Febbraio 1st, 2020 Riccardo Fucile
NON SEMPRE I CONIGLI POSSONO SOTTRARSI AI PROCESSI
Due accuse per sequestro di persone. Due potenziali processi da semplice cittadino senza l’ombrello ministeriale.
Bocciata la spallata, bocciata la strategia del citofono, bocciata la speculazione sui bambini di Bibbiano, eccolo allora sempre più solo, sempre più sconfitto, ma soprattutto con un’altra grana giudiziaria da affrontare nel corso della lunghissima traversata nel deserto.
E con i suoi che per la prima volta escono allo scoperto ostentando una preoccupazione che fin qui non si era mai registrata. “Ci mancava solo l’Open Arms. Adesso si complica tutto”, avverte un pezzo da novanta del leghismo.
La seconda tegola che grava sul leader della Lega rimanda all’agosto scorso quando 164 migranti rimasero per 19 giorni a bordo della Open Arms alle coste di Lampedusa. Anche questa volta i magistrati gli contestano in qualità di ministro dell’Interno non solo la permanenza in mare subita dagli immigrati ma anche il fatto di aver ignorato l’emergenza sanitaria a bordo e di avere vietato lo sbarco.
Il tribunale dei ministri di Palermo ha chiuso la sua indagine con dieci giorni di anticipo chiedendo alla Procura di Palermo di avanzare una richiesta di autorizzazione nei confronti del leader della Lega. Si ritiene che la decisione presa nella sua veste di ministro riguardò la sfera amministrativa e non quella politica e di conseguenza non sarà coperta da immunità .
Gregoretti e Open Arms sono due casi simili: l’iter del primo è in uno stadio più avanzato ed è stato agevolato dall’harakiri mediatico-propagandistico di Salvini che per strumentalizzare la campagna elettorale emilian-romagnalo ha chiesto ai leghisti in Giunta per l’Immunità del Senato di votare a favore l’autorizzazione a procedere.
“Un suicidio”, sussurrava a bassa voce in quei giorni un senatore del fu Carroccio. Sempre in quegli attimi un altissimo consigliere del Capitano gli suggeriva di non seguire la via del processo, ma che sarebbe stata preferibile una strategia parlamentare per affossare il processo: “Meglio un tumore che un processo. Lavora su Renzi e i grillini dubbiosi”. Non a caso la propaganda sul caso Gregoretti ad oggi gli ha portato “zeru tituli”, leggi alla voce Emilia Romagna.
L’iter del caso Open Arms è tutto da capire. Si partirà dalla Giunta per l’Immunità che detterà tempi e modi: prima una data convocazione, poi studierà le carte, fino a quando le metterà ai voti.
Il tutto si intreccerà con il completamento del caso Gregoretti che entro metà febbraio dovrà essere sottoposto al giudizio dell’emiciclo di Palazzo Madama.
Salvini è convinto anche in questo caso di sbandierare il processo per rimpolpare il consenso elettorale. Si mostra baldanzoso e ostenta certezze che sa di non di non avere. La sua è una sorta di dissimulazione tattica
Eccone la dimostrazione. Sentite cosa ha detto oggi pomeriggio in una delle tante dirette facebook: “Il giudizio del popolo non sono due giudici. Sono processi politici che non mi spaventano, anzi mi danno ancora più voglia di lavorare”.
Parole che non sono garbate al pezzo di Lega più pragmatica, quella che riporta ad alcuni dirigenti che fanno riferimento al mondo più moderato del Carroccio.
Ecco, questi dirigenti sono spaventati e preoccupati per i due potenziali processi che gravano sulle spalle del loro leader. Non solo non utilizzano la stessa narrazione, “processare me significare processare gli elettori italiani”, ma sospirano frasi del tipo: “A questo punto la vicenda si complica, perchè se lo mandano a processo per il primo lo manderanno anche per il secondo. E due processi con accuse pesantissime non si possono affrontare con la solita strategia mediatica”.
La preoccupazione è diffusa a via Bellerio. Si tratta di un allarme che oggi pomeriggio è stato oggetto di alcune chat di parlamentari, consapevoli che continuando di questo passo non si va da nessuna parte. “L’Europa continuerà ad isolarci, altro che cordone sanitario, si ergerà un muro attorno alla Lega”.
