giornata e per il momento sarebbe finalizzato a discutere soltanto le presidenze delle due Camere; ma siccome da cosa deriva cosa, l’eventuale rifiuto pentastellato verrebbe inteso come una sorta di pregiudiziale nei confronti del Cav, anzi di più: come pietra tombale su qualunque prospettiva di dialogo con Forza Italia perchè, se non ci si parla per concordare le cariche istituzionali, figurarsi se sarebbe possibile su quelle ministeriali.
Salvini sarebbe il primo a prenderne atto. Se viceversa Di Maio accettasse di farsi riprendere dalle telecamere con Berlusconi, in quel caso scatterebbero le condizioni minime per cominciare a discutere di governo.
Il cerchio di fuoco
La svolta è maturata ieri a pranzo, durante il vertice di centrodestra tenuto come sempre chez Berlusconi a Palazzo Grazioli, e ha preso forma in un codicillo infilato proprio in calce al comunicato finale: «I leader del centrodestra invitano i rappresentanti delle altre forze politiche a un incontro congiunto».
Pare l’abbia materialmente scritto Gianni Letta, anche per mettere sotto esame Salvini e misurarne il tasso di lealtà : se per caso Matteo avesse iniziato a svicolare, a sollevare perplessità  e insomma si fosse rifiutato di sottoscrivere il testo, allora i suoi commensali avrebbero sospettato un inganno e magari un patto a due tra la Lega e i Cinquestelle.
Invece Matteo è stato, per dirla con un testimone diretto, «assolutamente granitico e lineare, convintissimo che sia giunto il momento di mettere le carte in tavola con i Cinquestelle». La prova d’amore, appunto.
Del resto da giorni, nella mente di Salvini, cresceva il seguente dubbio: «Posso io allearmi con Di Maio senza portarmi dietro l’intera coalizione di cui mi sento leader?». Ieri mattina aveva confidato ad amici che l’unica risposta è no, «io non posso diventare socio di minoranza dei Cinquestelle» che, in rapporto ai voti della Lega, sarebbero preponderanti.
L’unico modo per contare ai loro occhi è ribaltare i rapporti di forza e presentarsi alla trattativa con l’intero il centrodestra.
Tra l’altro Berlusconi, astutamente, si è reso pure lui disponibile a un patto di governo con i grillini, dunque la palla adesso passa a loro, tocca a Di Maio chiarire se accetta questo mènage allargato oppure no.
E il capo politico pentastellato deve dirlo subito perchè (come si è convenuto nel summit conviviale) «se non accetta di incontrarci tutti quanti adesso, Berlusconi compreso, figurarsi se lo farà  un domani».
Minacce di rappresaglia
Ieri sera dai grillini non erano ancora giunte risposte sull’incontro, soltanto segnali. Qualcuno tra i forzisti sostiene che, se Di Maio si tirasse indietro, vi sarebbero contraccolpi immediati sulla presidenza della Camera ambita dai Cinque Stelle: «Loro non parlano con Berlusconi? E noi non votiamo il loro candidato, chiunque sia. Provino a eleggerselo da soli, se ne sono capaci».
Fonti leghiste, viceversa, suggeriscono prudenza: una cosa, precisano, è il governo, altra cosa le cariche istituzionali. Il centrodestra potrebbe votare un grillino a Montecitorio perfino se l’incontro tra i leader dovesse saltare ma, certo, sarebbe molto più complicato convincere Forza Italia ferita nell’onore.
Laddove una stretta di mano tra Berlusconi e Di Maio avrebbe l’effetto di spianare tutte le asperità , compresa la scelta del nome da mettere in Senato.
In pole position c’è Paolo Romani, capogruppo «azzurro», ma il suo curriculum è sciupato da una condanna per l’uso improprio del telefonino.
Nell’ottica a Cinque Stelle, tanto basta per considerarlo peggio di un appestato. Salvini ne ha preso atto, per cui la candidatura di Romani traballa.
Però non è chiaro chi potrebbe farcela al posto suo. Circolano due nomi, entrambi al femminile: quelli di Anna Maria Bernini (52 anni, ex ministro, avvocato) e di Maria Elisabetta Casellati (71 anni, giurista, già  membro del Csm). Nessuna delle due solleverebbe obiezioni grilline, tantomeno da parte della Lega.
Decisive saranno, come al solito, gelosie e faide interne al partito berlusconiano, dove la capacità  di farsi del male è pari soltanto a quella del Pd.

(da “La Stampa”)

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IL PD CHIEDE IL RESET PER RICOMINCIARE DA ZERO

Marzo 22nd, 2018 Riccardo Fucile

SE SALTA LO SCHEMA M5S-LEGA, SUL TAVOLO CARTE FRANCESCHINI ALLA CAMERA E BONINO AL SENATO

Rewind. Reset. Se il dialogo tra M5S e centrodestra sulle presidenze delle Camere, dovesse naufragare, allora “si ricominci da zero”.
E’ questo il senso della nota diffusa ieri dal Nazareno, in cui il Pd si dichiarava indisponibile a partecipare a vertici dove tutto fosse già  deciso in partenza dagli altri interlocutori, tipo la riunione di oggi convocata da Silvio Berlusconi a Palazzo Grazioli.
‘Ripartire da zero’ vuol dire mettere sul tavolo carte finora non usate: come Dario Franceschini per la presidenza della Camera o Emma Bonino per quella del Senato.
Per il Pd significa rientrare in partita, una posizione condivisa da tutti i presenti al tavolo notturno al Nazareno: Martina, Orfini, Guerini, Zanda, Delrio, Franceschini, Orlando, Emiliano. Condivisa anche dagli assenti: a cominciare da Matteo Renzi.
Renzi non c’era ieri e non c’erano nemmeno Boschi e Lotti. E non sarà  presente nemmeno alla riunione dei gruppi di Camera e Senato oggi alle 18.
Ma le sue assenze fanno più rumore di quanto riescano ad aprire vere crepe interne. Finora almeno. Perchè la linea della ‘ripartenza da zero’ è la linea sulla quale facilmente si ritrova tutto un partito schiacciato all’opposizione dopo la sconfitta elettorale.
Ma per Renzi è la linea che lo porterebbe a incassare i due capigruppo: Lorenzo Guerini, sul quale si registra comunque un consenso più unanime nel partito rispetto al candidato renziano per il Senato, Andrea Marcucci.
Il gioco adesso appare molto difficile ma non impossibile.
Se come sembra il M5s diserterà  l’invito di Berlusconi a Palazzo Grazioli, per il Pd si potrebbe aprire una possibilità  per tornare in gioco.
E chissà  magari riuscirebbe a portare a casa un risultato sulle presidenze: Bonino da eleggere con il M5s al Senato o Franceschini da eleggere con il centrodestra alla Camera.
Insomma, dipenderà  dal lato sul quale penderà  la bilancia. Anche se Renzi ha sempre privilegiato un asse con Forza Italia più che con il M5s.
“Ci hanno detto ‘abbiamo gia’ deciso i presidenti di Camera e Senato, uno a Forza Italia e uno al M5s. Ci vediamo e ve lo diciamo’, ma allora bastava un sms”, dice Ettore Rosato a Circo MassImo su Radio Capital.
E aggiunge: “Ho visto in serata che Forza Italia diceva ‘facciamo un incontro partendo da zero'”. Ed è su questa base, osserva l’esponente Dem, che “noi siamo disponibili, come sempre, al confronto e a ragionare insieme”.

(da “Huffingtonpost”)

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