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SALVINI È FINITO IN UN ANGOLO: NEL SUO GRUPPO IN UE, IDENTITÀ E DEMOCRAZIA, SONO RADUNATI TUTTI GLI EURO-APPESTATI, DA MARINE LE PEN AI PARA-NAZISTI TEDESCHI DI AFD

Maggio 31st, 2023 Riccardo Fucile

CON QUESTA COMPAGINE, È IMPOSSIBILE TRATTARE CON IL PPE, COME INVECE STA FACENDO GIORGIA MELONI CON I SUOI CONSERVATORI E RIFORMISTI

Quel rebus che si chiama Europa. Il centrodestra vince in Italia e vince molto anche in Europa . In attesa di vedere cosa succederà […] alle elezioni anticipate in Spagna, per la Lega resta però il paradosso della collocazione internazionale.
Quell’eurogruppo che si chiama Identità e democrazia (Id) e che fino a qui non è mai riuscito a entrare in partita e brucia ancora il ricordo del «cordone sanitario» stretto intorno al partito nel 2019.
Per molti, la colpa della scarsa agibilità nasce dall’avere come compagni di strada Marine Le Pen e soprattutto Alternative für Deutschland, la destra estrema tedesca, incompatibile con ogni possibile dialogo con il Ppe.
Certo, i salviniani si ripetono che «i popolari non sono più la forza che erano» ma la difficoltà resta. Molti leghisti per qualche tempo si sono cullati nell’idea di una formazione senza l’Afd. Ma del possibile nuovo gruppo, al Consiglio federale leghista di lunedì, nessuno ha più parlato.
Ieri, il capogruppo al Senato, Massimiliano Romeo, ad Agorà l’ha detta così: la Lega ha dato a Salvini il mandato «per verificare se ci siano le condizioni affinché il partito sia il più possibile dentro le decisioni che prende l’Europa». Ma attenzione, secondo il capo dei senatori questo non significa affatto cambiare gruppo: «È importante che la Lega mantenga l’identità e non vada ad annacquarsi con altre formazioni […]».
Parla Romeo, ed è esattamente la stessa posizione espressa da Salvini Ma il rischio di trovarsi fuori dai giochi — e con una Giorgia Meloni attivissima sullo scenario internazionale — è chiaro a tutti: «Se l’accordo con i popolari lo fa il gruppo della premier (Ecr), noi abbiamo chiuso».
E nessuno ha preso per una distrazione la battuta di Antonio Tajani dell’altro giorno. Il ministro degli Esteri di Forza Italia ha detto di vedere «bene un’alleanza tra popolari, conservatori e liberali dopo le Europee». E chissà che cosa sul tema si sono detti Salvini e Silvio Berlusconi, orgoglioso della sua appartenenza al Ppe, nell’incontro di Arcore. […]
Le Europee sono a sistema proporzionale e dunque assai competitive. E lo strapotere di Meloni spaventa. Per massimizzare il risultato elettorale, Salvini ha parlato delle «super liste». In pratica, alle Europee saranno candidate molte delle figure più in vista del partito.
Il segretario leghista ha fatto l’esempio esplicito dei ministri ma la chiamata potrebbe arrivare per tutti. Il che, per gli interessati, non è mai un piacere: il rischio di risultati non all’altezza preoccupa anche i meglio piazzati. E intanto la discussione si accende per una novità che il segretario è decisissimo a introdurre: esplicitare nello statuto che chi non paga il contributo al partito perde la tessera e dunque ogni possibilità di essere candidato.
(da agenzie)

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SALVINI DIXIT! IL “CAPITONE” AVEVA PARAGONATO IL PONTE SULLO STRETTO ALLA CUPOLA DEL BRUNELLESCHI (“TANTE CRITICHE MA DOPO 600 ANNI È ANCORA LÌ”)

Maggio 31st, 2023 Riccardo Fucile

E INFATTI DUE GIORNI DOPO DAL MONUMENTO DI FIRENZE SI SONO STACCATE DELLE PIETRE CHE SOLO PER MIRACOLO NON HANNO COLPITO UN GRUPPO DI TURISTI (SARÀ UN OSCURO PRESAGIO?)

