Giugno 9th, 2020 Riccardo Fucile
INVECE CHE DEPORRE I FIORI SU QUELLA DELL’AGENTE MORTO LI HA POSTI SULLA LAPIDE DI DON FRANCO DETTO IL SARTO, PERSONAGGIO MOLTO AMATO NEL QUARTIERE
Quando Matteo Salvini ha fatto un giro a Napoli si è recato anche a Calata Capodichino, strada di
Napoli dove lo scorso 27 aprile l’agente della Polizia di Stato Pasquale Apicella è morto in un incidente stradale mentre inseguiva una banda di rapinatori.
Abbiamo raccontato che la visita è durata meno di un minuto a causa della contestazione che gli hanno riservato gli abitanti del luogo.
Ma il consigliere comunale di Napoli Gaetano Troncone si è accorto anche di qualcos’altro: ovvero del fatto che la lapide presso la quale ha deposto i fiori è quella che ricorda don Franco detto il Sarto, personaggio molto amato nel quartiere.
“Salvini si è reso conto di essersi fermato nel posto sbagliato oppure si tratta di un problema psichiatrico come dice De Luca?”, si chiede Troncone.
“Don Franco era anche detto il sindaco di Capodichino e per questo il quartiere lo ha voluto omaggiare con questa lapide abusiva. I tuoi contatti, caro Salvini, ti hanno fatto sbagliare forse perchè hanno una scarsa conoscenza del territorio”, conclude.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 9th, 2020 Riccardo Fucile
DAMA, PUR ESSENDO TRA I FORNITORI DELLA REGIONE, NON HA MAI SOTTOSCRITTO IL “PATTO D’INTEGRITA'” SULL’ASSENZA DI CONFLITTI DI INTERESSE… E SE FOSSE STATA UNA DONAZIONE AVREBBE DOVUTO SEGUIRE UN ITER DIVERSO
Dopo le minacce e le diffide di Attilio Fontana, il servizio di Giorgio Mottola sui camici forniti dalla DAMA SPA, azienda riconducibile alla moglie e al cognato del governatore della Lombardia, prima a pagamento e poi in donazione arriva finalmente a Report.
La storia comincia quando Regione Lombardia chiede ad ARIA, azienda regionale che si occupa di acquisti, di comprare dispositivi di protezione individuale. Nel registro online degli acquisti ne manca uno, ovvero proprio quello di DAMA che attraverso una procedura negoziata (niente gara, aggiudicazione diretta), ha portato a casa una fornitura di camici per 513mila euro. L’affidamento diretto di denaro pubblico viene firmato da Aria, la centrale acquisiti della Regione, creata circa un anno fa su input dell’assessore al Bilancio, il leghista Davide Caparini. Negli elenchi dei fornitori presenti sul sito di Aria con molta difficoltà si trova la ditta Dama Spa.
Dama SPA è la ditta della famiglia Dini, che produce il marchio Paul & Shark: Roberta e Andrea Dini sono proprietari. La fornitura non compare nel registro ma in una pagina interna c’è un elenco di affidamenti diretti, anche se non si specifica cosa è stato venduto e a che prezzo. Compare il nome, ma non si comprende bene cosa si venda e a che prezzo. La Dama, però, è una società nota che detiene il famoso marchio Paul&Shark. Il suo ceo è Andrea Dini, fratello di Roberta, moglie di Attilio Fontana. La first lady regionale è poi parte attiva dell’impresa in quanto vi partecipa come socia al 10% attraverso la Divadue Srl. La Diva Spa, invece, detiene il 90% di Dama Spa. La Diva Spa inoltre ha come socio al 90% una fiduciaria del Credit Suisse che amministra un trust denominato “Trust Diva”.
Per questo Mottola va a chiedere a Dini dell’appalto, ma lui parla subito di una donazione: “Sono un’azienda lombarda, devo fare il mio dovere”. E Dini per una prima volta si eclissa dal citofono di casa sua, dove stava rispondendo. La fornitura è di 75mila camici e 7mila tra cappellini e calzari per 513mila euro. Si specifica che il pagamento avverrà tramite bonifico a sessanta giorni dalla data di fatturazione. Il quadro così ricostruito viene presentato dall’inviato ad Andrea Dini, che al citofono risponde: “Non è un appalto, è una donazione. Chieda pure ad Aria, ci sono tutti i documenti”. Davanti all’ordine di forniture, Dini mette giù. Poi è costretto ad ammettere: “Effettivamente, i miei, quando io non ero in azienda durante il Covid, chi se ne è occupato ha male interpretato, ma poi me ne sono accorto e ho subito rettificato tutto perchè avevo detto ai miei che doveva essere una donazione”.
