Destra di Popolo.net

“A NOI L’80 PER CENTO DEI POSTI IN GIUNTA”: IN LOMBARDIA FRATELLI D’ITALIA (CHE PASSEREBBE DA 3 A 26 ELETTI) CON I LA RUSSA BROTHERS IN PRIMA FILA SI PREPARA A COMMISSARIARE IL PRESIDENTE FONTANA (E LA LEGA)

Gennaio 30th, 2023 Riccardo Fucile

SALVINI HA MESSO IN CONTO IL COLLASSO DEL CARROCCIO NELLA STORICA ROCCAFORTE LOMBARDA

Ci sono i numeri che presto diventeranno realtà. Il 12 e 13 febbraio Fdi può più che raddoppiare la Lega e a quel punto, messa in minoranza a Roma e pure a Milano, toccherà solo obbedire.
Il pallottoliere informale parla di otto assessori in quota destra tricolore su 14, solo 4 alla Lega. I meloniani vogliono l’80 per cento delle poltrone, richiesta alta per accontentarsi del 70. «Del resto loro (la Lega, ndr ) hanno il presidente, no?», è il ragionamento di un big di Fdi.
La pretesa è semplice: vicepresidenza, Welfare (la sanità), Attività produttive e Formazione, magari anche la presidenza del Consiglio.
Gli assessorati di peso, quindi, dove gira il grosso del bilancio di Palazzo Lombardia, in tutto oltre l’80 per cento delle risorse di quella che rimane comunque la regione più ricca d’Italia.
Le cose però non andranno così lisce come può sembrare, perché Fontana vorrebbe riconfermare Guido Bertolaso a capo del Welfare. Sarà un braccio di ferro, dato che FdI da partito-traino alla coalizione non può certo perdere anche la seconda pedina più importante.
Salvo sorprese il nuovo Consiglio regionale vedrà un battaglione di destra, con Fdi che passerebbe da tre consiglieri eletti a 26-28. E la Lega scendere da 28 a 10-12. È una rivoluzione che rompe equilibri consolidati da anni. Nel gioco delle preferenze, in FdI c’è in corso una battaglia interna per chi conterà di più nel partito.
Il filone Ignazio La Russa-Daniela Santanché, con i colonnelli Mario Mantovani e Romano La Russa (fratello di, non candidato ma dato quasi per certo assessore esterno), ha un grande peso specifico, non fosse altro per i ruoli e la notorietà dei protagonisti.
Però hanno un buon radicamento anche “gli altri”, ovvero Carlo Fidanza, Marco Alparone (potrebbe essere lui il vice di Fontana), la sottosegretaria Paola Frassinetti, gente con una storia di fedeltà alla causa anche quand’era minoritaria nel centrodestra e che oggi punta a ruoli e influenze di peso.
Tutta gente alla quale dell’autonomia lumbard interessa qualcosa che si avvicina allo zero. Per Salvini sarà insomma una sconfitta nella (possibile) vittoria, in via Bellerio toccherà dissimulare bene.
(da La Repubblica)

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ROCCA E’ ORMAI AI LIVELLI DI MICHETTI: COLLEZIONA GAFFE E FA CASINO

Gennaio 30th, 2023 Riccardo Fucile

A “RAINEWS24″ IL CANDIDATO DEL CENTRODESTRA ALLA PRESIDENZA DELLA REGIONE LAZIO DICHIARA CHE “IL SUO PROGRAMMA È ONLINE E SI PUÒ CONSULTARE”. MA IL SITO UFFICIALE RISULTA ANCORA IN COSTRUZIONE

