Settembre 28th, 2018 Riccardo Fucile
CI SARANNO 5 MILIARDI IN MENO PER IL WELFARE: CON UNA MANO DANNO, CON L’ALTRA TOLGONO
La Legge di Stabilità 2019, la Manovra del Popolo, sarà una manovra economica da 33 miliardi di euro . Complessivamente 18 miliardi verranno spesi per il superamento della legge Fornero e una prima tranche di Reddito e Pensioni di Cittadinanza.
Matteo Salvini l’ha chiamata la “rivoluzione del buonsenso”. Qualcun altro l’ha definita “rivoluzione del popolo contro i mercati” e contro l’Unione Europea visto che probabilmente Bruxelles boccerà la manovra.
Comunque la si chiami la base di partenza è il deficit al 2,4%. Una scommessa sulla pelle degli italiani che si basa sull’assunto — sbagliato — che fare più deficit e aumentare la spesa farà aumentare la crescita.
Crescita che secondo il premier Giuseppe Conte «ci spetta di diritto».
La Manovra del Popolo che taglia la spesa per il welfare
«Per la prima volta nella storia c’è un governo che mantiene le promesse» ha esultato Luigi Di Maio ieri sera dopo l’annuncio dell’approvazione.
In realtà le promesse del governo sono mantenute solo in parte.
Prendiamo ad esempio il Reddito di Cittadinanza. Nel DEF sono stanziati 10 miliardi di euro, di cui due miliardi per la riforma dei centri per l’impiego.
Secondo Di Maio ne beneficeranno 6 milioni e mezzo di cittadini residenti da almeno 10 anni. Il che significa circa 130 euro a testa in più al mese.
L’abolizione della povertà quindi significa portare da poco più di 600 a 780 euro il reddito mensile di alcuni italiani. Non si sa di quanti perchè il governo metterà ulteriori paletti, come ad esempio il reddito Isee.
Ma come si finanzia una manovra da 33 miliardi di euro? Facendo più deficit, senza dubbio. Ma non solo.
Perchè anche se ieri non se ne è parlato ci saranno anche i tagli.
La legislazione italiana prevede che nella Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza il Governo riveda il Programma Nazionale di Riforma (PNR). Vi ricordate di quando Di Maio parlava di 30 miliardi di sprechi che il M5S aveva individuato ed era pronto a tagliare per finanziare la manovra?
Oggi sappiamo che quei trenta miliardi non esistono. Ma nella bozza del PNR redatta dal governo Conte le tabelle parlano chiaro ci saranno tagli e colpiranno le tasche degli italiani.
A quanto ammontano i tagli della manovra del popolo?
A notarlo è il deputato di LeU Stefano Fassina che ha spiegato che in base alle tabelle del PNR il governo prevede altri 5 miliardi di tagli al welfare, dunque a «sanità , scuola, assistenza, pensioni, lavoratori pubblici, investimenti».
Quello «0,1% di crescita nominale della spesa pubblica primaria netta» che per Fassina significa appunto un taglio “brutale” al welfare allo scopo di finanziare le promesse elettorali
Il Governo, si legge nella bozza di PNR «continuerà l’opera di revisione della spesa pubblica con l’obiettivo di ridurre il rapporto fra spesa corrente e PIL e di aumentare la spesa per investimenti».
In che modo la revisione della spesa pubblica andrà a modificare i servizi al cittadino? Non è che quei circa 5 miliardi di euro di tagli al welfare individuati da Fassina andranno ad annullare in maniera notevole la rivoluzione del Reddito di Cittadinanza? Da un parte il governo dà dieci miliardi ad una parte degli italiani poveri, dall’altra ne taglia cinque a tutti gli italiani.
A questi va aggiunto la revisione delle tax expenditures ovvero il taglio di alcune (e al momento non meglio precisate) agevolazioni fiscali.
Allo stesso tempo il governo che voleva nazionalizzare le autostrade e Alitalia mette nero su bianco l’intenzione di portare avanti un rafforzamento della strategia di riduzione del debito «attraverso privatizzazioni, dismissioni del patrimonio immobiliare e riforma delle concessioni».
La rimodulazione delle aliquote IVA che finanzia la Flat Tax
C’è poi il capitolo della Flat Tax con l’obiettivo di arrivare ad un’unica aliquota del 23% per i redditi fino a 75 mila euro e del 33% sopra tale livello, entro la fine della legislatura.