“É un’impresa che non ha eguali al mondo? Sì, sarà il ponte a campata più lungo al mondo, 3,3 chilometri”: lo ha affermato il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, nella conferenza stampa dopo l’approvazione definita al Senato del decreto sul ponte sullo Stretto di Messina.
“Ricordo che Brunelleschi, quando iniziò il lavoro della cupola, cominciò un unicum e ai tempi, nel 1420, se qualcuno andasse a rileggersi le cronache dell’epoca, c’erano perplessità, dubbi, critiche, incertezze, perché all’epoca era la cupola più grande al mondo, ancora oggi, e sono passati diversi secoli, è la più grande cupola in muratura mai costruita al mondo. Ha resistito al tempo, alle guerre, alle alluvioni, e anche allora c’erano i critici”, ha sottolineato.
DUE GIORNI DOPO…
Un distacco di pezzi di pietra si è verificato all’interno della Cupola del Brunelleschi venerdì sera scorso, quando l’ultimo gruppo di turisti era uscito. Nessun è rimasto ferito tra gli addetti del celebre monumento. È quanto riportano oggi Repubblica e Tirreno, richiamando alla memoria quanto accaduto il 19 ottobre 2017 nella basilica di Santa Croce: un turista morì, colpito da un frammento di pietra distaccatosi da un capitello.
Secondo una prima ricostruzione, riferiscono i giornali, il danno ha interessato uno degli oblò che sovrastano la scala che porta alla cima della Cupola, nel tratto più ripido e basso: due i pezzi di pietra che sarebbero caduti. Testimoni dell’accaduto due addette alla sorveglianza, dipendenti della Rear che detiene l’appalto del servizio.
Sul posto è intervenuta la squadra tecnica dell’Opera di Santa Maria del Fiore. “Le prime verifiche, effettuate nell’immediatezza dell’accaduto, non hanno evidenziato rischi per il monumento – ha dichiarato il direttore generale Lorenzo Luchetti -. E anche le ulteriori verifiche tecniche con personale interno dell’Opera, effettuate la mattina successiva, hanno permesso di escludere la possibilità di ulteriori distacchi.
Per questo è stato possibile riaprire il monumento in totale assenza di rischi”. L’accesso alla Cupola, sabato mattina, è rimasto interdetto fino alle 10, per poi riprendere normalmente. Preoccupati i sindacati.
“Non siamo certi che ci siano le condizioni di sicurezza minime almeno fino a che l’Opera non ci permette di prendere visione della relazione redatta dopo il sopralluogo e l’intervento. Abbiamo chiesto l’accesso alle informazioni ma ci è stato negato” dichiara Beppe Martelli di Filcams-Cgil. Oggi, al termine di un confronto, le rappresentanze decideranno se indire o meno lo stato di agitazione e “se sarà necessario anche uno sciopero” afferma Martelli.
(da agenzie)

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IL QUIRINALE FRENA LA GUERRA DEL GOVERNO ALLA CORTE DEI CONTI: LA PRESENTAZIONE DEGLI EMENDAMENTI PER RIDURRE IL POTERE DI CONTROLLO DEI GIUDICI CONTABILI SULL’ATTUAZIONE DEL PNRR È STATA RINVIATA A DATA DA DESTINARSI

Maggio 31st, 2023 Riccardo Fucile

UNA MARCIA INDIETRO MATURATA DOPO ALCUNE TELEFONATE CON GLI UFFICI GIURIDICI DEL COLLE, CHE AVREBBERO MESSO IN GUARDIA DA UNO SCONTRO ISTITUZIONALE TRA PALAZZO CHIGI E LA CORTE

Fino a ieri mattina l’arrivo dei due emendamenti in commissione Affari costituzionali era dato per certo. Il primo avrebbe dovuto prorogare al 2025 la norma che prevede la responsabilità erariale dei funzionari pubblici nel solo caso di dolo. L’altro puntava a ridurre i poteri della Corte dei Conti sui controlli «concomitanti» per gli appalti del Piano nazionale di ripresa e resilienza. E invece nulla.
Ufficialmente il rinvio è frutto del richiamo di Sergio Mattarella contro l’utilizzo dei decreti come taxi per qualunque norma estranea alla materia. Una rapida verifica nei palazzi racconta una verità diversa, e riporta allo scontro istituzionale aperto fra il governo e la magistratura contabile.
Per capire questa vicenda intricata, apparentemente tecnica e invece paradigmatica delle difficoltà del Pnrr occorre riavvolgere il nastro a circa tre settimane fa. Il collegio per i controlli della Corte dei Conti sul Pnrr firma due delibere relative ad altrettanti obiettivi del Recovery Plan che l’Italia non riuscirà a rispettare entro il 30 giugno: quelli per la costruzione di una ventina di stazioni di rifornimento dedicate al trasporto con mezzi a idrogeno e di nuove colonnine per la ricarica elettrica.
In estrema sintesi, secondo i giudici del collegio per i controlli «concomitanti» (attenzione alla dicitura) il fallimento dell’obiettivo prefigurerebbe la responsabilità per danno erariale dei dirigenti pubblici. Un’ipotesi che fa saltare sulla sedia il ministro per gli Affari comunitari Raffaele Fitto, colui che ha in mano tutto il dossier Pnrr.
La sorpresa ha un suo fondamento, se non altro per il merito del caso: se – è il caso delle stazioni di servizio per le auto ad idrogeno – l’obiettivo fallisce è perché non ci sono abbastanza richieste di adesione al bando.
L’obiezione di Fitto la si può riassumere così: in una pubblica amministrazione in cui la “paura della firma” è la normalità, l’ipotesi è l’ennesimo ostacolo a un piano che già soffre di troppi problemi, a partire da quelli degli enti locali nell’assorbire le risorse. «Che colpa ne hanno i dirigenti dei ministeri se nessuno si fa avanti per le colonnine?», sbotta Fitto in una riunione.
Sia come sia, la polemica sfocia in un intervento dell’associazione dei magistrati contabili, guidata dalla stessa relatrice delle delibere nel mirino, Paola Briguori. E così nel governo si apre un dibattito per cancellare il «collegio per il controllo concomitante del Pnrr» un ufficio gestito da una decina di magistrati. Una persona ben informata – e che parla solo sotto la garanzia dell’anonimato – la spiega così: «La Corte è in grado di compiere verifiche di legalità preventive e successive. Che bisogno c’è del controllo concomitante?».
E così a Palazzo Chigi matura l’idea di un emendamento per cancellare quello che viene giudicato un inutile livello di controllo, peraltro istituito ad hoc dalla prima legge di attuazione del Recovery.
Il resto della storia è cronaca di ieri. La ragione della marcia indietro – non è chiaro se definitiva – sarebbe maturata in diverse telefonate che avrebbero coinvolto anche il Quirinale. A Palazzo Chigi ci sono due linee di pensiero: Fitto, sostenuto dal sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, è pronto a sfidare il partito dello “sgarbo istituzionale”, mentre è più cauto il sottosegretario Alfredo Mantovano, ex magistrato e soprattutto colui che normalmente tiene il dialogo con il Colle.
Secondo le ricostruzioni verificate con due fonti, gli uffici giuridici del Quirinale (che smentisce qualunque intervento) avrebbero dato l’assenso all’emendamento che proroga la limitazione della responsabilità dei dirigenti per danno erariale ed espresso invece dubbi sull’opportunità di andare allo scontro con la Corte dei Conti.
(da La Stampa)

