Destra di Popolo.net

UN CECCHINO CHE SPARA A “UNO CHE CANTA BELLA CIAO DAL BALCONE”: IL POST DEL CAPOGRUPPO DELLA LEGA A SARZANA

Aprile 26th, 2020 Riccardo Fucile

IL SOGGETTO E’ PURE UFFICIALE DEI CARABINIERI E AVEVA GIA’ DEFINITO MATTARELLA “TRADITORE”… I VERTICI DELL’ARMA APRONO INDAGINE, IL SINDACO CONDANNA, CHIESTE LE DIMISSIONI

Bufera sul capogruppo della Lega nel Consiglio comunale di Sarzana (Comune di 21mila abitanti della provincia di La Spezia, in Liguria) Emilio Iacopi, brigadiere dei carabinieri, che in occasione del 25 aprile ha condiviso su Facebook un post con due cecchini (in realtà  protagonisti del film American Sniper) e la scritta «Edificio giallo, terzo piano, secondo balcone da sinistra. C’è uno che canta Bella ciao».
Una frase che non lascia spazio ad altre interpretazioni: un cecchino chiamato a sparare contro coloro che osano intonare il canto partigiano.
Proprio ieri in tanti, in tutta Italia, si sono affacciati ai davanzali delle finestre di casa per cantare Bella ciao in tempi del lockdown causa emergenza Coronavirus.
La sindaca Cristina Ponzanelli: «È imbarazzante persino dover stigmatizzare Iacopi che pubblica un meme decisamente riprovevole, a cui consiglio di passare meno tempo su Facebook a pubblicare sciocchezze e più a lavorare nell’interesse di Sarzana».
Già  nell’agosto del 2019, Emilio Iacopi aveva attaccato, sempre con un post sui social, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella scrivendo «traditore della patria”
Condanna unanime sia da parte delle forze di opposizione (Pd e M5s) che da parte del centrodestra.
Il ministro della Difesa Guerini: «Avvio di azioni per un necessario chiarimento sulla vicenda del consigliere del comune di Sarzana»
In merito al post sul “25 aprile, il cecchino contro Bella Ciao” pubblicato sul profilo Facebook del brigadiere dell’Arma dei Carabinieri e consigliere comunale di Sarzana dal contenuto inaccettabile”ho chiesto immediatamente l’avvio di un’indagine che chiarisca la vicenda, a tutela dell’immagine dell’Arma dei Carabinieri e di tutta la Difesa”, così il Ministro della Difesa Lorenzo Guerini in una nota.
“L’Arma – ha aggiunto Guerini –   è al servizio delle Istituzioni e i Carabinieri, sempre al fianco dei cittadini. Gli italiani sono fieri del loro lavoro quotidiano e dello straordinario impegno in questa emergenza”

(da agenzie)

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SONDAGGIO IPSOS PAGNONCELLI: LA LEGA STA CROLLANDO, SCESA AL 25,4%, INCALZATA DAL PD AL 21,3% E DAL M5S AL 18,6%, IN RISALITA

Aprile 26th, 2020 Riccardo Fucile

IL GRADIMENTO DEL GOVERNO AI MASSIMI (58%), CONTE SUPERSTAR AL 66%, CROLLA SALVINI MA SCENDE ANCHE LA MELONI,   SPERANZA SALE AL SECONDO POSTO… CENTROSINISTRA A SOLI DUE PUNTI DAL CENTRODESTRA

Gli orientamenti di voto fanno segnare due cambiamenti di rilievo: la Lega, pur mantenendosi al primo posto con il 25,4%, arretra del 5,7%, scende al di sotto del 30% e ritorna sui valori del maggio 2018; al contrario il M5S aumenta del 3,3% attestandosi al 18,6%.
Il Pd si mantiene al secondo posto con il 21,3% (+0,7%) riportandosi sui valori dell’estate scorsa, prima della scissione di Renzi.
A seguire Fratelli d’Italia con il 14,1% (+1,1%), e Forza Italia coni l 7,5% (+0,7%).
Il M5S sembra beneficiare dell’immagine positiva del governo e del suo presidente più del Pd che è stato a lungo silente a causa della malattia del suo segretario Zingaretti colpito dal coronavirus.
Nel complesso i tre principali partiti del centrodestra perdono il 4,2%, scendono per la prima volta nell’anno al di sotto del 50% (47%), e riducono a soli 2 punti il vantaggio sulle quattro forze della maggioranza (che salgono al 45%), dai quasi 10 di marzo.
Da segnalare anche   un aumento di gradimento per la maggior parte degli esponenti della maggioranza euna flessione per quelli dell’opposizione.
In dettaglio: il ministro della Salute Speranza aumenta di 4 punti e si colloca al primo posto con un indice pari a 37, di fatto raddoppiando il valore registrato a inizio mandato.
Al secondo posto si colloca Giorgia Meloni (35), in flessione di 4 punti, seguita da Franceschini (34), in aumento di due.
Salvini fa segnare il calo più vistoso (perde 8 punti), cedendo due posizioni in graduatoria, attestandosi a 31, tallonato da Zingaretti a 30.
Poi Di Maio (29) e Bellanova (25), entrambi in crescita di 2 punti, quindi Bonafede a 24, Crimi (22), Berlusconi (21) e Renzi (13).
Per la prima volta dall’inizio della pandemia prevale l’opinione di coloro che ritengono opportuno riaprire la maggior parte delle attività  lavorative (49%), rispetto a chi è favorevole al mantenimento della chiusura per evitare i contagi (37%). Frutto anche della pressione dei media per la riapertura.

