Giugno 21st, 2023 Riccardo Fucile
MANCA FORZA ITALIA… SCHLEIN: “NON STANNO IN PIEDI”… CONTE: “GOVERNO MELONI ALLO SBANDO”
La maggioranza inciampa sul dl Lavoro. La seduta della commissione Bilancio del Senato è stata sospesa dopo che il voto sul pacchetto di emendamenti al decreto è finitoin pareggio. Il centrodestra, infatti, non ha incassato il via libera sperato e il risultato finale della votazione è stata di 10 senatori di maggioranza a favore (assenti gli esponenti di Forza Italia) e altrettanti di opposizione contrari. Poiché manca il parere necessario per esaminare nell’Aula di Palazzo Madama le nuove proposte di modifica presentate stamattina, la seduta della commissione è stata sospesa e a questo punto è stata convocata una conferenza dei capigruppo per decidere come proseguire i lavori.
“La maggioranza non sta in piedi”, attacca Elly Schlein. “Il dl Lavoro prosegue la segreteria del Pd – era una delle bandiere programmatiche del governo Meloni. Oggi le forze di maggioranza non riescono nemmeno a garantire che gli emendamenti della relatrice siano approvati.È un provvedimento sbagliato, che va cambiato, e noi continueremo ad opporci a norme che aumentano precarietà e povertà. La verità è che questo esecutivo non sta in piedi, incapace di passare dalla propaganda ai fatti”.
FI: “Assenti in commissione solo per un ritardo”
“Quello che è accaduto in commissione non ha rilevanza politica. Avevamo un impegno di gruppo che è ritradato di soli 15 minuti”, dice il senatore di Forza Italia Dario Damiani. “Siamo arrivati in ritardo, non c’è problema politico,- ribadisce – non serve riunire la conferenza dei capigruppo. Possiamo tornare in commissione Bilancio e rivotare il parere e fare notte in Aula per approvare. Nessuna polemica su quello che accaduto solo una coincidenza di tempi”.
Conte: “Governo Meloni allo sbando”
“Le ultime 24 ore di un governo Meloni allo sbando”, chiosa su Facebook il leader del M5S Giuseppe Conte. “Dimezzano i fondi per i risarcimenti dei gravi infortuni sul lavoro. Non appena lo denunciamo, provano frettolosamente a fare retromarcia. Il ministero di Giorgetti elogia la riforma del Mes e il governo Meloni, in imbarazzo dopo le bugie raccontate in pandemia, continua a rinviare le decisioni”. Poi, aggiunge; “Sul decreto Lavoro, in realtà decreto Precariato, il’esecutivo non ha nemmeno la maggioranza in commissione Bilancio al Senato sui suoi stessi emendamenti. Parliamo del provvedimento che fa cassa su chi è in difficoltà, dimezzando la platea delle persone in difficoltà economica che ora saranno protette dallo Stato. In mezzo a questo caos, il carovita sottrae 61 miliardi dal conto corrente degli italiani e Meloni, che prometteva 1000 euro con un click a tutti durante il Covid, resta a guardare. È un Governo incapace, inutile e dannoso”.
Polemico anche Stefano Patuanelli, capogruppo dei 5S al Senato: “Lo stato comatoso continua…”. Ma la relatrice del dl lavoro, Paola Mancini di FdI, replica: “È stato un incidente che non doveva accadere, ma rimediamo pure a questo”. E fa sapere che sarà presentato’ un nuovo parere del Mef che sarà posto in votazione in commissione, così da poter riprendere i lavori.
Il Pd: “Maggioranza divisa”
Dal Pd Antonio Misiani, responsabile economico dei dem, attacca: “Maggioranza divisa e schiantata contro un muro. Decisiva l’assenza dei senatori di Forza Italia. Aula bloccata. Dilettanti allo sbaraglio”. E Daniele Manca e Beatrice Lorenzin, esponenti dem in commissione Bilancio al Senato, sottolineano: “Questo era un provvedimento simbolo, ma si è trasformato nel primo grande fallimento di questa maggioranza”. Dello stesso avviso il capogruppo del Pd a Palazzo Madama, Francesco Boccia, secondo cui il centrodestra è “nel caos”. “Non si può fare finta di niente -dice Boccia – non esiste il voto pari, un emendamento è respinto se non c’è voto in più e quindi oggi la Commissione ha bocciato gli emendanti”.
Ma, aggiunge, “il tema è anche di merito, oggi la maggioranza e il governo cercavano di porre toppe peggiori del buco sull’indice di equivalenza, sugli infortuni sul lavoro, sul lavoro gratuito, sull’utilizzo dei lavoratori che prendevano un tempo il reddito di cittadinanza. Tutti temi che abbiamo contestato e sui quali non sono state accolte le nostre proposte, poi maggioranza e governo hanno rabberciato idee per colmare queste lacune. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: oggi sono stati bocciati tutti gli emendamenti presentati dalla maggioranza, non è possibile riproporli e non è più possibile tollerare il regolamento à la carte”.
Iv-Azione: “Litigano su tutto”
Polemica anche Raffaella Paita, capogruppo di Italia viva-Azione: “ Dopo aver annunciato il più grande taglio del cuneo fiscale della storia non hanno i numeri in commissione per votarlo. Sarà perché non era affatto il più grande taglio del cuneo della storia? Oppure perché litigano su tutto?