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IL WALL STREET JOURNAL RIVELA: IL TRAFFICANTE RUSSO ARTEM USS FU FATTO FUGGIRE DALL’ITALIA DA UN GRUPPO CRIMINALE DELLA SERBIA

Maggio 31st, 2023 Riccardo Fucile

GLI AGENTI DELL’INTELLIGENCE RUSSA NON HANNO PARTECIPATO DIRETTAMENTE ALLA VICENDA, PERCHÉ TROPPO ALTO ERA IL TIMORE CHE POTESSERO ESSERE SEGUITI. PERCIÒ NELL’IMPRESA SONO STATI USATI CRIMINALI SERBI

Un gruppo criminale serbo ha aiutato a far uscire dall’Italia Artem Uss, il trafficante russo figlio dell’ex governatore di Krasnojarsk, accusato di comprare componenti militari sotto sanzioni per farle entrare in Russia, e petrolio venezuelano importato illegalmente, di cui Washington chiedeva l’estradizione con l’accusa di evasione delle sanzioni e traffico illegale di armi e petrolio.
Lo riferisce il Wall Street Journal, citando una fonte a conoscenza della vicenda.
Uss, secondo le fonti sentite dal WSJ, cambiò auto almeno una volta e ha attraversato diverse frontiere per recarsi in Serbia, da dove sarebbe volato a Mosca.
L’intelligence russa non ha partecipato direttamente alla vicenda, perché troppo alto era il timore che potessero essere seguiti. Perciò nell’impresa sono stati usati elementi criminali serbi che agivano già in outsourcing in Italia.
(da agenzie)