Ma quando Mottola parla della documentazione, la sua versione cambia rispetto a quella iniziale che parlava di una semplice donazione: “Chi se ne è occupato ha male interpretato la cosa, io ho detto ai miei che doveva essere una donazione, abbiamo fatto note di credito e non avremo mai un euro da Area. Io non ero in azienda. I miei l’hanno fatto a mia insaputa, appena l’ho saputo…”.
Le note di credito arrivano però tra 22 e 28 maggio, quando Report comincia a occuparsi della storia, e ammontano a 359mila euro, ne mancano quindi 153mila euro. La volontà di donare però si è manifestata solo in un secondo momento: solo il 20 maggio arriva la decisione di donare tutto, prima aveva anche emesso fattura per ricevere i soldi. La restituzione coincide con le prime domande mandate da Report sulla vicenda.
Anche Fontana dice che non sapeva nulla della storia. Il Fatto Quotidiano spiega su cosa indaga oggi la procura di Milano:
Eppure l’affidamento diretto a una azienda controllata dalla moglie e dal cognato del presidente della Regione configura un imbarazzante conflitto d’interessi. Potrebbe in astratto comportare anche u n’ipotesi d’accusa di abuso d’ufficio, mala Procura milanese, in attesa di compiere accertamenti, ha aperto soltanto un fascicolo a modello 45, cioè senza indagati nè ipotesi di reato. All’ufficio diretto dal procuratore Francesco Greco era arrivata nelle scorse settimane una segnalazione proveniente dall’interno di Aria, la centrale acquisti della Regione Lombardia. Una segnalazione da Aria risulta sia arrivata anche alla Procura di Como.
DAMA SPA compare regolarmente nell’elenco fornitori della società regionale Aria. Ma a differenza di altre aziende fornitrici, non ha sottoscritto il “patto d’integrità ” del 2019, che comprende anche la dichiarazione di assenza di conflitti d’interesse. Così, in piena emergenza Covid, l’azienda aveva potuto presentare un’offerta commerciale alla Regione per la fornitura di camici, copricapi e calzari sanitari. Aria aveva accettato l’offerta, firmato l’ordine di fornitura il 16 aprile e il 30 aprile aveva ricevuto una regolare fattura, con pagamento previsto a 60 giorni. Soltanto il 22 maggio (dopo che il giornalista di Report aveva chiesto spiegazioni aDini e Fontana) erano cominciate ad arrivare in Regione note di storno di Dama spa che annullavano le richieste di pagamento.
Ma le donazioni prevedono tutt’altra procedura, spiega uno specialista, l’avvocato Mauro Mezzetti: “Intanto non basta la decisione del solo rappresentante legale: è necessaria una decisione del consiglio d’amministrazione di cui deve essere informato il collegio sindacale, perchè sia garantito che la donazione non danneggia l’azienda donatrice. Poi, se non si tratta di una donazione di beni di modico valore (e mezzo milione di euro non mi pare sia un valore modico)”, continua l’avvocato Mezzetti, “ci vuole un atto notarile, sottoscritto con la presenza di due testimoni e la redazione di una nota firmata da chi dona, da chi riceve e dal notaio”.
Non solo: “L’atto di donazione va registrato entro venti giorni — conclude Mezzetti — altrimenti scattano sanzioni, perchè le donazioni sono sottoposte a un’imposta dell ‘8 per cento,con pene pecuniarie per chi non paga”.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 9th, 2020 Riccardo Fucile
I VERBALI DEL FACCENDIERE CAIANIELLO: “GALLERA E COMAZZI ERANO EMANAZIONE DELLA GELMINI”
Ricordate? Qualche tempo fa Matteo Salvini e la Lega avevano presentato un emendamento al
Decreto Cura Italia con il quale volevano garantire l’immunità ai dirigenti delle strutture sanitarie lombardi scaricando la colpa di eventuali contagi su medici e infermieri.