Non si sa e non viene definito l’ammontare degli introiti derivanti dalla “pace fiscale”, si parla di quasi 800 miliardi di euro di crediti «di cui, tuttavia, solo 50 miliardi sono effettivamente recuperabili», ma al tempo stesso si dice che il provvedimento «coinvolgerà i contribuenti con cartelle esattoriali e liti fiscali, anche pendenti fino al secondo grado fino a 100mila euro»
Il sottosegretario Bitonci aveva però parlato di una soglia fissata al milione di euro. Nel PNR si legge che dal punto di vista della politica fiscale, la graduale introduzione della flat tax «sarà coperta da una riduzione delle spese fiscali e da una rimodulazione delle aliquote IVA».
Rimodulazione generalmente significa aumento dell’IVA, il che si tradurrà con un aumento dei costi per i beni di consumo che andrà a colpire soprattutto le fasce della popolazione più deboli.
Sembra difficile conciliare una rimodulazione delle aliquote IVA che va a colpire il consumo con l’idea di far ripartire la crescita con il Reddito di Cittadinanza per gli italiani più poveri. Di nuovo il rischio è che il piccolo aumento del reddito venga eroso dall’aumento delle aliquote IVA.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 28th, 2018 Riccardo Fucile
UNA MANOVRA ELETTORALE PER ACCUSARE L’EUROPA CATTIVA CHE NON CI VUOLE BENE E PREPARARE IL TERRENO PER LE EUROPEE DELL’ANNO PROSSIMO
La pantegana partorita ieri dall’elefante rosso-brunato — che ci ha intrattenuto per qualche
settimana con la sceneggiata di Tria che faceva la diga alle richieste sacrosante ma esose dei tribuni della ggente — non è nulla di diverso da quello che dovevamo aspettarci.
O, per lo meno, da quello che io mi aspettavo: come i fatti confermano, il signor Professor Giovanni Tria svolge molto bene il ruolo di contabile della banda.
Allora, in teoria dovrei fare un’analisi tecnica della bozza di legge finanziaria perchè sono un economista. Ma temo di deludervi: l’analisi tecnica, con i numeri e le percentuali la lascio ad altri.
In parte perchè non ho tempo per leggermi i dettagli dei numeri — è tardino qui a St Louis ed ogni tanto dormo anche io — ma soprattutto perchè, avendo letto nel pomeriggio quel che la Nota aggiuntiva contiene ed avendo già fatto abbondanti previsioni, confermate, su quel che doveva contenere, preferisco dedicarmi ad un’analisi d’insieme del provvedimento economico più importante dell’anno.
La mia tesi è tutta politica ma breve quindi, prima di venire ad essa, due osservazioni importanti.
La prima ha a che fare con i contenuti dei messaggi che l’opposizione ufficiale a questo governo ha lanciato in questi giorni e confermato nelle ore successive alla pubblicazione della nota.
La seconda — per la quale mi devo scusare, visto che non farò altro che ripetere argomenti sviluppati in lungo ed in largo da venticinque anni a questa parte — ha a che fare con l’impatto strettamente economico dei provvedimenti delineati nella legge finanziaria.
Parto dalla seconda.
La spesa pubblica in Italia viaggia al di sopra degli 830 miliardi annui. Quello che questa legge finanziaria — in questo essa si allinea a tutte le precedenti — tocca o modifica sono circa 30-35 miliardi. Di fatto, praticamente, li aggiunge il che vuol dire che l’anno prossimo lo stato italiano muoverà direttamente (ne muove un’altra bella fetta indirettamente attraverso CDP ed altre imprese pubbliche anche se di diritto privato, dai comuni sino allo stato centrale) circa 870 miliardi di euro.
Questo dovrebbe dare una misura del livello di statalismo raggiunto nel paese, dell’enorme potere che la politica (e quindi i politici direttamente) esercitano sulla vita degli italiani e del perchè oggi in Italia ogni persona che non riesca ad eccellere nella sua professione cerchi i soldi nella politica.
Mettendo assieme il parlamento nazionale con i consigli regionali e quelli delle maggiori città raggiungiamo un totale (a farla grande) di 3000 persone.
Ognuno di costoro controlla, in media, una cifra vicina ai 300 milioni di euro. Ecco, pensateci: quell’ignorante avventuriero che avete eletto il 4 marzo e di cui ridevate a scuola controlla, in una maniera o nell’altra, una quantità di risorse economiche pari al fatturato di una media impresa industriale. Pensateci.
