Ottobre 10th, 2018 Riccardo Fucile
SERVONO 300 MILIONI CHE NEL DECRETO NON VENGONO RICONOSCIUTI
“E’ inutile fare l’assalto alla diligenza” ed “è nota la situazione del bilancio dello Stato e inoltre il dl si discute in contemporanea con legge di stabilità . Ma il volume di danno della comunità di Genova è molto superiore a quanto previsto dal decreto. Sono dotazione che non soddisfano le esigenze larghe della comunità ligure, anche se al momento non mi sento neppure di dare al momento delle cifre esatte”: Giovanni Toti, governatore della Liguria, in audizione alla Camera sul Decreto Genova, dice chiaro e tondo che al testo scritto con il cuore dal ministro Toninelli manca il cervello.
Secondo i calcoli del commissario Mario Bucci all’appello mancano circa 300 milioni. Negli emendamenti al decreto, su cui sta lavorando il sottosegretario Edoardo Rixi, ci saranno anche le norme per far tornare in gioco le imprese di costruzioni legate alle concessionarie autostradali (tranne Autostrade), quelle per estendere la cassa integrazione, mentre sono tutte da scrivere le norme per consentire l’esproprio del ponte crollato.
Il Sole 24 annuncia che entreranno quasi 50 milioni di euro per gli sfollati, circa 20 milioni per introdurre la cassa integrazione in deroga per un anno per le aziende danneggiate dal crollo del Morandi, 60 milioni nel 2019 per l’autotrasporto (oltre ai 20 già previsti per il 2018), 50 milioni per il porto e per incentivare l’intermodalità nei prossimi tre anni.
In più è arrivata anche la bocciatura di Raffaele Cantone per le norme che escludevano le altre società : “Sono d’accordo con l’Antitrust — ha detto Cantone -: per i soggetti diversi dall’attuale concessionario, sarebbe un’esclusione di dubbia legittimità e fondata su una giustificazione (gli “indebiti vantaggi competitivi”) poco comprensibile”.
Toti è stato ancora più diretto: “Non ho proprio capito la ratio di questa norma. E poi, sarebbero esclusi quasi tutti i campioni nazionali delle costruzioni, da Salini Impregilo in giù, mi sembrerebbe una scelta sbagliata”.
(da agenzie)
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Ottobre 10th, 2018 Riccardo Fucile
“E’ COME GIOCARE D’AZZARDO CON LA SALUTE FISCALE ED ECONOMICA DELL’ITALIA”
Un errore, un gioco d’azzardo con la salute economica e fiscale dell’Italia. Mark Zandi, capo
economista di Moody’s Analytics, definisce in un’intervista a La Stampa, con questi termini la manovra finanziaria del governo italiano, e avverte:
“È logico aspettarsi che le preoccupazioni sull’Italia manifestate in questi giorni dai mercati si rifletteranno anche nelle prossime valutazioni delle agenzie di rating”.
Zandi non anticipa il giudizio che la stessa Moody’s e S&P daranno entro fine mese sull’Italia, ma avverte:
“Certamente quello che sentiamo non è un plus per l’outlook fiscale dell’Italia. Il giudizio dei mercati come quello delle agenzie di rating, non si basa sulla politica ma sui numeri, che sono dati oggettivi e uguali per tutti”.
Il governo urla al complotto sostenendo che la reazione dei mercati alla manovra è stata decisa a tavolino per farlo cadere. Zandi smentisce questa tesi e spiega:
“La realtà è molto semplice. Gli investitori, che per la maggior parte sono persone come noi, mettono i loro risparmi nei titoli emessi dall’Italia e vogliono essere ripagati. Oggi temono che non rivedranno i loro soldi, almeno in un tempo ragionevole, e quindi chiedono maggiori compensazioni per questo rischio. E’ naturale: se prendi rischi, vuoi avere ritorni più alti per correrli”.
