Marzo 30th, 2020 Riccardo Fucile
UNA SCELTA INFELICE DI SQUALLIDA PROPAGANDA POLITICA
Una card per social network con Luigi Di Maio sorridente, mentre stringe la mano al presidente del
Consiglio Giuseppe Conte.
Poi, l’annuncio: «Emergenza coronavirus: 322.831 euro ai cittadini in difficoltà di Pomigliano per il bonus spesa».
Quindi l’idea che questo post su Facebook (sulla pagina Facebook del Movimento 5 Stelle di Pomigliano d’Arco) veicola: il politico del collegio, quel Luigi Di Maio che è originario proprio di Pomigliano d’Arco, ha fatto di tutto per permettere alla sua città di ottenere un contributo significativo per i meno abbienti che possa consentire loro di superare il momento più difficile dell’emergenza coronavirus.
(da agenzie)
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Marzo 30th, 2020 Riccardo Fucile
GIORNALI DI CENTODESTRA SOFFIANO SUL FUOCO
La Polizia ha segnalato ieri che sta circolando sui social network un audio in cui si incita a provocare azioni di violenza e assalti ai supermercati con mazze e contro gli agenti in tenuta anti-sommossa. La voce, con accento siciliano, si rivolge a un certo “Massimo” e dice che “tutti quelli che saremo domani” saranno difficili da fermare. L’audio è stato trasmesso anche da In Mezz’Ora di Lucia Annunziata su Raitre.
Non è strano che in una situazione del genere ci sia chi organizza gli assalti a Palermo e che sia concreto il rischio di proteste sociali.
Quello che è incredibile è che ci sia qualcuno che soffia sulla rivolta, come nota oggi Tommaso Rodano sul Fatto:
Su Libero la frase che colpisce è l’occhiello rosso sopra il titolo d’apertura: “Assalto ai supermercati”. Perchè “Il cibo c’è, mancano i soldi per comprarlo”. Sembra strano, ma sono gli stessi che tre giorni prima, nell’editoriale di Vittori Feltri, rassicuravano: “Chi vi dice che il Coronavirus è una guerra sta delirando”.
A proposito di guerra, Il Giornale di casa Berlusconi, diretto da Alessandro Sallusti, preferisce la suggestione bellica. Il titolone sparato in prima è questo: “Tessera annonaria (come in tempo di guerra)”. Sottotitolo: “Superati i 10 mila morti, ora Conte ha paura: soldi per il cibo”.
La Verità di Maurizio Belpietro invece fa un lavoro più sofisticato. Il primo richiamo non è direttamente alla violenza sociale, maalla condizione delle forze armate: “La rabbia di esercito e polizia: ‘Allo sbaraglio senza difese’”.
Sfogliando il giornale, si capisce presto dove si vuole andare a parare. A pagina 3 c’è appunto l’arti colo sulle forze dell’ordine: “Chi ci protegge è lasciato senza protezioni”.
A pagina 5 il suo naturale complemento: “Meridione affamato: tira aria di rivolta”. Ad aumentare il senso di anarchia imminente, anche l’articolo di taglio basso: “Milano, brucia il tribunale. La giustizia resterà paralizzata per dei mesi”.
Infine Il Tempo di Franco Bechis: “Non c’è pane? Mangino briciole”. La parafrasi di Maria Antonietta serve a presentare —come scrive il direttore — “un Paese (quasi) alla fame”.
Insomma, nei titoli e ne gli editoriali della stampa sovranista ci sono tutti gli elementi del caos: riferimenti alla guerra,alla giustizia paralizzata, a fame e mancanza di cibo, alla paura, alle difficoltà di chi deve mantenere l’ordine pubblico.
Ma senza drammatizzare, anzi: si legge in filigrana quasi un certo compiacimento.
E poi ci sono Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Il primo il 25 marzo, prima di altri, ha rilasciato un’intervista alla Stampa con questo titolo: “Spendiamo tutto, anche 100 miliardi o sarà la rivolta”.
Salvini ha liquidato i 400 milioni stanziati dal governo per i Comuni con un calcolo disarmante: “Sono 7 euro a testa”. Come se quei soldi andassero divisi e consegnati individualmente a 60 milioni di italiani. Una sciocchezza che pare concepita apposta per soffiare sulla collera di chi è in difficoltà .