(da agenzie)

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CONTE: “RIPARTENZA NON E’ LIBERI TUTTI”, MA NON SI RENDE CONTO CHE IL SEGNALE VERRA’ RECEPITO COSI’

Aprile 26th, 2020 Riccardo Fucile

GUALTIERI: “NESSUN RISCHIO ITALIA”

L’annuncio sulle regole della Fase 2 dal 4 maggio si fa attendere per qualche giorno in più e nell’attesa Giuseppe Conte e Roberto Gualtieri consegnano i loro messaggi agli italiani in due interviste concesse ai nuovi direttori di Repubblica e Stampa.
Il premier per dire che la ripartenza non sarà  un liberi tutti. Il ministro per rassicurare che non c’è nessun rischio Italia.
Giuseppe Conte a Repubblica. Il presidente del Consiglio, intervistato dal nuovo direttore Maurizio Molinari e da Stefano Cappellini, anticipa alcuni contenuti del provvedimento, spiegando che “stiamo lavorando per consentire la ripartenza di buona parte delle imprese, dalla manifattura alle costruzioni per il 4 maggio. Non possiamo protrarre oltre questo lockdown: rischiamo una compromissione troppo pesante del tessuto socio-economico del Paese”. Una riapertura graduale, fino al rientro a scuola previsto “a settembre”.
“Annunceremo questo nuovo piano al più tardi all’inizio della prossima settimana – afferma il capo del governo – La condizione per ripartire sarà  il rigoroso rispetto dei protocolli di sicurezza, per i luoghi di lavoro, per le costruzioni e per le aziende di trasporto. Nel rispetto di queste condizioni rigorose, potranno riaprire, già  la settimana prossima, passando però dal vaglio dei prefetti e con autocertificazione, attività  imprenditoriali che consideriamo ‘strategiche’, quali lavorazioni per l’edilizia carceraria, scolastica e per contrastare il dissesto idrogeologico, come pure attività  produttive e industriali prevalentemente votate all’export, che rischiano di rimanere tagliate fuori dalle filiere produttive interconnesse e dalle catene di valore internazionali.
Il piano che presenteremo – fa sapere – sarà  molto articolato perchè conterrà  anche una più generale revisione delle regole sul distanziamento sociale. Revisione delle regole, voglio chiarirlo subito, non significa abbandono delle regole”.
Sul tema delle autocertificazioni spiega: “Non siamo ancora nella condizione di ripristinare una piena libertà  di movimento, ma stiamo studiando un allentamento delle attuali, più rigide restrizioni. Faremo in modo di consentire maggiori spostamenti, conservando, però, tutte le garanzie di prevenzione e di contenimento del contagio”. Sull’ipotesi appoggio esterno di Silvio Berlusconi al suo Governo, Conte commenta: “Apprezzo il sostegno, ma è bene che i ruoli restino distinti”.
Roberto Gualtieri alla Stampa. “Siamo di fronte a uno shock economico molto pesante”, riconosce il ministro dell’Economia, in un colloquio con il nuovo direttore Massimo Giannini, “ma è uno shock temporaneo, non intaccherà  i nostri fondamentali che sono solidi, come dimostrano i dati del deficit al momento dello scoppio della crisi. Lo sforzo straordinario di finanza pubblica che stiamo mettendo in campo è necessario proprio per salvaguardare il nostro potenziale di crescita”.
Su ogni cittadino italiano adesso pesa un debito di 43 mila euro, neonati compresi. ”È vero – dice il ministro – ma il debito tornerà  su un sentiero discendente già  dal 2021, anche con la completa eliminazione delle clausole di salvaguardia che finalmente restituirà  uno spazio per la politica economica: superiamo così uno strumento che si è rivelato del tutto inadeguato”.
“Un aumento dello spread – riflette ancora Gualtieri – era inevitabile, ma è stato comunque contenuto e ha risentito anche dell’ incertezza sulla risposta europea”. Secondo Gualtieri comunque, nella percezione dei mercati un “rischio Italia” imminente non c’è: “Il nostro tasso di interesse medio del debito anche quest’anno continuerà  a scendere come ha fatto negli anni scorsi. I nostri pagamenti lordi per interessi vedranno un contenuto aumento il prossimo anno, ma se consideriamo la crescente quota del debito detenuta dalla Bce i pagamenti, al netto dalla quota che ci viene retrocessa dalla Banca d’Italia, saranno in linea con quelli attuali. Questo significa che per assicurare una rapida discesa del nostro debito potremo tornare a un saldo primario pienamente sostenibile sul piano economico”
Gualtieri rivendica anche che nella trattativa con l’Europa, ”è stato fatto un deciso passo avanti che sarebbe stato inimmaginabile solo poche settimane fa. E l’iniziativa di Conte e del governo italiano è stata decisiva. Oltre al ruolo fondamentale della Bce e agli altri strumenti messi in campo, ora è acquisito che si istituirà  il Recovery Fund, con l’obiettivo di sostenere la ripresa europea e in particolare i paesi e i settori più colpiti, e che a questo scopo si emetteranno titoli comuni di debito europei”.
“Naturalmente – prosegue – è ora cruciale la questione della dimensione del fondo, della quota dei “grants”, che per noi devono essere assolutamente prevalenti, e dei tempi della sua attuazione, che devono consentire di partire già  nell’estate. Peraltro lo stesso consiglio europeo, raccogliendo la richiesta di Conte, ha riconosciuto l’urgenza, oltre alla necessità , del Fondo stesso. Abbiamo la concreta possibilità  di muoverci verso una vera unione fiscale e la crisi, come è successo altre volte nella storia, sta svolgendo il ruolo di poderoso acceleratore di processi che sembravano bloccati”.
“Il governo è unito sul negoziato europeo – sottolinea -. Abbiamo detto fin dall’ inizio che per l’Italia è necessario il finanziamento comune di spese comuni, di qui la centralità  della battaglia sul Recovery Fund. Il Mes è solo uno degli strumenti in campo e non il principale e ha la funzione di “rete di sicurezza”.