Mistero digitale per il candidato di centrodestra Francesco Rocca, sicuro che il suo sito internet non solo ci sia ma contenga il programma elettorale così da renderlo consultabile da tutti. Spese social invece per il competitor dem Alessio D’Amato, primo in classifica in quanto a investimenti su Facebook.
La discussione sui potenti mezzi della rete ieri è andata in onda dopo un’intervista di Rocca a RaiNews24 durante cui ha dichiarato che «il programma è sul sito e si può consultare, è un programma dinamico, tante sono le sfide e i problemi».
In effetti dinamico lo è: nel senso che si tratta di una pagina in costruzione. Andando sul sito ufficiale (che compare anche sulla pagina Facebook del candidato), ci si ritrova in presenza di una schermata con la scritta “ direzione futuro”. È il motto della campagna elettorale, accompagnato da tante freccine tricolore a indicare la via.
Che porta a un’altra scritta: sotto “Francesco Rocca presidente”, appare l’avviso “tra poco disponibili”.
Gli avversari dell’ex presidente della Cri non hanno perso tempo: «Solo gaffe e tanta confusione, il sito non è ancora pronto», ha commentato la capolista della civica D’Amato Marta Bonafoni.
Se la candidata del M5S Donatella Bianchi sul suo sito ha messo almeno una presentazione di sé, è l’assessore dem a credere di più nella forza della rete. Alessiodamato.eu, non solo c’è il programma, ma gli eventi e gli appelli a suo sostegno oltre alla sua storia.
Un investimento a cui sui social risponde uno sforzo economico calcolabile in circa 14 mila euro, una somma spesa tra dicembre e gennaio dal candidato piddino per far diventare virali i propri post. Facebook rivela infatti quanto ha versato l’inserzionista, il Pd del Lazio in questo caso, per gli interventi social dell’assessore.
A ogni inserzione o post corrisponde un range di investimento che nel caso dell’assessore va da un minimo di 100 a un massimo di 200 euro, fino ad arrivare ad alcuni post finanziati anche con una cifra che va dai 1.000 ai 1.500 euro. Sommando gli importi più bassi e i post che valgono un verdone ( la banconota da 100 euro) si arriva a quota 14 mila 100.
(da La Repubblica)

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SONDAGGIO TERMOMETRO POLITICO: CALA FDI, RISALGONO M5S E PD

Gennaio 30th, 2023 Riccardo Fucile

ITALIANI FAVOREVOLI ALLE INTERCETTAZIONI E CONTRO IL MONOPOLIO DEI BALNEARI: DUE BOCCIATURE PER IL GOVERNO

Secondo l’ ultimo sondaggio settimanale realizzato da Termometro Politico, le intenzioni di voto registrano il primo calo del 2023 per Fratelli d’Italia che scende al 28,6%.
In rialzo i principali partiti d’opposizione, M5S (17,6%) e Pd (16,6%). Stabili sia Lega (8,4%) che Azione/Italia Viva (8,1%) mentre Forza Italia cresce di due decimi al 7,4%.
L’alleanza Verdi/Sinistra Italiana scende sotto la soglia di sbarramento del 3%, dove si collocano anche +Europa e Italexit (ciascuna al 2,5%) e Unione Popolare e Democrazia Sovrana Popolare (ciascuna all’1,5%).
Invio carri armati Leopard a Kiev, cosa pensano gli italiani
Il 56% degli italiani boccia la decisione della Germania di inviare i carri armati Leopard all’Ucraina consentendone l’invio anche ai Paesi che li possiedono. Per il 34,7% nessuno avrebbe dovuto inviare armi dall’inizio e tanto meno dovrebbe inviarne ora. Un ulteriore 21,3% si dice contrario all’invio di carri armati, ma si dichiara favorevole all’invio di armi di difesa. È d’accordo con l’invio invece oltre un terzo degli intervistati.
La stretta sul fumo annunciata da Schillaci
Il sondaggio si è occupato anche di salute con la proposta del ministro Schillaci di estendere il divieto di fumo a più luoghi all’aperto, in presenza soprattutto di donne in gravidanza e bambini, e anche alle sigarette elettroniche. Il 31,2% degli intervistati è d’accordo e vorrebbe l’eliminazione completa del fumo in ogni luogo, mentre il 24,4% è favorevole a patto che il divieto sia valido solo per aree affollate. Contrario il 43,5%: di questi il 36,5% ritiene gli attuali divieti sufficienti.
Intercettazioni, cosa pensano gli intervistati
Sulla modifica delle leggi che regolano le intercettazioni si è aperto un dibattito politico anche all’interno della stessa maggioranza di governo. Solo il 12,6% vorrebbe vietarne l’uso salvo per indagini di mafia e terrorismo, ma con la diffusione sui media vietata.
La maggioranza è a favore dell’uso di questo strumento, seppur con qualche distinguo: per il 43,9% le leggi devono cambiare e dovrebbe essere sempre severamente punita la loro pubblicazione sui media, il 21,1% non chiede nessun cambiamento, infine il 20,3% ritiene che l’uso delle intercettazioni andrebbe incrementato.
La proroga delle concessioni dei balneari oltre il 2023
Parte della maggioranza di governo vorrebbe prorogare le concessioni dei balneari oltre fine 2023 invece di metterle a gare come chiede la direttiva Bolkenstein.
Sul tema gli italiani appaiono divisi. Il 29% è favorevole alla proroga perché, a suo dire, la direttiva “mette in difficoltà le piccole attività del settore, favorendo le multinazionali, che spesso fanno concorrenza sleale”. Il 36,6%, invece, pensa che le spiagge vadano messe a gara. Il 27,1% ritiene infine che vada fatta una riforma strutturale che eviti l’apertura totale alla concorrenza con le multinazionali e che scongiuri anche uno scontro con Bruxelles.
(da Fanpage)