Preoccupazioni espresse anche dal Fondo monetario internazionale: si legge rapporto sulla stabilità finanziaria globale, pubblicato oggi in occasione degli incontri annuali in corso a Bali: “Se le preoccupazioni del mercato sulle politiche di bilancio dovessero riemergere c’è un rischio di riaccensione in Italia del legame titoli di stato-banche per effetto dei titoli di stato in portafoglio delle banche italiane e per effetto della loro esposizione all’economia domestica. In tale scenario le tensioni del mercato possono allargarsi ad altri mercati dei titoli sovrani in europa come accaduto durante la crisi del debito sovrano in europa e, in modo limitato, già nel maggio scorso”.
(da agenzie)
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Ottobre 10th, 2018 Riccardo Fucile
SI SCOPRONO LE CARTE DEI SOVRANISTI: ANDARE ALLE ELEZIONI RACCONTANDO LA BALLA DELL’EUROPA CHE HA FERMATO IL GOVERNO DEL POPOLO
Persino Paolo Savona, l’ideologo della liberazione dall’Europa teutonica e dalla gabbia dell’euro, viene platealmente rinnegato, perchè ha osato ipotizzare cambiamenti della manovra se lo spread dovesse sfuggire di mano.
La scomunica, piuttosto brusca è affidata, alla classica nota di “fonti del governo”, a vertice in corso, in cui si precisa che ha parlato da “tecnico”, e invece “l’obiettivo politico” è che “si va avanti per la strada tracciata perchè senza la possibilità di realizzare le misure contenute nella manovra la maggioranza non avrebbe più senso di esistere”.
Cade in modo paradossale anche l’ultimo tabù, con Salvini e Di Maio che si assumono tout court la paternità del cigno nero, ovvero l’innesco del conflitto con Europa e mercati. L’evento imprevisto e improvviso che a prescindere dalla volontà ci avrebbe portato alla “guerra” con l’Europa e i mercati, non è altrove.
Le sue ali si agitano in ogni parola di Salvini e Di Maio, in una giornata da tregenda, e nella minacciosa negazione, in nome del popolo, della legittimità delle articolazioni “terze” dello Stato, mentre l’andamento dei mercati certifica che è stata intrapresa la rotta verso l’abisso.
“Bankitalia si presenti alle elezioni”, dice Luigi Di Maio. Sotto-testo: oppure taccia, perchè tutto ciò che è in mezzo, tra la “volontà popolare” e gli eletti che detengono il potere di interpretarla è solo un ostacolo, senza diritto di parola.
E la Corte dei conti che esprime preoccupazioni sul debito, in una manovra fatta di spesa corrente? Allarmismo ingiustificato, dice il premier Conte.
E il Fondo monetario internazionale che prevede una crescita infinitamente più bassa rispetto ai numeri da Dottor Stranamore inseriti nel Def? “Stime da aggiornare”, perchè non ha previsto gli effetti miracolosi sulla crescita. E l’ufficio parlamentare dei Bilancio? Avanti lo stesso, perchè “sono tutti tecnici messi lì da Renzi”.
Sono le parole di un gioco d’azzardo sul destino del popolo: lo spread con titoli tedeschi salito fino a 315 punti base, quello con gli spagnoli ha toccato i massimi ventennali, i rendimenti sui Btp con scadenza a due anni si sono avvicinati alla soglia del 2 per cento, mentre quelli sui Btp a dieci anni hanno sfondato il 3,6, ai livelli massimi dal 2014.
Le dichiarazioni innocue del ministro del Tesoro, al pari del suo microfono spento da Borghi, il teorico dell’Apocalisse, sono la rappresentazione plastica della rottura degli argini. Mai si era vista, in una giornata con questo tasso di drammaticità , un’audizione del titolare dell’Economia così ininfluente nel placare gli investitori e i mercati, perchè mai si era vista una tale perdita di credibilità di un ministro diventato, nell’arco di una settimana, il difensore di un pericolo che aveva promesso di sventare.
Ecco, siamo al dunque, come ormai notano tutti gli analisti: se il governo non rivedrà entro la prossima settimana il rapporto deficit-Pil, sarà pressochè impossibile invertire il trend negativo sui mercati ed evitare il declassamento delle agenzie di rating. È su questo che prende forma l’incrinatura nel governo.