E allora altro che spallata al governo.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 1st, 2020 Riccardo Fucile
IL COMPLOTTO DELL’AUDITEL: LA MELONI HA AVUTO PIU’ SPETTATORI DI LUI E SALVINI VA IN CRISI
Nella sua diretta di oggi su Facebook dove ha parlato dell’accusa di sequestro di persona per Open Arms, Matteo Salvini è andato all’attacco di Urbano Cairo e di La7 definendo la rete televisiva un megafono del Partito Democratico e lamentandosi perchè i conduttori, a suo dire, mettono sotto accusa il Capitano. Il nervosismo è derivato da due fattori, principalmente.
Il primo è la bella figura fatta da Nicola Lodi detto Naomo nel servizio di Alessio Lasta, dove si è raccontato delle condanne ricevute dall’attuale vicesindaco di Ferrara e soprattutto del suo pass disabili: Fausto Bertoncelli, ex responsabile dell’ufficio disabili del Comune ha raccontato: “Ha un pass a seguito di un incidente con schiacciamento delle vertebre. In un certificato medico gli riconoscono una disabilità al 46% ma quando la tua deambulazione torna normale lo devi restituire, invece ce l’ha ancora. Quel certificato non dà titolo ad avere il pass per disabili”.
Il servizio de La7 ha infatti mostrato video in cui si vede Naomo sollevare tavoli e porte di legno, prendere una slitta per documentare l’assenza di sale per le strade dopo una nevicata e correre. La casella del certificato barrata è la numero 2, che riguarda la riduzione della capacità lavorativa e non quella di deambulare. “Non tutti quelli che camminano non possono ottenere un pass degli invalidi”, ha detto Naomo in una conferenza stampa. “Avrà avuto un contrassegno temporaneo, ma anche quello che fa scattare dal temporaneo al definitivo”, ha detto ancora Bertoncelli. Poi si vede anche un video in cui corre durante una manifestazione e un altro in cui va in bicicletta con una mano mentre nell’altra ha un megafono.
Il secondo motivo del nervosismo di Matteo Salvini è invece l’Auditel.
Stamattina Dagospia ha scritto che il Capitano ha perso la sfida dell’audience con Giorgia Meloni visto che il programma dove era ospite la leader di Fratelli d’Italia ha ottenuto dalle 21:51 alle 22.21 un ascolto di 5,89% di share e 1.554.000 spettatori. In contemporanea hanno guardato Matteo Salvini Salvini a Fuori dal Coro su Rete4 (dalle 21:50 alle 22:21) 1.414.000 spettatori pari a 5,37% di share. E dov’era Giorgia Meloni? Ma su La7, ovviamente. Ovvero a DiMartedì, ospite di Giovanni Floris.
E Salvini era talmente sereno che ha accusato i giudici di aver ordito un complotto ai suoi danni: “Andrò in quel tribunale e ci andrò in compagnia di tanti italiani e avvocati e a nome di tanti giudici che fanno onestamente, liberamente, obiettivamente il loro lavoro. Qualcuno fa politica, qualcuno usa le aule del tribunale per cercare la vittoria negata dal popolo italiano”.
E infine anche Sanremo: “Se devo guardare con mio figlio o magari con mia figlia di 7 anni Sanremo con uno che parla nei suoi testi di troie… non in mio nome, non e’ il mio Sanremo. Guardatevelo voi”.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 1st, 2020 Riccardo Fucile
IL BUONGIORNO CON BRIOCHES E’ LO STESSO DI QUELLO PUBBLICATO L’8 GENNAIO… E STASERA LA BORGONZONI DIRA’ CHE NON PUO’ MANTENERE LA PROMESSA DI CAPEGGIARE L’OPPOSIZIONE IN REGIONE PERCHE’ SALVINI LA RITIENE INDISPENSABILE A ROMA
Che nessuno pensi che l’antica arte del social media managing sia un modo per coglionare la gente, per carità . Però è piuttosto divertente il caso di questa foto postata qualche ora fa da Lucia Borgonzoni su Twitter in cui la senatrice ed ex candidata alla Regione Emilia Romagna per la Lega stringe un dolce per augurare ai suoi followers “un dolce buongiorno”.