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MEDICI SENZA FRONTIERE DOPO LO SBARCO DEI MIGRANTI A LA SPEZIA: “CHI LI AVREBBE SALVATI, SE NON FOSSIMO STATI IN MARE?”

Gennaio 30th, 2023 Riccardo Fucile

RISPOSTA: NESSUNO, QUELLA BIMBA DI 8 MESI SAREBBE MORTA

La nave umanitaria Geo Barents, di Medici Senza Frontiere, è arrivata ieri a La Spezia dopo aver salvato oltre duecento migranti nel Mediterraneo centrale.
Per raggiungere il porto ligure ci sono voluti diversi giorni di navigazione. Ieri sono stati fatti scendere i minori, le donne e le persone più fragili, mentre oggi sono riprese le operazioni di sbarco dei 99 uomini adulti rimasti a bordo. Quello che succederà dopo, quando tutti saranno a terra, ancora non è chiaro.
Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, dopo aver firmato un decreto in cui si vieta alle Ong di effettuare soccorsi multipli e di dirigersi immediatamente al porto assegnato senza deviare la rotta, aveva detto che ogni valutazione sul caso Geo Barents sarebbe stato fatto una volta concluse le operazioni. “Quando la Geo Barents sarà arrivata al porto assegnato, quello di La Spezia, si valuterà se ha rispettato o meno le prescrizioni del decreto legge che impongono di raggiungere senza ritardo il porto indicato”, avevano fatto sapere dal Viminale.
Per l’equipaggio della Geo Barents, però, c’è una legge superiore al codice di condotta del ministro Piantedosi. È la normativa internazionale sul diritto del mare, che impone di salvare chiunque sia in pericolo.
Per questo dopo il primo salvataggio il comandante ha invertito la rotta (erano già diretti a Nord, verso La Spezia) per rispondere a una prima richiesta di soccorso. E poi a una seconda.
In quest’ultimo salvataggio è stata soccorsa anche una bambina di appena 11 mesi. La domanda che pone la Ong è semplice: chi avrebbe salvato quella bambina se la Geo Barents non avesse invertito la rotta, ritardando quindi l’arrivo al porto di La Spezia?
“Mentre proseguono le operazioni di sbarco ci chiediamo: cosa sarebbe successo se non fossimo stati in mare? Ricordiamo di aver sentito un neonato piangere: è un suono incredibile da sentire, perché voleva dire che eravamo lì al momento giusto, altrimenti quel neonato non ce l’avrebbe fatta”, scrive Msf sui suoi profili social, pubblicando la testimonianza di un’operatrice a bordo.
(da Fanpage)

