Gennaio 29th, 2023 Riccardo Fucile
UNA PATACCA LEGHISTA, SENZA NESSUNA TUTELA PER LE REGIONI PIU’ DEBOLI
L’immarcescibile ministro leghista Roberto Calderoli si è messo al lavoro e in un batter d’occhio ha presentato la sua bozza di disegno di legge sull’autonomia differenziata: materia tosta e complessa.
E io, senza pregiudizi, mi sono accostato a una prima lettura. Ripeto, senza pregiudizi, dal momento che chi come me ha votato sì al referendum confermativo sulla riforma del titolo V della Costituzione varata dal centro-sinistra nel 2001 (che pure qualche stortura, col senno del poi, ha comportato) deve confrontarsi con l’esigenza che quel percorso si compia interamente con una legge che disciplini alcune competenze delle regioni a statuto ordinario (non più solo di quelle a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano), ai sensi degli articoli 116 e 117.
Perciò, sgomberando il campo da posizioni faziose e preconcette, è ora che si dia attuazione, dopo 21 anni da quella riforma, al comma 3 dell’articolo 116 della nostra Carta.
Il problema ovviamente è “come”. E qui, consentitemi, qualche valutazione preconcetta sul fautore di questa riforma io me lo riserverei. Insomma, non che io mi fidi ciecamente di Calderoli, quello che esibiva in pubblico magliette contro l’Islam scatenando quasi una guerra di religione e dava dell’orango all’ex ministra Cécile Kyenge; bruciava col lanciafiamme cataste di leggi dello Stato in pubblica piazza spacciando quel gesto come atto di rivoluzionaria semplificazione legislativa. Varava una riforma elettorale da lui stesso definita una “porcata”.
Ho dato perciò una rapida lettura a quei nove articoli e relativo allegato che indica le 23 materie concorrenti tra Stato e regioni interessate dal disegno di legge e ho individuato, anche grazie alla lettura di articoli specialistici sull’argomento, quelle che a mio parere sono alcune criticità (volendo usare un eufemismo).
Innanzitutto, pare che il processo di attivazione dell’autonomia differenziata da parte delle regioni sia particolarmente facile, non prevedendo alcun check sui criteri necessari per avanzare l’istanza (conti in ordine, eventuali commissariamenti sulle materie per cui si richiede l’autonomia).
Sembrano poi abbastanza deboli i poteri di interlocuzione e interdizione che la bozza di norma assegna al Parlamento (in particolare alla Commissione sugli affari regionali) e alla Conferenza Stato-Regioni sui processi di attribuzione dell’autonomia.
Insomma, dalla bozza sembra che, alla fine, governo e regione interessata se la possano cantare e suonare come vogliono.
Uno degli elementi cardini di questa riforma deve essere la definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep), che dovrebbe precedere l’approvazione della legge.
Invece ciò può avvenire anche successivamente utilizzando, nel transitorio, la cosiddetta “spesa storica”; dalla spesa storica si dovrebbe poi passare al “fabbisogno standard”, ma non si capisce come e quando. Ancora: le intese sull’autonomia tra le regioni e lo Stato sono singole (si può andare in ordine sparso), senza alcuna norma di salvaguardia per lo Stato di rivedere gli accordi in caso lo ritenga necessario.
Infine, ultima ma non ultima, ci sarebbe la questione relativa alla tutela delle regioni più in difficoltà, prevalentemente quelle del sud, magari mediante lo stanziamento di un fondo di perequazione (di cui la bozza di legge non parla).
Ricordo a tal proposito che, per ciò che mi risulta, la spesa storica qualche centinaio di miliardi al meridione li ha sottratti. In tutto questo, la notizia forse buona è che la riforma parte in un momento storico in cui la Lega non è particolarmente forte (sono lontani i fasti del partito di Matteo Salvini al 35% dei consensi): non credo che Fratelli d’Italia (e la sua leader Giorgia Meloni) e Forza Italia abbiano particolari interessi a vedere “scamazzato” il sud, come qualche esponente leghista gradirebbe forse fare.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 29th, 2023 Riccardo Fucile
DOPO UNA FAME DI POTERE DURATA DIECI ANNI, LE TRE FORZE DEVONO SOPPORTARSI A COABITARE
C’è un paradosso fin troppo evidente in questi primi cento giorni del governo
delle tre destre con una donna sola al comando a Palazzo Chigi. Cioè: la coabitazione in nome del potere (dopo una fame durata un decennio e passa) di tre forze costrette a stare insieme. Non proprio una maggioranza unita.