Si dà infatti il caso, come è stato notato del resto sul social network dall’utente @wirko94, che questa sia la stessa identica foto utilizzata durante la campagna elettorale, e precisamente l’8 gennaio 2020, quando la Borgonzoni si dava “un’iniezione di energia” con tanto di faccina prima di ripartire in direzione Castenaso in provincia di Bologna.
Intanto stasera è in programma un appuntamento a Vignola insieme al Capitano Matteo Salvini “per ringraziarvi, ad uno ad uno, per la fiducia che avete dato al progetto della Lega. Avanti tutta, a testa alta, con passione, determinazione e umiltà ”.
Nell’occasione il Dinamico Duo ha promesso di sciogliere la riserva sul prossimo ruolo della Lucia, che è stata eletta consigliera regionale ma ha un seggio in Senato e deve scegliere vista l’incompatibilità dei ruoli.
Borgonzoni ha letteratamente promesso che qualora avesse perso le elezioni si sarebbe dimessa da senatrice per continuare a fare il capo dell’opposizione in Consiglio Regionale. Avrebbe potuto dimettersi anche subito dopo aver fatto quella promessa visto e considerato che entrambi gli esiti possibili del voto le avrebbero imposto di rinunciare al seggio al Senato. Ma non lo ha fatto.
Per questo alcuni maliziosi — come noi, ad esempio — pensano che alla fine Borgonzoni tornerà in Senato con Salvini che probabilmente si assumerà la responsabilità della decisione, incitando all’insostituibilità della Lucia all’interno della strepitosa strategia politica del Capitano.
Ma magari lei è pronta a stupirci davvero, stavolta. Attendiamo fiduciosi.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 1st, 2020 Riccardo Fucile
BLOCCATI UN PAIO DI GIORNALISTI PRIMA CHE SI METTESSERO LE MANI ADDOSSO… IL TG SOVRANISTA HA AVUTO UN CROLLO DI ASCOLTI E I SALVINIANI SONO NERVOSI
Ieri abbiamo raccontato dell’assemblea interna del Tg2 finita in rivolta a causa dei risultati sempre più deludenti negli ascolti e dello spostamento troppo netto del telegiornale sull’asse leghista. Oggi Il Fatto Quotidiano dettaglia meglio i termini dello scontro in un divertentissimo articolo a firma di Gianluca Roselli:
“E tu chi ca…sei?”. “Ora ti rompo il c…”.“Ti aspetto fuori…”. Non siamo al bar dello sport ma all’assemblea di redazione del Tg2 andata in scena giovedì per quasi 8 ore. Una lunghissima riunione dove sono deflagrate tutte le perplessità di una parte consistente (ma non maggioritaria) della redazione nei confronti della linea sovranista imposta dal direttore Gennaro Sangiuliano che, a loro dire, è anche causa del preoccupante calo di ascolti sia nell’edizione delle 13, la più importante, che in quella delle 20.30.
Le critiche però non sono state prese per niente bene da quella parte della redazione che sta dalla parte del direttore nominato in quota Lega. E così sono andati in scena insulti, urla e minacce. Fino alla rissa quasi sfiorata,con il giornalista Roberto Taglialegna che si è scagliato contro il segretario dell’Usigrai Vittorio Di Trapani.
Per fermare il caporedattore del Tg2 sono dovuti intervenire un paio di colleghi. Ma Di Trapani era stato pesantemente insultato anche poco prima da Mario Scelba, omonimo e nipote del ministro democristiano, anch’egli caporedattore del telegiornale.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 1st, 2020 Riccardo Fucile
LEI REPLICA: “NON CAPISCO PERCHE’ NON POSSO FARE QUELLO IL M5S STA FACENDO A LIVELLO NAZIONALE”… ALLORA IL PRESTANOME DI DI MAIO FACCIA DIMETTERE ANCHE IL BECCHINO DEL M5S DA MINISTRO DEGLI ESTERI VISTO CHE LO E’ DIVENTATO GRAZIE A UN ACCORDO CON IL PD
Matteo Ricci, sindaco del Pd di Pesaro, apre le porte della sua giunta ai Cinque Stelle. “Ho chiesto a Francesca Frenquellucci, capogruppo del Movimento 5 stelle, di entrare in giunta comunale come assessore all’Innovazione”, dice il primo cittadino pesarese, presidente di Ali- Autonomie locali italiane. Ad ottobre scorso, Ricci aveva già aperto alla collaborazione con i grillini, affidando alla stessa Frenquellucci i rapporti con l’Università .