(da “Huffingtonpost”)

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L’ATAC E IL DRAMMA DEI TRASPORTI PUBBLICI NELLA RIPARTENZA DI ROMA: “NON ABBIAMO IL PERSONALE PER GESTIRE I FLUSSI DI SALITA SUI BUS”

Aprile 26th, 2020 Riccardo Fucile

ATAC PROPONE DI PASSARE DA 20 PASSEGGERI A MEZZO A 50 UTENTI, UNA FOLLIA, VORREBBE DIRE IL 50% DELLO SPAZIO OCCUPATO

C’è un dramma che si prepara a Roma mentre l’Italia entra nella fase 2 dell’emergenza Coronavirus SARS-COV-2 e COVID-19.
È quello di ATAC: il Messaggero fa sapere oggi che dopo i primi test sui mezzi pubblici di Roma, nell’ultimo video-vertice con il Campidoglio e la Regione Lazio per capire come stravolgere in corsa i trasporti pubblici in tempo per l’inizio della fase 2, la municipalizzata ha messo a verbale che non potranno essere i suoi controllori (o altri dipendenti riconvertiti) a gestire e sorvegliare un flusso d’utenza che fa   registrare di media 2,4 milioni di spostamenti al giorno. E quindi ha proposto l’obbligo di mascherine a bordo.
La sperimentazione partita il 24 aprile — e che per ora si è concentrata solo su un numero limitato di linee di superficie e in 3-4 stazioni della metro — permette l’accesso sul bus di 20 passeggeri (rispetto a una capienza di 80-100 posti) e di 130 utenti sulla metropolitana, dove ciascun treno può ospitare 1.208 persone: il disastro attende i romani che usciranno il 4 maggio.
Il risultato dei test è stato quello che nel quartier generale di Atac in via Prenestina si aspettavano un po’ tutti: attese alle fermate che si moltiplicano fino a quattro volte il normale, rischio sovraffollamento nei pre-accessi alle banchine delle stazioni.
Con questo schema, dal 4 maggio in poi i trasporti pubblici rischiano di non reggere l’impatto della riapertura.
Nelle riunioni con la Pisana e il Campidoglio c’è chi ha ipotizzato anche il blocco del motore del bus, se il conta-persone supera il numero di passeggeri permesso dal contingentamento.
Ma secondo l’Atac così si otterrebbe la paralisi di buona parte della flotta. La partecipata per questo ha chiesto di prevedere l’obbligo di mascherina per salire a bordo, una misura che a detta dell’azienda potrebbe sostituire o quantomeno allentare la prescrizione di rispettare le distanze.
È una proposta su cui stanno ragionando sia in Comune che in Regione. Al dipartimento Mobilità  di via Colombo, non a caso, fanno sapere che si sta «valutando un’ordinanza sull’obbligo di mascherina».
Si attendono anche le indicazioni del Ministero dei Trasporti, che dovrebbero chiarire la distanza minima tra passeggero e passeggero, il fattore che determina la capienza dei mezzi pubblici: i test di Atac finora si sono basati sull’ipotesi dei 4 mq a persona. Troppi, per l’azienda del Comune di Roma.
Che spera in un alleggerimento della misura (per arrivare a riempire almeno il 50% di bus e metro, quindi 50 passeggeri per bus e 600 per la metro) o in una cancellazione tout court dell’imposizione, affiancata però dall’obbligo di coprirsi il volto quando ci si accomoda tra i sedili.
A bordo l’unico spazio delimitato, nei piani della partecipata, sarebbe quello accanto alla cabina di guida, dove già  si stanno montando le barriere di nylon.