Del resto i due leader maschi e machi, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, hanno da subito manifestato la loro insofferenza per Giorgia Meloni premier. Nonostante la premessa, dunque, il paradosso è che la navigazione del Meloni I andrà avanti almeno per un anno e mezzo, fino al test elettorale delle Europee, salvo ovviamente clamorose sorprese.
Tra risultati modesti, annunci-spot, flop e retromarce a iosa, le tre destre è come se fossero già segnate da una stanchezza che di solito arriva dopo parecchio tempo trascorso insieme, anziché dopo appena tre mesi
Poi c’è lei, la premier. Smaltita la sbornia del boom nelle urne, è stata risucchiata dall’emergenza post-pandemica e bellica, con il risultato di entrare nel fatidico club del realismo di governo. Epperò, visti i sondaggi, Meloni sembra come il Napoli padrone nel campionato di calcio, che deve il suo schiacciante primato ai meriti propri ma anche alle sconfitte degli avversari. A dirla tutta, infatti, la premier almeno nelle urne continua a non temere nessuno. Né l’opposizione divisa in tre o quattro fronti (difficile valutare in modo limpido la posizione degli azionisti calendian-renziani), né i due alleati maschi che continuano a perdere voti. Se però trascorrerà ancora il suo tempo a Palazzo Chigi pensando ad arginare i ministri ciarlieri o ad accentrare sempre di più il potere, incurante dei risultati, il momento del redde rationem arriverà quanto prima. Ormai i cicli delle leadership sono brevissimi.
(da il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 29th, 2023 Riccardo Fucile
LA GUARDIA DI FINANZA STA LAVORANDO SULLA CIRCOSCRIZIONE ESTERO DEL NORD E CENTRO AMERICA
Sono troppi i centenari che hanno votato all’estero alle ultime politiche. Numeri record. Insomma, qualche cosa non torna. Per questo la procura indaga sul singolare caso della longevità degli italiani che vivono fuori dai confini nazionali.
In campo è scesa la Guardia di finanza che sta lavorando sulla circoscrizione estero dell’America settentrionale e centrale. Un collegio piuttosto ampio che raggruppa 22 Paesi: Antigua e Barbuda, Bahamas, Barbados, Belize, Canada, Costa Rica, Cuba, Dominica, Repubblica Dominicana, El Salvador, Giamaica, Grenada, Guatemala, Haiti, Honduras, Messico, Nicaragua, Panama, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Saint Kitts e Nevis e Stati Uniti d’America.
L’indagine parte da una denuncia presentata da Andrea di Giuseppe. Di Giuseppe, 58 anni, romano, residente a Miami Beach, è stato eletto alla Camera, in quota Fratelli d’Italia, proprio nel collegio elettorale nord e centro America. Il parlamentare, dopo aver acquisito i dati degli aventi diritto dal Ministero degli Interni, ha deciso ad ottobre di depositare un esposto: «Emerge una situazione – si legge nella denuncia – che non è credibile e che dimostra la non attendibilità della lista stessa, fatto che porta ad affermare che il risultato potrebbe essere alterato».
Il neodeputato, nella denuncia presentata dagli avvocati Romolo e Massimo Reboa, individua nel numero di persone che sono arrivate al secolo d’età, una delle principali vulnerabilità del voto all’estero: gli elettori della circoscrizione America settentrionale e centrale sono «437802. I centenari sono 2218, intorno allo 0,5%. I centenari che vivono in Italia sono 17156 (gennaio 2021)» con una percentuale molto più bassa rispetto ai loro coetanei che vivono oltreoceano.
Ora le ipotesi potrebbero essere due: la prima è che negli Usa, in Messico o in Canada (per citare solo alcuni Paesi) si vive meglio, quindi si campa di più rispetto a Roma o a Milano. Questo giustificherebbe un numero così elevato di persone che hanno soffiato le 100 candeline. Oppure che, in realtà, molti siano morti e non sia stato segnalato il decesso e qualcuno, al posto loro, abbia votato. «L’analisi dei dati rende realisticamente ipotizzabile – si legge sempre nella denuncia – che vi siano decine di migliaia di persone che risultano presenti nelle liste benché decedute e che quindi sia altamente probabile che, in loro nome, vi siano dei terzi che esercitano il diritto di voto. Fatto che potrebbe essere non occasionale, ma l’esecuzione di un consolidato disegno criminoso».