Ma la risposta del reggente del M5s è esilarante. “Se è vero, esca dal Movimento”. A quanto si apprende, Vito Crimi ha inviato una lettera a Frenquellucci, rappresentandole come l’ingresso in una giunta non a guida M5S sia incompatibile con la permanenza all’interno del Movimento. Qualora l’accettazione di tale incarico corrisponda al vero, il capo politico ha chiesto all’interessata di comunicare immediatamente se intenda autosospendersi. In ogni caso, la sua posizione sarà posta al vaglio del collegio dei probiviri.
Poco dopo arriva la replica di Frenquellucci: “Dimettermi, autosospendermi? E perchè? Non capisco perchè non posso fare quello che M5s sta facendo ai tavoli nazionali. Comunque, non ho ancora deciso”.
“In questi mesi – spiega ora Ricci – abbiamo avviato una collaborazione utilissima alla città e sull’Università abbiamo portato a casa insieme un risultato straordinario. Il corso di laurea in Ingegneria dell’informazione, dell’Università politecnica delle Marche, è infatti una risposta concreta alle esigenze delle nostre imprese con ottime prospettive occupazionali per i giovani. Abbiamo inoltre collaborato bene in Consiglio comunale sul bilancio partecipato, sulla sicurezza, e tanto altro ancora”.
“In questi mesi – continua il sindaco dem di Pesaro – ho apprezzato molto inoltre le caratteristiche e l’impegno di Francesca, molto appassionata e determinata a dare un contributo concreto al miglioramento della città “. “Come assessore all’innovazione – sottolinea Ricci – potrebbe seguire le attività economiche, i servizi demografici, le reti informatiche e la città digitale, democrazia diretta, università . Tutte tematiche care storicamente al movimento di appartenenza. Credo che possiamo essere il primo comune in italia – conclude il sindaco dem – a creare una collaborazione di questo tipo; del resto siamo forti della coerenza del percorso che abbiamo fatto insieme e dei risultati ottenuti in così poco tempo. Nelle condizioni politiche nazionali e cittadine che si sono create, l’ingresso in giunta di Francesca mi sembra la naturale conseguenza”.
La stessa Frenquellucci aveva ringraziato su Facebook il sindaco, sottolineando come la richiesta di Ricci nascesse “dal lavoro svolto nell’ambito del laboratorio politico che è stato messo in atto qui a Pesaro cinque mesi fa”.
La decisione di Ricci potrebbe aprire interessanti prospettive di un accordo politico anche per le elezioni regionali della prossima primavera. Sebbene la frenata di Crimi metta in dubbio questa possibilità .
(da agenzie)
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Febbraio 1st, 2020 Riccardo Fucile
IL GIORNALISTA POTREBBE METTERE D’ACCORDO PD E M5S, MA I GRILLINI PREFERISCONO IL SUICIDIO IN SOLITARIA E FARE UN FAVORE AI SOVRANISTI
In Liguria in queste ore, c’è un cruciale test di sopravvivenza del nuovo centrosinistra, e — in contemporanea — si svolge un test intellettivo sulle capacità di comprensione politica dell’ala ortodossa del M5s.
In Liguria fino a lunedì il risultato elettorale era già scritto: da un lato il centrodestra unito, dall’altro i giallorossi divisi. Da un lato il Pd, dall’altro l’aspirante candidata grillina, Alice Salvatore. Una partita senza storia, sconfitta sicura.
Poi è arrivato l’elettrochoc dell’Emilia Romagna. La lezione severissima per il M5s — che ha perso un voto su due — e il segnale forte per il centrosinistra, che è riuscito a vincere dopo una campagna elettorale durissima, guidata in prima persona da Matteo Salvini. Così a Genova — nella società civile — sull’onda di questa lezione qualcosa si muove.
A partire da “Megu”, alias Domenico Chionetti l’erede di Don Gallo, il coordinatore della prestigiosa comunità di San Benedetto al Porto. Megu e altri pontieri — nel ruolo provvidenziale di Sardine ispiratrici — si mettono al lavoro per trovare un candidato comune che aiuti una coalizione comune a colmare il fossato tra i gialli e i rossi.
