Febbraio 15th, 2020 Riccardo Fucile
LO ZOCCOLO DURO CHE URLA “O-NE-STA’!” COME LITANIA DI UN ESORCISMO CHE NON RIESCE A FUGARE I DEMONI DI UNA CLAMOROSA CRISI IDENTITARIA
In piazza con le auto blu, per contestare i vitalizi degli altri.
Qualcuno che, per non farsi vedere, si fa lasciare nelle vie accanto e arriva a piedi, col vestito che pare ritirato dalla stireria.
Luigi Di Maio che, alla fine, attraversa tutta la folla per concedere selfie proprio come fa Matteo Salvini. Ci mette mezz’ora, ma all’angolo con piazza Venezia c’è la macchina che lo aspetta: blu.
Simbolo di un potere diventato privilegio, quando si accomodano gli altri. Veicolo per la rivoluzione contro la Casta, quando trasporta le terga pentastellate.
Che poi è la stessa logica dei vitalizi, oggetto di questa manifestazione: in verità sono stati già aboliti nel 2011, quando si è passati a un sistema “contributivo” come nel resto del mondo, ma in mancanza di altri argomenti adesso ci si scaglia contro i diritti acquisiti col precedente sistema, tanto riguardano gli altri.
Eccola, piazza Santi Apostoli diventata per un pomeriggio la piazza di Nostra Signora dell’Ipocrisia.
Piazza piena, nulla a che vedere con le dimensioni di quelle di una volta, tipo San Giovanni e Circo Massimo, riempita non spontaneamente, ma con pullman da tutta Italia, come facevano gli odiati partiti di massa.
Piazza del rigurgito identitario, “incazzata”, in un clima da ritorno alle origini. Piazza di uno zoccolo duro rabbioso che vuole urlare il suo “non siamo morti”.
Poca musica, assordanti trombette da stadio, “o-ne-stà o-ne-stà ”, come litania di un esorcismo per fugare i demoni di una clamorosa crisi identitaria.
Pochi giovani, cartelli “non ci arrendiamo”, “no alle alleanze”. Fischi per Salvini, Renzi odiato più di lui, insofferenza per il Pd, innominato Conte, l’animal spirit del popolo è “contro”: è la pulsione prepolitica ad aggrapparsi a irrinunciabili bandiere, col manicheismo di chi non vuole vedere ciò che è successo.
È il “noi siamo noi”, nè di destra nè di sinistra, col paradosso che proprio il motivo della crisi diventa zavorra a cui aggrapparsi.
“Colpa degli altri”, sempre e comunque, se ciò che è giusto non è stato compreso dagli italiani. E ritorna la rabbia verso i giornalisti, alcuni in particolare come chi scrive, la collega di Repubblica o l’inviato delle Iene: “pennivendoli” che non scrivono la “verità ”, perchè così vogliono i loro padroni.
Torna la sindrome del complotto, da parte delle televisioni che “oscurano il Movimento”, e poco importa che il servizio pubblico è ancora governato secondo la spartizione attuata dal Governo gialloverde.
Anche questa è cultura dell’odio e dell’invidia sociale, per cui non esiste libertà di pensiero o lavoro intellettuale, ma solo privilegi di ben remunerati servi di opachi padroni.
In questa piazza di “resistenza”, che già ha lo spirito della ridotta identitaria, c’è un istinto prepolitico che non è un’idea di paese, e con esso l’illusione, anzi l’autoillusione, che si possa essere “contro” il Sistema una volta che si è diventati Sistema, senza cadere nella trappola di essere contro se stessi, sia pur a propria insaputa.
Guardateli i ministri e i sottosegretari che arrivano da una via laterale, tutti con l’abito blu e la camicia bianca, gli unici senza cravatta Di Maio e Bonafede, imborghesiti dalla Roma del potere che sa rivestire i barbari con le griffe dei padroni.
Mentre i ragazzi delle scorte vigilano discreti.
Indugiano compiaciuti nella selva di telecamere, ormai avvezzi a parlare senza dire, a giustificare e a giustificarsi in nome dell’imperituro “bene del paese”.
Loro tutta questa rabbia non ce l’hanno più, ma hanno la necessità di mobilitare il popolo per arginare una crisi spaventosa. Non è vero che il potere logora chi non ce l’ha. Logora anche chi ce l’ha nella paura di perderlo.
I ministri più filo Pd, da Patuanelli a D’Incà , vengono tenuti sotto il palco, Bonafede e Di Maio, in fondo, non forzano neanche più di tanto. Però sventolano con orgoglio le bandiere storiche, contro i vitalizi e a difesa dell’abolizione della prescrizione, il che consente di gonfiare il petto identitario, ma senza scuotere più di tanto il fragile equilibrio governativo.