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LA CLASSIFICA DI LEGAMBIENTE DELLE CITTA’ ITALIANE PIU’ INQUINATE

Gennaio 30th, 2023 Riccardo Fucile

IL 76% DEI GRANDI CENTRI CENTRI SAREBBE FUORILEGGE SECONDO GLI STANDARD EUROPEI

«Cambio di passo cercasi». Non lascia spazio a troppe interpretazioni il titolo dell’ultimo rapporto Mal’Aria di Legambiente, il documento che raccoglie ogni anno i dati sull’inquinamento atmosferico nelle principali città italiane.
Secondo i numeri raccolti dall’associazione ambientalista, sono 22 (su un totale di 95) le città che hanno superato i limiti giornalieri di polveri sottili (PM10 e PM2.5) consentiti per legge.
Le situazioni peggiori sono a Torino, Milano, Modena, Asti, Padova e Venezia, che hanno registrato più del doppio degli sforamenti consentiti. Se si tengono in considerazione i target europei per la qualità dell’aria previsti per il 2030, la situazione si fa ancora più critica: il 76% delle città italiane sarebbe fuorilegge per il PM10, l’84% per il PM 2.5 e il 61% per il biossido di azoto.
«L’inquinamento atmosferico non è solo un problema ambientale, ma anche un problema sanitario di grande importanza», commenta Stefano Ciafani, presidente di Legambiente. «In Europa, è la prima causa di morte prematura dovuta a fattori ambientali e l’Italia registra un triste primato con più di 52mila decessi annui da PM2.5, pari a un quinto di quelli rilevate in tutto il continente».
La classifica
A guadagnarsi la «maglia nera» per il maggior inquinamento atmosferico è Torino, che nel 2022 ha sforato per 98 giorni – il massimo consentito per legge è 35 – il limite di 50 microgrammi al metro cubo di PM10. Al secondo posto c’è Milano, dove l’allarme smog è stato registrato 84 volte. A seguire, altre città delle regioni del Nord: Asti (79 giorni), Modena (75), Padova (70), Venezia (70), Cremona (67), Treviso (66). Sono due città del Sud, infine, a completare la top ten: si tratta di Andria (47) e Ragusa (41).
Il rapporto annuale sull’inquinamento atmosferico nei grandi centri urbani è stata anche un’occasione per ribadire le proposte di Legambiente a governo, regioni e amministrazioni locali.
Si va dal potenziamento del trasporto pubblico alla transizione verso i mezzi elettrici, passando per nuovi incentivi alla sharing mobility e un «grande piano di riqualificazione energetica» dell’edilizia pubblica e privata. «La salute è un diritto fondamentale che non può essere compromesso – denuncia Ciafani -. Chiediamo al Governo, alle Regioni e ai Comuni di mettere in campo azioni coraggiose per creare città più pulite e sicure».
I target europei
Oltre che rappresentare un grosso danno per la salute pubblica, i ritardi nelle azioni di contrasto all’inquinamento atmosferico rischiano di scontrarsi con gli obiettivi fissati dall’Unione Europea. Il superamento dei limiti di biossido di azoto nell’aria è già valso a Regione Lombardia diverse procedure d’infrazione presso la Corte di giustizia Ue. Ora, con il nuovo piano per la qualità dell’aria approvato nel 2021, Bruxelles ha fissato nuovi obiettivi da raggiungere entro il 2030. E al momento il nostro Paese non è sulla buona strada. Nel rapporto di Legambiente, infatti, il 76% delle città monitorate ha fatto registrare valori di inquinamento atmosferico superiori ai limiti fissati dall’Ue come obiettivo per il 2030. «Questo significa che le città italiane dovranno lavorare duramente per adeguarsi entro i prossimi sette anni», precisa Ciafani. «Soprattutto considerando che i trend di riduzione dell’inquinamento finora registrati non sono incoraggianti».
(da agenzie)

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LO STREET ARTIST ITALIANO TVBOY IN UCRAINA: “SOLO VISITANDO KIEV HO CAPITO IL CORAGGIO DI QUESTO POPOLO”

Gennaio 30th, 2023 Riccardo Fucile

LE SUE OPERE SUI MURI DI KIEV, BUCHA E IRPIN

Lo street artist italiano Tvboy ha installato alcune sue opere in Ucraina. «Solo visitando l’Ucraina ho capito veramente la forza e il coraggio di queste persone. In omaggio alle vittime di questa guerra ho lasciato un segno del mio passaggio per le strade di Kyiv, Buča e Irpin. Ogni giorno un nuovo murale», ha annunciato su Twitter in cui ha diffuso un video in cui si vedono i diversi murales.
Un appello di pace che ha voluto lanciare al popolo ucraino, assieme alla Fondazione Cesvi che l’ha sostenuto, realizzando alcuni graffiti tra le strade di Bucha, Irpini e della capitale Kiev.
In particolare, tra i luoghi scelti dall’artista c’è la scuola dell’infanzia Arcobaleno di Bucha, città teatro di orrori compiuti dai russi.
La struttura era stata completamente distrutta ed è stata poi riaperta dopo che la fondazione Cesvi ha ristrutturato l’istituto dai danni causati dalle bombe.
Sono centinaia i bambini che sono così tornati a scuola. Tra i murales ce n’è uno con una bambina che disegna il simbolo della pace con il blu e il giallo, i colori della bandiera ucraina. In un altro ci sono due bambini con in mano i cartelli «Hope» e «Future».
(da Open)

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IL RUOLO DEI PORTAVOCE CHE SI SONO DISTINTI NEGLI ULTIMI ANNI: DA AUGUSTO RUBEI, RIUSCITO NELL’IMPRESA DI TRASFORMARE DI MAIO DA EX BIBITARO A RISERVA DELLA REPUBBLICA, ALLA “PORTASILENZIO” PAOLA ANSUINI