Una volta che avete pensato al fatto precedente, pensate anche al seguente: la finanziaria del cambiamento riesce a muovere al meglio un 4% della spesa pubblica totale e l’unica maniera in cui lo fa è aumentandola perchè è perfettamente incapace di ridurre qualsiasi spesa improduttiva o parassitaria!
§Questo alla faccia degli infiniti proclami che, da un decennio almeno, i leader dei due partiti di governo urlano ogni dove: erano e sono tutte balle.
Non sono in grado di tagliare nulla perchè loro, come i loro predecessori, vivono dei voti di coloro che della spesa pubblica parassitaria ed inutile vivono.
La quale spesa, per loro stessa ammissione, non crea crescita ma la distrugge generando invece ingiustizia sociale. Ma, alla faccia delle chiacchiere e dei proclami, i tribuni rosso-brunati non sono in grado di tagliare nulla, sono solo in grado di spendere a debito le tasse dei pochi che ancora producono nuova ricchezza per il paese.
Seconda osservazione. L’opposizione urla dalle finestre che il debito aumenta, che non ci sono le coperture e che, ridicolo, le spese clientelari del governo rossobrunati sono inferiori a quelle che avevano promesso!
Che fa la stolta opposizione del PD con queste grida? Conferma che la spesa pubblica deve essere assistenziale e parassitaria, deve consistere di sgravi fiscali (o, peggio, condoni) a questo o quell’altro gruppo sociale che appoggi il governo di turno e che anche loro, o stolti, credono questo sia il compito dei governi e che da questa spesa inutile ed a spreco possa venire crescita!
Che infatti non viene, non è venuta e non verrà¡ mai. Ma, d’altra parte, che aspettarsi dal partito degli 80 euro che da decenni (lo so, prima aveva altri nomi) altro non fa che predicare crescita a mezzo di spesa pubblica, pensioni, sussidi ed assistenza? Chi semina vento raccoglie tempesta. Pensateci.
Ed infine la tesi politica, che è semplice assai.
Questa finanziaria (e l’annuncio che intendono continuare su questa strada per il futuro) altro non è che una finanziaria elettorale. Serve a costruire la campagna elettorale per le elezioni europee dell’anno prossimo dalle quali i rosso-brunati si attendono la “spallata”.
Serve per aprire un contenzioso con Bruxelles (che dirà ” ma come, l’Italia si era impegnata di scendere allo 0,6% ed ora siete al 2,4 % ed intendete tenerlo per gli anni a venire”), per urlare che la cattiva Europa non ci vuol far sovranamente crescere a botte di sussidi clientelari ed evasione fiscale legalizzata e per chiedere agli italiani il voto contro questa Europa cattiva nel nome del nazionalismo straccione.
A questo serve la finanziaria, a comprare voti da chi riceve prebende e generarne altri da chi le prebende non le ha ancora ricevute ma le aspetta.
Altro che crescita economica e lotta alle ingiustizie. Compra di voti, niente altro. Pensateci.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 28th, 2018 Riccardo Fucile
IL PROBLEMA NON E’ L’EUROPA, MA LE BALLE CHE VI RACCONTANO
Molti cercheranno di vendervi la decisione di programmare un deficit del 2,4% per il 2019 come una grande scommessa: sfidare i vincoli europei per ottenere maggior crescita, crescita che permetterà di “ripagare” il debito aggiuntivo causato dal deficit stesso. Purtroppo i presupposti di questa scommessa sono sbagliati.
1. Non è la UE la controparte che stiamo sfidando, in quanto non è dalla UE che verranno i principali problemi.
2. Il maggior deficit non ha realisticamente delle possibilità di “ripagarsi” da solo.
Cominciamo dal primo presupposto, non sono i vincoli europei il reale problema.
Non è questa la sede per approfondire la procedura di deficit eccessivo, ma basterà ricordare che nonostante le ripetute violazioni del Patto di Stabilità (e degli accordi che lo hanno integrato), nessuno stato europeo ha mai effettivamente pagato una multa.
L’iter del procedimento è lungo e le negoziazioni tra la UE e lo stato che subisce la procedura sono improntate più alla realpolitik che al rigido rispetto delle norme. In ogni caso la sanzione non consiste nell’occupazione con i carri armati da parte di altri stati, ma in una multa di entità contenuta.