Parliamoci chiaro: una gigantesca rimozione avvolge il tutto, affogata nella retorica del “siamo una forza che non si può abbattere” e del “si cambia passo dopo passo, dopo 50 anni di politica che ci ha distrutto”.
La rimozione della sconfitta, delle scelte fatte e di quelle da fare, degli alleati passati e di quelli presenti, del Conte 1 e del Conte 2, e più in generale di Conte, rimasto pressochè innominato. E, come diceva Peppino, “ho detto tutto”.
A questa piazza e a questo palco, che non ha ancora digerito il “tradimento” di Salvini, si capisce che il nuovo quadro non piace, come non piace la politica delle alleanze.
E questa “terza fase” del Movimento, aperta dopo le dimissioni di Di Maio, vissuto ancora come il Capo dal suo popolo a piazza Santi Apostoli, appare come il tentativo di congelare il travaglio, nell’evocazione del grande futuro alle spalle, sotto forma di battaglia contro i vitalizi.
Il travaglio di una forza dentro la quale si è aperta una confusa dialettica tra destra e sinistra. Di Maio scravattato che richiama i principi fondamentali, sia pur ammaccato è il simbolo non di una “evoluzione”, ma dell’equivoco costitutivo che si ripropone, il non essere nè di destra è di sinistra, che incrocia un sentimento popolare. Di quel popolo.
La piazza racconta questa “connessione sentimentale” conl’ex capo del Movimento. Chi è rimasto si aggrappa all’identità , ai miti della sua non lunga storia, alle sue bandiere.
Il Governo viene dopo, non scalda, è vissuto come uno stato di necessità più che come l’incubatore di una prospettiva.
Il “noi” c’era, gli “altri” neanche nominati.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 15th, 2020 Riccardo Fucile
LA PIAZZA DEL “NON MOLLARE”, DELLA RABBIA ANTICASTA CHE LANCIA LA SENATRICE ALLA GUIDA DEL M5S… 4.000 PERSONE IN PIAZZA SANTI APOSTOLI TRA INSULTI AI GIORNALISTI E RITORNO AL PASSATO CHE NON PUO’ TORNARE
Che sia la sua giornata lo si capisce solamente guardando la scaletta. Sale sul palco Luigi Di Maio, il fu capo politico. Poi è il turno di Alfonso Bonafede, capo delegazione al Governo. Ma a chiudere è lei, Paola Taverna, tra il boato della folla. Dopo di lei solo il reggente Vito Crimi, il cui intervento rimane impresso come fosse scritto sulle acque di un ruscello.
“Questa è la sua piazza, è lei che l’ha organizzata”, dice il portavoce del ministro nel retropalco. Aggiunge: “Ormai mi sembra chiaro che dopo Luigi ci sia lei, l’unica che potrebbe contenderle il posto è Chiara Appendino, ma non sono paragonabili”.
Il Movimento 5 stelle ritorna a piazza Santi Apostoli. Qui si concluse quella che Alessandro Di Battista definì malauguratamente sette anni fa “la marcia su Roma”. Un’altra era geologica, con il Movimento a urlare contro il potere che non gli apriva il portone del Governo, con gli insulti ai giornalisti, con le contumelie alla casta, con i cartelli contro i poteri forti e le maschere di Guy Fawkes. 2013, oggi, se un alieno fosse capitato entrambe le volte da queste parti non noterebbe differenze.
Un deputato malignamente fa notare la differenza con la chiusura di campagna elettorale delle Europee: “Lì eravamo quattro gatti, qui ci saranno sette, ottomila persone”.
Magari arriveranno alla metà , con buona pace dell’ex capogruppo della Camera Ciccio D’Uva che dà i più classici numeri dell’organizzazione (“Siamo 10mila!”), nonostante sia della Questura, seppur solo quella interna a Montecitorio.
Pallottoliere a parte, Paola Taverna arringa alla folla che sbandiera stendardi del tenore “Fanno tutti schifo” come fosse già la capofila di quel che verrà .
E proprio sulla continuità , sul recupero di quel che doveva essere e non è stato, martella pesantemente: “La nostra forza da quando siamo entrati in Parlamento non è cambiata, siamo una forza che non si può abbattere”. E ancora: “Qualche battaglia l’abbiamo anche persa, ma cinquant’anni di politica che ci ha distrutto non si cambiano in due anni, ma passo dopo passo”.
La gente in piazza dice un secco No alle alleanze. Qualcuno lo ha anche scritto con pennarelli su fogli bianchi, in un caleidoscopio di colori che si intersecano con il giallo di quelli solertemente distribuiti dall’organizzazione.
“Questi sono delle m…e”, taglia corto un affabile signore, testa rasata e tatuaggio sul collo. Non vuole alleanze con gli altri partiti: “Sti str…i andassero aff…”. Vicino a lui c’è chi prova ad allargare il campo, barba sale e pepe e occhiali a schiacciare la chioma dello stesso colore: “Devi sapere che io stavo in Democrazia Proletaria quando contestavamo il Pci…”.