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VI PORTO DENTRO IL PONTE MORANDI: ERA COMPLETAMENTE MARCIO

Maggio 31st, 2023 Riccardo Fucile

DAL 2010 ERA STATO DENUNCIATO IL RISCHIO CROLLO

Sapevano fin dal 2010 che il ponte Morandi sarebbe potuto crollare. Ma nessuno è intervenuto per impedire la strage. Lo ha detto Gianni Mion, l’ex amministratore delegato della holding Edizione della famiglia Benetton, durante il processo in corso al Tribunale di Genova.
Dalle magliette all’ingegneria civile il passo non è così breve. E infatti il manager, ora in pensione, ha aggiunto un incredibile: “Eravamo incompetenti”. Lo avesse ammesso prima, 43 persone uccise dal crollo del viadotto sarebbero ancora vive. Erano le 11.36 del 14 agosto 2018, quando la pila numero 9 – la struttura fatta di travi e stralli in cemento armato precompresso – è collassata.
Today.it ha recuperato le fotografie delle ispezioni che hanno preceduto il disastro. Le stesse di cui avevano saputo gli ingegneri della società Autostrade per l’Italia, allora controllata dai Benetton, su su probabilmente fino a Mion.
È un salto dentro i segreti del viadotto più azzardato progettato da Riccardo Morandi e inaugurato nel 1967: la corrosione dei cavi, le mancate iniezioni di calcestruzzo, i silenzi delle commissioni del ministero delle Infrastrutture, che avrebbero dovuto controllare. Già nel 2011 era marcio. “Forse – ha poi detto l’ex amministratore delegato – temevo per il posto di lavoro”.
Il progetto esecutivo per la ristrutturazione del ponte, presentato nell’ottobre 2017, conteneva le immagini delle ispezioni eseguite sulla pila 9 e 10 dal 2011 in poi. In particolare i tecnici, attraverso una serie di carotaggi, avevano raggiunto l’armatura profonda degli stralli, le strutture in cemento armato precompresso alle quali era “appeso” il piano autostradale. La foto sopra, scattata la notte tra il 28 e il 29 ottobre 2015, riguarda lo strallo lato mare della pila 9, direzione Savona.
Scrivono i tecnici, nella relazione consegnata agli ingegneri di Autostrade per l’Italia: “Il carotaggio è stato effettuato per una lunghezza di circa 10-11 centimetri intercettando la guaina di un cavo di precompressione a circa 9 centimetri di profondità. La guaina del cavo è stata aperta ed è stato eseguito l’esame: la guaina è apparsa ossidata, l’iniezione [di cemento] è assente, sono stati visti 3 dei 4 trefoli che si muovono con facilità facendo leva con uno scalpello, i fili dei trefoli sono ossidati”.
L’armatura corrosa
I trefoli sono i fili d’acciaio che costituiscono i cavi dell’armatura e, per sostenere il peso del ponte, dovrebbero essere sempre tesi. Ma non erano gli unici in queste condizioni. I cavi salivano alla sommità della struttura e poi, ridiscendendo dalla parte opposta, formavano l’armatura dello strallo lato mare in direzione di Genova. Esattamente come la corda tesa di un arco, con la freccia puntata verso terra. Ma, come dimostra la foto qui sotto, anche questi cavi erano corrosi e senza la prevista iniezione di cemento, che serviva a rinforzarli e proteggerli. Proprio questo è il lato che probabilmente ha ceduto per primo
Annotano i tecnici nella relazione: “La guaina è apparsa fortemente ossidata, l’iniezione è assente, sono stati visti 2 dei 4 trefoli che si muovono con facilità facendo leva con uno scalpello, i fili dei trefoli sono ossidati”. I trefoli in realtà dovrebbero rimanere tesi come le corde di una chitarra. Se si muovono significa che si sono allentati o del tutto rotti. La pila 10, quella accanto rimasta in piedi, nascondeva una sorpresa in più: mancavano addirittura i cavi dove invece erano stati previsti dal progetto di Morandi
L’acciaio che non c’è
Queste sono le osservazioni riportate nello studio eseguito nel 2015, tre anni prima del crollo: “Il carotaggio è stato effettuato per una lunghezza di circa 18 centimetri senza incontrare alcun cavo di precompressione: in base agli elaborati disponibili, i cavi secondari a 4 trefoli hanno sulla parete laterale un interasse di circa 14 centimetri, pertanto… avremmo dovuto quasi certamente intercettarne uno a circa 10 centimetri di profondità. Questo fa presupporre che in alcuni casi la disposizione dei cavi possa non corrispondere esattamente a quella ipotizzata in progetto”. Nella foto sotto, l’assenza di armatura in fondo al carotaggio.
I cavi sicuramente c’erano, altrimenti la pila 10 non sarebbe rimasta in piedi. Ma in una struttura così complessa e critica, ogni variazione non dichiarata nel progetto comporta l’impossibilità di prevederne il comportamento. Eppure perfino il piano autostradale, facilmente ispezionabile, godeva di pessima salute. Siamo sempre a ridosso della pila 9
Crepe di 6 centimetri
Nel 2013 sono state controllate nuovamente le parti più degradate, già esaminate due anni prima. “Questa zona è stata già indagata nel 2011 – spiegano i tecnici, riferendosi alla carreggiata lato Genova in direzione Savona –. Il bulbo è in distacco dall’anima e la lesione ha una apertura di circa 6 centimetri e una profondità di oltre 19 centimetri. Tale ampiezza è maggiore di quella misurata durante i controlli del 2011”. Lo si vede nella foto sotto.
“Tutti i fili in vista – continua la relazione – sono inoltre risultati deformabili, facendo leva con un semplice scalpello, pertanto è probabile che tali cavi non presentino più la tensione prevista dalla precompressione iniziale e quindi siano da ritenere non efficaci. A distanza di circa due anni, il degrado ha avuto una evoluzione che ha portato a una ulteriore ossidazione e corrosione dell’armatura di precompressione” .
Le conclusioni di questa parte delle indagini, eseguite nel mese di maggio 2013, forniscono un quadro altrettanto drammatico, che però non convince l’allora vertice di Autostrade per l’Italia ad avviare interventi radicali. Nemmeno il traffico viene limitato, riducendo a una sola corsia il transito sul ponte. L’improvviso crollo suggerisce che nemmeno i costosi lavori di contenimento della corrosione, allora avviati lungo le campate, furono risolutivi.
“Da quanto si è potuto riscontrare con l’esame visivo ravvicinato delle armature di precompressione – avvertono i tecnici – e con le prove non distruttive (metodo combinato ultrasuoni-sclerometro) si può ritenere che il fenomeno del distacco anima/bulbo… potrebbe dipendere dall’aumento di volume generato dalla corrosione dell’armatura lenta e di precompressione. In base ai risultati delle misure ultrasoniche nel bulbo e al confronto con le misure effettuate nel 2011, si può supporre che il fenomeno sia tuttora in evoluzione e che i distacchi tra bulbo e anima stiano aumentando la loro ampiezza”. Avevano purtroppo ragione. Queste immagini, allegate al progetto esecutivo per gli “Interventi di retrofitting strutturale”, rimasto come tutto il resto sulla carta, coincidono con quanto ha dichiarato l’ex amministratore delegato. Mion è stato sentito in udienza come testimone e subito smentito dagli avvocati degli imputati. Ma anche dalle indagini del 2013 passeranno altri cinque anni di tira e molla e il ponte è venuto giù.
(da today.it)

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AIRBNB & CO., PREZZI FOLLI

Maggio 31st, 2023 Riccardo Fucile

VENEZIA LA PIU’ CARA (E TI PAREVA…)