L’emendamento è stato ritirato mentre circolava l’infografica che vedete qui sopra che segnalava la spartizione delle nomine tra Lega e Forza Italia in Lombardia: cambiavano 30 direttori generali su 40, di cui 24 erano appannaggio del Carroccio e 14 di Forza Italia, mentre due andavano a Fratelli d’Italia.
Oggi Repubblica Milano pubblica invece i verbali degli interrogatori di Gioacchino Caianiello, ex di Forza Italia, considerato il “ras” delle nomine e degli appalti pilotati, arrestato nell’inchiesta “Mensa dei poveri” un anno fa ed è interessante leggerli per comprendere come funziona il sistema delle nomine della sanità e capire perchè ogni volta che si presenta un problema tutti si difendono tra di loro:
«Nella provincia di Varese Forza Italia ha avuto difficoltà a esprimere dei candidati espressione del territorio, essendo i direttori generali indicati in quota Forza Italia scelti a livello regionale».
Dopo aver indicato alcune nomine durante la giunta Maroni, Caianiello, assistito dall’avvocato Tiberio Massironi, parla degli ultimi anni. «Per quanto concerne le nomine verificatesi dopo l’insediamento della giunta Fontana, la relativa scelta in quota Forza Italia è stata effettuata dal capogruppo di Forza Italia Gianluca Comazzi, dall’assessore alla Sanità Giulio Gallera, dal vicepresidente regionale Fabrizio Sala e da Fabio Altitonante», consigliere forzista arrestato nell’inchiesta.
«Faccio presente – spiega – che Comazzi e Gallera sono i principali uomini di riferimento della Gelmini in consiglio regionale».
Secondo il “burattinaio delle nomine” «è stata Gelmini a sostenere le candidature di Comazzi e Gallera in Regione e poi ha ottenuto in favore di Gallera la riconferma nell’assessorato alla Sanità ».
Caianiello spiega poi che di fronte alla «assenza di riconoscimenti di Forza Italia varesina di direttori generali di strutture ospedaliere, più volte ho rappresentato a Gelmini e Comazzi la necessità di una compensazione in nostro favore presso altri enti».
Sarebbero nate così le proposte per nomine in altri organismi, come per esempio Aler. «La nomina in quota Forza Italia dei dg nelle province di Bergamo e Brescia sono state invece ad appannaggio della Gelmini». Al governatore Fontana, Caianiello riconduce anche la nomina di Giuseppe Bonomi «all’interno della Cittadella della Salute» a Sesto, «essendo Bonomi una persona particolarmente vicina al presidente, avendo anche fatto parte dello studio legale Fontana – Marsico».
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 9th, 2020 Riccardo Fucile
COLLUSIONI CON LA CAMORRA
Ci sono anche i tre fratelli del senatore di Forza Italia Luigi Cesaro nell’inchiesta condotta dai carabinieri del Ros sulle ramificazioni dei clan camorristici Puca, Verde e Ranucci, attivi nella zona di Sant’Antimo, nella periferia settentrionale di Napoli.
Il gip di Napoli Maria Luisa Miranda, che ha firmato le 59 misure cautelari notificate dai carabinieri del Ros nel Napoletano, nell’ambito di un’inchiesta della Dda su presunte collusioni tra politica e camorra a Sant’Antimo (Napoli), si è riservato di prendere una decisione in relazione alla posizione del senatore Luigi Cesaro, “all’esito – si legge nell’ordinanza – dell’eventuale autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni, ritenute rilevanti, secondo la procedura che verrà attivata da questo ufficio”
La misura degli arresti domiciliari è stata eseguita nei confronti di Aniello e Raffale Cesaro, entrambi già coinvolti in un’altra inchiesta su presunte collusioni con la camorra. In carcere invece va un terzo fratello, Antimo, patron del centro di analisi Igea di Sant’Antimo.
La Procura indaga per concorso esterno in associazione camorristica. Sequestrata la società “Il Molino”. L’inchiesta è condotta dalle pm Giuseppina Loreto e Antonella Serio, le ordinanze sono firmate dal giudice Maria Luisa Miranda. Sotto sequestro è finita la società del centro commerciale Il Molino.
(da agenzie)
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Giugno 9th, 2020 Riccardo Fucile
E’ DOMENICA CATALFAMO (FORZA ITALIA)… INDAGATO ANCHE IL VICE-SINDACO DI REGGIO CALABRIA (PD)
Finisce sotto sequestro per mafia e in amministrazione giudiziaria l’Avr, la holding che si occupa
della raccolta rifiuti a Reggio Calabria e in altre sei regioni italiane, come di manutenzione e segnaletica su importanti arterie stradali e autostradali.