Gennaio 30th, 2023 Riccardo Fucile

IL RUOLO DI MORISI E PANDINI PER SALVINI, QUELLO DI GIOVANNA IANNIELLO PER GIORGIA MELONI E IL “PORTAPOCHETTE” CASALINO

Sono diversi i nuovi comunicatori che negli anni si sono distinti per aver inciso positivamente sull’immagine dei propri leader.
Talvolta, instaurando un network di contatti imponente dal punto di vista strategico e relazionale. Tra questi ci sono indubbiamente Augusto Rubei e Paola Ansuini.
Il primo, classe 85 e già portavoce del ministero della Difesa e del ministero degli Affari Esteri, è forse l’unico under 40 in Italia ad aver saputo coniugare una profonda esperienza ai più alti livelli dello Stato, del giornalismo, della comunicazione politica/istituzionale e del management.
Considerato un giornalista autonomo e indipendente, è salito alle cronache per aver ricostruito da zero l’immagine internazionale di Luigi Di Maio alla Farnesina dopo i disastri dei suoi predecessori, oggi è in forza alle relazioni internazionali di Leonardo Spa.
La seconda, cresciuta in Banca d’Italia , viene chiamata nel 2021 da Mario Draghi ai vertici dell’ufficio stampa di Palazzo Chigi. Soprannominata, con ironia, la “portasilenzio” per i suoi modi sobri e cauti di gestire l’esposizione mediatica dell’ex premier .
Restando tra le file governative, oggi spiccano l’attuale e storica portavoce della premier Giorgia Meloni, Giovanna lanniello e il suo braccio destro Tommaso Longobardi. La lanniello, donna di partito, da sempre legata al centrodestra, iniziò la sua collaborazione con Giorgia ai tempi di Azione giovani. Dal 2008 al 2013 è stata impegnata nella giunta di Gianni Alemanno quando questi ha ricoperto il ruolo di sindaco di Roma.
Luca Morisi e Matteo Pandini per la Lega incarnano invece il momento forse di maggior successo della Lega. Non a caso il primo Governo gialloverde fu pesantemente condizionato dalla strategia aggressiva di Matteo Salvini. Il vero direttore d’orchestra fu proprio Morisi, che […] con La Bestia contribuì a costruire il successo delle Europee del 2019. Non è forse un caso che l’erosione dei voti del Carroccio abbia coinciso con la scelta obbligata di defilarsi. Pandini del canto suo continua a ricoprire il ruolo di portavoce del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. Già a capo della comunicazione di Salvini quando sedeva al Viminale, ha un trascorso storico nel Carroccio.
Per il M5S sarebbe impossibile non considerare il social media manager di Giuseppe Conte, Dario Adamo, vero artefice del successo del nuovo capo politico grillino insieme a Rocco Casalino, che alle ultime elezioni ha saputo dimostrare ancora un’ottima visione strategica per il successo del nuovo Movimento. Infine il Partito Democratico, con Monica Nardi e Laura Cremolini.
(da l’Espresso)

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FUORTES RESTA A CAVALLO: GIORGIA MELONI HA “SALVATO” L’AD A COSTO D’IMMOLARE LE AMBIZIONI DEI SEDICENTI “CAMERATI” NEI CONFRONTI DELLA RAI

Gennaio 30th, 2023 Riccardo Fucile

FAR CADERE FUORTES AVREBBE TERREMOTATO VIALE MAZZINI E DONNA GIORGIA NON VUOLE MANDARE VIA I MANAGER BLINDATI DAL CONTRATTO