E la Meloni? A differenza del collega, Giorgia Meloni non ha mai parlato di violenze o disordini. Si limita a smontare sistematicamente qualsiasi proposta arrivi da Palazzo Chigi. A volte in modo comico.
Ieri, su Twitter, ha cambiato giudizio nel giro di 40 minuti. Prima ha lodato il “suo”governatore: “La Regione Sicilia stanzia 100 milioni per l’assistenza alimentare dei meno abbienti. Complimenti a Nello Musumeci”. Mezz’ora più tardi ha criticato la stessa misura, però adottata dal governo: “Presidente Conte, a che serve l’umiliazione dei buoni e delle derrate alimentari?”.
Accortasi del pasticcio, ha cancellato entrambi i tweet. Troppo tardi.
(da “NextQuotidiano“)
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Marzo 30th, 2020 Riccardo Fucile
NON HA CHIUSO LA ZONA DI ALZANO E NEMBRO A TEMPO DEBITO PER NON SCONTENTARE 376 AZIENDE E UN FATTURATO DI 680 MILIONI, ALTRO CHE LE PALLE CHE CI RACCONTANO
Il Fatto Quotidiano in un articolo a firma di Gianni Barbacetto va oggi all’attacco della Regione
Lombardia per la mancata dichiarazione di zona rossa a Bergamo.
L’assessore regionale Giulio Gallera, che si presenta ogni giorno in tv come il valoroso comandante in capo dell’esercito in guerra con il virus, ha spiegato a Peter Gomez, a Sono le venti: “Abbiamo condiviso con il presidente dell’Istituto superiore di sanità , Silvio Brusaferro, la necessità di una zona rossa nell’area di Alzano. Era il mercoledì della seconda settimana. Poi abbiamo atteso, giovedì, venerdì, ma il governo questa decisione non l’ha assunta. Dopodichè, sabato o domenica ha preso una decisione molto forte, di chiudere l’intera regione. Sul perchè non l’abbia assunta dovete chiederlo a Conte, non a noi”.
Il “mercoledì della seconda settimana”di cui parla Gallera è il 4 marzo, poi l’8 marzo il governo “chiude ”l’intera Lombardia. Ma che cosa succede prima di quel 4 marzo?
La crisi inizia domenica 23 febbraio. All’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo, Val Seriana, 6 chilometri da Bergamo,sono accertati due casi positivi di Covid-19. Nei giorni precedenti era scoppiato il primo focolaio a Codogno, in provincia di Lodi, che era però stato subito chiuso dal governo, d’intesa con la Regione, in una “zona rossa”. Ad Alzano non si chiude niente. L’ospedale viene fermato solo per poche ore. Nessuna sanificazione, nessun percorso differenziato per chi ha i sintomi del virus. Nessun tampone. Il contagio si diffonde.
Perchè la Regione non è intervenuta?
I pazienti dimessi dall’ospedale, i loro famigliari, i medici, gli infermieri, i cittadini di Alzano sono lasciati andare in giro a diffondere il virus. Le fabbriche restano aperte. Aperti gli impianti sciistici della vicina Valbondione. L’ospedale diventa una bomba a orologeria. Si ammalano il primario e giù giù medici, infermieri, portantini. Si ammalano i pazienti dimessi e tornati a casa, si ammala chi entra ricoverato per una frattura ed esce infetto. Niente mappatura, niente tamponi, niente separazione dei contagiati. I malati crescono soprattutto nel paese vicino di Nembro. Il presidente Attilio Fontana e l’assessore Gallera temporeggiano.
Il 2 marzo l’Istituto superiore di sanità (Iss) stila una nota —scoperta e raccontata dalla giornalista Francesca Nava sul sito Tpi.it —in cui propone la creazione di una “zona rossa ”per isolare il “cluster ” infettivo di Alzano e Nembro. La Regione,che potrebbe decretarla subito, aspetta le decisioni del governo. Il governo decide solo sei giorni dopo, l’8 marzo, con il decreto che dichiara tutta la Lombardia “zona arancione”e blocca 11 milioni di persone. Troppo tardi.