(da “NextQuotidiano”)

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“QUEL CIMITERO DI CONVITTO DEVE CHIUDERE”

Aprile 26th, 2020 Riccardo Fucile

LE TESTIMONIANZE STRAZIANTI DALLA RSA PIU’ PRESTIGIOSA DI TORINO

“Vi prego, registrate tutto quello che sto dicendo, io lì non torno più, ma chiamate la procura, fate qualcosa, quel posto deve chiudere!”. La telefonata è straziante. L’infermiera piange e tossisce.
Ha il Coronavirus da ormai due settimane e ha paura che se non dovesse sopravvivere tutto quello che ha visto “in quel cimitero di convitto”, come lo chiama lei, nessuno lo saprà  mai.
Il convitto è Il Convitto Principessa Felicita di Savoia di Torino, forse la Rsa più prestigiosa della capitale piemontese. Un edificio tardo barocco sulla collina di Val Salice, immerso nel verde e con una vista su Torino da fare invidia alle ville più belle. Una struttura privata e accreditata Asl.
Quello che è successo lì dentro è ancora opaco, ma ci sono dei punti fermi. A fine febbraio la struttura interrompe le visite ai 216 pazienti e successivamente, a marzo, anche alle badanti private.
Le email inviate ai parenti nelle settimane successive sono rassicuranti: è tutto sotto controllo. Il primo marzo subentra una nuova cooperativa con una nuova coordinatrice del personale. Il 15 aprile, subito dopo Pasqua, una mail dalla Rsa inviata dal direttore Davide Tomasiello informa tutti i familiari che ci sono 4 pazienti positivi al Coronavirus, ma che gli ospiti ammalati sono stati isolati e non si registrano casi sospetti.
Insomma, tutto sono controllo. Tre giorni dopo arriva una nuova mail ai parenti: questa volta viene comunicato un decesso nella struttura per Coronavirus. Segue la frase: “Siamo vicini ai parenti che soffrono, desideriamo sostenere i nostri lavoratori alcuni dei quali COMINCIANO ad ammalarsi. Seguiremo le indicazioni dell’Unità  di crisi, la Asl ha comunicato che saranno fatti tamponi a tutti gli ospiti e i pazienti. Scusate se la comunicazione è difficoltosa ”.
Insomma, nel giro di pochi giorni si passa da “va tutto bene” a c’è l’unità  di crisi. Tre giorni dopo una nuova mail: sono morti 8 ospiti ma “Solo uno era sicuramente affetto da Covid, per altri 5 si spettava il contagio, per gli ultimi due no. Alcuni ospiti hanno la febbre, le assenze per malattia iniziano ad essere numerose”.
Insomma, da “va tutto bene a sono morti in otto”, è passata una settimana. Due giorni dopo l’ennesima mail, questa volta per annunciare che la maggior parte degli operatori è ammalata e devono assumere nuovo personale con il supporto dell’Unità  di crisi.
Si specifica che “con la consueta trasparenza” tutti saranno informati. Oggi 25 aprile arriva un’altra mail: “Scusate ma dobbiamo sospendere le videochiamate con i parenti e la nostra mail era intasata per le troppe richieste, non inviate mail dopo le 21,00”. Intasata ovviamente dalle richieste dei parenti che sono terrorizzati dal non sapere cosa accade.
Ma cosa sta succedendo lì dentro? “Succede che hanno detto sempre che andava tutto bene finchè gli ospiti non hanno cominciato a morire e a star male assieme agli operatori, mia nonna stava bene, dopo poche ore mi hanno informata che era in coma”, racconta Tanya Venturelli, che ha sua nonna ricoverato lì da anni.
“Ci sono operatori che hanno iniziato a parlare e raccontano di essere stati invitati a mentire, di essersi ammalati, io mi sono rivolta ai carabinieri di Nichelino e quelli di Barriera, i Nas dicono che devono aspettare la Procura e intanto di sentire un avvocato, ma io lavoro per un avvocato, non capisco perchè non intervenga nessuno. Certo, questa non è una Rsa qualunque, è la più bella e prestigiosa, ma noi parenti ci stiamo organizzando per sapere la verità  e non ci fermeremo. La paura è che non ci sia personale, alcuni testimoni dicono di interi piani senza più infermieri.”.