Gli studenti fuorisede che cercano casa vengono regolarmente spennati. Già dagli anni ’70 gli affittacamere di città universitarie come Milano, Bologna, Roma, facevano affari d’oro. Da almeno un decennio nei centri storici delle città d’arte anche per i residenti è diventato quasi impossibile trovare un appartamento in affitto, e vengono espulsi verso le periferie. Il motivo è soprattutto uno: i proprietari preferiscono affittare a breve ai turisti. Un fenomeno inizialmente marginale, ma che nel giro di pochi anni ha stravolto le nostre città.
Esplodono gli affitti brevi
Il mercato degli affitti brevi è tra i settori del turismo più in crescita: ogni turista/inquilino può prendere la casa in locazione al massimo per 30 giorni. Il vantaggio per i proprietari è evidente: un maggiore incasso su base mensile e senza i vincoli di un contratto tradizionale (per esempio l’affittuario moroso o che alla scadenza non vuole lasciare l’appartamento), pur restando a loro carico i costi delle utenze e la tassa sui rifiuti. Se nel 2011 gli annunci extra-alberghieri non superavano le 20 mila unità, nel 2023 sono saliti a 700 mila, per un fatturato che si aggira sui 10-11 miliardi di euro. In questo mercato l’Italia è la terza piazza, dopo Stati Uniti e Francia.
Piattaforme e gestori professionali
Le offerte di appartamenti con locazione a breve sono promosse su piattaforme digitali: il 75% gestite direttamente da privati, il 25% dagli operatori professionali. I contratti sono stipulati generalmente dalle stesse piattaforme (Airbnb, Booking, VRBO) che pubblicando gli annunci fanno incontrare domanda e offerta. Per la prestazione si trattengono una percentuale sull’affitto che oscilla tra il 14 e il 18%. La percentuale sale al 35% se si passa dalle agenzie (Italianway, CleanBnb, Halldis, Wonderful Italy) che amministrano le abitazioni per conto dei proprietari offrendo anche il servizio di pulizia, cambio della biancheria, assistenza su tutte le attività burocratiche e assicurative.
Tassa di soggiorno, cedolare secca ed evasione fiscale
Nelle città turistiche il gestore di appartamenti è tenuto a far pagare la tassa di soggiorno agli ospiti e deve comunicare alla questura competente i dati degli affittuari. I privati che amministrano fino a quattro appartamenti (dal quinto in poi l’attività diventa imprenditoriale e segue il regime d’impresa) possono usufruire del regime della cedolare secca e tutti, piattaforme e gestori professionali, devono applicare una ritenuta d’acconto del 21%. Fino ad oggi Airbnb, la principale piattaforma online con oltre 400 mila annunci per l’Italia, si è sempre rifiutata di trattenere l’imposta perché la società ha la residenza fiscale all’estero. Ora la questione è sul tavolo del Consiglio di Stato. Per quel che riguarda i privati a marzo scorso, durante un’audizione in Senato, Federalberghi, che da anni accusa le piattaforme digitali di concorrenza sleale, ha denunciato come lo Stato nel 2022 abbia recuperato dalla cedolare secca sugli affitti brevi appena 80 milioni di euro. Secondo Marco Celani, presidente del Centro Studi Aigab che raccoglie i principali gestori professionali del settore, già oggi le finanze pubbliche dovrebbero essere in grado di raccogliere circa 1 miliardo di euro dalla cedolare secca. La situazione potrebbe cambiare da quest’anno: il Parlamento a marzo ha recepito la direttiva europea «Dac 7» che obbliga le piattaforme web a comunicare all’Agenzia delle Entrate tutte le transazioni effettuate, i dati dei proprietari e il totale dei giorni di affitto durante l’anno.
La vivibilità delle città turistiche
Il movimento veneziano «Alta tensione abitativa» e lo studio del professor Filippo Celata dell’Università La Sapienza «Overtourism and online short-term rental platforms in Italian cities» hanno analizzato il fenomeno: l’aumento esponenziale degli affitti brevi ha snaturato il mercato immobiliare facendo lievitare i costi delle locazioni, riducendo la disponibilità di abitazioni affittate per i tradizionali 4 anni, spingendo verso le periferie residenti e studenti. Il caso più eclatante è quello di Roma che dal 2014 al 2019 ha visto la popolazione residente crollare nelle zone del centro storico (-35,8%) e di Trastevere (-43,1%), dove si concentra la maggioranza delle abitazioni in affitto breve, e crescere in periferia (Mezzocammino +19,6%, Ponte Galeria +16% e Castelluccia +10,1%).
A Milano 180 euro a notte, Venezia la più costosa
Secondo i dati di Aridna, sito che monitora questo tipo di mercato, nel mese di aprile 2023 le abitazioni disponibili a Milano erano 17.319, il 63% affittate ad un prezzo medio di 180 euro a notte. A Roma erano 19.777, di cui l’88% a un prezzo medio di 190 euro. A Firenze l’87% degli appartamenti viaggia a 192 euro a notte; a Napoli il 77% a 120 euro; a Torino il 65% a 98 euro; a Bologna il 75% a 128 euro: a Verona il 67% a 163 euro. Venezia resta la città più costosa: con 7.203 abitazioni disponibili, occupate l’83%, mediamente 212 euro a notte. In tutte le città i prezzi sono aumentati almeno del 30% rispetto al 2019 con punte del 50% a Venezia e Roma e del 60% a Firenze e a Napoli.
L’appello dei sindaci
I sindaci di 13 città (Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, Firenze, Parma, Bergamo, Lodi, Verona, Padova, Trieste e Rimini) chiedono una legge nazionale che regolamenti il mercato. Nell’elenco non figura il sindaco di Venezia, eppure proprio Venezia è l’unica città italiana che potrebbe già oggi limitare il numero di immobili in affitto attraverso le piattaforme digitali grazie a una norma approvata nel 2022 dal governo Draghi. La giunta veneziana però non ha ancora deciso nulla, nonostante il numero di residenti del centro storico sia passato in 10 anni da 60 mila a meno di 50 mila, quasi superato ormai dal numero di posti letto per turisti: 48 mila.
Cosa accade in Europa
Da tempo i sindaci di molte città europee hanno imposto regole e limiti:
1) «time cap», il tetto massimo di giorni di affitto all’anno. La più restrittiva è Amsterdam, i giorni di affitto breve vanno da un minimo di 7 ad un massimo di 30, che diventano 70 a Copenaghen, 90 a Londra e Berlino, 120 a Bruxelles. Per chi supera la soglia ci vuole una licenza e si applica un aumento delle tasse.
2) autorizzazione dei condomini ad Amsterdam, Barcellona, Parigi, Vienna, Bruxelles, Madrid.
3) «zonizzazione»: in alcuni quartieri è completamente vietato l’affitto breve, per esempio a Vienna. Per chi sgarra ci sono multe severe. A Parigi Airbnb è stata condannata nel 2021 a pagare 8 milioni di euro al Comune per aver pubblicato sulla piattaforma mille annunci di locazioni non registrate. «La regolamentazione nelle città europee – spiega a Dataroom il professor Celata – ha ridotto il numero di annunci per appartamenti del 28,8% rispetto alle metropoli che non hanno introdotto alcun limite».
L’intervento del governo italiano
La responsabile del Turismo Daniela Santanché ha annunciato che nei prossimi giorni presenterà al Consiglio dei ministri un disegno di legge per regolamentare questo settore. La bozza del Ddl va incontro alle principali richieste di Federalberghi e prevede un minimo di 2 notti di permanenza nei Comuni turistici. Non è previsto né un tetto massimo di giorni di affitto all’anno né una limitazione di posti letto in rapporto al numero dei residenti nei vari quartieri come chiedono i sindaci. Verrà introdotto però un codice identificativo nazionale per ogni abitazione (esisteva già, ma era su base regionale e non c’erano controlli). Questo per evitare il nero. In caso di non applicazione che multe rischiano i proprietari? Da 500 a 5 mila euro. È evidente che affittando a 200 euro a notte, una sanzione massima da 5 mila euro non disincentiva nulla, mentre regolamentare questo settore è cruciale per trovare un punto di equilibrio fra i vantaggi del turismo, che vale il 6% del Pil e arriva al 13,4% con l’indotto, e la vivibilità dei centri storici. Spingendo fuori i residenti si uccide l’identità stessa di questi luoghi, che via via si trasformano in colonie turistiche affollate solo di pizzerie, ristoranti e negozi di souvenir.
(da Il Corriere della Sera)