Questi esponenti della società civile anche il nome ideale per fare da ponte: quello di Ferruccio Sansa, firma di punta de Il Fatto Quotidiano, inchiestista di razza che si è fatto le ossa raccontando della speculazione edilizia, dei crimini ambientali e del malaffare in Liguria.
Sansa conosce il territorio palmo a palmo, sa districarsi tra affari e delibere. Quale presidente migliore per rappresentare una alternativa? La penna del giornalista, per anni, è stata il pungolo del vecchio centrosinistra di governo ligure, la bestia nera della giunta Burlando.
Ferruccio è — tra le altre cose — figlio di Adriano, ex magistrato integerrimo, sindaco di Genova che dopo essere stato eletto una prima volta trionfalmente, perse al secondo mandato per non essere venuto a patti con l’ala più governista dell’ex Pds.
Da sempre è amico di Beppe Grillo — anche se una una volta ci ha litigato -, da anni è considerato un riferimento dagli attivisti liguri pentastellati.
Ma il paradosso di oggi, invece, è che questa candidatura, dopo la grande paura dell’Emilia Romagna, è benedetta dal nuovo Pd di Nicola Zingaretti, interessato al dialogo con i movimenti e desideroso di cementare anche a livello locale l’alleanza giallorossa, ma combattuto da un pezzo di M5s.
Quale? Quello che fa capo alla consigliera uscente Alice Salvatore, ex candidata (sconfitta) nella tornata precedente, auto-candidata a sfidante di Toti.
In mezzo c’è il solito caos decisionale pentastellato: i parlamentari divisi, il “facilitatore” Danilo Toninelli che non si è ancora pronunciato e — dicono — sarebbe anche lui tentato dalla via “autonomista”, nè con la destra nè con la sinistra.
E così la Salvatore promette battaglia e lancia i suoi proclami: “Gli attivisti hanno già votato! La consultazione su Rousseau ha già deciso che correremo da soli!”.
E ancora: “Quelle che parlano di una alleanza con il centrosinistra sono voci infondate. Gli iscritti alla piattaforma hanno già deciso e hanno scelto di avere un candidato presidente del Movimento 5 Stelle. E infatti io sono qui. Non ho nessuna intenzione — conclude la consigliera grillina — di fare passi indietro”.
Geniale: preferisce perdere da sola, piuttosto che far vincere il suo movimento con un candidato che da sempre è vicino alla sue battaglie.
In realtà è ovvio che, di fronte ad una nuova prospettiva, la piattaforma Rousseau potrebbe essere consultata di nuovo. Se non altro per evitare una disfatta annunciata, con Giovanni Toti che ovviamente in questo momento gode: è il governatore uscente, ha dietro di sè una coalizione unita e la benedizione di Matteo Salvini.
Se si dovesse trovare di fronte due schieramenti con un candidato del Pd ed uno del M5s divisi vincerebbe a mani basse.
Il dibattito che si sta verificando in Liguria, dunque, è la perfetta cartina di tornasole di quello che si sta verificando a livello nazionale.
Tra maggio e giugno — basta questa sintesi per capire le sfide che si profilano — oltre che a Genova si voterà per il rinnovo del Consiglio regionale in Campania (candidati possibili ma — come vedremo — non ancora certi: Stefano Caldoro e Vincenzo De Luca), nelle Marche (dove Giorgia Meloni sta spingendo il “suo” Francesco Acquaroli alla guida di tutta la coalizione e il centrosinistra ha l’uscente Luca Ceriscioli, ex sindaco di Pesaro), in Puglia (dove ritorna Raffaele Fitto, destinato a scontrarsi con Michele Emiliano), in Toscana (dove per il centrosinistra sembra fatta per Eugenio Giani, mentre Salvini vorrebbe la sua Susanna Ceccardi).
Ma non basta: nel 2020 voteranno anche i cittadini di Napoli, Roma e Terni (per le elezioni suppletive di Camera e Senato).
Sempre quest’anno — per di più — si voterà per eleggere i sindaci di molte città rappresentative come Aosta, Arezzo, Reggio Calabria, Trento e Venezia. In questo caso la data possibile dovrebbe cadere tra il 15 aprile e il 15.
Si tratta di un folle sudoku della politica fatto di veti incrociati, do ut des tra partiti, contrattazioni strenue fini all’ultima poltrona.