A testimoniare su quello che sta accadendo nel convitto, tra gli altri, c’è un’infermiera che si è ammalata due settimane fa.
Ha il Covid sebbene nessuno gliel’abbia diagnosticato, perchè al Principessa Felicità  di Savoia quando è stata male lei, intorno al 9 aprile, di tamponi al personale non ne facevano.
Sta molto male, parla e tossisce, piange per la paura e il dispiacere per quelli che chiama “i nonnini”. L’infermiera lavora lì da molti anni e dice di voler parlare perchè teme che le succeda qualcosa e giustizia non sia fatta: “E’ il primo giorno che riesco al alzarmi, sono devastata da due settimane di febbre e tosse, non so quanto ancora riuscirò a parlare. Registrate tutte le mie parole, tanto io lì non andrò mai più, tornerò nel mio paese. Non importa quello che accadrà  a me, a chi lavora lì, troveremo un altro lavoro e Dio ci proteggerà  spero, ma quel posto deve chiudere. Lì dentro non c’è più niente da fare”.
L’infermiera racconta di un clima difficile per il personale, specialmente con il sopraggiungere dei coordinatori del personale della nuova cooperativa i primi di marzo: “Io litigavo perchè non avevamo neppure il disinfettante per le mani, dicevo “vergogna”, non lavavano i corridoi, i vetri, non sanificavano le stanze, i termometri con cui ci misuravano la febbre non funzionavano. Poi urlavano sempre, ci spaventavano, noi eravamo senza le protezioni per lavorare, una collega ha fatto delle visiere di plastica a mano. Sono iniziati decessi strani al primo piano e non si faceva niente, ho parlato con un parente che mi diceva “Io sono tranquillo, mia madre è al primo piano, mi hanno detto che lì va tutto bene” e io volevo dire “certo che può stare tranquillo, quelli del primo piano sono morti quasi tutti”. L’infermiera è addolorata per i parenti dei “nonnini”. “Non ci dicevano niente di chi faceva i tamponi, noi abbiamo visto che a Pasqua dei medici cominciavano con le terapie per il Covid ad alcuni pazienti, ma non capivamo niente. Io voglio parlare col signor G., voglio il suo numero per chiamarlo anche se sono stanca, non deve fare il funerale a suo papà  senza fargli fare un tampone anche da morto, io gli voglio dire tutto quello che ho visto, deve sapere. Io mi sono preoccupata di imboccare i nonnini, di vedere se aprivano la bocca, ci hanno fatti ammalare tutti, a noi e ai nonnini”.
E poi l’infermiera parla della sua malattia. “Io sono devastata, ho al febbre da due settimane a casa da sola, quando ho sentito che al Convitto avevano iniziato a fare i tamponi al personale ho chiamato 20 volte lì per chiedere di mandare qualcuno a farmelo ma niente. La terapia che sto seguendo mi ha fatto venire una forte tachicardia, pensavo di morire a casa, ora prendo la Tachipirina, la mia dottoressa mi ha inserita nella lista della Asl ma nessuno è mai venuto a casa. Io voglio sopravvivere per tornare per sempre nel mio paese, ma prima voglio parlare perchè lì sono dei bugiardi, hanno nascosto tutto. Quel cimitero di convitto deve chiudere. Vi prego, denunciate tutto, fate qualcosa per quei nonnini”.
Al Convitto Principessa Felicita di Savoia, oggi pomeriggio, mi viene detto telefonicamente che il direttore non c’è, è andato via. Chiedo di poter parlare con chi lo sostituisce ma mi viene risposto che nel caso verrò richiamata. Al momento non c’è un numero ufficiale di contagiati e deceduti nel convitto, ma si parla di decine e decine di ospiti morti in circostanze sospette già  da febbraio.
Questa è la risposta che abbiamo ricevuto successivamente dalla direzione della clinica: “il Convitto farà  un comunicato stampa per i giornalisti che in queste ore ci hanno contattati”

(da TPI)

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IL DIRETTORE DELLO SPALLANZANI: “L’OSPEDALE IN FIERA A MILANO NON FUNZIONERA, E’ UNA CATTEDRALE NEL DESERTO”