Purtroppo o per fortuna il resto della saga è interrotto dall’Inno di Mameli. È salito Luigi Di Maio sul palco, la sua comunicazione avverte solerte della coincidenza non casuale con l’inaspettato riflesso patriottico.
L’ex capo politico si concede un discorso non memorabile (“Difendiamo Bonafede e la sua riforma, dobbiamo punire i furbi e mandare avanti gli onesti”) e un bagno di folla finale. Un timido “Luigi, Luigi” lo saluta alla fine, il giro tra gli attivisti lo sommerge.
Questa è la piazza della Taverna, ha organizzato lei, chiedete a lei” rispondono all’unisono parlamentari e staff a qualunque domanda gli si ponga.
Il No alle alleanze risuona quasi all’unanimità . Arriva Federico D’Incà , ministro per i Rapporti con il Parlamento. Un deputato lo indica: “Lui sarà arrivato con il cartello Sì alle alleanze”. Non salirà sul palco, e come lui nemmeno Roberto Fico e Stefano Patuanelli, i più governisti tra i colonnelli 5 stelle.
La piazza trasuda livore contro Matteo Renzi e contro i giornalisti. Sui più noti una sassaiola di insulti. Chi prova a fermarsi e ragionare viene sommerso dalle contumelie, preoccupante reflusso anti democratico che affiora a ogni pie’ sospinto.
Paolo viene da Napoli. Spiega che non ce l’ha fatta, ha lasciato un contratto di sei mesi in un’azienda di pulizie: “Mi pagavano due euro l’ora. Ho cercato di parlare con tutti, ho parlato con la Catalfo, il ministro del Lavoro, mi farà sapere”.
Ha cinquant’anni e non ce l’ha fatta. Per un momento diventa simbolo del motivo per cui a San Giovanni, sette anni fa, i tre/quattromila di oggi sarebbero stati una goccia in un oceano.
Promesse di scatolette aperte e ripulite in un battibaleno andate a infrangersi contro il muro della realtà , due anni di Governo senza la rivoluzione ossessivamente vagheggiata. Paolo c’è, tanti come lui sono rimasti a casa, guardando un live di Salvini o tenendo spenti chissà per quanto social e televisioni.
È un grande ritorno al passato per recuperare quel poco di futuro che resta. È la piazza della Taverna. Come sigla conclusiva parte un grande classico: “Non siamo un partito, non siamo una casta, siamo cittadini punto e basta”. Da quando il Movimento si è fatto potere non si era più sentito.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 15th, 2020 Riccardo Fucile
L’AVVOCATO ROSANNA RUSCITO PASSA A FRATELLI D’ITALIA: “NELLA LEGA NON C’E’ MERITOCRAZIA, LEALTA’, RISPETTO DELLA MILITANZA E DEGLI ACCORDI CON GLI ALLEATI”
L’avvocato napoletano Rosanna Ruscito, candidata al senato per il Carroccio alle elezioni politiche del marzo 2018, lascia la Lega e passa a Fratelli d’Italia.
La Ruscito questa mattina ha partecipato a una conferenza stampa che ha visto la partecipazione, tra gli altri, dei dirigenti nazionali Piero Diodato e Luciano Schifone, e del Coordinatore cittadino di FdI, Andrea Santoro.
Rosanna Ruscito ha affidato ai social network le motivazione del suo addio al carroccio. Un post su Facebook, quello della professionista partenopea, colmo di amarezza ma anche di ottimismo per la sua nuova avventura con il partito di Giorgia Meloni: “Sono stata dirigente regionale della Lega per 4 anni”, ha scritto la Ruscito, “fino a circa novembre scorso. All’improvviso, in esito al commissariamento dal Nord, ho visto tagliati tutti i dipartimenti tematici e sostituiti tutti i segretari territoriali (che comunque avevano portato Lega da 0 a 20% in Campania ). Ho continuato ad aver fiducia”, ha aggiunto la Ruscito, “ma ho persone di altri partiti approdate da poco rivestire ruoli importanti, apicali e, per contro, militanti che hanno dato il massimo impegno per costruire allontanati”.
“Ad un certo punto”, sottolinea Rosanna Ruscito, “ho deciso che non essendo compatibile con la mia natura abbassarsi a essere una yeswomen (tradotto è leccaculo ma è poco elegante specie per una signora) non posso proseguire il mio percorso in quel contesto ove non ha alcun rilievo la meritocrazia, nè la lealtà , nè la pluriennale militanza…nè il rispetto di patti e accordi con alleati. Già da un anno avevo capito che la mia casa politica era un’altra. Alla fine ho preso la decisione giusta”. “Starò dalla parte dei campani e dei napoletani”, aggiunge la Ruscito in un commento.