Bastava chiudere —ma molto prima —un’area di soli 25 mila abitanti. Non è stato fatto: per non fermare le fabbriche e le attività produttive della zona, ipotizza Francesca Nava, per non bloccare quasi 4 mila lavoratori, 376 aziende, un fatturato di 680 milioni.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 30th, 2020 Riccardo Fucile
IL GRAFFIANTE EDITORIALE CHE METTE A NUDO LA DEMAGOGIA CHE HANNO IN COMUNE
Oggi Marco Travaglio rispolvera l’azzeccatissimo soprannome di Cazzaro Verde per Matteo Salvini, già oggetto di querela da parte del Capitano (archiviata, peraltro), per segnalare le fregnacce del segretario della Lega sui 7 euro a testa per gli italiani derivati dal DPCM Soccorso Alimentare con i buoni pasto del governo Conte:
Caro Cazzaro Verde, capisco che tu sia in lutto perchè Conte ti ha strappato di mano, anzi di bocca pure la bandiera della polemica contro quest’Europa di bottegai. Dunque continua pure a martellarlo su tutto lo scibile umano. Ma evita, se puoi, di impartirgli lezioni di matematica, tu che non riesci neppure a calcolare il Pil (sbagli di tre zeri), i metri quadri di casa tua (“un bilocale in periferia”: sì, buonanotte) e temo pure la tabellina del 2.
Prendi nota: se il governo aggiunge per l’emergenza, cioè per questi giorni, 400 milioni al fondo semestrale di solidarietà di 4 miliardi per i Comuni (anche a quelli governati dalla Lega) affinchè aiutino i poveri a fare la spesa, non puoi dividerli per 60 milioni e ricavarne una mancia di “7 euro a testa”. Perchè i poveri non sono 60 milioni (altrimenti ci saresti pure tu), e neppure 5 milioni (grazie al Rdc votato anche da te e subito rinnegato come le altre poche cose buone fatte a tua insaputa). Sono molti meno: i 400 milioni aiutano le famiglie bisognose per 3 settimane con buoni pasto di 3-400 euro.]
Ma oggi Travaglio riserva qualche battuta anche a eo :
Caro (si fa per dire) Innominabile, continua pure a trafficare per buttar giù il governo che hai contribuito a creare. Ma, siccome fino all’altroieri volevi “Tutta l’Italia zona rossa”, piantala di chiedere di riaprire tutto dopo il 3 aprile (prima scadenza del “lockdown”). Non per coerenza, che per te è un vizio capitale insieme alla lealtà e alla correttezza, ma per motivi di ordine pubblico. I gruppi Facebook che minacciano rivolte, jacquerie, grand guignol, assalti ai forni e ai supermercati fissano tutti il D-Day al 3 aprile. Quindi evita, per il tuo e nostro bene, di alimentare quest’attesa messianica del 3 aprile. Si dice che chi gioca col fuoco fa la fine del pollo arrosto. Tu pollo già lo sei: vuoi pure finire arrosto?
(da agenzie)
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Marzo 29th, 2020 Riccardo Fucile
SI VA VERSO UN PROLUNGAMENTO PER DUE SETTIMANE, POI UNA GRADUALE RIAPERTURA… NESSUNO HA IL CORAGGIO DI DIRE CHE IL 66,6% DELLE AZIENDE E’ ANCORA APERTO E 15 MILIONI DI LAVORATORI CONTINUANO TRANQUILLAMENTE A ESSERE SIA A RISCHIO CHE UN RISCHIO PER GLI ALTRI E CHE GLI SCIENZIATI ERANO PER UNA VERA CHIUSURA, NON LA FARSA CHE E’ DIVENTATA
Dopo aver ascoltato il parere del comitato tecnico scientifico, Giuseppe Conte prorogherà ,
probabilmente per due settimane, le misure anti contagio che scadono il 3 aprile. Resteranno.
Un blocco parziale fino a dopo Pasqua, a partire dalle scuole e dalle competizioni sportive, con un’attenzione particolare non solo alla Pasquetta, ma anche ai ponti del 25 aprile e del primo maggio, perchè la voglia di picnic o gite al mare non rischi di mandare all’aria settimane di sacrifici.
Quando si riaprirà , si ripartirà con gradualità e proporzionalità . Non subito nè tutto d’un colpo, perchè le prossime settimane sono fondamentali.