Aprile 26th, 2020 Riccardo Fucile

LE STOCCATE DI IPPOLITO: “IN LOMBARDIA TROPPI ERRORI E POCO CORAGGIO”

In Lombardia sono stati diversi gli errori commessi durante l’emergenza Coronavirus e buona parte sarebbero legati alla natura del sistema sanitario lombardo, secondo il direttore dell’Istituto Spallanzani di Roma, Giuseppe Ippolito: «con tanto privato e concentrata su ospedali di eccellenza», come ha detto in un’intervista al Messaggero. Quando ormai sono trascorsi due mesi dall’inizio della pandemia, l’infettivologo considerato tra i più credibili in Italia secondo un recente sondaggio lancia diverse stoccate contro la Lombardia e le scelte della giunta lombarda, compresa la gestione dell’ospedale a Fiera Milano.
Ippolito rivendica i risultati del “modello Lazio”, dove «si ha avuto il coraggio di chiudere interi territori, quando i casi hanno superato una soglia critica o il virus è arrivato pesantemente nelle residenze degli anziani».
Coraggio che il direttore dello Spallanzani non ha visto nella già  grave situazione lombarda, dove non sono mancate le polemiche anche per i ritardi sull’istituzione delle zone rosse soprattutto nella Bergamasca. «È difficile dire ora quale coraggio ci sia stato» al Nord, dice Ippolito».
Certo la Lombardia più di altre regioni è stata: «devastata da una ondata che non era quella che si aspettavano, penalizzata dallo spostamento di popolazione», ma soprattutto secondo lui da «un modello organizzativo con poca sanità  sul territorio».
E le denunce di scarso coinvolgimento da parte dei medici di base lombardi gli danno ragione.
Altro errore è stato poi l’intervento dell’ospedale in Fiera Milano: «Sembra non sia utilizzabile per mancanza di personale — commenta Ippolito — sembra una cattedrale nel deserto, lontano da un ospedale vero, è difficile che possa funzionare».

(da agenzie)

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IL SINDACO DI VENEZIA CHE SI SCHIERA CON I COMPLOTTISTI NELL’EMERGENZA

Aprile 26th, 2020 Riccardo Fucile

BRUGNARO METTE PURE IN DUBBIO IL NUMERO DEI MORTI, COME SE FOSSERO UN’INVENZIONE

In un video del 24 aprile scorso il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro si schiera con i complottisti nell’emergenza Coronavirus mettendo in dubbio i morti del Coronavirus SARS-CoV-2 e COVID-19: “Adesso basta con ‘sta storia. Vogliamo precise telefonate da parte del Governo e della Regione su certe robe. Vogliamo essere informati prima”.
Parlando per metà  in italiano e metà  in dialetto veneziano, Brugnaro si scaglia contro il Governo e l’ultima ordinanza regionale che riapre parzialmente alcune attività : “Questa cosa — dice — sta assumendo un aspetto kafkiano, lo dico fuori dai denti. Ho cercato di resistere ma sono stanco di tutta questa roba qua. Aprite tutto, aprite scuole, asili, fatelo con tutta la prudenza del caso. Si fa a turno, si tolgono i ‘picchi’, si fanno tutte le attività  regolari e legittime dal punto di vista sanitario, ma fate tornare le persone”.
Nella foga, Brugnaro si fa sfuggire anche un dubbio sui numeri: “Conteremo quanti morti sono successi l’anno scorso e quest’anno — afferma — faremo anche ‘sti numeri perchè speriamo non sia tutto un bluff. Ho capito, ma sono stanco. I sindaci, tutti i sindaci, abbiamo scritto un documento preciso al governo per le normative economiche, lo abbiamo fatto con i sindaci della Città  metropolitana, con tutti i sindaci delle città  capoluogo del Veneto, lo abbiamo fatto con i sindaci di tutte le Città  metropolitane d’Italia. I sindaci devono tornare a essere centrali, ‘questi’ fanno ordinanze e scrivono che non è a costo dell’amministrazione. No, è a costo nostro, grazie. Apriamo, non apriamo, un giorno sì uno no, come fa la gente a capirci qualcosa? Ci sono i bambini che non ce la fanno più a casa, bisogna aprire gli asili, no ‘forse, vedremo, stiamo pensando di…’. Qual è il voto che è stato fatto in Parlamento su questa cosa qua? ‘Ae tre verze i cimiteri’ (Alle tre aprono i cimiteri). Vado mi a verzer coe ciave? (Vado io ad aprire con la chiave?)”, conclude.