E nel crollo travolge anche 13 persone, tutte indagate a piede libero, fra cui il presidente del cda Claudio Nardecchia e diversi politici e amministratori di tutto l’arco costituzionale dall’attuale assessore regionale Catalfamo, al vicesindaco e assessore all’Ambiente di Reggio Calabria Armando Neri (Pd), al consigliere metropolitano di Reggio Calabria, Filippo Quartuccio (Art.1), e a quello più l’ex consigliere regionale Giovanni Nucera (Pd).
Cuore reggino, sede legale a Roma, della holding di Avr faceva parte anche Ase (Autostrade service — servizi al territorio s.p.a.), acquisita nel 2011 da Autostrade italiane. Un’operazione che ha consentito alla società – sequestrata oggi dai carabinieri di Reggio Calabria, all’esito dell’indagine della procura antimafia — di acquisire nel tempo importanti appalti e lavori, fra cui il contratto di global service per l’arteria Firenze-Pisa-Livorno. Ma nel tempo, Avr si è messa in tasca anche i servizi di manutenzione straordinaria della segnaletica per Aeroporti di Roma S.p.A., di manutenzione ricorrente sulle autostrade italiane, come contratti e appalti in Polonia.
Per operare in Calabria — è emerso dall’inchiesta dei pm Stefano Musolino, Walter Ignazzitto e Alessandro Moffa, coordinata dal procuratore capo Giovanni Bombardieri – la holding non esitava a scendere a patti con imprenditori vicini ai clan come con la politica, che spesso ha imposto alla società assunzioni e scatti di carriera per dipendenti selezionati, in futuro utili per acquisire voti e consensi.
Altre accuse vengono contestate a funzionari di Comune e Città metropolitana per avere posto in essere atti di corruzione per l’esercizio della funzione o per il compimento di atti contrari ai doveri di ufficio allo scopo di agevolare la predetta società nei rapporti con la Pubblica Amministrazione.
La società invece per i giudici era in stabili e consolidati rapporti con imprenditori appartenenti o collegati alle cosche della ‘ndrangheta collusi. E’ stato accertato, in particolare, che imprese riferibili all’associazione criminale ed operanti nei mandamenti Tirrenico e Ionico sono state, reiteratamente e colpevolmente, agevolate attraverso l’affidamento e l’esecuzione di opere, nel ramo d’azienda dedicato al settore edile e manutentivo, cosi consentendo alla medesima Avr di poter operare anche con il gradimento delle cosche
Anche in relazione all’esercizio del ramo di azienda dell’Avr operante nel settore del ciclo dei rifiuti e della pulizia del suolo è stata riconosciuta dal Tribunale l’agevolazione degli interessi di alcune storiche cosche di ndrangheta, egemoni nel territorio cittadino ed inserite tradizionalmente in questo importante segmento economico.
(da agenzie)
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Giugno 9th, 2020 Riccardo Fucile
I LEGAMI CON LA VIM E L’AFFIDABILITA’ MOLTO BASSA… IL TITOLARE DELL’AZIENDA NELLA FOTO A FIANCO DELLA FUTURA GOVERNATRICE
Prima l’ospedale da campo di Bastia Umbria, ora i test sierologici.
La Corte dei Conti dell’Umbria ha aperto un altro fascicolo, affidato alla Guardia di Finanza, sulla gestione della “fase 1” della giunta leghista di Donatella Tesei.
Dopo la richiesta di chiarimenti sulla costruzione dell’ospedale da 30 posti di terapia intensiva grazie ai 3 milioni donati da Banca d’Italia, a fine maggio la procuratrice Rosa Francaviglia ha delegato la Guardia di Finanza a svolgere l’indagine sui test rapidi: nei giorni scorsi i militari hanno chiesto alla giunta regionale la documentazione sull’acquisto di 30mila test sierologici, 15mila rapidi pungidito e 15mila molecolari.
In particolare la Corte dei Conti vuole vederci chiaro sull’acquisto del lotto da 15mila test pungidito dalla Vim spa di Città di Castello e prodotti dalla Screen Italia srl, avvenuto a fine marzo tramite un affidamento diretto, in deroga al codice degli appalti grazie all’emergenza coronavirus.