Per vedere davvero gli effetti delle misure restrittive si dovrà attendere ancora, spiegano gli esperti, ma la fase più delicata arriva probabilmente proprio adesso, perchè alla grande attenzione delle prime settimane negli italiani rischiano di subentrare preoccupazione, paure, rabbia.
Nuove valutazioni saranno fatte sulle attività produttive, per il durissimo contraccolpo economico che il protrarsi del blocco provoca: dopo lo stop alle attività non essenziali, nelle prossime settimana potrebbero arrivare le prime deroghe, preludio a un allentamento graduale della morsa. Nel Governo c’è chi, come Italia Viva, già chiede di ripartire.
Per la popolazione l’ipotesi dopo metà aprile è che si possano tutelare gli anziani, tenendoli in casa, consentendo ai più giovani di iniziare a muoversi. Probabile invece che gli ultimi a riaprire siano i luoghi di svago e aggregazione, a partire da discoteche e sale giochi, cinema e ristoranti.
Per completare la decisione e annunciare la nuova proroga della serrata, Conte dovrebbe nuovamente incontrare le opposizioni e sentire gli scienziati.
La linea degli esperti è chiara: non è il caso di riaprire adesso, neanche parzialmente, dice Franco Locatelli del Css all’Huffpost. I primi segnali positivi devono indurci “ad essere più stretti” nel rispetto delle misure, dice il professor Luca Richeldi, pneumologo del comitato tecnico scientifico (Cts). “La battaglia è molto lunga, non dobbiamo abbassare la guardia”.
E’ “inevitabile” che le misure in scadenza siano prolungate oltre il 3 aprile, dice il ministro Francesco Boccia, definendo irresponsabile la richiesta di Matteo Renzi di riaprire scuole e fabbriche.
Il titolare della Salute Roberto Speranza avverte che l’epidemia è “ancora nel pieno e sarebbe un grave errore abbassare la guardia proprio ora”.
Abbassare la guardia non si può, sono convinti anche a Palazzo Chigi.
(da “Huffingtonpost)
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Marzo 29th, 2020 Riccardo Fucile
I COMUNI DOVRANNO DECIDERE A CHI DARLI E FINIRANNO NEL MIRINO DELLE CRITICHE… E’ VERO, I SOLDI SONO POCHI, MA NULLA VIETA ALLE REGIONI LEGHISTE CHE PROTESTANO DI CACCIARE CENTO MILIONI A TESTA COME HA FATTO LA SICILIA
E adesso, proprio sui cosiddetti “buoni spesa” un fronte si apre anche con i sindaci. C’è chi, come il presidente dell’Anci Veneto parla di “elemosina”. Chi, come quelli del Pd, difende la misura. Chi, come il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, di sinistra ma non organico, parla di “rischio boomerang”.
Al fondo, accomunati da una preoccupazione: i soldi stanziati (i famosi 400 milioni) sono pochi e il governo non ha stabilito criteri di distribuzione, dunque tocca a loro.
Al momento con ampi margini di discrezionalità .
Più di un primo cittadino, contattato dall’HuffPost, dice le stesse parole: “Sapete che significa? Che domani mattina siamo noi che ci troviamo la fila davanti al Comune. E quindi poi se la prenderanno con noi”.
Poveri che già c’erano, nuovi poveri, poveri da Coronavirus, tracciabili, ma anche non tracciabili, come chi si arrangia con i famosi lavoretti (in nero): “Come diavolo fai a stabilire a chi dare le poche risorse?”.
La fa facile il governo, che si è basato sulle tabelle della povertà del 2011. Nel frattempo si sono allungate. Fin qui, la storia del bonus.
Poi i 4,3 miliardi. Lo spiega Leoluca Orlando a In Mezz’ora in più: “Non sono soldi stanziati per l’emergenza, ma rappresentano solo un’anticipazione dei trasferimenti statali ordinari, già spettanti ai Comuni, che li percepiscono nel primo semestre di ogni anno”.
Tradotto vuol dire che già era previsto che questa somma andasse ai Comuni, per pagare a fine mese stipendi e servizi. Solo che è stata anticipata. E, a questo punto, si pone un problema. A fine mese, dove si trovano gli altri soldi, se questo anticipo viene destinato ai bisogni primari delle persone rimaste senza lavoro a causa del Coronavirus.
Che tradotto significa, far mangiare le famiglie, soprattutto al Sud dove si sono viste persone nei supermercati che avrebbero voluto il cibo gratis.