(da Anteprima24)
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Febbraio 15th, 2020 Riccardo Fucile
LA FARSA CONTINUA: DOPO AVERCI PROPINATO UN TG DI REGIME SOVRANISTA ORA NON VUOLE PASSARE PER CANDIDATO DI SALVINI MA “CIVICO”… ALL’INDECENZA CI DOVREBBE ESSERE UN LIMITE
La multa dell’Agcom (1,5 milioni di euro) alla Rai allontana la riconferma dei direttori in quota Lega. Tra questi Genny Sangiuliano, a capo del T2, sarebbe a rischio.
Uno scenario che avrà ripercussioni a cascata in Campania: il direttore di Tg2 (contratto in scadenza il 23 febbraio) è tra i papabili per la guida del centrodestra per la sfida alle regionali.
Ma Sangiuliano ha posto due condizioni prima di accettare: la benedizione del cavaliere e lo smarcamento dalla Lega. Nei fatti, Sangiuliano vuole essere un candidato civico. Non di espressione leghista.
Forza Italia e Fratelli d’Italia non ci stanno: “Sangiuliano è in quota Salvini”.
Tra gli sponsor del direttore di Tg2 c’è un pezzo della destra campana: da Enzo Nespoli ad Amedeo Labocetta.
Malumori si registrano anche in Fdi sul nome di Sangiuliano (non gradito ai leader locali).
La cosa divertente è che dopo averci propinato per due anni un Tg2 di regime sovranista, ora Sangiuliano vuol farsi passare per “candidato civico” non di Salvini.
Ci sta che si vergogni di quello che ha fatto ma anche all’indecenza c’è un limite.
(da agenzie)
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Febbraio 15th, 2020 Riccardo Fucile
“FAR VIAGGIARE LE PERSONE, FAR LORO CONOSCERE REALTA’ NUOVE: IL TEMA E’ ABBATTERE LE DISTANZE”… “VERSO LE SARDINE USANO DISPREZZO E SARCASMO MA A DIFFERENZA DI ALTRI LORO HANNO CAPITO CHE IL PRIMO PROBLEMA DELL’ITALIA E’ LA DISEGUGLIANZA TRA NORD E SUD”
Il professor Domenico De Masi, decano della sociologia italiana, commenta la proposta del movimento delle Sardine di uno scambio tra studenti universitari del Nord e del Sud Italia
“L’idea degli Erasmus tra nord e sud? Io la trovo semplicemente stupenda.”
Professor De Masi, sta parlando dell’ultima proposta delle Sardine?
Assolutamente si.
Ha visto che ha raccolto molte critiche, anche a sinistra.
Sono stati geniali, ge-nia-li. Davvero non capisco perchè su di loro si abbattono sarcasmo, battutine scomposte, a volte persino manifestazioni di disprezzo.
Dicono che l’Erasmus tra nord e sud sia una banalità , ha sentito?
Che cosa stupida. Qui di banale non c’è davvero nulla.
Dicono che di fatto esista già .
E ovviamente non è vero. Esiste una emigrazione universitaria tra sud e nord, che è un’altra cosa: a senso unico.
E quindi cosa le piace dell’idea?
A me pare la prima proposta concreta per combattere la disuguaglianza tra nord e sud, per unire il paese, per farlo diventare più ricco sul piano economico ma soprattutto umano e culturale. Adesso le spiego perchè.
Domenico De Masi, decano della sociologia italiana, intellettuale eclettico con una grandissima vocazione meridionalista. Quando ha letto la proposta di Mattia Santori e compagni si è detto: “È la cosa giusta da fare”. In questa intervista spiega perchè, e aggiunge: “La disuguaglianza, da quella geografica a quella sociale, è il primo problema del paese”.
Professore, proviamo a fare una simulazione. Dove designerebbe il primo ciclo di Erasmus tra nord e sud, se dipendesse da lei?
Un esempio concreto? Partirei da Rende: quanti di coloro che criticano le Sardine la conoscono davvero, o ci sono stati? Arcavavata è una bellissima realtà accademica, piena di professori straordinari, immersa in un territorio che invece è ricco di problemi.
E lei li immagina un Erasmus fatto da studenti del nord?
Perchè no? Sarebbe una ottima esperienza, sul piano accademico e — soprattutto — sul piano umano. Utile anche al sud.
In che senso?
Importare sangue fresco in un territorio dove hanno sede le quattro più importanti multinazionali del crimine del mondo è una bellissima trasfusione di sangue pulito. Un vaccino.
Prova a spiegare come se lo immagina?
Molti dei nostri ragazzi, al nord, sono stati in Inghilterra o in Francia, ma non hanno mai conosciuto in una regione meridionale. Anche solo abitare in una regione italiana che ha un prodotto interno lordo dimezzato rispetto a quella in cui provieni, per un universitario è un grande stimolo. Un modo per capire, conoscere il paese. Senza contare tutto quello che impari.