Il silenzio inquieto di Giorgetti, le dichiarazioni del viceministro Garavaglia possibiliste sui cambiamenti della manovra, le ipotesi di Tria sulla ridefinizione “temporanea” delle pensioni, la sterzata di Paolo Savona indicano una preoccupazione comune e condivisa. E cioè che, se non si mette mano alla manovra prima che si pronuncino le agenzie di rating, dopo il declassamento annunciato su queste basi, non c’è più niente da fare.
L’isolamento testardo e spavaldo dei due leader di governo, e con esso la roboante rivendicazione che si andrà avanti, sempre e comunque, rivela il cinico calcolo politico che sta dietro l’intera operazione.
La costruzione di un gigantesco e potente alibi elettorale.
Qualunque sarà lo scenario delle prossime settimane rimarrà inalterata, e anzi risulterà potenziata, la narrazione che già da tempo tiene insieme una coalizione di governo che assomiglia sempre di più a una “cosa gialloverde”, intesa come blocco politico che, nell’esperienza di governo, sta definendo una sua soggettività sovranista.
Salvini e Di Maio potranno sempre rivendicare il “siamo noi che vi volevamo liberato dalla povertà “, “siamo noi che volevamo restituire le pensioni agli italiani”.
Ma i poteri forti, le perfide tecnocrazie, il grande capitale, tutti i pezzi di un sistema che non si rassegna “ci hanno fermato”.
È una narrazione perfetta per trasformare la prossima campagna per le europee in un’ordalia del popolo contro i suoi nemici, l’Europa in primis, scaricando su di essi il prezzo che il paese, nel frattempo, dovrà pagare.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 10th, 2018 Riccardo Fucile
LA RAFFICA DI BOCCIATURE SCUOTE IL GOVERNO
Sono le 18.45 quando sugli smartphone dei due vicepremier appaiono i messaggi dei
trafelatissimi uomini della comunicazione.
Nero su bianco le parole del Ministro Paolo Savona li fanno per un attimo sbiancare: “Se ci sfugge lo spread cambiamo la manovra”. Il titolare degli Affari europei sta registrando Porta a Porta. Parte un veloce scambio telefonico: “È un autogol, dobbiamo assolutamente mettere una toppa”.
Così Luigi Di Maio e Matteo Salvini si materializzano sotto Palazzo Chigi. Insieme, si prestano alle photo opportunity, spandono compattamente lo stesso verbo: no pasaran, l’Europa non avrà lo scalpo della nostra manovra.
È la degna conclusione del film di giornata. Una pellicola dagli accenti drammatici, innervati da robuste venature paradossali. Sin dalla mattina si snodano lungo le ore le audizioni sulla nota di aggiornamento al Def. E risuonano fragorose le bocciature. Apre le danze la Banca d’Italia, prosegue l’Istat, fa eco la corte dei Conti.
E si chiude con il fragoroso stop dell’Ufficio parlamentare di bilancio: con queste cifre, “non possiamo validare la Nadef”. Nessun dramma, è già successo recentemente a Pier Carlo Padoan. Ma quest’ultimo stop prefigura il pollice verso dell’Unione europea, vera spada di Damocle sulla manovra, forse sul collo dello stesso governo.
Perchè al ministero dell’Economia all’ora di pranzo definivano quello dell’Upb un vero e proprio “pronostico” su quel che dirà Bruxelles del testo.
Uno scenario dagli imponderabili punti di caduta. Anche perchè, man mano che si rincorrevano le bocciature, dal governo si continuava a suonare lo stesso spartito: si tira dritto, sia sul deficit al 2,4%, sia sui soldi messi sulle misure fondamentali di Lega e Movimento 5 stelle (leggasi: reddito di cittadinanza e riforma della Fornero).
Le parole di Savona sono risuonate come un fragoroso gong nell’assoluto silenzio di un tempio tibetano. Stordendo per qualche istante le war room di Di Maio e di Salvini. Sui cellulari dei maggiorenti del governo i primi messaggi sono stati di stupore.
Poi si è cercata l’ironia: “Quante divisioni ha Savona?”. Si inizia a battere sul testo della “non elezione” del professore.