Carlo Fuortes ce l’ha fatta. Malgrado la settimana scorsa praticamente tutti i giornali vendessero la pelle dell’orso prima che fosse abbattuto, l’Ad Rai ha incassato il sì del consiglio di amministrazione al budget 2023, con i voti favorevoli di Marinella Soldi (Presidente Rai) e di Francesca Bria (Pd) che, sommati a quello dello stesso Fuortes, hanno garantito la sussistenza dell’attuale governance.
Quanto agli altri membri del consiglio: Igor De Biasio (Lega) e Simona Agnes (Forza Italia) non hanno partecipato strategicamente al voto anziché esprimere parere contrario (come avevano ipotizzato gli organi di stampa), Alessandro Di Majo (M5s) ha votato contro e il consigliere in quota Dipendenti Riccardo Laganà si è astenuto.
Una maggioranza risicata, certo, ma – scongiurati i tentativi più o meno palesi di farlo cadere da parte di rampanti dirigenti interni ed esterni in cerca d’autore e di rivalsa – Fuortes incassa la vittoria più importante di tutte. Ovvero il tacito avallo di Giorgia Meloni che, oggi più che mai, ha dimostrato di non voler mettere mano sulla Rai, approvando lo status quo e il top manager voluto dal predecessore Draghi.
Sarebbe stato del resto suicida far cadere Fuortes innescando il crollo di tutto il “castello di carte”, sovvertendo i delicati equilibri di Viale Mazzini dove, venendo meno un tassello strategico, si sfalda tutto il mosaico. Meloni ha quindi preferito salvare Fuortes a costo d’immolare le ambizioni dei “camerati” nei confronti della Rai. Sia i meloniani storici, sia i tanti scopertisi tali il 25 settembre scorso. E poi, come ha ribadito in ogni circostanza, Donna Giorgia non vuole mandare via i manager ancora blindati dal contratto.
Da giorni non si parla d’altro. L’ annunciata presenza di Volodymyr Zelensky al Festival di Sanremo monopolizza il dibattito pubblico creando tormentose divisioni tra i fautori del suo intervento all’Ariston (come Enrico Mentana e Fulvio Abbate) e i detrattori (fra cui Marco Travaglio e Tomaso Montanari).
In rete è partito addirittura un movimento trasversale che invita a boicottare Sanremo per protesta contro la propaganda anti-russa. D’altra parte, la fazione pro-Ucraina difende a spada tratta il suo beniamino fasciato nell’immancabile maglietta verde militare, e taccia di “filoputinismo” chiunque esprima anche solo un barlume di perplessità.
Sul tema si è perfino ulteriormente diviso il già lacerato Terzo Polo, i cui diarchi Renzi e Calenda non si parlano più da tempo. Se il primo infatti tace sull’ospitata di Zelensky a Sanremo, il secondo si è detto contrario, mentre Maria Stella Gelmini ha difeso la scelta di Amadeus invitando il M5s a prendere “drasticamente” le distanze da un post di Beppe Grillo che criticava la presenza del presidente ucraino all’Ariston “se non vuol essere considerato un fiancheggiatore di Putin e dei suoi crimini”.
Quanto a noi, già stremati dalle polemiche sull’ospitata ancor prima che vada in onda, non possiamo non ricordare con rimpianto quella idilliaca “età dell’innocenza” in cui le diatribe sanremesi vertevano perlopiù sulla farfallina di Belén. Oggi invece, canzoni, cantanti, ospiti e perfino le co-conduttrici sono finiti in secondo piano rispetto al dilemma Zelensky sì-Zelensky no, come potrebbero cantare Elio e le storie tese – visto che siamo in tema Festival.
Oggi è insomma l’ex attore divenuto presidente ucraino a calamitare tutta l’attenzione, mettendo in ombra la vera vittima del conflitto, ovvero il suo popolo. Animale da palcoscenico più chiacchierato, più divisivo, più ubiquo, più presenzialista della stessa showgirl argentina, potremmo chiamarlo “Belensky”.
Non più giovanissima ma ancora avvenente, la rampante ex attricetta dilaga sui media. Si dice sia amica intima di un importante conduttore televisivo, ma molti sospettano che dietro la sua folgorante ascesa si nasconda in realtà un pezzo grosso dell’imprenditoria. Chi sarà?
Dirigente demansionato ed ex dirigente ispirano più o meno ogni giorno, su giornali amici, articoli contro l’attuale vertice di un’azienda pubblica. Riusciranno a logorare ai fianchi il nemico?
Come ogni anno sta facendo il diavolo a quattro per andare a Sanremo e per “scendere dalla scala dell’Ariston” con il suo tacco 25, facendo subissare di telefonate dagli amici potenti i malcapitati organizzatori. Che, seppur costretti a sorbirsi le trasversali raccomandazioni, non cedono d’un passo. E così, anche per quest’anno, l’irrequieta conduttrice vedrà al Festival dal divano. Di chi stiamo parlando?
(da Dagospia)

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PD, ECCO COME SI E’ AUTODISTRUTTO