Potremmo dire che si tratta più di un meccanismo di forte moral suasion che di sanzioni rapide, gravose e senza appello.
Quanto scritto ovviamente vale a patto che non si persegua preordinatamente una rottura totale.
Allora qual è il vero vincolo? Il vincolo è, per esempio, la Norvegia, che esisterebbe anche se non ci fosse la UE. Scriviamo la Norvegia perchè se scrivessimo i mercati il lettore farebbe sicuramente una smorfia disgustata.
Nei mercati operano un gran numero di operatori che prestano i loro soldi e che legittimamente li rivogliono indietro. Tra questi operatori troviamo il Fondo Sovrano Norvegese che eroga le pensioni ai norvegesi.
Se sussistono dubbi sulla capacità dell’Italia di onorare i suoi debiti, il Fondo Sovrano Norvegese, per tutelare le pensioni dei norvegesi, non comprerà più titoli di stato italiani (ma anche azioni o obbligazioni di imprese private) e cercherà di liberarsi di quelli che ha.
Farà questo non per antipatia verso l’Italia, ma solo per il bene dei norvegesi.
Lo stesso farà una Banca Canadese che raccoglie i risparmi dei cittadini canadesi o un qualunque fondo che deve tutelare gli investimenti dei suoi risparmiatori (magari lo stesso fondo che su cui voi contate per la vostra pensione integrativa). I mercati, quindi, non sono costituiti da quattro ricchissimi finanzieri senza scrupoli che si arricchiscono a spese della povera gente, ma da milioni di persone che investono, direttamente o indirettamente, i loro risparmi.
Ricordate la crisi dello spread del 2011? La paura maggiore era per una possibile piccola multa della UE o i problemi erano altri?
Per questo ogni volta che qualcuno descrive il problema dei vincoli di bilancio come una questione di rispetto formale degli accordi europei vi sta mentendo.
Passiamo al secondo presupposto. Il discorso è complesso e non si può affrontare in un modo che sia semplice e rigoroso in un breve scritto.
In ogni caso è empiricamente dimostrato che in congiunture economiche “normali”, cioè quella in cui ci troviamo adesso, il maggior deficit si traduce in una crescita economica che non “compensa” la spesa sostenuta.
Tecnicamente si dice che il moltiplicatore della spesa pubblica è minore di 1.
Più complesso è il caso di maggior deficit durante una recessione, caso che quindi tralasciamo. Se questo è più o meno sempre vero per gli investimenti, lo è a maggior ragione quando il maggior deficit è fatto per alimentare spesa corrente (reddito di cittadinanza, abbassamento dell’età pensionabile, ecc.).
La favoletta per cui sussidiare i consumi dei cittadini generi una crescita che “compensa” il maggior deficit è, appunto, una favoletta.
Una favoletta che piace tanto ai politici che hanno una giustificazione per distribuire favori all’elettorato e ai cittadini che questi favori li ricevono.
Spacciare sussidi fatti a deficit (i sussidi in sè in molti casi sono doverosi sia chiaro) come misure per aumentare la crescita, è un errore che avremo modo di verificare e di pagare molto presto. Il governo sta semplicemente regalando una ciotola di riso per richiederne indietro due tra qualche tempo.
D’altronde se queste politiche funzionassero coloro che ci prestano i loro soldi dovrebbero essere ben contenti che vengano attuate, in quanto aumenterebbero la sicurezza dei loro crediti, perchè ciò non avviene? Inoltre, se queste politiche funzionassero, tutti gli stati che non crescono a sufficienza e che non sono soggetti ai vincoli UE, sarebbero impegnati in una specie di gara per avere un deficit a due cifre per crescere più velocemente dei concorrenti.
La scommessa che è stata fatta ieri è quindi una scommessa sicuramente perdente. Quanto ci costerà è impossibile saperlo, ma è sicuramente perdente.
Cosa avremmo dovuto fare allora? Semplicemente saremmo dovuti uscire da quella trappola psicologica per cui l’unica via per crescere è aumentare il deficit.
La crescita dipende in ultima istanza dall’aumento della produttività . La produttività si aumenta con una burocrazia più snella ed efficiente, favorendo la concorrenza tra le imprese invece di foraggiare piccole rendite di posizione, implementando nuove tecnologie invece di rifugiarsi nella retorica della micro impresa famigliare e delle vecchie tradizioni, velocizzando la giustizia, attraendo capitali esteri (anche delle cattivissime multinazionali), riordinando scuola e università avendo come priorità la preparazione degli studenti e non chi ci lavora all’interno, tutelando il lavoro e non i posti di lavoro nelle imprese decotte, investendo nelle infrastrutture (specialmente quelle digitali), favorendo la ricerca, ecc. ecc..