Lo si fa obliquamente: “Non si torna indietro da quello che chiedono i cittadini”, dicono all’unisono i due vicepremier. È un tasto già esplorato nel pomeriggio. Perchè dopo le osservazioni di Bankitalia il capo politico del Movimento aveva tuonato: “Se Bankitalia vuole un governo che non tocca la Fornero, la prossima si volta si presenti alle elezioni con questo programma”.
L’entourage del ministro agli Affari europei minimizza. La linea difensiva verte su due punti. Il primo è che sì il professore ha detto che la manovra cambierà se lo spread si impennerà , ma ha anche argomentato che è impossibile che succeda. Il secondo è che sì Savona ha aperto a modifiche della manovra, ma riguarderebbero solo il cambio dei saldi. Testuale: “Spostare un paio di miliardi dalle spese assistenziali a quelle considerate sviluppiste”.
Una toppa che non copre il buco. E che ha richiesto la discesa in campo dei due leader della maggioranza, accompagnati in piazza Colonna (dove si sono prestati ad uso dei flash al bagno di folla con una scolaresca) da una nota del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che in burocratese ne sosteneva le ragioni.
Cala la notte sui Palazzi romani, si scioglie l’ennesimo vertice serale tra premier, vicepremier, ministro dell’Economia e Giancarlo Giorgetti. La prima notte in cui la compattezza del governo ha tremato, almeno per un attimo. Ma al sorgere del sole si tornerà a ballare.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 9th, 2018 Riccardo Fucile
NORMAN SI E’ SUICIDATO A 27 ANNI: TERMINATO IL DOTTORATO DI RICERCA, GLI AVEVANO FATTO CAPIRE CHE NON L’AVREBBERO RINNOVATO PER FAR POSTO AI RACCOMANDATI
Egregio Professore, Signor presidente del Consiglio, l
ungi da me l’idea di voler insinuare qualcosa — come ha fatto un quotidiano nazionale — sulla liceità della sua carriera accademica.
Su conoscenze, commissari d’esame, frequentazioni, collaborazioni ecc.
Sono di questo mondo e so come esso funzioni. Se non vi sono prove schiaccianti si rimane nel campo delle illazioni, delle sterili argomentazioni (oggi si parla addirittura di post-verità ), sappiamo benissimo — io e lei — che l’Accademia, il mondo dell’Università , è un tempio di cultura. _
E sappiamo benissimo — io e lei — che a cercare (e trovare) il malaffare si fa presto, in ogni settore del pubblico e delle professioni.
Ma da giornalista quale sono (orribile categoria, mi creda, peggio dei baroni universitari), mi ritornano in mente le parole di un professore ordinario ai microfoni di una giornalista Rai (conservo almeno dieci copie del filmato): “I concorsi per ricercatore sono legalmente truccati”.
Allora io, con quel viziaccio del cronista, del giornalista che a tutti i costi deve vederci chiaro, faccio delle semplici inferenze mentali: “Se sono legalmente truccati i concorsi per ricercatore, quelli per Associato o Ordinario fanno eccezione?”.
Domanda idiota, non me ne voglia, figlia dello specchio incrinato che riflette i miei pensieri, anch’essi idioti.
Però mi tornano in mente le parole di Matteo Fini, ricercatore italiano, che ha denunciato: “In Italia, prima si sceglie un vincitore e poi si bandisce un concorso su misura per farlo vincere. Anche per un semplice assegno di ricerca. All’università è tutto truccato […] Tutti i concorsi a cui ho partecipato erano già decisi in partenza. Sia quando ho vinto, sia quando ho perso. Vinci solo se il tuo garante siede in commissione. Il concorso è una farsa, è manovrato fin dal momento stesso in cui si decide di bandirlo”.
Cazzo, mi son detto, vuoi vedere che quel professore aveva ragione? Che i concorsi universitari sono “legalmente truccati”?
Non mi dica di non aver mai avuto notizia, anche negli ultimi anni, di figli di ministri, rettori, notabili vari (appunto: “figli di”), che sono diventati Ordinari o Associati alla “veneranda” età di trent’anni.