La Guardia di Finanza di Perugia ha chiesto alla Regione Umbria la documentazione relativa alla procedura utilizzata per l’acquisto, al prezzo pagato per i test e al loro livello di specificità e sensibilità .
La questione, che nei giorni scorsi è stata oggetto anche di una dura polemica politica tra la giunta e le opposizioni in consiglio regionale, è finita anche in Parlamento con il commissario umbro del Pd Walter Verini che ha presentato un’interrogazione al ministro della Salute Roberto Speranza parlando di “un’opaca vicenda”.
L’acquisto dei 15mila test
Tutto nasce con uno scambio di mail del 18 marzo, di cui ilfattoquotidiano.it è in possesso, in cui il capo di gabinetto di Tesei, Federico Ricci, sollecita l’acquisto dei test all’area della Protezione Civile regionale “nel più breve tempo possibile” perchè viene considerata una merce “irreperibile e indispensabile per la gestione della pandemia”.
Eppure il giorno successivo la professoressa Antonella Mencacci della Struttura di Microbiologia dell’Ospedale di Perugia prova i pungidito su due pazienti sintomatici da 10 giorni e positivi al tampone. Il risultato è chiaro: un (falso) negativo e un positivo. “La negatività del test non esclude in alcun modo la diagnosi di Covid-19 — scrive Mencacci nella relazione — Anzi un tale approccio al test può risultare addirittura pericoloso, inducendo una sottostima dei casi sospetti”.
Quindi, conclude la professoressa: “In alcun modo il test potrà essere usato per lo screening di contatti asintomatici o sanitari esposti”. Poi, al termine della relazione, consiglia alla Regione di acquistare 5mila test sierologici pungidito e 15mila test sierologici molecolari, considerati molto più affidabili.
Ma la giunta procede lo stesso con l’acquisto, abbondando sui “pungidito”: un lotto da 15mila test acquistati a 16 euro più Iva, con uno sconto rispetto ai 27 euro richiesti inizialmente dalla Vim. Totale: 290mila euro.
Una volta acquistati la dottoressa Mencacci ne “testa” altri 1.180 che però forniscono una specificità e una sensibilità molto diversa da quella indicata dal bugiardino del prodotto per gli anticorpi Igg: 78% contro il 98% di specificità e 72% contro 100% di sensibilità . Un’affidabilità molto più bassa.
La giunta decide di usare comunque i test per monitorare i sanitari e i cittadini della zona rossa di Giove. Dopo il primo lotto, Tesei scrive una lettera ai sindacati per annunciare un nuovo acquisto da 125mila kit. Non sono mai stati comprati.
La Vim e i legami con la giunta Tesei
Nessuno in consiglio regionale riesce a spiegarsi però perchè siano stati acquistati, con affidamento diretto, 15mila kit dalla Vim senza prima verificare le caratteristiche: secondo la Regione era uno dei tanti test sul mercato in un momento di bisogno, ma l’opposizione Pd in consiglio regionale contesta la scelta.
L’amministratore delegato dell’azienda infatti è Vincenzo Monetti che il 13 ottobre scorso ha pubblicato una foto a una cena elettorale di Donatella Tesei al Park Hotel di Perugia a pochi giorni dal voto. Lo scatto lo immortale mentre abbraccia la futura governatrice e il candidato nella sua lista “Umbria civica”, Nilo Arcudi, presidente del consiglio comunale di Perugia e finito a dicembre (non indagato) nelle carte di un’inchiesta di ‘ndrangheta in cui alcuni boss dicevano di averlo “messo” al Comune di Perugia.
A ilfattoquotidiano.it Monetti ha detto di “essere stato invitato alla cena come tanti altri imprenditori” e di conoscere Tesei e Arcudi “solo di vista”. Nilo Arcudi invece spiega di conoscere Monetti e “di averlo visto a diversi nostri appuntamenti elettorali”.
Il fascicolo della Corte dei Conti
La procuratrice della Corte dei Conti umbra Rosa Francaviglia così ha aperto un fascicolo sul caso per un’ipotesi di danno erariale, ancora tutta da dimostrare. La Guardia di Finanza ha chiesto alla Regione, tramite comunicazione scritta, tutto il carteggio tra la ditta di Città di Castello e la giunta, la documentazione per capire il valore scientifico dei test e anche quello relativo alla trattativa con la Vim sul prezzo delle “saponette”.