La grande rincorsa di Matteo Salvini per conquistare il governo parte da qui. Sarà interessante capire se la vocazione suicida della Salvatore, e la tentazione di un pezzo del M5s di correre ancora una volta da solo (con gli effetti autolesionistici che abbiamo visto in Emilia Romagna) prevarrà sul buonsenso, o passerà la mano, rendendo contendibile la sfida a Salvini e ai suoi alleati.
Lorenzo Tosa
(da TPI)
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Febbraio 1st, 2020 Riccardo Fucile
SI RISCHIA DI PERDERE OLTRE DUE MILIONI DI TURISTI
Per quanto riguarda il problema delle disdette e delle cancellazioni dovute allo stop dei voli e alle restrizioni per limitare il diffondersi del coronavirus il presidente di Federalberghi Bernabò Bocca è molto netto: “I conti sono presto fatti: ci basiamo sullo scorso anno quando in Italia abbiamo toccato i 4 milioni e mezzo di arrivi dal mercato cinese. A febbraio l’anno scorso era 450-500 mila arrivi. E quest’anno zero! Non c’è un calo, è zero e basta.
Il presidente di Federalbergi aggiunge: “E riteniamo che almeno nel primo semestre di quest’anno il mercato cinese sarà off limits”.
“Sottolineiamo però – prosegue Bocca – che non stiamo registrando rallentamenti sui paesi limitrofi alla Cina. Da Taiwan o dalla Corea la gente continua a viaggiare tranquillamente. Al momento è quindi un calo circoscritto, certo su certe destinazioni è un calo pesante perchè in questo periodo c’era il Capodanno cinese, periodo in cui i cinesi viaggiavano e spendevano, e l’Italia è in cima ai loro desiderata”.
Mit propone di riaprire il traffico ai cargo dalla Cina. Riaprire il traffico alle merci e quindi al trasporto cargo dalla Cina. Lo sta proponendo al tavolo del Comitato operativo presieduto dal capo della Protezione Civile Angelo Borrelli, il ministero dei Trasporti.
È quanto risulta all’agenzia di stampa Ansa. “Poichè è accertato che le merci, cioè il materiale inerte non è contaminabile, nè contaminato, si potrebbe riavviare il traffico cargo dalla Cina. Fatti salvi i controlli sanitari per gli equipaggi, non sembra sia necessario tenere bloccate le merci” è il ragionamento del dicastero di Porta Pia.
Al momento l’Italia è l’unico paese dell’Europa ad aver chiuso il proprio traffico aereo dalla Cina, questo pone il problema dei passeggeri che da lì possono comunque arrivare in Italia attraverso altri scali europei.
Fra i problemi che si stanno esaminando, un tema sensibile è il trattamento degli italiani ancora in Cina che vorrebbero tornare a casa e di quelli che invece vorrebbero poter andare in Cina.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 1st, 2020 Riccardo Fucile
L’ECONOMISTA CANEGRATI: “LA GRAN BRETAGNA AVRA’ UN DANNO DI 200 MILIARDI DI STERLINE”
Quanto costa la Brexit, o per meglio dire, quanto potrà costare, è una domanda alla quale non è semplice rispondere. In fondo, che percorso prenderanno Ue e Regno Unito, appare prematuro addirittura pensarlo.
Ad ogni modo, appare ipocrita, quantomeno stando all’apparenza, negare che fra le due parti appare la Gran Bretagna quella più debole che ci perderà .
Per tale motivo, possiamo partire dal capire cosa sia il Regno Unito, paese che ha scelto di abbandonare l’Ue, nello scacchiere mondiale e cosa ci indicano le spie del suo “cruscotto economico”.
È la quinta economia mondiale, ha una disoccupazione bassissima, al di sotto del 4 per cento e ha chiuso il 2019 con una crescita intorno all’1 per cento, che non è male ai tempi della “stagnazione secolare”, come qualche economista da tempo chiama l’era della crescita fiacca.
Il Regno Unito è un paese importatore, ossia importa più di quanto esporta. L’unico settore dove ha un surplus commerciale è quello dei servizi, ma nel totale le importazioni di beni rendono la bilancia in negativo.
A conti fatti, nel 2018, dai dati delle dogane la Gran Bretagna esporta per il 45 per cento nell’Unione Europea, mentre importa da essa per circa il 53 per cento.