Eppure, da stronzo empirico quale sono e non avendo studiato al Cepu, quattro conti li so fare. O almeno penso di saperli fare, insieme alle migliaia di stronzi empirici come me.
Per diventare Ordinario, punta massima dell’insegnamento accademico, si dovrebbe aver prodotto una mole più che consistente di materiale scientifico, o aver fatto qualcosa di sensazionale ai fini della ricerca e giù di lì.
Più o meno dovrebbe funzionare così. Allora qualcuno — non necessariamente lei, Professore — saprebbe spiegarmi con quale criterio ispirato da meritocrazia, si possa diventare Ordinari a trent’anni?
A me, ripeto, stronzo empirico, quei conti non tornano.
“Il bordello è l’unica istituzione italiana dove la competenza è premiata e il merito riconosciuto”, mi pare dicesse Indro Montanelli. Ma tant’è…
Vede Professore, non mi appassionano le diatribe sui titoli professionali esibiti dai nostri politici, i quali, come cantava Guccini, “han ben altro a cui pensare”.
Non mi appassionano le batracomiomachie fra politici e giornalisti. Vede Professore, non ho nessun motivo di astio personale nei suoi confronti e politicamente sono conosciuto per essere agli antipodi di quel quotidiano nazionale che ha fatto le pulci al suo curriculum.
Ma sono incazzato con lei, professor Conte. Perchè? Chi sono?
Il mio nome è Claudio Zarcone, padre di Norman, “suicidato” da quel sistema infetto che oggi viene comunemente chiamato delle “baronie universitarie”, nel pomeriggio per me brumoso del 13 settembre 2010.
Sono Claudio Zarcone, giornalista professionista, uomo fra gli uomini e custode di una tragedia incommensurabile che ha poi prodotto anche la fine della mia famiglia. Claudio Zarcone, un nome che non dice niente; un nome che intende difendere fino alla morte la memoria di un figlio talentuoso, laureato con lode, che credeva nelle istituzioni e nel merito, a sua volta giornalista, musicista, bagnino d’estate “per apprendere l’etica del lavoro” e dottorando di ricerca senza borsa al suo terzo e ultimo anno.
Non ho avuto giustizia, per contro la mia famiglia è stata azzerata come per effetto di una valanga che prende velocità e aumenta le proprie dimensioni nel corso della sua discesa a valle.
Ed io sono rimasto solo a lottare non so più contro chi. Essi sono troppo forti per essere battuti, essi hanno molti complici e manutengoli.
Hanno troppi nomi istituzionali con i quali si fiancheggiano a vicenda, mestatori della nostra Italia senza più direzione di marcia.
Ho scritto agli “autorevoli”, agli intellettuali, ma ho trovato appena vergognosi muri di silenzio.
Letta, Renzi, Gentiloni, ministri, presidenti e commissari europei, governatori: silenzio assordante.
Ma ho scritto anche a lei Professore, alla pec del Governo, alla sua pec. Le ho scritto penso sei-sette volte. Silenzio assordante.
Poi è venuto a Palermo lo scorso mese di settembre (due giorni dopo l’anniversario della morte di Norman), in occasione delle Celebrazioni in memoria di Pino Puglisi. È venuto a Brancaccio, il mio quartiere, il quartiere dove Norman abitava, il quartiere che ricorda mio figlio con una strada a lui intitolata (la “Rotonda Norma Zarcone”); la stessa strada che lei, professore, ha percorso per recarsi in quella scuola dove ha recitato il suo monologo istituzionale senza un dibattito coi giornalisti.
Sarei potuto venire anche a piedi se fossi stato convocato dalla sua segreteria. Ma anche lei — devo desumere — ha preferito la via del silenzio.
Eppure le mie lettere erano/sono chiare. Volevo incontrarla per raccontarle una storia e tenere viva la memoria di un giovane brillante che ha osato gridare il proprio sdegno.
Le chiedevo un segno delle istituzioni.
Le chiedevo di non far morire l’attesa che i cittadini nutrono nei confronti dello Stato, troppo spesso emulo di Crono, divoratore dei propri figli.