Per questo, soprattutto dal Sud, è un coro. Jole Santelli in Calabria, ad esempio, parla “di annuncio roboante che rischia di generare aspettative dei cittadini nei confronti degli amministratori locali”.
Si capisce, dunque, perchè si è “politicizzato” lo scontro. “Elemosina”, “presa in giro”, “carognata” dicono i sindaci del centrodestra. Decaro difende il provvedimento, De Magistris dice “bene, ma serve un reddito di quarantena”.
È la fotografia di un ulteriore capitolo di un disordine istituzionale, che accompagna questa crisi sin dall’inizio.
Prima il conflitto con le Regioni sulle misure di sicurezza, ora con i Comuni sul bonus, anzi sull’annuncio del bonus nella consueta conferenza stampa per dare i titoli ai giornali. La bozza, infatti, è cambiata più volte nella giornata di oggi, secondo la prassi che vengono presentati provvedimenti che sono dei work in progress.
Per intendersi, la bozza circolata ieri sera prevedeva 300 euro una tantum alle famiglie che avrebbero avuto diritto ai buoni pasto per un totale di 150mila euro per i Comuni sopra i 150 mila abitanti. In pratica una città come Roma avrebbe potuto sfamare 500 famiglie.
La bozza attuale è radicalmente cambiata e con sè il metodo di suddivisione. L’80% dei 400 milioni, quindi 320 mln, è ripartito in proporzione alla popolazione residente in ciascun comune, i restanti 80 milioni in base alla distanza tra il valore del reddito pro capite di ciascun comune e il valore medio nazionale. Ora non si parla più di 300 euro una tantum per famiglia.
Torniamo al punto dolente. I criteri, per evitare che la scelta sia solo sulle spalle dei sindaci.
Nel pomeriggio ci prova il capo della Protezione civile Angelo Borrelli a fornire qualche spiegazione in più: “La gestione dei buoni spesa sarà a cura dei servizi sociali e i Comuni potranno avvalersi degli enti del terzo settore e di unità di protezione civile per l’acquisto delle derrate. L’ordinanza sarà immediatamente operativa”.
Rimane molta discrezionalità . Stando così le cose, i Comuni potranno o acquistare i buoni spesa o provvedere all’acquisto del cibo da distribuire alla popolazione. Ma la responsabilità ricade tutta sui sindaci che dovranno decidere a chi dare il contributo.
I soldi ai vari Comuni vengono dati soprattutto sulla base del numero di abitanti e non sul reddito, soprattutto perchè le tabelle non sono aggiornate. È chiaro perchè tutti temono una guerra tra poveri.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 29th, 2020 Riccardo Fucile
LA LEZIONE DI TIRANA: “SONO 30 ANNI CHE CI AIUTATE, E’ IL MINIMO ESSERE QUI”… “CI AVETE ACCOLTO E ADOTTATI, COMBATTEREMO INSIEME”
All’inizio degli anni ’90, con il collasso del regime comunista, l’Italia scoprì di essere diventata la
terra promessa degli albanesi.
Di quel periodo l’immagine simbolo — in una storia piena di pagine buie — diventò lo barco a Bari di circa 20mila profughi albanesi dal bastimento Vlora, preso d’assalto dai migranti nel porto di Durazzo e dirottato verso l’Italia.
Era l’8 agosto del 1991, molti di quei profughi furono rispediti in Albania, molti altri furono rinchiusi nello Stadio della Vittoria, dove rimasero per 8 giorni in quello che si trasformò in un vero e proprio inferno.
Eppure quel momento così drammatico fu seguito da un’altra storia, una storia lunga trent’anni e fatta anche di sostegno e integrazione.
Un passato in nome del quale oggi è l’Albania a tendere la mano all’Italia, messa in ginocchio dall’epidemia di Covid-19.
“Sono 30 anni che ci aiutate e supportate: è il minimo che potevamo fare per questa nazione”. A parlare così è un infermiere di Pronto soccorso di 35 anni di Tirana, che fa parte della delegazione di 30 persone tra medici e infermieri arrivati a Brescia, dove prenderanno servizio nel principale ospedale della città per l’emergenza Coronavirus. “Sono consapevole di quanto sta accadendo negli ospedali bresciani, ma non mi spavento”, ha detto l’infermiere all’Ansa. “Da quando ho sentito che i numeri dei contagiati continuavano a crescere in Italia mi sono informata in ogni modo per poter aiutare il vostro Paese e ho risposto all’appello”, ha raccontato una dottoressa albanese. “Mia madre nel 2011 è stata operata a Pisa. Quei medici l’hanno salvata e ora io voglio restituire quanto è stato fatto”.