Quindi le piace la proposta?
La trovo una idea bellissima, un modo concreto per unire di nuovo l’Italia. Ha presente “Pane amore e fantasia”?
La trilogia dei film con De Sica e la Loren, degli anni Cinquanta?
Esatto! Era una commedia basata sulla storia di un carabiniere che viene trasferito da Trento alla Cicociaria. E qui si ritrova a corteggiare Sofia Loren.
Perchè me lo ricorda?
Perchè una delle regole non scritte dell’Italia repubblicana erano i tanti Erasmus non dichiarati fra nord e sud
Nel senso che apparentemente non avevano questa finalità ?
Esatto. i carabinieri come il maresciallo Antonio Carotenuto, alias Vittorio De Sica, per motivi idi servizio avevano una carriera basata sui trasferimenti dal meridione al settentrione, dalla provincia al centro! E poi c’era il grande Erasmus del tempo.
Quale?
La naja. Ha presente la battuta di Totà³: “Ho fatto il militare a Cuneo”? Quello che un tempo faceva il servizio militare oggi lo può fare l’università . Far viaggiare le persone, farle conoscere realtà che non avrebbero mai visitato. Il tema è abbattere la distanza.
È vero che lei a questo proposito considera molto positivamente l’esperienza del Reddito di cittadinanza?
Sul reddito c’è da scrivere un saggio: è stata la cartina di tornasole per capire che idea ha del “povero” un paese che teoricamente crede in modo maggioritario in una religione fondata sulla carità .
Perchè dice questo?
Io nel dibattito intorno al reddito ho avvertito una incredibile componente di razzismo e odio.
Addirittura?
Ha dato fastidio l’idea di assistere un povero in quanto tale, e per questo si è inventata la metafora del “divano”. Come se aiutare una persona che vive con seimila euro l’anno fosse un sussidio ai divanisti. Una follia.
Provi a spiegare perchè.
Ma il povero non c’entra con il ciclo centrale dell’economia! Il suo destino, la sua storia, è totalmente sganciato dalla ricchezza del paese. Ci sono i poveri a Udine ci sono i poveri a Palermo. Non ci sono più poveri dove c’è meno Pil, anzi.
Non c’è relazione, dice lei.
Assolutamente no. Il paese con il più alto numero di ricchi al mondo, l’America, è anche quello che nel mondo occidentale ha il più alto numero di poveri.
Molti dicono che 29mila posti di lavoro recuperati tra i precettori del Reddito sono un risultato deludentissimo.
Ah si? 29 mila posto di lavoro sono due volte e mezzo l’intero numero degli occupati dell’Ilva: in quattro mesi! Che parametro usano questi signori?
E il numero totale degli assistiti?
Due milioni e 700mila persone sono cinquanta volte la Fiat. Ed il Reddito è stato fatto in soli otto mesi, un miracolo.
Dicono: però ci sono i furbetti.
Il 34 per cento delle domande erano fasulle e sono state scartate senza nemmeno erogare un euro. Molti altri solo stati trovati dopo. Gran parte di questi che hanno fatto i furbetti erano quelli che già prendevano il Rei. Di cosa parliamo?
A lei il Rei non piaceva.
Uhhh… un sindaco per dare un sussidio aveva bisogno di riunire commissione. Un povero per essere considerato povero doveva dimostrare di non avere una barca! Una follia.
Quindi giudizio sospeso?
Io direi decisamente positivo. Capiremo solo nel tempo tutto gli effetti e tutti i correttivi necessari. È evidente che molti precettori del reddito o della pensione di cittadinanza sono invalidi, persone espulse dai ciclo del lavoro, o anziani. L’argomentazione “ma non ha creato posti di lavoro” in questo caso è demenziale. Il reddito poi, pone il tema di come redistribuire ricchezza. Le Sardine pongono il tema di redistribuire conoscenze e vite. E mentre fai questo arriva qualche genio e ti dice: ma gli studenti al sud già ci vanno!
Servono politiche demografiche per salvare l’Italia?
Anche qui rimango interdetto. Scriviamo decine di saggi per spiegare che è una catastrofe il fatto che l’Italia passi da 60 milioni di abitanti a 59…
Ed è sbagliato?
È un dato vero, ma interpretato male. Una visione da “sovranismo demografico”.
Non ci servono giovani?
Certo che ci servono! Ma bisogna capire che il problema non è l’asilo che funziona. Altrimenti i paesi che hanno il miglior sistema di scolarità primaria — tipo la Svezia — avrebbero tassi di natalità spropositata, e così non è.
L’insicurezza economica scoraggia i giovani dal far figli?