Non ho ricevuto neanche una telefonata da parte di uno dei suoi segretari. Neanche la solita, odiosa, pacca sulle spalle che le istituzioni distribuiscono a tutto spiano. Ero a pochi passi da lei, Professore, non ha inteso parlarmi.
Ecco perchè sono incazzato.
Per le modalità d’accesso alla carriera universitaria, potrà anche immaginare come io la pensi, ma siamo tutti assolutamente innocenti e legittimati nel nostro percorso, fino a prova contraria, non ho interessi di sorta per alimentare sospetti e rancori sociali.
Le rinnovo, semmai, la mia delusione. La mia incazzatura.
Per il resto: ‘niente a pretendere’.
Claudio Zarcone
(da “il Gazzettino di Sicilia”)
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Ottobre 9th, 2018 Riccardo Fucile
NEL MIRINO LA CRESCITA GONFIATA E IL RISCHIO DI PAGARE 17 MILIARDI PER LO SPREAD AL 2021, DISCO ROSSO SUGLI INVESTIMENTI E DEVIAZIONE DAGLI IMPEGNI SU DEBITO E SPESA
Le previsioni contenute nella Nota di aggiornamento al Def – la cornice della manovra – non
possono essere validate.
Arriva dall’Ufficio parlamentare di bilancio una nuova stroncatura all’architettura dei conti pubblici disegnata dal governo gialloverde, già criticato duramente e con toni perentori dalla Banca d’Italia e dalla Corte dei Conti.
Lo scenario delineato dal presidente Giuseppe Pisauro nel corso dell’audizione davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato prefigura un giudizio “grave” da parte dell’Europa per le deviazioni “significative” dagli impegni sul debito e sulla spesa.
Lo stop dell’Upb poggia su tre considerazioni, a iniziare dalla critica alla super crescita stimata per il prossimo triennio.
I “significativi” e “diffusi” disallineamenti relativi alle principali variabili del quadro programmatico – sottolinea Pisauro – rendono “eccessivamente ottimistica” la previsione di crescita del Pil nel 2019. Una crescita che il governo ha collocato all’1,5% per il prossimo anno.
L’Ufficio parlamentare di bilancio stronca quindi l’asse portante della strategia dell’esecutivo, cioè la crescita ipertrofica per abbattere debito e deficit.
Tra i punti critici vengono evidenziati i “forti rischi al ribasso” a cui sono soggette le previsioni per il 2019 per le “deboli tendenze congiunturali di breve termine” e per “la possibilità che nelle attese degli operatori di mercato lo stimolo di domanda ingenerato dall’espansione dell’indebitamento venga limitato dal contestuale aumento delle turbolenze finanziarie.
Ma quella sulla crescita non è la sola sottolineatura rossa dell’Upb.
L’incidenza degli investimenti sul Pil – altro cavallo di battaglia del governo – viene giudicato un obiettivo “particolarmente ambizioso”.
Monito anche sulla maggiore spesa per interessi dovuto all’aumento dello spread negli ultimi mesi: un costo quantificato in 17 miliardi tra il 2018 e il 2021.
Cosa succede ora?
La palla torna nelle mani del ministro dell’Economia Giovanni Tria, che dispone di due opzioni.
La prima è recepire le richieste di modifica del quadro macroeconomico.
La seconda prevede la possibilità di non accogliere le osservazioni dell’Upb: in questo caso il titolare del Tesoro deve ripresentarsi davanti alle commissioni parlamentari e motivare la decisione.
È già accaduto nel 2016 con l’allora ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. In quella circostanza Padoan non modificò la nota di aggiornamento al Def, spiegando le ragioni, ma superò il contrasto con l’Upb modificando le ipotesi di manovra.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 9th, 2018 Riccardo Fucile
IL CORAGGIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI ORA DOVREBBE AVERE UNA CONSEGUENZA: CHI ORDINA ALLA NOSTRA GUARDIA COSTIERA DI OSTACOLARE LE ONG E DI LASCIARE INTERVENIRE LA GUARDIA COSTIERA LIBICA E’ UN DELINQUENTE E COME TALE DEVE FINIRE IN GALERA
Il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi non ha difficoltà a dirlo: “La Libia non è un porto sicuro”.