Un’altra infermiera ha aggiunto: “Per noi è una possibilità importante e sono sicura che vinceremo questa battaglia. Mio papà che è medico è stato contagiato da Covid 19 e io voglio aiutare i bresciani”.
Il volo con i 30 sanitari albanesi è atterrato questa mattina all’aeroporto Valerio Catullo di Verona, riaperto in via straordinaria per l’occasione, dopo essere arrivato ieri sera a Fiumicino. I medici e gli infermieri albanesi presteranno servizio negli ospedali di Brescia e Bergamo, nelle zone più colpite dalla pandemia.
“Non siamo privi di memoria: non possiamo non dimostrare all’Italia che l’Albania e gli albanesi non abbandonano mai un proprio amico in difficoltà . Oggi siamo tutti italiani, e l’Italia deve vincere e vincerà questa guerra anche per noi, per l’Europa e il mondo intero”, ha detto ieri il premier albanese Edi Rama, salutando all’aeroporto di Tirana il team di medici e infermieri. “Voi membri coraggiosi di questa missione per la vita, state partendo per una guerra che è anche la nostra”, ha aggiunto rivolgendosi al team sanitario.
E ancora: i nostri medici “non sono molti e non risolveranno la battaglia tra il nemico invisibile e i camici bianchi che stanno lottano dall’altra parte del mare. Ma l’Italia è casa nostra da quando i nostri fratelli e sorelle ci hanno salvato nel passato, ospitandoci e adottandoci mentre qui si soffriva”, ha aggiunto Rama nel breve saluto cui era presente anche l’ambasciatore d’Italia in Albania, Fabrizio Bucci.
“Noi stiamo combattendo lo stesso nemico invisibile. Le risorse umane e logistiche non sono illimitate, ma non possiamo tenerle di riserva mentre in Italia c’è ora un enorme bisogno di aiuto”.
“E’ vero che tutti sono rinchiusi nelle loro frontiere, e paesi ricchissimi hanno voltato le spalle agli altri. Ma forse è perchè noi non siamo ricchi e neanche privi di memoria, non possiamo permetterci di non dimostrare all’Italia che l’Albania e gli albanesi non l’abbandonano”, ha concluso.
Quello di oggi è un nuovo capitolo di una storia iniziata più di trent’anni fa, ma tenuta in vita nei piccoli gesti quotidiani.
Gesti come quello di tre piccoli paesi del Molise, che lo scorso anno hanno inviato fondi alla comunità di Kruja, paese albanese gemellato con Portocannone. “C’è orgoglio nel vedere questo scambio di solidarietà . Abbiamo dato una mano durante il terremoto in Albania e ora sono loro a venire in nostro aiuto. Come comunità arbereshe del Basso Molise, poco prima che scoppiasse l’emergenza coronavirus, abbiamo inviato 3 mila euro alla comunità di Kruja, paese albanese gemellato con Portocannone, centro di origine dell’eroe Skanderberg, con cui siamo in contatto”, ha raccontato all’Ansa il sindaco di Portocannone Giuseppe Caporicci che, insieme ai primi cittadini Raffaele Primiani di Ururi (Campobasso) e Giorgio Manes di Monteciflone (Campobasso), hanno promosso una raccolta fondi tra le comunità a minoranza linguistica albanese. “Non è stato facile – ha proseguito Caporicci – ma l’abbiamo fatto. Nel nostro piccolo abbiamo dato una mano ai nostri connazionali. Lo scorso novembre sono stato in Albania e sono stato accolto nel migliore dei modi dalla comunità e dal Presidente della Repubblica Ilir Meta. Sono momenti belli, ricordi unici di vita”.