Gennaio 30th, 2023 Riccardo Fucile

CHI STA CON CHI, NELLE PRIMARIE: IL QUADRO INTERNO

In una democrazia le istituzioni funzionano correttamente quando c’è una solida maggioranza che governa e una forte opposizione che controlla. Per dirla con le parole di Adenauer: «In Parlamento una buona opposizione è una assoluta necessità che deve essere esercitata da un grande partito di opposizione».
Un ruolo storicamente esercitato dal Pci, poi Pds, Ds e infine Pd, un partito che è riuscito a sbriciolarsi da solo.
In 15 anni, dal 2007 a oggi, i segretari sono 8: Walter Veltroni, Dario Franceschini, Pierluigi Bersani, Guglielmo Epifani, Matteo Renzi, Maurizio Martina, Nicola Zingaretti ed Enrico Letta.
Il più longevo, e al tempo stesso il più divisivo, è Renzi, l’unico a vincere due volte la sfida per la segreteria, oggi è leader di un altro partito. Nessun segretario Pd ha mai concluso il mandato di quattro anni previsto dallo Statuto.
I motivi delle dimissioni: sconfitta elettorale o spaccature nel partito diviso in correnti.
Vediamo dove si posizionano oggi le diverse anime e come le Primarie stanno definendo nuovi equilibri. Lo facciamo incrociando i database dei politologi Luca Verzichelli (CIRCaP-Università Siena), Luca Carrieri (Unitelma-Sapienza), e Giulia Vicentini (Università Napoli Parthenope) e una laboriosa raccolta di informazioni sul campo.
Le correnti
Il Partito democratico riunisce già dalla sua origine due fazioni: una più di sinistra e laica e un’altra più centrista e cattolica. Succede che quando una delle due diventa minoranza, a seguito della sconfitta alle Primarie o alla perdita della leadership, si arma dando vita a una nuova corrente. Nel corso del tempo le divisioni ne generano di nuove, che vanno oltre le differenti sensibilità politiche e sconfinano in lotte di potere nel mantenimento di interessi personali.
Partiamo dalle correnti: come si formano e chi sono i principali esponenti.
Ala sinistra, che a sua volta riunisce cinque sottocorrenti.
1) I Giovani Turchi: lanciati da Matteo Orfini nel 2010 in piena era berlusconiana. Fanno parte la deputata Chiara Gribaudo e il senatore Francesco Verducci. Si sono staccati e ora sono autonomi il sindaco di Roma Roberto Gualtieri e il senatore a lui vicino Claudio Mancini.
2) Sinistra Dem: creata da Gianni Cuperlo a un mese dalla sconfitta alle Primarie contro Renzi nel dicembre 2013. La sostiene il senatore Andrea Giorgis.
3) I Dems: fondati da Andrea Orlando nell’agosto 2017, a pochi mesi dalla propria sconfitta alle Primarie di aprile contro Renzi. Tra gli esponenti di spicco, i parlamentari Peppe Provenzano (vicesegretario Pd con Letta) e Antonio Misiani (responsabile economico del Pd).
4) Prossima: lanciata nel maggio 2021 dopo le dimissioni di Zingaretti dai suoi fedelissimi Stefano Vaccari (responsabile dell’organizzazione Pd), Marco Furfaro (responsabile Comunicazione) e Valentina Cuppi (presidente Pd). Tra i più conosciuti Cecilia D’Elia (portavoce delle Donne democratiche), l’ex sindaco di Bologna Virginio Merola e Ouidad Bakkali.
5) Coraggio Pd: creata da Brando Benafei nell’autunno 2022.
Area Dem: nasce nel 2009 per volontà di Dario Franceschini dopo la sconfitta alle Primarie contro Bersani. L’ex coordinatore della Margherita rappresenta i cattolici di sinistra, come i parlamentari Bruno Astorre (segretario regionale Pd Lazio), Alberto Losacco (commissario Pd Marche) e Anthony Barbagallo (segretario regionale Sicilia). Nel tempo aderiscono ad Area Dem anche deputati e senatori ex comunisti come Piero Fassino, Franco Mirabelli, Marina Sereni e l’ex ministra di origine diessina Roberta Pinotti.
Base Riformista (nota come gli ex renziani): esordisce nel maggio 2019 per arginare le fuoriuscite dal partito verso Italia Viva, che Renzi fonderà pochi mesi dopo. È capitanata da Lorenzo Guerini e conta tra le sue fila i deputati Antonella Forattini, Andrea Rossi, Luciano D’Alfonso, Mauro Laus, Nicola Carè e i senatori Alessandro Alfieri, Simona Malpezzi, Alfredo Bazoli, Dario Parrini, Daniele Manca e Nicola Irto.