Una dichiarazione in netto contrasto con la politica del governo che ha delegato le operazioni di salvataggio nel Mediterraneo alla guardia costiera libica che, naturalmente, riporta i migranti in Libia.
E si scatena un putiferio con le opposizioni che chiedono comportamenti coerenti, e cioè la riapertura dei porti italiani.
“In senso stretto e giuridico – ha spiegato Moavero Milanesi rispondendo ad una domanda durante la conferenza stampa con la collega norvegese – la Libia non può essere considerata porto sicuro, e come tale infatti viene trattata dalle varie navi che effettuano dei salvataggi. La nozione di porto sicuro e di Paese sicuro è legata a convenzioni internazionali, che attualmente non sono state tutte sottoscritte dalla Libia”.
Parole non da poco visto che l’ostracismo del governo italiano alle navi umanitarie nasce proprio dal loro rifiuto di riportare i migranti in Libia.
Aggiunge il ministro Moavero: ” Noi dobbiamo mantenere forte e intensificare il nostro impegno affinchè la normalizzazione della Libia porti questo Paese pienamente nell’alveo della comunità internazionale, con il rispetto dei diritti umani e dei diritti fondamentali”. In questa direzione va la conferenza sulla Libia che si terrà a Palermo a novembre.
Ancora ieri la Guardia costiera libica ha soccorso 93 persone su un gommone riportandole a Khoms.
Ma anche la Norvegia – ha ribadito il ministro degli Esteri di Oslo – non accetta di rimandare indietro nessuno. Per questo la Norvegia ha fino ad ora partecipato agli accordi di redistribuzione siglati tra i paesi europei per spartirsi i migranti salvati dalle navi umanitarie e approdati a Malta.
“Abbiamo partecipato alle soluzioni europee in passato, lo faremo in futuro. Abbiamo un chiaro messaggio in relazione a questo tema. Quando valutiamo la partecipazione, abbiamo una posizione chiara: devono essere rispettati gli obblighi internazionali e i diritti umani”, ha affermato Ine Marie Eriksen Sreid.
*A Moavero risponde al volo Nicola Fratoianni, segretario di Liberi e Uguali che chiede al ministro degli Esteri di riaprire allora i porti italiani: ” Bene. Sono parole importanti e in controtendenza con quelle di chi, come Salvini e altri esponenti del Governo, hanno in questi mesi detto il contrario. In spregio delle convenzioni internazionali e perfino del buonsenso. Ora però alle parole seguano i fatti. Si smetta di fare la guerra a chi opera nel Mar Mediterraneo centrale per salvare vite in pericolo e, soprattutto, si riaprano i porti italiani. Nel frattempo, sarebbe buona cosa sospendere l’invio delle nostre motovedette alla cosiddetta guardia costiera libica. Se la Libia non è un porto sicuro, come peraltro ripetiamo da sempre, non possiamo aiutarla a riportarci i migranti. Quelle della cosiddetta guardia costiera libica lungi da essere operazioni di salvataggio sono a tutti gli effetti operazioni di cattura di esseri umani”.
(da agenzie)
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Ottobre 9th, 2018 Riccardo Fucile
LA RICERCA MEDIA RESEARCH PER LA STAMPA: LAVORO, INQUINAMENTO E VIABILITA’ SONO LE VERE PAURE… SMENTITE LE BALLE SOVRANISTE
Lavoro, inquinamento e viabilità : eccole, le tre divinità del male che spaventano i nostri sonni. 
La trimurti delle paure è stata fotografata da un’indagine condotta da Community Media Research in collaborazione con Intesa Sanpaolo per La Stampa.
“Qual è il problema più rilevante dove vivi?” hanno chiesto i sondaggisti dell’istituto in 1.427 interviste effettuate tra il 12 e il 25 ottobre su tutto il territorio nazionale, mostrando un lungo elenco di alternative.