Ad ogni modo la segnalazione del deputato sta trovando i primi riscontri nel lavoro di investigatori e inquirenti. Anche perché il problema dei connazionali centenari sarebbe doppio. Non ci sarebbe solo la manina di qualcuno che esprime preferenze durante le elezioni politiche. Quella stessa manina andrebbe anche a ritirare la pensione del parente estinto.
«Attendiamo fiduciosi lo sviluppo delle indagini della guardia di finanza e della procura», fa sapere l’avvocato Reboa.
Per adesso il fascicolo è aperto a modello 45, quindi senza ipotesi di reato. La verifica sull’effettiva esistenza dei nostri connazionali centenari oltreoceano è appena iniziata.
(da La Repubblica)
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Gennaio 29th, 2023 Riccardo Fucile
“PURTROPPO I RUSSI ACCERCHIARONO L’ESERCITO NAZISTA”
«Purtroppo già nel mese di dicembre i russi dilagano accerchiando le divisioni
posizionate più a est». Così l’assessora all’Istruzione del Veneto, Elena Donazzan, ha voluto rievocare la battaglia di Nikolajewka del 26 gennaio 1943, con una circolare inviata alle scuole della Regione. L’obiettivo era quello di promuovere «i valori della difesa della sovranità e dell’interesse nazionale nonché dell’etica della partecipazione civile, della solidarietà e del volontariato, che gli alpini incarnano».
Si tratta della campagna italiana nell’Unione Sovietica, nella Seconda guerra mondiale, in cui persero la vita migliaia di soldati italiani, di cui buona parte alpini, che vennero mandati in guerra al fianco di Hitler.
La scelta di Donazzan arriva per celebrare la giornata degli alpini, istituita nella precedente legislatura e che già all’epoca il giorno scelto fu scoppiare la polemica. «La scelta di quella data è un errore. Gli alpini nella ritirata di Russia hanno vissuto situazioni drammatiche ed enormi dolori, ma eravamo là come invasori di uno Stato sovrano. La follia di Mussolini e Hitler coinvolse i nostri alpini in una tragedia immane», ha commentato nei giorni scorsi all’Arena il presidente dell’Associazione nazionale degli Alpini di Verona, Luciano Bertagnoli.
La polemica in politica. Ma l’assessora non si scusa
Anche il politica è esploso lo sdegno. A partire dal segretario del Pd in Veneto, Andrea Martella, che ha chiesto un intervento immediato del ministero dell’Istruzione «per stigmatizzare la circolare dell’assessorato agli istituti scolastici del Veneto che ‘piega’ la battaglia degli alpini a Nikolajewka del 26 gennaio 1943 ad una sorta di esaltazione del regime fascista. Chiediamo che si prendano ufficialmente le distanze da grette e pericolose forme di revisionismo surrettizio».
Della stessa opinione anche il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni: «Quel “purtroppo” è rivelatore del dispiacere per la sconfifitta delle forze nazifasciste. Se Meloni e Zaia fossero persone serie avrebbero già allontanato da tempo sia dal partito che dalle Istituzioni un simile personaggio».
Ma Elena Donazzan non ha intenzione di fare un passo indietro. «È una polemica inutile, pretestuosa e offensiva. Quel “purtroppo” che qualcuno vuol leggere in malafede, va letto invece in buonafede, perché riferito alle vittime italiane di quella battaglia. Chi mi critica è in malafede, lo fa in modo strumentale. Leggano cosa ha scritto Mario Rigoni Stern sulla battaglia di Russia», si difende l’assessora.
(da agenzie)
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Gennaio 29th, 2023 Riccardo Fucile
LA GARA TRA MAESTRE A CHI COLPIVA I BAMBINI
Oltre agli insulti, i piccoli sarebbero stati usati per un gioco folle: le insegnanti avrebbero usato ciabatte, pantofole e palline di plastica per colpire i bambini, assegnando un punteggio alle parti del corpo da centrare
Emergono nuovi dettagli nell’inchiesta sulle maestre dell’asilo nido privato a Vanzago, nel Milanese, dove diciassette bambini sarebbero stati costretti a subire maltrattamenti.