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LO SANNO ANCHE I BAMBINI

Maggio 31st, 2023 Riccardo Fucile

IL MIGLIOR ALLEATO DELLA MELONI E’ UNA OPPOSIZIONE SCANDALOSAMENTE DIVISA

Le analisi della vittoria della destra alle comunali – sia pure ottenuta in una sempre più ristretta cerchia di votanti – sono la cosa più risaputa del mondo. Ormai lo sanno anche i bambini: il più grosso partito di opposizione, il Pd, da solo non vincerà mai, dunque è bizzarro e anche un poco ingeneroso aspettarsi che lo faccia, sapendo benissimo che non è aritmeticamente possibile.
Alla sua destra e nel suo “fuori” (si fatica a collocare a sinistra un partito, quello di Conte, il cui evidente avversario politico non è il governo di destra, ma il Pd) non si registra alcuna intenzione di un’alleanza o di un’intesa lontanamente simile a quella che cementa il destracentro – molta destra, poco centro – al governo.
Ma anche nell’ipotesi remota che il Pd fosse fatto a brani come il marlin del Vecchio e il mare, né lo squalo centrista né quello grillino potrebbero combinare un bel nulla, se non godersi la soddisfazione di averlo fatto fuori per poi continuare a odiarsi tra loro.
Se c’è una cosa che può dare tranquillità a Meloni, e continuità alla sua storia, è la condizione di implacabile divisione che condanna l’opposizione a una chiassosa impotenza. Di una sola cosa Meloni può essere certa: delle sue tre opposizioni, una sola è certamente destinata, finché esiste, a rimanere tale, ed è il Pd.
I centristi mirano, legittimamente, a ricostruire una maggioranza che li comprenda, dunque un poco più moderata e liberale. I grillini, si sa, ritengono che destra e sinistra siano categorie superate, e anche per questo Conte (già al governo con Salvini) si è sentito libero di avere, sulle nomine Rai, una posizione semi-consociativa.
(da La Repubblica)

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“SCHLEIN E’ BLOCCATA, LA POLITICA RISPONDE AI MEDIA INVECE CHE AI CITTADINI”