L’insicurezza economica non c’entra nulla. Per restare a 60 milioni di abitanti in Italia ogni donna dovrebbe fare 2,1 figli di media. E il problema è che non li fa se le dai l’asilo o la paghetta. Per fare figli servono famiglie, e oggi in Italia una famiglia dura mediamente otto anni.
Quindi non c’è speranza?
La speranza l’abbiamo davanti agli occhi ma non la vediamo.
Dove?
Oggi, nel flusso dell’emigrazione arrivano molti giovani già formati e già laureati. Ne sono arrivati 98mila con un titolo scolare superiore al diploma!
Non siamo stati in grado di inserirli, però.
Questa è la cosa folle. Bene o male, soprattutto male, li abbiamo accolti. Come Stato, intendo: abbiamo speso, abbiamo investito, e magari adesso stanno a marcire in qualche centro di accoglienza, o magari li abbiamo usati come schiavi per raccogliere pomodori o frutta.
C’è molta amarezza in questa sia considerazione, professore.
Sì, perchè viviamo in un paese folle, irrazionale, preda di leggende e dicerie, che spesso fa tutto il contrario di quello che dovrebbe, perchè si fa considerare da paure e rancore. In questo scenario la proposta della Sardine, come vedi, è molto più di un dettaglio. È un’idea che ribalta un paradigma sbagliato. È una grande opportunità .
(da TPI)
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Febbraio 15th, 2020 Riccardo Fucile
IERI ERA PARI E GIORGETTI AVEVA GIURATO FEDELTA’ ETERNA ALLA UE… ORMAI IL CAPITONE NON SA PIU’ CHE FARE PER FERMARE IL CROLLO DI CONSENSI
“O l’Europa cambia o non ha più senso di esistere. Gli inglesi hanno dimostrato che volere è potere. O si sta dentro cambiando le regole oppure come ha detto un pescatore che ho incontrato ‘ragazzi allora facciamo gli inglesi’. O regole cambiano o è inutile stare in una gabbia che ti strangola”: Matteo Salvini cambia di nuovo idea sull’Europa dopo l’intervista di Giancarlo Giorgetti in cui il numero 2 della Lega chiudeva a qualsiasi ipotesi di uscita dall’euro.
Probabilmente a causa di qualche nervosismo di troppo intercettato all’interno e all’esterno, il Salvini che voleva cambiare l’Europa da dentro torna a minacciare l’uscita “come gli inglesi”, anche se la situazione dell’Italia è molto diversa da quella della Gran Bretagna, che ha sempre mantenuto la sua moneta e quindi aveva meno legami con il Vecchio Continente quando ha deciso per la Brexit.
Salvini paragona cose imparagonabili ma soprattutto continua a mandare messaggi contraddittori sia rispetto alla maggioranza leghista guidata da Giorgetti sia rispetto alla platea di mercato (del voto) degli antieuro, che probabilmente ora sono in confusione dopo le dichiarazioni e le controdichiarazioni di questi giorni (e mesi, e anni).
Venerdì l’ex sottosegretario alla presidenza del consiglio, Giancarlo Giorgetti, spiegando il motivo per il quale Salvini lo ha messo a capo della ‘diplomazia’ della Lega, aveva dichiarato: “L’uscita dall’euro non è più un obiettivo politico del partito”.
“Noi non vogliamo uscire – aveva ribadito Giorgetti – Ma non siamo più i soli a dire che molto deve cambiare”
Ha buon gioco Dario Parrini (Pd): “Parlare di svolta moderata della Lega fa sorridere. Chi ci crede cita interviste come quella di ieri di Giorgetti che dice ‘Fidatevi, resteremo nell’euro, non siamo antieuropeì. Ventiquattro ore dopo, cioè oggi, Salvini dice potremmo fare come gli inglesi e andarcene dall’Europa. Pensare che le persone serie cadano in questo giochino delle parti è un’offesa. È chiaro che la svolta moderata della Lega è solo una barzelletta.”
(da agenzie)
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Febbraio 15th, 2020 Riccardo Fucile
IL BILANCIO DELLA CARITAS AMBROSIANA PER MITIGARE LE CONSEGUENZE DEL DECRETO SICUREZZA
L’umanità contro l’odio al potere. Il vero cristianesimo dell’accoglienza e della vicinanza agli ultimi e a chi soffre come vera risposta rispetto al falso cristianesimo di chi ostenta rosari e crocifissi ma pratica l’odio, la discriminazione e innalza muri.
Una nota della Caritas Ambrosiana fa chiarezza: “In un solo anno, oltre la metà dei migranti ospiti della Caritas Ambrosiana che avrebbe dovuto lasciare i centri di accoglienza in virtù del primo Decreto sicurezza, ha raggiunto l’autonomia grazie alle scelte della Diocesi di Milano. È quanto emerge dal primo bilancio del Progetto a favore degli esclusi dal sostegno pubblico varato dall’ente diocesano per mitigare gli effetti negativi del provvedimento governativo dell’ottobre 2018, poi convertito in legge a dicembre di quell’anno.