L’indagine è nata grazie alla denuncia di alcune studentesse dell’istituto professionale Puercher-Olivetti di Rho che svolgevano uno stage nella scuola in questione.
Al centro dell’inchiesta ci sono 5 maestre e la titolare dell’asilo. Una struttura che a vederla da fuori potrebbe sembrare come tante altre. Il profilo Facebook mostra i bambini impegnati e divertiti nelle classiche attività ludiche previste nelle scuole dell’infanzia. In realtà sarebbe stato solo un «inganno» ai genitori.
«Notavamo che facevano fare i lavoretti ai bambini giusto il tempo di fare la foto da mandare ai genitori, tutto sotto gli occhi di B. (la direttrice, ndr), che mi dava l’impressione di ripudiare i bambini», ha raccontato una stagista ai carabinieri.
Per il giudice delle indagini preliminari – che per le sei docenti ha disposto le misure dell’obbligo quotidiano di presentazione in caserma e l’interdittiva del divieto di esercizio della professione – le indagate avrebbero dimostrato «una tale incuranza, insensibilità e spregio verso i bimbi che ne confermano non soltanto una personalità fortemente negativa perché incapace di percepire il disvalore, ma anche una indiscutibile incapacità di autocontrollo sì da ritenere le stesse inidonee allo svolgimento della professione di educatrici». Inoltre, è emerso che il l’asilo nido poteva ospitare fino a 23 bambini, ma ce ne erano solitamente fino a 30.
Una delle studentesse ha descritto alle autorità il comportamento adottato dalla «più esagitata», la ventiseienne M.M. riferendo l’episodio di quando un piccolo di 14 mesi stava piangendo.
«Lo mette su una cesta-dondolo cullandolo un po’, il bambino continua a piangere. Allora M. prende la cesta con il bimbo, lo mette nel bagno adiacente la cucina e lo lascia lì al buio con la porta chiusa. Avevo modo di sentire il bambino che continuava a piangere, urlava. Infastidita di ciò, allora io vado a prendere il bambino, che si è aggrappato ai miei vestiti come a dirmi di non rimetterlo giù», ha dichiarato, come riporta Il Quotidiano Nazionale. Ma non solo.
«Ho notato che – prosegue – davano da mangiare a tutti i bambini con lo stesso cucchiaio e la stessa forchetta, anche se i bambini stavano male, infatti un giorno si presentarono all’asilo solo dieci bambini perché gli altri stavano male». Non essendoci lettini per tutti, i più piccoli spesso sarebbero finiti a «dormire in bagno e sui materassi nel salone».
Oltre agli insulti, i piccoli sarebbero stati usati per un gioco folle: dopo aver abbassato le tende che davano sulla strada, le insegnanti avrebbero iniziato a lanciare ciabatte, pantofole e palline di plastica assegnando un punteggio alle parti del corpo da centrare. Chi faceva cadere i piccoli prendeva più punti. Alcuni, stando sempre ai racconti delle stagisti, avrebbero riportato delle ferite e piccole fuoriuscite di sangue.
Le intercettazioni della dirigente
Nell’ordinanza del giudice spunta un’intercettazione telefonica della direttrice dell’asilo incriminato. Risale al 26 maggio 2022, a 9 giorni dall’inizio delle indagini dei carabinieri a seguito della segnalazione di 6 stagiste. «Bisogna giocare con queste cose perché se si vede che io sto gridando un bambino è maltrattamento? No!», dice la titolare. «Mi auguro cioè che almeno non valutino questo come maltrattamento», continua. «Loro, è quello che mi ha detto anche l’avvocato, partono dal momento in cui vedono ceffoni, tiri capelli, vomita e gli fai mangiare il vomito, tutte cose che sono successe che abbiamo visto in televisione, lo prende a calci… quello è maltrattamento».
E per queste parole, scrive il giudice, «appare assolutamente necessario impedire il protrarsi della situazione di pericolo per l’incolumità psico-fisica delle persone offese che occorre tutelare, evitando che si verifichino nuovi episodi aggressivi».
(da Open)
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Gennaio 29th, 2023 Riccardo Fucile
ARRIVA ANCHE LA PRIMA LEGGE PARLAMENTARE E LA FIRMA LEI
In una legislatura partita di corsa con la necessità subito di tamponare i guai
della crisi energetica non sorprende che i primi mesi siano dominati da decreti e provvedimenti del governo.