Tutto sommato nulla che non sia stato già detto. In altre parole bisogna scommettere contro l’impopolarità che certe misure possono incontrare nei piccoli e grandi corporativismi italiani, ma almeno questa sarebbe una scommessa che ha delle possibilità di vittoria.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 28th, 2018 Riccardo Fucile
IL COMMISSARIO UE: “IL VOSTRO DEBITO E’ ESPLOSIVO, OGNI EURO IN PIU’ PER IL DEBITO E’ UN EURO IN MENO PER SCUOLE E SERVIZI SOCIALI”
Il progetto di legge di bilancio italiano per il 2019, con il suo sforamento del deficit al 2.4%,
“appare ad oggi fuori dai paletti” delle regole comuni europee. Lo afferma il commissario Ue agli Affari economici, Pierre Moscovici, in un’intervista a Bfm Tv e Rmc Info.
“Non abbiamo alcun interesse ad aprire una crisi tra l’Italia e la Commissione, ma non abbiamo neanche interesse a che l’Italia non riduca il suo debito pubblico, che rimane esplosivo – spiega Moscovici – Voglio continuare il dialogo con le autorità italiane, dicendo che rispettare le regole non è per noi, ma è per loro, perchè quando un paese si indebita, si impoverisce. Rilanciare quando c’è un debito molto alto, finisce per ritorcersi contro chi lo fa. Se gli italiani continuano a indebitarsi, cosa succede? Il tasso di interesse aumenta, il servizio del debito diventa maggiore. Gli italiani non devono sbagliarsi: ogni euro in più per il debito è un euro in meno per le autostrade, per la scuola, per la giustizia sociale”.
Eventuali sanzioni nei confronti dell’Italia per il mancato rispetto delle norme di bilancio, continua Moscovici, “sono possibili, anche se io non sono nello spirito delle sanzioni. Abbiamo tre possibilità la prima è quella di dire che va tutto bene, la seconda con cui possiamo chiedere delle correzioni e la terza che è che non va bene per niente e quindi possiamo respingerlo. È una possibilità prevista dai trattati”.
Il commissario ai conti europei avvierà dunque un dialogo “con il presidente del Consiglio, con il ministro delle Finanze, in quanto “non è nell’interesse dell’Italia andare avanti su un indebitamento ancora più grande. Perchè alla fine sarà il popolo che pagherà il conto”.
(da agenzie)
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Settembre 28th, 2018 Riccardo Fucile
MERCATI IN TENSIONE COL DEFICIT AL 2,4%
Lo spread tra Btp e Bund tedeschi arriva a sfondare la soglia di 270 punti base alla riapertura delle Borse e all’indomani del Consiglio dei ministri che ha visto affermarsi al linea di Lega e M5s e quindi costringere il Tesoro a portare il rapporto tra deficit e Prodotto interno lordo al 2,4% nel prossimo triennio.
Secondo la piattaforma Bloomberg, il differenziale sulla scadenza a dieci anni – quando non è ancora mezzogiorno – supera quota 270 punti, una trentina in più della vigilia, per un redimento del Btp decennale ben oltre la soglia psicologica del 3%.
Sul titolo a due anni – solitamente più osservato dai mercati perchè termometro della fiducia degli investitori sulla tenuta del Paese in un orizzonte più a breve – il differenziale si allarga fino a 160 punti base, per poi ritracciare leggermente
Piazza Affari tratta in netto ribasso: il Ftse Mib apre in rosso dell’1%, ma ben presto il passivo si allarga al 2,9%.
Il contraccolpo si abbatte come sempre sul settore bancario, il più esposto al caro-spread e il più sensibile alle tensioni internazionali: l’indice di categoria perde più del 4% con i colossi come Intesa e Unicredit arrivano a cedere il 6 per cento, per poi recuperare.
Gli altri listini europei sono deboli, ma con variazioni molto meno marcate, mentre l’euro si conferma sotto quota 1,17 dollari calando a 1,163. Londra tratta in rosso dello 0,03%, Francoforte arretra dello 0,65% mentre Parigi cede lo 0,3%.
(da agenzie)
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