(da “NextQuotidiano”)

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LA STAGIONE DI “REPUBBLICA” FINISCE SOTTO IL TALLONE DI ELKANN

Aprile 26th, 2020 Riccardo Fucile

EXOR, LA HOLDING DEGLI EREDI AGNELLI, DISPONE DI 11 MILIARDI DI LIQUIDITA’… COSA VOLETE CHE SIANO 102 MILIONI SPESI PER PRENDERSI IL GRUPPO STAMPA-REPUBBLICA-SECOLO XIX, LA RETE DEI GIORNALI LOCALI E LE RADIO?

Purtroppo è così: bisogna partire dai bilanci, dai profitti, dai soldi. Non c’è poesia, nè avventura. I cedimenti romantici sono roba per i nostalgici.
Solo il denaro, l’esercizio brutale del potere spiegano come sia possibile che il nipote dell’Avvocato Agnelli abbia concesso una mancia ai figli di Carlo De Benedetti e si sia preso la Repubblica e tutto il resto, abbia cacciato il direttore Carlo Verdelli, minacciato di morte, senza nemmeno avvertire il fondatore Eugenio Scalfari. Un po’ di rispetto, almeno per l’età .
Un comportamento che forse ha scosso i fragili pensieri dei teorici delle “radici comuni” — un mix di Fiat, di nostalgia delle amanti dell’Avvocato e di Platini, di Giustizia e Libertà  in pillole, di giornalisti “de sinistra” ma compiacenti coi potenti perchè tutti teniamo famiglia — pronti a giustificare il matrimonio tra la Stampa e Repubblica-Espresso quando comandava De Benedetti e oggi sorpresi per l’arroganza di John Elkann che non solo compra tutto, ma affonda lo sfregio sull’immagine di Repubblica portando alla direzione Maurizio Molinari, totalmente estraneo a questa storia, comunque la si giudichi una bella storia di editoria, di giornalismo, di cultura e di società .
Ma non c’è da discutere, i soldi pesano. Exor, la holding degli eredi Agnelli, dispone di circa 11 miliardi di euro di liquidità , fondi spendibili per cogliere occasioni nel mondo della finanza e dell’industria, utili magari per diversificare dall’industria dell’auto.
Negli ultimi mesi Elkann ha rimpinguato le casse con la promessa di un dividendo straordinario Fca di 1,5 miliardi, a valle della fusione con Psa, e con la cessione dell’americana Partner Re alla francese Covèa per 9 miliardi di euro, con una plusvalenza di 3 miliardi.
Prima aveva venduto la Magneti Marelli, un gioiello, ai giapponesi. Cosa volete che siano 102 milioni di euro spesi da Elkann per prendersi tutto il gruppo Stampa-Repubblica-Secolo XIX, la rete dei giornali locali, le radio?
Un’inezia, il vassoio dei pasticcini della domenica. Elkann, che ha comprato anche le quote di minoranza di Giacaranda Caracciolo e della famiglia Perrone, forse spenderà  altri 80, 90 milioni di euro per rastrellare con un’offerta pubblica tutte le azioni. Ma non è un grande sforzo se hai in cassa 11 miliardi da spendere.
Questa novità , il blitz di Elkann, giunge in un momento drammatico per l’editoria italiana, non solo per gli effetti della pandemia che colpisce il Paese.
I giornali soffrono da anni. Il mercato della pubblicità  pure. Le tirature dei principali quotidiani sono inguardabili tanto sono scese in basso. In questa congiuntura è impossibile fare miracoli.
Il mercato della pubblicità  vale in Italia circa 9 miliardi di euro l’anno (2018, fonte Upa), la quota maggiore va ancora alle tv (3,8 miliardi, pari al 43% del totale), poi c’è Internet (3,1 miliardi, pari al 34,9%). I quotidiani non arrivano a 600 milioni (6,7% del mercato), le radio raccolgono 431 milioni (4,9%), i periodici confermano la loro debolezza (4,4%).
I nuovi padroni della pubblicità  sono Facebook e Google, con il loro monopolio nelle piattaforme e tecnologie.
Solo un intervento politico, sanzionatorio, almeno a livello europeo, come quello che spezzò il monopolio delle telecomunicazioni in America può aprire di nuovo il mercato. Se guardiamo solo ai giornali viene da piangere.
L’Agcom sostiene che dal giugno 2015 al giugno 2019 le copie cartacee sono passate da 2,34 milioni a 1,58 milioni al giorno, con una contrazione del 30%. Economicamente bisognerebbe riequilibrare questa flessione con le copie digitali, ma sarebbe necessario seguire criteri condivisi da tutti gli editori.
Comunque si può dire che il digitale, anche nei suoi risultati migliori, non compensa i ricavi persi dall’editoria tradizionale in Italia.
Cosa farà  allora il nuovo polo di giornali radio internet di Elkann? C’è la promessa della trasformazione digitale, di valorizzazione dell’indipendenza.
Sembra probabile che verrà  creata una sola piattaforma editoriale, produttrice di contenuti, capace di elidere doppioni e costi, mantenendo l’apparente autonomia delle testate per difendere marchi territoriali e nazionali.
Ovviamente la “razionalizzazione” comporterà  dei sacrifici in termini occupazionali: perchè avere tre redazioni a Genova, o un paio a Milano, Torino, Roma?
Ora che una quindicina di quotidiani, tra grandi e piccoli, sono controllati dalle stesse mani la cosa più semplice da ipotizzare è che ci sia una direzione editoriale unica (Molinari, appunto), un risparmio di risorse da una parte per investirle altrove, il taglio di rami secchi e l’apertura di strade nuove.
La trasformazione digitale non c’è stata nella nostra editoria, tutti i treni sono passati ma gli editori hanno preferito vivacchiare per difendere i loro margini, sempre più bassi, scaricando i costi sociali delle ristrutturazioni sui fondi pubblici e gli enti di previdenza.
Nessun ha rischiato nulla. Non basta portare pezzi del giornale di carta sul web per fare la rivoluzione digitale.
Oggi l’editoria nazionale è questa: il neofita Elkann da una parte e Urbano Cairo, con il Corriere della Sera, la Gazzetta dello Sport e la7 dall’altra.
Non si scappa, questa è la realtà . Restano i giornalisti. Resta il giornalismo, un mestiere bellissimo.
I giornali, anche se malmessi, non sono carta straccia, meriterebbero più rispetto sia da parte dei padroni che dei lettori. Raccontano il nostro tempo, seguono le stagioni della vita, sostengono la nostra memoria, sono portatori di passioni.
I giornalisti, in questo brutto momento, possono ricorrere al pensiero di un grande collega. Giorgio Bocca, tra i fondatori di Repubblica, scrisse amare considerazioni sullo stato dell’informazione in Italia, prima di lasciarci, ma con una speranza: “Sono convinto che ci sarà  ancora bisogno di un giornalismo etico, d’informazione, d’inchiesta. Sarà  sempre indispensabile per una società  civile”.