Sono dieci quelli pubblicati finora divenuti legge in Gazzetta ufficiale e salvo il provvedimento sul bilancio 2023 sono tutti in origine decreti legge che hanno come prima firmatario il presidente del Consiglio Giorgia Meloni che spesso per rendere più rapido l’iter ha dovuto porre in Parlamento la questione di fiducia.
Accade con questo governo a buon ritmo, non però così diverso da quello dei governi e delle legislature degli ultimi decenni. Con i ritmi che hanno caratterizzato i primi 100 giorni di governo non c’è stato tempo né alla Camera né al Senato di fare avanzare qualche disegno o proposta di legge di natura parlamentare, come sarebbe normale nelle democrazie. Anche se uno solo di quei testi ha messo il turbo pure in una situazione piuttosto complicata di giungla di lavori parlamentari.
È una proposta sull’equo compenso per i professionisti dal titolo “Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali”. Presentato alla Camera in bozza il 13 ottobre scorso, è stata stampata il 18 novembre 2022 e subito assegnata alla Commissione Giustizia della Camera che l’ha calendarizzata il 23 novembre 2022 e approvata il 19 gennaio 2023.
In quattro sole sedute (in mezzo c’erano le ferie di Natale e Capodanno) è stato esaminato il testo, vagliato e approvato o respinto ogni emendamento presentato, e preparato il testo da mandare in aula.
Un record di velocità nella storia parlamentare. Non ha perso tempo nemmeno l’aula di Montecitorio: il testo è stato illustrato dal relatore, discusso e votato dai deputati articolo per articolo dopo avere esaminato i 24 emendamenti approvati.
Poi l’aula ha approvato all’unanimità il testo (253 presenti, 253 sì) e dato mandato al comitato dei nove di coordinare testo prima dell’invio in Senato. L’aula della Camera ha discusso e approvato anche gli ordini del giorno collegati al testo. In quanto tempo? Un giorno solo: il 25 gennaio scorso. E questo è da guinness dei primati per la politica italiana.
La sera del 25 gennaio – e anche questo è da record – il nuovo testo scritto e coordinato è arrivato in Senato in orario utile per farlo comporre e stampare. La mattina del 26 gennaio la presidenza del Senato ha assegnato il testo miracoloso alla commissione Giustizia in sede redigente.
Questo significa che la commissione ha i poteri di vagliare eventuali emendamenti e approvare il testo senza che l’aula possa più farlo. Alla fine i senatori riuniti nell’assemblea di Palazzo Madama procederanno alla sola votazione finale degli articoli e del testo limitandosi alle dichiarazioni di voto. È una procedura quindi accelerata che fa pensare con ragionevole certezza che questa sarà la prima legge di natura parlamentare che in questa legislatura sarà pubblicata sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana.
Come si chiamerà questa legge? Come sempre con il nome del primo firmatario, che se la potrà intestare. E anche qui si arriva al guiness dei primati. Perché il primo firmatario è Giorgia Meloni, che l’ha presentata nei pochi giorni in cui in attesa dell’incarico era semplice deputata.
Il suo testo è stato unificato ad altri, ma non ha mai perso nemmeno ora in Senato il nome del primo firmatario.