Nella sola Diocesi di Milano, hanno potuto beneficiare dall’intervento 77 persone (di cui 29 minori), tutte titolari di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie in carico alle strutture gestite per conto delle Prefetture dalle cooperative sociali della Caritas Ambrosiana e del territorio. Migranti dunque cui lo Stato aveva riconosciuto il diritto a restare sul territorio nazionale ma che avevano perso il diritto all’accoglienza con l’entrata in vigore del decreto voluto dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini all’inizio di ottobre del 2018. Grazie, invece, all’iniziativa della Caritas Ambrosiana tutti gli ospiti hanno potuto proseguire i precorsi di integrazione che avevano intrapreso o iniziarne di nuovi negli stessi centri o in altri del sistema diocesano.
Ad un anno di distanza da questa decisione, su 48 adulti rimasti nelle strutture 20 hanno già trovato un lavoro alcuni in modo autonomo, altri al termine dei corsi di formazione e delle borse lavoro che sono state offerte loro all’interno del progetto.
Inoltre tutti i 14 migranti single ospiti e più della metà delle famiglie (14 su 24) si stanno preparando a lasciare i centri di accoglienza grazie a percorsi di autonomia ben avviati.
«Se avessimo dato seguito alle disposizioni del Decreto sicurezza, queste persone sarebbero oggi molto più deboli, più esposte al ricatto di sfruttatori di ogni risma e probabilmente le avremmo viste in coda ai centri di ascolto delle parrocchie. Con il nostro piccolo gesto, abbiamo dato a loro un’opportunità . E oggi a conti fatti possiamo dire di aver avuto ragione. Sommessamente crediamo che questa piccola storia possa aiutare a far capire più in generale che i soldi per l’integrazione dei migranti, se spesi bene, sono un investimento non un semplice costo», sottolinea Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana.
«Mi piacerebbe che fosse questo il livello del dibattito pubblico — aggiunge Gualzetti facendo riferimento alla circolare emanata dal Viminale nei giorni scorsi con la quale si ridefiniscono i compensi giornalieri per gli enti che si occupano di accoglienza -. Non si può svilire la discussione ad una mera questione di quattrini: il punto sono i servizi che devono essere offerti, perchè è da quelli che dipende l’efficacia dell’intervento. Se lo scopo è l’integrazione, non ci si può limitare a fornire un alloggio. Occorrono corsi di alfabetizzazione, corsi di formazione professionale agganciati al territorio, accompagnamento sociale. Come altri soggetti seri del terzo settore noi abbiamo sempre voluto mantenere questo livello di proposta. Al di sotto del quale non ha senso la nostra collaborazione. Per questa ragione abbiamo già oggi rimodulato il nostro impegno, rivedendo la nostra partecipazione ai bandi pubblici e promuovendo un sistema privato di accoglienza. Valuteremo attentamente le novità introdotte dalla circolare per capire come procedere in futuro».
(da agenzie)
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Febbraio 15th, 2020 Riccardo Fucile
COME AMBASCIATORE DELL’UNICEF HA PARTECIPATO A UNA MISSIONE UMANITARIA, RINUNCIANDO A FARE L’OSPITE AL FESTIVAL DI SANREMO
Ultimo è diventato negli scorsi mesi un ambasciatore dell’Unicef, una decisione accolta con gioia dai suoi milioni di fan. Il cantante è stato scelto dall’organizzazione umanitaria per partecipare ad un viaggio in Mali, ed ha battuto un importante record che non c’entra nulla con i dischi: Niccolò Morriconi, vero nome di Ultimo, è infatti il primo cantante a partecipare ad una missione umanitaria in questo paese.
Nelle scorse ore è diventato virale il video del cantautore romano alla chitarra circondato dai bambini del posto, un atto d’umanità per portare gioia a chi purtroppo ne ha davvero poca. Questo è anche uno dei motivi per cui il cantautore ha rifiutato l’invito di Amadeus ad essere a Sanremo ospite della finale.
Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia si è detto davvero orgoglioso di avere Ultimo nella squadra di ambasciatori del mondo dello spettacolo italiana e che il ragazzo abbia messo tutto se stesso in questa iniziativa:
“Siamo davvero orgogliosi che il cantante e Ambasciatore di Buona Volontà dell’Unicef, è in missione in Mali insieme ad una nostra delegazione guidata dal direttore generale Paolo Rozera. Ultimo sta visitando i progetti in Mali, tra i bambini dei villaggi del paese nei dintorni di Bamako di cui ci occupiamo ogni giorno. Porta con sè la sua chitarra e la sua voce con una forza ed un amore fuori dal comune. Ultimo ha stabilito un record. È il primo cantante, nostro ambasciatore, a visitare un paese africano e il primo a recarsi in Mali a partecipare ad una missione sul campo. La gioia con cui i suoi fans e non solo hanno accolto la notizia di questa missione umanitaria ci rende orgogliosi. Speriamo che la sua missione ci aiuti a supportare sempre più il lavoro dei nostri operatori in quelle zone difficili del pianeta e che squarci il velo di indifferenza nei confronti di bambini che purtroppo sono nati in zone dove lottare contro malattie per noi prevedibili o curabili rappresenta la quotidianità . Insomma è un grande messaggio d’amore che arriva proprio nel giorno di San Valentino”
Lo stesso Ultimo di ritorno dal viaggio in Africa ha postato sui suoi social un messaggio pieno d’amore per i popoli che ha visitato, ricordando come i veri eroi sono quei volontari che ogni giorno hanno deciso di dedicare la loro vita a far stare bene qualcun altro:
“Torno a Roma col cuore pieno d’amore. Non mi sento nè un eroe nè di avere un cuore grande… semplicemente mi sento bene. Odio la retorica e il finto buonismo. Sono venuto qui per cercare di aiutare chi non ha la possibilità neanche di bere acqua, di mangiare, di studiare, di vivere. Gli eroi sono le persone che ho conosciuto in questo posto tanto bello quanto dimenticato dall’uomo. Gli eroi sono tutti i collaboratori Unicef che vivono qui e donano la loro intera vita a queste realtà . Dovremmo imparare molto dalla loro umanità . Attenzione io odio chi vuole fare la morale su come comportarsi e vivere, quindi non voglio condannare nessuno, non sono nessuno per farlo. Ognuno nella sua vita sceglie che ruolo avere e con le scelte che si fanno bisogna saperci convivere, e penso che l’unico modo per svegliarsi bene con se stessi sia quello di aver fatto il giorno prima delle scelte in armonia con se stessi. Peace out”.
(da agenzie)
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Febbraio 15th, 2020 Riccardo Fucile
MANCA IL 33%: POCHI CANDIDATI O SCARSA PREPARAZIONE… QUESTI I MESTIERI PIU’ RICERCATI E DOVE
I nuovi posti di lavoro ci sono, ma mancano le persone da assumere. E i motivi sono, in parte la mancanza di candidati, in parte il fatto che a presentarsi sono persone non abbastanza qualificate. Un quadro che sta creando non poche difficoltà agli imprenditori, in particolar modo nel Nord Est.
La situazione emerge da un’elaborazione effettuata dall’Ufficio studi della Cgia, secondo la quale manca all’appello addirittura il 32,8% delle assunzioni previste.
Su poco meno di 500 mila assunzioni previste a gennaio, il 32,8% degli imprenditori intervistati, evidenzia l’elaborazione condotta sui risultati di un’indagine Unioncamere-Anpal, ha segnalato che probabilmente troverà molte difficoltà a “coprire” questi posti di lavoro (poco più di 151.300), il 15,7% a causa della mancanza di candidati e il 13,8% per la scarsa preparazione.
Il problema, spiega il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo, è che “l’offerta di lavoro si sta polarizzando: da un lato gli imprenditori cercano sempre più personale altamente qualificato, dall’altro figure caratterizzate da bassi livelli di competenze e specializzazione”.
Se per i primi le difficoltà di reperimento sono “strutturali”, a causa anche dello scollamento che in alcune aree del Paese si è creato tra la scuola e il mondo del lavoro, prosegue Zabeo, “i secondi invece sono profili che spesso i nostri giovani rifiutano, e solo in parte vengono coperti dagli stranieri”.
A livello provinciale le situazioni più problematiche emergono a Nordest: nella provincia di Gorizia il personale di difficile reperimento incide per il 48,1% sulle assunzioni previste, a Trieste il 45,5%, a Vicenza il 44,6%, a Pordenone il 44,2%, a Reggio Emilia il 42,7%, a Treviso il 42,3% e a Piacenza il 40,5%.
Tra le figure professionali che scarseggiano di più al Nord vi sono i tecnici informatici, gli addetti alla vendita e gli esperti in marketing, i progettisti, gli ingegneri, i cuochi, i camerieri, gli operai metalmeccanici ed elettromeccanici.
Ma anche al Sud la percentuale media di difficile reperimento è comunque notevole, pari al 27,5%, con punte del 35,7% a Chieti, del 34,4% a Teramo, del 32,5% a Siracusa, del 32,2% a Potenza, del 31,7% a Taranto, del 31,6% a L’Aquila e del 30,6% a Cagliari.
Al sud, le professioni di più difficile reperimento, sono cuochi, camerieri, altre professioni dei servizi turistici e, in particolar modo, conduttori di mezzi di trasporto, ovvero gli autotrasportatori.
(da “Huffingtonpost”)
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