26 febbraio: o si svolta o si muore
I separati in casa ora devono scegliere il nuovo segretario in una sfida che sta rimescolando le correnti. Gli autocandidati sono 4.
Stefano Bonaccini, 55 anni, prima tessera Pci, da sempre nel Pd, una carriera politica costruita sul territorio come assessore comunale poi consigliere regionale e 2 volte presidente dell’Emilia-Romagna. Con la sua rielezione nel gennaio 2020, facendo leva sulla buona Sanità e la tenuta del sistema produttivo in anni di crisi, riesce ad arginare una avanzata del centrodestra a trazione salviniana che sembra inarrestabile. Nella corsa alle Primarie Bonaccini compatta Base riformista, la stragrande maggioranza di sindaci e governatori del Pd, più sostenitori come Deborah Serracchiani e Graziano Delrio. È appoggiato anche da una parte di Area Demcome Fassino, la vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno, quel che resta dei Giovani Turchi, i lettiani Marco Meloni e Anna Ascani, e la mini-corrente di Brando Benifei, capodelegazione Pd al Parlamento Europeo.
Elly Schlein, 37 anni, tessera Pd nel 2013, lasciata a maggio 2015 in contrasto con Renzi, ripresa il 12 dicembre 2022 dopo la candidatura alle Primarie. È promotrice della campagna di mobilitazione nazionale OccupyPd dopo i 101 traditori di Prodi al Quirinale nel 2013. Entra nel Parlamento europeo nel 2014, dove non si ricandida per aspettare le Regionali del gennaio 2020: eletta, ma non decisiva per la vittoria di Bonaccini perché la sua lista prende solo il 3,77%. Si dimette da consigliera subito dopo per diventare vicepresidente di Bonaccini, carica che lascia per diventare deputata nelle elezioni del settembre 2022. Tra i temi forti ambiente, immigrazione, diritti civili e voto online. Nella corsa alle Primarie è sostenuta dalla parte di Area Dem vicina a Franceschini, da esponenti di spicco dei Dems come Andrea Orlando e Peppe Provenzano, dagli zingarettiani di Prossima e dal lettiano Francesco Boccia. Si è potuta candidare alle Primarie perché l’Assemblea nazionale del Pd cambia l’art.12 comma 6 dello Statuto che prevedeva che solo gli iscritti si potessero presentare.
Paola De Micheli, 49 anni, consigliere comunale e assessore dalla fine degli anni Novanta, poi 4 volte deputata ancora in carica, 2 volte sottosegretaria, Commissaria al sisma e ministro delle Infrastrutture nel Conte II. Nel 2013 appoggia Cuperlo attaccando duramente Renzi sulla vicenda dei voti mancati a Prodi per il Quirinale. Nel 2019 coordina gli eventi di Piazza Grande ai tempi della campagna di Zingaretti a segretario Pd, di cui diventa poi vice. Dal 2016 al 2018 è presidente della Lega Pallavolo Serie A. La sostiene un gruppo di lettiani come Vito Defilippo e l’ex segretario provinciale di Genova Alberto Pandolfo.
Gianni Cuperlo, 61 anni, segretario nazionale della Fgci nel 1988, consigliere per la comunicazione di D’Alema premier nel 1999, 4 volte parlamentare e ancora in carica. Alle Primarie del 2013 prende il 18,2% dei voti contro il 67,6% di Renzi e diventa presidente del Pd per un mese per poi dimettersi. Lo sostengono il senatore Andrea Giorgis e Barbara Pollastrini.
Come si vota
Le Primarie si compongono di due fasi. La prima è riservata agli iscritti che votano dal 3 al 12 febbraio nei circoli, e da dove usciranno i due candidati con più voti. La seconda sarà il 26 febbraio con il voto aperto a tutti i cittadini. Per la prima volta potranno votare online gli italiani residenti all’estero, i fuori sede, i malati e i disabili.
Da sempre chi vince la prima tornata vince anche la seconda. Ma la forza del nuovo segretario/a dipenderà dall’affluenza ai gazebo: passata dai 3,5 milioni del 2007 a 1,6 del 2019. Se diminuiscono ancora, sarà complicato adempiere al mandato, che è quello di riportare voti a un partito al minimo storico, e castigato proprio per le sue guerre intestine.
Milena Gabanelli, Simona Ravizza e Alessandro Riggio
(da il corriere.it)

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