Primiani, amministratore di Ururi, ricorda come negli anni ’90 la comunità locale accolse molti albanesi fuggiti dal Paese dominato dalla dittatura. “Allora li abbiamo aiutati – spiega all’Ansa il sindaco del paese – Qui hanno trovato lavoro e un futuro. Ci sono famiglie che sono ancora qui a Ururi e anche a Campomarino. Siamo di origine arbereshe, siamo legati, parliamo l’antica lingua albanese del 1450. Mi auguro che dopo questa emergenza riuscirò a realizzare un murales dedicato all’eroe Skanderberg”.
(da agenzie)
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Marzo 29th, 2020 Riccardo Fucile
PER CINQUE GIORNI LA CITTA’ APRI’ CASE, NEGOZI E SCUOLE, OFFRENDO UN LETTO E UN PASTO CALDO
Nel marzo di ventinove anni fa ne arrivarono 25mila in una sola città , Brindisi, nel giro di 24 ore.
Sotto la canicola di agosto, correva sempre il 1991, furono 20mila a sbarcare nel porto di Bari a bordo della Vlora, ribattezzata la ‘nave dolce’ perchè commercialmente addetta al trasporto di zucchero.
A conti fatti furono centinaia di migliaia a giungere in Italia nel giro di pochi mesi. E gli sbarchi proseguirono anche negli anni successivi.
In quell’esodo — e nell’accoglienza che gli italiani riservarono soprattutto nel primo periodo — affondano le radici le parole del primo ministro albanese Edi Rama pronunciate alla partenza di 30 medici spediti da Tirana negli ospedali italiani per aiutare nella lotta al coronavirus.
C’è una data spartiacque in questa storia. È il 7 marzo 1991, un giovedì. Le navi Lirja, Tirana, Legend e poi via via altre decine di “carrette del mare”, pescherecci e a volte vere e proprie zattere di fortuna si affacciano le porto di Brindisi con a bordo migliaia di albanesi in fuga, stremati da decenni di regime comunista guidato da Enver Hoxha e Ramiz Alia.
Dopo ventiquattr’ore sulle banchine della piccola città adriatica, la più vicina alle coste di Valona e Durazzo, se ne conteranno 25mila. Venticinquemila.
Il giovane sindaco della città , Giuseppe Marchionna, di fronte al rischio di fughe e scontri fa diramare un messaggio in radio e nelle tv locali: “Hanno solo fame e freddo, aiutateli”. La gente capì aprendo le porte le proprie case per fornire un pasto caldo, offrendo un letto e una doccia.
Il prefetto Antonio Barrel requisì le scuole, trasformate in dormitori, e il sindaco chiese alle mense aziendali di fornire migliaia di pasti al giorno.
La città fece da se, stravolgendo la propria quotidianità per settimane pur di accogliere quelle migliaia di albanesi: ogni condominio organizzava tavolate, metteva a disposizione una stanza libera.
Le istituzioni romane si palesarono solo cinque giorni dopo: “Nelle emergenze questo Stato è vecchio, lento e asmatico”, disse il vice presidente del Consiglio Claudio Martelli al suo arrivo a Brindisi.
Gli sbarchi proseguirono nei mesi successivi e l’8 agosto toccò a Bari vivere un’altra giornata di “piena”. In 20mila assaltarono la nave Vlora e sbarcarono sulla banchina 14 del porto. Fu il più grande sbarco di migranti in Italia su una singola imbarcazione.
La gestione non fu proprio la stessa dei mesi precedenti: in tanti vennero rinchiusi nello stadio della Vittoria, molti altri fuggirono. Ma la reazione di tantissimi baresi però fu la stessa dei brindisini nei mesi precedenti.
A 29 anni di distanza è questa la “memoria” di cui parla Rama, la radice più profonda di quel “ospitandoci e adottandoci”.
L’Albania non ha dimenticato.
(da agenzie)
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Marzo 29th, 2020 Riccardo Fucile
GIORNALISTA, PITTORE, EX CESTISTA: CHI E’ IL PREMIER CHE DA SINDACO HA RIVOLTATO TIRANA FACENDO DI UNA GRIGIA EX CAPITALE DI REGIME UNA COLORATISSIMA CITTA’
Ero piccolissimo, e sulla banchina del porto di Palermo vidi tante lacrime come mai ne avrei più
viste. Allora mi sembrarono esagerate, c’era chi partiva e io li invidiavo. Non capivo tante lacrime e quei fazzoletti a sventolare sulla banchina e sulla nave anche quando la nave era già irraggiungibile all’orizzonte. Più tardi avrei elaborato e capito.