I paesi “esportatori” più colpiti sarebbero senz’altro quelli più vicini. Belgio, Irlanda, Olanda, la Francia e chiaramente la Germania, paese esportatore per eccellenza.
Il Regno Unito basa quasi completamente la sua forza sui servizi, da cui dipende circa l’80 per cento della sua economia. Fra i servizi, chiaramente, il gioiello di famiglia (non reale) è l’industria finanziaria. Una macchina in grado di macinare numeri da capogiro.
La sola industria finanziaria genera circa il 7 per cento del Pil e contribuisce per la casse statali per circa il 12 per cento. Ogni 100 sterline che lo Stato incassa, per intenderci, 12 vengono dalla finanza.
Quando però si parla di scenari economici, di prospettive e possibili nuovi orizzonti per il dopo Brexit, bisogna assolutamente andarci piano, ma, è lecito e comprensibile, che delle supposizioni si possono sicuramente fare.
Una delle più autorevoli e recenti è sicuramente quella effettuata dal team di Bloomberg Economics, secondo i quali il “danno” del voto britannico ha già raggiunto i 130 miliardi di sterline, con la possibilità di aggiungerci sopra altri 70 miliardi di sterline entro la fine del 2020.
L’analisi — condotta dall’economista Dan Hanson — ha rilevato che l’incertezza commerciale avrebbe causato un freno della crescita economica del Regno Unito rispetto a quella di altri paesi del G7 a partire dal voto del 2016.
Ciò significa che l’economia britannica — secondo tale proiezione — sarebbe del 3 per cento minore rispetto a quanto sarebbe potuta essere se il Regno Unito avesse scelto di continuare a fare parte dell’Unione Europea nel giugno del 2016.
È probabile, quindi, a conti fatti, che la Brexit arrivi a costare al Regno Unito oltre 200 miliardi di sterline per la mancata crescita economica.
Tale cifra sarebbe incommensurabilmente maggiore di quanto il Regno Unito ha pagato al bilancio dell’Unione europea negli ultimi 47 anni di condominio con Bruxelles. Chiaramente il pagamento è valutato in termini di quota annuale.
Insomma, detta in soldoni, il costo delle rate per appartenere al “club” sarebbe già stato eclissato dalla mancanza di Prodotto Interno Lordo, da cui, chiaramente, va a pescare il gettito fiscale.
La fiducia di chi ci mette il denaro, ossia gli investimenti delle imprese, sono diminuiti e la crescita economica su base annua è calata a circa l’1% dal 2% del pre-referendum.
Inoltre, la stima della House of Commons Library ci dice che il contributo totale previsto del Regno Unito al bilancio dell’Ue dal 1973 al 2020 ammonti a circa 215 miliardi di sterline, chiaramente dopo essere stato adeguato per l’inflazione.
Ma sono stime, e come tali vano trattate.
Emanuele Canegrati è il Senior Analyst per il broker londinese BP Prime. Uno che la City, per intenderci, la conosce bene. L’ economista, da sempre attento agli scenari internazionali e i loro possibili impatti economici, ha espresso una sua valutazione.
“L’ uscita del Regno Unito dall’Unione Europea comporterà effetti collaterali per entrambe le parti, come sempre quando da un mercato aperto si torna all’istituzione di barriere e vincoli di ogni tipo. Ad avere effetti più negativi dovrebbe essere Londra, dal momento che si presenta alle trattative con minor potere contrattuale, considerando banalmente le dimensioni delle due macroaree contendenti”.
Canegrati si è soffermato poi su un importante aspetto, riguardante il fiore all’occhiello dell’economia britannica.
“Per Angela Merkel ed Emmanuel Macron — continua l’analista — l’opportunità di sottrarre alla City di Londra parte dei 205 miliardi di sterline annui ai quali ammonta il valore della domanda degli europei di servizi finanziari nel Regno Unito è troppo ghiotta. Portare a Francoforte o Parigi quei servizi rappresenta un motivo finanziario, economico e politico da non lasciarsi scappare”, ha sottolineato l’economista.
“Per questo motivo, prevedo trattative dure su questioni come i passport rights finanziari, considerando che la finanza vale il 7 per cento del Pil e circa il 12 per cento del gettito fiscale britannico. Questo potrebbe trasformarsi, appunto, in maggior Pil e maggiori entrate per i paesi verso i quali potrebbero dirigersi molte società finanziarie per continuare ad operare nel mercato europeo”, sottolinea l’accademico.