La lista proposta – si legge sul quotidiano di Torino – va dagli immigrati, alla viabilità , all’inquinamento e altri temi ancora. La questione che per tutti risulta essere in assoluto la più importante nella propria realtà è il lavoro (38,1), seguito a distanza da altri problemi posti quasi sul medesimo piano: inquinamento (15%), viabilità (10,9%), costo della vita (10,9%), qualità dei servizi socio-sanitari (10,1%), immigrazione (5,9%), criminalità (4,8%).
Ovviamente i problemi conoscono un’intensità diversa rispetto al territorio di appartenenza, piuttosto che la condizione sociale.
Così le preoccupazioni per l’inquinamento (20,4%) e il costo della vita (13,4%) ritenuto eccessivo sono avvertiti maggiormente al Nord.
La viabilità (18,5%) è una questione più marcata al Centro.
La qualità dei servizi socio-sanitari è un argomento più vissuto dagli anziani (14,4%) e in particolare dai residenti nel Mezzogiorno (14%).
L’immigrazione e la criminalità non sono considerati il “problema dei problemi”, verso i primi – racconta La Stampa – l’attenzione è un pò più elevata nel Nord Est (8,6%) e verso la seconda nel Mezzogiorno (6,3%).
Su tutti, è la questione del lavoro a costituire il tema centrale.
Lo è maggiormente per le donne (41,0%), giovani (41,5%) soprattutto nel Mezzogiorno (57,8%) dove polarizza l’attenzione degli intervistati, oltre che per i disoccupati (71,4%).
Recenti dati dell’Istat testimoniano come la crescita di occupazione sia a favore dei più adulti e sempre meno delle generazioni più giovani. Una ricerca (di prossima pubblicazione) della CMR per Ali -Magister Group mette in luce come per tre giovani su 4 (/1,4%) l’ingresso sul mercato del lavoro avvenga con forme contrattuali a tempo determinato e flessibile.
Questa quota si riduce progressivamente nelle fasce d’età successive, ma racconta – sottolinea il quotidiano – percorsi lavorativi che prolungano una situazione di incertezza sul futuro delle persone. Inoltre, rivela una divisione e territoriale importante: nel Nord il 62,4% dei lavoratori ha un contratto a tempo determinato, nel Mezzogiorno la percentuale scende al 50,8%.
(da Globalist)
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Ottobre 9th, 2018 Riccardo Fucile
L’ATTORE GENOVESE IRONIZZA SULLE CONTINUE STUPIDAGGINI DEL GRILLINO
Non l’atono Conte che parla a comando e farebbe sbadigliare perfino l’incredibile Hulk, che se solo lo sentisse da verde diventerebbe grigio
Non tanto Di Maio che è così macchietta di suo che non può diventare più macchietta. Non Salvini che perfino i comici evitano perchè fa solo rabbrividire.
Ma Toninelli è la fortuna della satira.
Un ministro incompetente e improvvisato, maniaco dei selfie.
Uno che il giorno in cui si ricorda il primo mese della tragedia del ponte Morandi si fa fotografare sorridente accanto a Bruno Vespa mostrando l’abominevole plastico di Porta a Porta.
Uno che parla di ponti dove le famiglie possono fare scampagnate non comprendendo la differenza tra un cavalcavia destinato al traffico pesante e ponte Milvio.
Uno che ignora che il tunnel del Brennero non sia finito.
Uno che mentre i genovesi cominciano a perdere la pazienza chiede di non essere criticato perchè il decreto sulla ricostruzione è fatto ‘con il cuore’.
Un’occasione ghiotta per l’attore genovese Luca Bizzarri per prendere per i fondelli il ‘Tontinelli’ così ribattezzato dal web.
Una parrucca, un paio di occhiali e una frase: “Concentrato. Col cuore. Pronto per affrontare l’annoso problema infrastrutturale del Porto di Aosta”.
Eh sì perchè ad Aosta c’è il mare. Ma come direbbero i troll grillini (e forse anche Marcello Foa) è solo questione di tempo, perchè primo o popi a forza di erosione delle coste il mare arriverà ad Aosta.
Toninelli è solo capace di vedere il futuro prima degli altri…
(da Globalist)
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