Si era sposata una cugina di mia madre e partiva col marito per “Lamerica”.
Chi partiva e chi salutava sapeva che non sarebbe stato facile rivedersi. Forse si, forse mai più.
Tra le tante cose smarrite, la memoria di chi parte per bisogno, ora anche soltanto per quella crescita che dove sei nato ti è negata, è la cosa più preziosa delle cose perdute o sotterrate.
Quei viaggi e i tanti altri che sarebbero venuti dopo, e che anche oggi disegnano i percorsi dell’umanità più sfortunata,sono il comune Dna negato. Tra le cose che dovremo cercare in fondo al cassetto che abbiamo chiuso, gettando in fondo al pozzo la chiave, ci deve essere la memoria. Va recuperata, sanata e coltivata.
Ci pensavo ascoltando con grande emozione e con un groppo alla gola le parole del leader albanese Edi Rama, che in italiano saluta trenta tra medici e infermieri che partono per aiutare i colleghi italiani stremati dalla lotta durissima contro il virus che sta decimando la parte più ricca del nostro Paese.
Poche parole, tutte pesate
Una lezione, quella di Edi Rama che dovrebbe far arrossire i potenti d’Europa, e quelli che in Italia volteggiano come avvoltoi sopra le nostre disgrazie, pensando ancora che all’indomani di questa emergenza potranno pensare di tornare a pretendere il mondo come un orto dietro l’altro, tutti separati l’uno dall’altro da un alto muro e da un micidiale filo spinato, magari elettrificato, per uccidere i più coraggiosi.
I potenti d’Europa e gli eletti di Bruxelles alle massime cariche, quelle che saltano da una gaffe all’altra nel momento meno indicato a dire parole in libertà , dovrebbero arrossire alle parole di questo leader intelligente e generoso di un Paese che da più di dieci anni bussa alla porta dell’Unione Europea.
Edi Roma ha memoria, ben ricorda quell’8 agosto del 1991, quando la nave mercantile Vlora, in un’Italia in vacanza, attraccò al porto di Bari con un carico di 20mila albanesi in fuga dalla povertà , quando l’Albania – ha ricordato oggi Edi Roma – “bruciava di dolori immensi”.
Fu uno shock, seguirono tanti problemi, ma gli anni successivi e quelli a noi più vicini ci hanno raccontato e ci dicono di tante vite ricostruite, di tanti nuovi italiani, e italiani tutti, che sono divenuti parte importante dell’economia, della cultura e della convivenza civile di questa nostro Paese, ora ansimante
L’Albania oggi è un Paese in grande crescita e di grande vivacità culturale, un Paese giovane, all’avanguardia in molti settori, Paese che comincia a diventare importante metà turistica, punto di riferimento anche per l’impresa, per i professionisti e la cultura italiana. Paese fratello come nessun altro. Come dire, ci si può parlare affanciandosi dalle rispettive terrazze.
Edi Rama è un politico intelligente, e con le sue parole sa bene di essere intervenuto nel momento in cui l’Europa mostra anche i suoi limiti di leadership, evidenziando carenza di idee e di coraggio.
Edi Rama, giornalista, pittore, ex cestista – come suggerisce il suo fisico – di idee e coraggio ne ha avute tante, già quando ha rivoltato Tirana, da sindaco, facendo di una grigia ex capitale di regime, una coloratissima città che disegnava il proprio futuro recuperando il tempo perduto col comunismo, sapendo bruciare le tappe.
Nel parlare, nel parlarci, nel salutare i suoi medici e i suoi infermieri, già in tuta di lavoro, pronti a salire sulla scaletta dell’aereo in partenza per Verona, Edi Rama non ha certo pensare di saldare un debito, ma ha sicuramente messo in mora l”Europa tutta, mortificato le capitali più ricche, e quelle egoiste, sazie del ruolo di paradiso fiscale.
Non ci si salva mai da soli, ha ricordato venerdì sera Papa Francesco.
Anche il gigante buono e generoso di Tirana ha voluto ricordarlo, mentre ripiegava e metteva in tasca il foglio sul quale aveva scritto in italiano il suo messaggio il suo messaggio d’amore all’Italia.
(da Globalist)
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