(da TPI)

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GLI ITALIANI BOCCIANO LA RIPARTENZA DEL CAMPIONATO DI CALCIO

Aprile 26th, 2020 Riccardo Fucile

LA SERIE A PUO’ ASPETTARE: IL 64% CONTRARIO

Cosa ne sarà  della seria A? Era attesa per questo weekend la decisione del ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, sulla data della ripresa degli allenamenti di calcio.
Le squadre di serie A e con loro i tifosi aspettano di capire se, quando e con quali modalità  ripartirà  il campionato di calcio, attualmente fermo a causa dell’epidemia da Coronavirus.
La lega Calcio sta studiando l’ipotesi di riaprire il 14 giugno, come data ultima, anche per “salvare” la Coppa Italia e terminare i campionati entro agosto.
Anche se ripartirà  il campionato, difficilmente riapriranno gli stadi. Una decisione in apparenza impopolare che però potrebbe essere in sintonia non soltanto con la maggioranza degli italiani, ma anche dei tifosi.
Secondo un recente sondaggio condotto su circa mille persone -da IZI con Comin & Partners — il 64% degli interpellati dice di essere contrario alla ripresa dei campionati di calcio professionistici.
Le motivazioni sono prevedibili sia da una parte che dall’altra: per i rispondenti favorevoli alla riapertura, circa la metà  dice che il campionato rappresenta un volano economico importante per il Paese, mentre circa un quarto teme che una chiusura prolungata possa mettere a repentaglio il futuro economico dei club.
Tra chi dice “no” sono prevalenti considerazioni di carattere sanitario o di equità  rispetto ad altri settori.
Circa un terzo di loro infatti sostiene che il calcio non dovrebbe ricevere un trattamento speciale rispetto ad altri settori. Ma ciò che colpisce di più è l’alta percentuale di tifosi che sono contrari alla riapertura.
Parliamo di poco più della metà  dei rispondenti che si definiscono molto o abbastanza tifosi o appassionati di calcio.
Anche tra loro la maggioranza relativa — circa il 49% — dice che una riapertura non sarebbe sicura dal punto di vista sanitario mentre una percentuale più bassa, ma più o meno simile ai “non appassionati”, dice che il campionato di calcio non dovrebbe godere di un trattamento speciale.
Adesso bisognerà  aspettare di vedere cosa dice il governo. Su questo almeno concorda la stragrande maggioranza degli intervistati: sia tra i tifosi che tra i non appassionati, circa tre persone su quattro concordano che dovrebbe essere l’esecutivo e non la Figc a decidere le sorti del campionato.

(da agenzie)

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