Nelle scorse settimane sempre la Corte dei Conti dell’Umbria aveva aperto un altro fascicolo sul nuovo ospedale da campo nel tendone di Umbriafiere, a Bastia Umbra (Perugia), che sarà pronto il prossimo 30 giugno quando potrebbe non servire più: in questo caso la procuratrice Francaviglia vuole capire se ci sia stato uno spreco di soldi pubblici.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 9th, 2020 Riccardo Fucile
L’ARMA RICOSTRUISCE LE SUE PROMOZIONI A COLONNELLO E GENERALE, AVVENUTE PER AUTOMATISMO (OPE LEGIS)
Dopo aver raccontato di quella volta che parlò con gli alieni, vale la pena raccontare come ha fatto
Antonio Pappalardo, musicista di chiara fama, a diventare colonnello e generale.
Lo fa oggi con un comunicato stampa proprio l’Arma dei Carabinieri, con un comunicato che risponde alle tante seccature che in questi giorni stanno arrivando agli uffici per scoprire la storia. Eccola.
Il generale in congedo Antonio Pappalardo, leader dei gilet arancioni, ha prestato servizio attivo nei carabinieri fino al 25 giugno del 2006, precisa la stessa Arma in una nota.
“Il grado di colonnello gli è stato attribuito nel 1994, quale promozione ‘ope legis’ (L. n. 224/1986), al termine del mandato parlamentare, in quanto eletto nel 1992 alla Camera dei Deputati“.
E anche “la promozione al grado di Generale di Brigata è stata conseguita ‘ope legis’, il 24 giugno 2006, ovvero il giorno prima del collocamento in congedo per raggiunti limiti di eta’, cosi’ come sancito dalla L. n. 536/1971 (cosiddetta “promozione alla vigilia”), successivamente abrogata dall’art. 2268 del D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66″. Dal primo ottobre 2018 — si legge ancora nella nota — Pappalardo “e’ stato sospeso per 12 mesi dalle funzioni del grado a seguito di procedimento disciplinare di stato per violazione dei doveri derivanti dal grado e dal giuramento prestato, avviato su proposta del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri e cosi’ definito dal Ministero della Difesa”.
Pappalardo, che è stato eletto nel 1992 alla Camera dei Deputati come indipendente tra le fila del Partito Socialista Democratico Italiano, percepisce come ogni parlamentare della Repubblica un vitalizio pari a 3.108 euro al mese (alla quale va aggiunta la pensione da Generale in congedo) ovvero la cifra che spetta a tutti i parlamentari che sono rimasti in carica una legislatura.
Niente di illegale, sia ben chiaro, però come non ricordare che l’XI legislatura, quella durante la quale Pappalardo prestò servizio come deputato, viene ricordata come la più breve della storia della Repubblica Italiana.
Dopo appena 722 giorni infatti le camere vennero sciolte e così terminò, nel 1994, l’ultima legislatura della Prima Repubblica. Ma in quel brevissimo arco di tempo Pappalardo fece a tempo a cambiare partito (entrò nel gruppo del Patto Segni), diventare sottosegretario alle finanze del governo tecnico (quindi non eletto dal popolo) guidato da Carlo Azeglio Ciampi.
Nel 1994 poi l’allora Colonnello Pappalardo si candidò alle amministrative di Roma come capolista di Solidarietà Democratica, movimento politico che venne coinvolto in un’inchiesta per alcuni legami con la massoneria deviata legata a Forza Italia guidata dal principe Giovanni Alliata di Montereale (già coinvolto nel golpe Borghese) che mirava a influenzare l’esito delle elezioni romane (le prime nelle quali c’era l’elezione diretta del sindaco).
Pappalardo non è certo nuovo ad uscite rivoluzionarie, nel 2000 quando era alla guida del COCER (il sindacato della Benemerita) ad esempio aveva minacciato l’agitazione dell’Arma dei Carabinieri auspicando che i militi provvedessero a “fondare un nuovo Stato”.
Dichiarazione che gli costò la rimozione immediata dal Comando del II Reggimento Carabinieri di Roma. In seguito Pappalardo ha tentato di promuovere il federalismo in salsa siciliana e addirittura di portare la pace tra israeliani e palestinesi con un musical.
(da “NextQuotidiano”)
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