“Vedo comunque assai improbabile — sottolinea comunque il Prof. Canegrati — un Brexodus finanziario di massa. La City di Londra, d’altronde, rappresenta un unicum dal punto di vista delle caratteristiche di mercato del lavoro e dei capitali, che difficilmente può essere replicato in un’altra città europea”.
L’economista conclude poi evidenziando come la Sterlina Britannica — la terza valuta su base mondiale — possa occupare una parte importante della scena già a partire dall’ immediato nelle imminenti trattative.
“Vedo invece un 2020 dove la sterlina potrebbe deprezzarsi nei confronti di euro e dollaro, scontando le inevitabili tensioni e ripercussioni economiche che le trattative tra Londra e Bruxelles provocheranno” ha concluso Canegrati.
Trattative in partenza ufficialmente a marzo e da terminare entro il 2020, secondo i piani del Premier Boris Johnson.
Impresa ardua con il tempo che appare insufficiente, come del resto dall’Unione europea hanno fatto sapere senza tanti giri di parole, mettendo in conto la possibilità di ulteriori estensioni del periodo di transizione.
Sarà sicuramente una storia ancora lunga quella della Brexit, e di questo, stime a parte, ne siamo sicuri.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 1st, 2020 Riccardo Fucile
IL TRIBUNALE DEI MINISTRI DI PALERMO CHIEDE L’AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE AL PARLAMENTO PER LA OPEN ARMS: “IL DECRETO SICUREZZA NON SI APPLICA A NAVI CHE SOCCORRONO NAUFRAGHI”… PATRONAGGIO INCHIODA SALVINI IN 110 PAGINE
Il decreto sicurezza bis non può essere applicato a navi che soccorrono naufraghi perchè “il socorso in mare è obbligatorio”. E’ la motivazione principale con cui il tribunale dei ministri di Palermo chiede al Senato una nuova autorizzazione a procedere per Matteo Salvini per il caso Open Arms.
Una richiesta corposa, 110 pagine, la vera inchiesta per sequestro di persona, condotta per tutta l’estate dalla Procura di Agrigento guidata da Luigi Patronaggio e passata per competenza a Palermo a novembre quando i pm agrigentini hanno deciso di iscrivere nel registro degli indagati il nome dell’ex ministro dell’Interno per aver trattenuto a bordo della Open Arms davanti Lampedusa per venti giorni 164 migranti poi fatti scendere su ordine del procuratore di Agrigento.
Con un mese di anticipo rispetto ai tempi a disposizione, il tribunale dei ministri di Palermo ha chiuso la sua indagine chiedendo alla Procura di Palermo di avanzare una nuova richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini.
Ritenendo che le decisioni prese nella sua veste di ministro in quella circostanza riguardarono la sfera amministrativa e non quella politica e dunque non sono coperte da immunità
La comunicazione è arrivata in Senato ed è stata trasmessa all’ex ministro. I reati contestati sono sequestro di persona e omissione di atti d’ufficio: la richiesta è relativa a un soccorso della Open Arms che Salvini ha bloccato a cavallo di Ferragosto. Indagato, insieme a Salvini, anche il capo di gabinetto del Viminale Matteo Piantedosi.
Il 12 febbraio è atteso il voto dell’aula del Senato sull’altra richiesta di autorizzazione che pende sulla sua testa, quella per il caso Gregoretti su cui la giunta ha già dato l’ok al processo.
Il caso Open Arms fu uno dei più drammatici dell’era Salvini al Viminale, con i migranti salvati in zona Sar libica costretti a rimanere a bordo del vecchio rimorchiatore spagnolo in condizioni di assoluta emergenza come verificarono anche le ispezioni condotte dai medici della Sanità marittima.
Dopo diversi giorni alcuni migranti tentarono anche la fuga verso Lampedusa gettandosi a nuovo verso le coste dell’isola ma furono ripresi dai volontari della Ong.
A bordo della nave, per sollecitarne l’approdo, salì anche l’attore Richard Gere arrivato dalla Toscana, dove era in vacanza, per venire a portare la sua solidarietà ai migranti.
(da agenzie)
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