Quindi questa legislatura inizia con leggi firmate Giorgia Meloni capo del governo e concede al Parlamento come sua prima iniziativa autonoma una legge della deputata Giorgia Meloni, sia pure condivisa bipartisan. Non era mai accaduto fino ad oggi. Benvenuti nel Melonistan, anno primo
(da Open)
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Gennaio 29th, 2023 Riccardo Fucile
L’AERONAUTICA PUÒ VANTARE AEREI DI ULTIMA GENERAZIONE MA NON DISPONE DI UN’ADEGUATA QUANTITÀ DI MISSILI… LA MARINA HA NAVI ALL’AVANGUARDIA MA NON ALTRETTANTO PERSONALE
«La minaccia russa è una spinta a investire nella Difesa più di quanto fatto finora». Parla Meloni ma sembra di risentire Draghi. A quasi un anno dall’inizio del conflitto è evidente la continuità tra i due governi. C’è una tale convergenza di vedute che in Parlamento il discorso di Crosetto si è letteralmente sovrapposto a quello pronunciato dal suo predecessore, Guerini. «Va diffusa la cultura della Difesa»
È un concetto che cela l’obiettivo di innalzare fino al 2% del Pil gli stanziamenti per il settore. Una necessità dettata — più che dagli accordi Nato — dagli eventi della Storia. Le Forze armate italiane «stanno più o meno con le pezze alle terga», a sentire Mulè, che era sottosegretario alla Difesa con Draghi. Non c’è solo il problema di «ripristinare le scorte» . È una questione strutturale che riguarda tutte le Armi
Secondo fonti militari del Dicastero, infatti, il grado di efficienza dell’artiglieria pesante in dotazione all’Esercito è ora valutato «intorno al 25%», per l’obsolescenza dei mezzi e la cannibalizzazione dei pezzi di ricambio. L’Aeronautica può vantare aerei di ultima generazione ma non dispone di un’adeguata quantità di missili. La Marina ha navi all’avanguardia ma non altrettanto personale.
L’obiettivo del 2% non può essere vissuto come un sacrificio sull’altare del militarismo, «se è vero che — prosegue il dirigente del Pd — dentro quella spesa ci sono investimenti in innovazione e ricerca che hanno ricadute sul settore civile e producono occupazione».
Certo, in una fase economica e sociale molto delicata, può apparire paradossale inserire il dossier tra le emergenze. Il governo ha chiesto a Bruxelles di poter scorporare gli investimenti per la Difesa dal patto di Stabilità, sapendo di contare sul sostegno di tutte le forze parlamentari. Tutte tranne i Cinquestelle.
Eppure era stato Conte ad innalzare il bilancio della Difesa quando sedeva a palazzo Chigi, invertendo la regola dei tagli che andava avanti da ormai venti anni: 4 miliardi in più per tener fede alla promessa fatta a Trump di «arrivare al 2% del Pil».
(da il “Corriere della Sera”)
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Gennaio 29th, 2023 Riccardo Fucile
NELLA SCUOLA MEDIA IN ITALIA LO STIPENDIO È DI 39.463 EURO, IN FRANCIA DI 44.365, IN GERMANIA 82.569. LA MEDIA UE È DI 45.015 EURO. PEGGIO DI NOI SOLO I PAESI DELL’EST. E LA RETRIBUZIONE A INIZIO CARRIERA È SOTTO LA SOGLIA DI POVERTA’
Se il concetto di costo della vita e salari messo sul tavolo dal ministro
dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara è vago e indefinibile, un secondo concetto è invece chiaro: i docenti italiani sono quelli che guadagnano meno in Europa.
La metà dei loro colleghi in Germania e Olanda. E il confronto è impietoso anche con le buste paga di insegnanti che vivono in Paesi dal Prodotto interno lordo più simile all’Italia. Fanno peggio solo i paesi dell’Est Europa, che non hanno certo il Pil italiano, dall’Estonia alla Repubblica Ceca passando per la Polonia.
Lo stipendio medio annuo lordo di un insegnante della scuola primaria in Italia è pari a 36.800 euro, in Francia 39.417 euro, in Olanda 60.019 euro, in Germania 74.937 e la media Ue comunque è di 42.599 euro.
Non va meglio nella scuola media: in Italia lo stipendio annuo lordo è mediamente di 39.463 euro, in Francia di 44.365, in Spagna di 44.962 euro, in Olanda di 72.869 e in Germania 82.569, mentre la media Ue è di 45.015 euro. Fanno peggio, sempre nella scuola media, l’Estonia (29.103 euro) o la Repubblica Ceca (32.754 euro): una magra consolazione
Gli stipendi d’ingresso nella scuola sono per una famiglia monoreddito sotto la soglia di povertà. Le buste paga nette mensili a inizio carriera ammontano 1.360 euro nella primaria e a 1.471 nelle superiori. §
Le soglie di povertà relativa proposte dall’Istat nel 2021 sono pari a 1.395 euro per una famiglia di tre componenti e a 1.709 euro per una famiglia di quattro persone.
Un docente di scuola superiore ha in media una retribuzione del 22 per cento inferiore rispetto a un lavoratore di un altro settore con lo stesso titolo universitario. In pratica, circa 350 euro in meno al mese.
(da la Repubblica)
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