Maggio 31st, 2023 Riccardo Fucile

INTERVISTA AL FILOSOFO BONAGA

I risultati delle comunali parlano chiaro. Il PD è stato schiacciato da un centrodestra in ascesa, nonostante l’ottimismo iniziale di Elly Schlein. Abbiamo chiesto al filosofo Stefano Bonaga di commentare la sconfitta del centrosinistra, nell’epoca che ha definito “dell’impotenza della politica”. E nonostante la segretaria del PD sia una “combattente”, manca ancora un progetto che coinvolga nuovamente i cittadini e chieda loro: “Cosa potete fare?”
Le comunali hanno decretato la vittoria schiacciante del centrodestra trainato da Fratelli d’Italia contro il PD, sancendo per alcuni la superiorità politica, oggi, della premier Meloni su Elly Schlein. Per alcuni una desaparecida della politica (inesistente sui social, difficile da intercettare in giro). Altri credono che il problema sia piuttosto la forza persuasiva del governo. Ma le cose sono più complesse e riguardano la natura stessa della politica, più volte negata dal modo in cui il PD ha scelto di agire, dettando una linea di azione astratta e prona nei confronti del conflitto mediatico (ma non di quello sociale). Così si lascia indietro, inevitabilmente, la cittadinanza e la politica diventa “impotente”.
A dirlo è Stefano Bonaga, il Socrate della sinistra italiana, che ha curato insieme a Pier Giorgio Ardeni un volumetto dal titolo L’impotenza della politica: Il partito, i corpi intermedi e l’isocrazia della cittadinanza attiva (Castelvecchi 2023).
Per lui la diagnosi è chiara: la sparizione dei corpi intermedi si accompagna alla totale dimissione della funzione dei partiti di sinistra, che dovrebbero convogliare la potenza della società e non pensare solo a raccattare voti.
“Bisogna chiedere ai cittadini cosa possono fare, non cosa vorrebbero che i partiti facessero”. Un ribaltamento dunque, dalla logica della seduzione (la campagna elettorale permanente) alla logica della partecipazione. Elly Schlein, nonostante sia “una combattente per i valori della sinistra” sembra non aver colto ancora quale sia il vero problema. Ma forse è da qui che dovrebbe ripartire.
Il PD perde comuni, il centrodestra ne guadagna. Cosa sta sbagliando Elly Schlein?
Elly è un’amica, ma purtroppo mi sembra presa dentro alla grammatica tradizionale e terrificante di quel partito che ho definito tempo fa “dei tassisti senza taxi”. Prima dichiarazione di Elly Schlein quando viene votata segretaria del Partito Democratico: faremo un’opposizione durissima. Ma scusa, l’opposizione la fanno i parlamentari. L’opposizione la farai in quanto parlamentare, ma come segretaria di un partito cosa fai? Il progetto deve essere per il partito. Le piacciono parole come “lavoro”, “uguaglianza”, “ricerca”, a cui non solo non corrispondono dei progetti, ma che anche portassero a dei progetti, stando all’opposizione, oggi non posso veicolare nessuna azione. Devi andare al governo e per andarci hai bisogno della forza della società. Una società che non va più a votare ma che, come dimostra la tragedia in Emilia-Romagna, ha voglia di fare. Vuoi che la funzione di un partito non sia quella di recuperare questa potenza in funziona di ricomporre la società e non opporsi semplicemente al governo? Chiedere alle parti sociali: cosa potete fare.
Non lo fa?
Tu non puoi lasciare i commercianti alla Lega. Non si sa perché non contribuisci a promuovere, comprendere, rappresentare. Manca il rapporto con la società che non sia di pura rappresentanza. Oggi si ragiona sul numero dei voti, un punto in più e ho vinto, uno in meno e ho perso. Sono questioni che rientrano tutti dentro quel terribile concetto di “narrazione”. Oggi guardano i tweet: cosa risponde lui, cosa ha scritto l’altro, allora cosa posso dire. Intanto il partito cosa fa? Ci sono iniziative del partito per recuperare l’enorme potenza virtuale della società?
Il centrodestra ha qualche merito in questa vittoria alle comunali?
Il primo merito è essere al governo, è chiaro. C’è l’effetto traino. Non è difficile capire che c’è un aspetto funzionale imprescindibile. Le amministrazioni locali tenderanno a essere della parte del governo visto che è il governo che può fare delle cose.
Tu hai detto che la politica oggi è “impotente”, purtroppo.
Io ho due metafore per la politica. Una la dico sempre a Cacciari. La politica è come la medicina, serve non solo la diagnosi, ma anche la terapia e magari, qualche volta, la prognosi. Pensiamo, con le dovute proporzioni, a Marx. C’è un’analisi, c’è una terapia (la lotta di classe) e c’è una prognosi (il comunismo). La seconda metafora è la politica come occupazione di spazi. La politica non coincide con le parole. C’è un aspetto verbale, perché si parla, ma o corrisponde a qualcosa di attuabile o non è niente.
Commentando i risultati Elly Schlein ha detto che è “necessario ricostruire un’alleanza delle forze che si contrappongono alla destra”. Ha capito qual è il problema?
Ai tempi delle primarie in due guardavano al centro, in due leggermente più a sinistra, ma giusto con la coda dell’occhio. La differenza l’avrebbe fatta stabilire un calendario di incontro con le forze sociali, dagli studenti ai commercianti agli industriali intelligenti, dicendo: “Abbiamo bisogno di voi, come ci dite?”. Cittadinanza attiva, è questo l’antidoto della sinistra ai problemi della società. La differenza tra destra e sinistra sta qui. Il paradigma della sinistra è il coinvolgimento del massimo della cittadinanza nella costruzione dei beni comuni, mentre quello della destra è la richiesta di delega poi tu stai a casa. Certo, se Renzi fa quello che fa la destra iniziamo a dimenticarcelo, ma la differenza resta e dovrebbe tornare centrale. Dopo qualche tempo Elly Schlein esce con un’intervista su Repubblica parlando di contenuti, di parole, di opinioni. Come vedi il problema non è stato proprio affrontato. Il campo largo deve essere operativo, bisogna far politica, avere rapporti con la società. Se ti metti d’accordo sul piano operativo è un conto, se invece ragioni solo sulla coincidenza delle idee e basta, allora non ha senso.
C’è chi dice che Elly Schlein sia il segnaposto di Franceschini e forse anche per questo risulta “impotente”.
Iniziamo con questo. Come si superano le correnti interne? Quando si ha un obiettivo comune. Non importa essere d’accordo su tutti. Al tempo del centralismo democratico del partito, il partito lavorava sul territorio in comune; poi vinceva una maggioranza, ma intanto agivano. Se oggi si tratta di vincere in quanto corrente, dove vai? Elly Schlein la conosco da vent’anni, è sempre stata una combattente per i valori della sinistra, a livello locale, con iniziative e molto altro. Non credo dipenda da Franceschini o da altri. Purtroppo però la trovo bloccata da una specie di paradigma vincolante della tradizione degli ultimi anni del partito molto autoreferenziale, che guarda ai problemi interni e che non c’entra più nulla con i cittadini. Il vero rapporto con i cittadini è dare loro la dignità dei citoyens, cioè di cittadini attivi.
Il Movimento 5 Stelle, a questo giro, non pervenuto. C’è una presenza assenza, Beppe Grillo. Grillo ha ancora un ruolo dietro Conte o no? Che fine ha fatto?
Credo che Grillo stia assecondando la sua personale deriva. Anche il Movimento 5 Stelle dovrebbe tornare a fare politica. All’inizio, al di là dei termini e del modo di discutere, il M5S faceva i meetup. Incontravano la gente. Oggi succede? Conte fa i suoi giri elettorali, parla, ma alla fine la gente si accorge se quello che dicono i politici ha degli effetti reali oppure no.
Qual è il dispositivo che impantana la politica tout court oggi?
La funzione di rappresentanza dei partiti è sostituita dalla rappresentanza mediatica che è il referente imperativo dell’azione della politica. Sembra che i politici debbano rispondere alla stampa invece che ai cittadini. C’è una sottomissione ai codici della comunicazione mediatica piuttosto che ai codici dell’occupazione di spazi.
(da agenzie)

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BANKITALIA, VISCO SUI GIOVANI: “IL 20% RESTA PRECARIO DOPO CINQUE ANNI DI LAVORO”

Maggio 31st, 2023 Riccardo Fucile

E LANCIA UN APPELLO SUL MES

Per 12 anni, è stato il numero uno di Bankitalia. Il mandato di Ignazio Visco scadrà a novembre e, la mattina del 31 maggio, ha esposto le classiche considerazioni finali. Le sue ultime: oltre a tracciare il bilancio dell’anno, il governatore della Banca d’Italia si è concentrato sulle sfide future del Paese. Dedicando ampio spazio ai giovani. «In molti casi, il lavoro a termine si associa a condizioni di precarietà molto prolungate. La quota di giovani che dopo cinque anni si trova in condizioni di impiego a tempo determinato resta prossima al 20%», ha detto. Visco ha segnalato una crescita al 30% della quota di lavoratori che percepiscono retribuzioni annue minime, sotto il 60% della media di 11.600 euro l’anno. E ha aggiunto: «Troppi, non solo tra i giovani, non hanno un’occupazione regolare o, pur avendola, non si vedono riconosciute condizioni contrattuali adeguate». Ad ascoltarlo, in prima fila, c’è anche Mario Draghi. Seduti poco distanti dall’ex presidente del Consiglio, anche Mario Monti, Gianni Letta, Lamberto Dini, Daniele Franco e Antonio Patuelli.
Il governatore è intervenuto anche sul tema del Pnrr, la cui attuazione sta mettendo in difficoltà l’esecutivo: «Dei miglioramenti sono possibili, ma non c’è tempo da perdere». Per Visco, il Piano nazionale di ripresa e resilienza «rappresenta un raro, e nel complesso valido, tentativo di definire una visione strategica per il Paese. È cruciale dare attuazione all’ambizioso programma di riforme, da troppo tempo attese, in esso contenuto». L’invito è a vedere il confronto con la Commissione europea come «utile e costruttivo», oltre che necessario. Altro tema scottante per la maggioranza affrontato dal numero uno di Bankitalia è la ratifica del Mes: «Non appena sarà pienamente operativa la sua riforma, il Mes potrà svolgere un ruolo importante fornendo una rete di sicurezza finanziaria al fondo di risoluzione unico». Secondo Visco, è imprescindibile «portare a compimento l’unione bancaria, attraverso una revisione dell’attuale disciplina di gestione delle crisi nonché l’istituzione di uno schema unico di garanzia dei depositi. I recenti fenomeni di instabilità osservati al di fuori dell’Unione europea mostrano chiaramente l’importanza di raggiungere questi obiettivi».
Visco ha parlato anche di migranti: per l’Italia è indispensabile contare su di loro. Anche nell’ipotesi di un progressivo aumento dei tassi di attività dei giovani e delle donne, ha spiegato, «nei prossimi 20 anni la crescita economica non potrà contare su un aumento endogeno delle forze di lavoro. Gli effetti del calo della popolazione nelle età centrali potranno essere mitigati nel medio periodo, oltre che da un allungamento dell’età lavorativa, solo da un aumento del saldo migratorio». Tra le priorità, il governatore ha annoverato la riduzione del debito, ma anche il salario minimo: «Come negli altri principali Paesi, l’introduzione di un salario minimo, definito con il necessario equilibrio, può rispondere a non trascurabili esigenze di giustizia sociale». Ne ha parlato in riferimento ai giovani. Ed è sempre a loro che dedica la chiusura del suo discorso: «Spetta proprio ai più giovani, meno condizionati dal passato, immaginare il mondo futuro, individuarne le opportunità. Andranno ascoltati», è stato l’appello conclusivo del governatore, che ha ricordato all’uditorio il suo prossimo addio a «un’istituzione speciale che ho servito con ruoli diversi per un cinquantennio».
(da agenzie)

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