(da La Repubblica)
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Giugno 21st, 2023 Riccardo Fucile
E NON VA MEGLIO SUL FRONTE DELL’IVA. I NUMERI DELLA GUARDIA DI FINANZA: STANATI 8.924 EVASORI TOTALI, 45.041 I LAVORATORI IN NERO O IRREGOLARI. QUASI 20 MILA DENUNCE PER REATI TRIBUTARI E SEQUESTRI DI BENI PER FRODI FISCALI PER QUASI 5 MILIARDI
Un milione e mezzo di interventi, 99mila indagini, 83 mila controlli doganali sulle merci in entrata in Italia, oltre 177mila giornate/ uomo in servizi di ordine pubblico. E ancora: quasi 20 mila denunce per reati tributari e sequestri di beni per frodi fiscali per quasi 5 miliardi. Sono solo alcuni dei numeri con cui la Guardia di Finanza si presenta all’appuntamento del 21 giugno con il proprio 249° anniversario dalla fondazione. All’epoca si chiamava “Legione Truppe Leggere”: era stata pensata come uno speciale Corpo militare che già prima dell’unità d’Italia aveva compiti complessi, dal vigilare sui diritti doganali al difendere i confini del Regno. Dopo quasi duecentocinquant’anni, quello che non è cambiato per le Fiamme Gialle è l’impegno “a tutto campo” nel contrastare gli illeciti economico-finanziari e le infiltrazioni della criminalità nell’economia, a tutela di famiglie e imprese.
Stanati 8.924 evasori totali, completamente sconosciuti al fisco (molti attivi su piattaforme di commercio elettronico) e 45.041 lavoratori in “nero” o irregolari, scoperti 1.246 casi di evasione fiscale internazionale, denunciate 19.712 persone per reati tributari. E ancora: contrasto al contrabbando e al gioco illegale. Ma quel che spicca di più, in epoca di bonus, è il sequestro di crediti inesistenti per un ammontare di circa 5,4 miliardi nell’ambito delle indagini su crediti d’imposta agevolativi in materia edilizia ed energetica
Quasi 1.700 euro per persona. Questo è quanto costa l’evasione in Italia ogni anno: poco più di uno stipendio medio a testa. Numeri che rischiano anche di aumentare, visto che si tratta dei 99,2 miliardi di euro delle statistiche ufficiali relative al 2020. A mordere quell’anno fu solo la pandemia, a cui si è aggiunta la guerra in Ucraina e poi ancora l’inflazione. Le fiammate dei prezzi, dopo essersi trasferite dalla componente energetica alla manifattura e infine ai servizi, sono destinate a durare per molto. Famiglie e imprese saranno le più colpite.
C’è una doppia Italia che contrasta l’evasione. Da un lato, quella che paga in modo regolare. Dall’altra, quella dei controllori erariali, che solo lo scorso anno hanno recuperato oltre 20 miliardi di euro. Il problema, fanno notare imprenditori e associazioni di consumatori, è la sperequazione. A rimarcarlo a più riprese è stato anche il Fondo monetario internazionale (Fmi), secondo cui il carico fiscale italiano è troppo elevato. Una riforma fiscale sostenibile nel lungo periodo è attesa da decenni. In un periodo storico colmo di diseguaglianze, anche questo elemento potrebbe aiutare a ridurle.
Finanziaria con poche coperture
L’Ufficio parlamentare di bilancio bacchetta il governo sulle coperture della riforma del fisco. Secondo il rapporto dell’Authority dei conti pubblici, presentato ieri in Parlamento, «vanno risolte le incertezze riguardanti l’individuazione di adeguate coperture finanziarie degli interventi che si prospettano: il rinnovo dei contratti del pubblico impiego, le pensioni, la riduzione della pressione fiscale».
Il 68% degli autonomi evade l’Irpef
Sebbene sia in costante calo, l’evasione fiscale resta elevata in Italia. E, in modo ciclico, aumenta nelle fasi di difficoltà economico-finanziaria. A oggi la più evasa d’Italia è l’Irpef, l’imposta sul reddito delle persone fisiche. Il gettito mancante, secondo il Tesoro, è stato di circa 32 miliardi di euro. Segmentando per attività e agente economico, emerge che allo Stato manca il 68,3% dell’Irpef dovuta dagli autonomi e dalle imprese. Di contro, manca soltanto il 2,8% dell’Irpef dovuta dal lavoro dipendente irregolare.
Non va meglio sul fronte dell’Iva. L’Imposta sul valore aggiunto ha generato un tax gap del 19,3% nel 2020, circa 7 punti percentuali in meno rispetto al 2015. Una buona performance, ma che non è ancora sufficiente ad adeguare l’Italia agli standard comunitari. A livello europeo, l’Italia è il primo Paese in termini assoluti per perdita di gettito, con 30 miliardi di euro di Iva evasa secondo i calcoli della Commissione europea, 7 miliardi in più della Germania, che risulta essere il secondo Paese peggiore su scala europea.
Un ruolo determinante potrebbe, e dovrebbe, giocarlo il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che al suo interno ha ambiziosi obiettivi di riduzione dell’evasione fiscale. La propensione all’evasione deve ridursi del 5% entro il 2023 e del 15% entro il 2024 rispetto al livello del 2019 pre Covid-19.
IL SOMMERSO
Un fardello da quasi 175 miliardi
La crisi del 2020 ha colpito anche l’economia non osservata, il cosiddetto sommerso. Che, secondo l’ultimo rapporto Istat dello scorso ottobre, è calata del 14,1% a quota 174,6 miliardi di euro, il 10,5% del Pil. Nello specifico, il sommerso in senso stretto è stato pari a 157 miliardi di euro, mentre le attività illegali sono state pari a 17 miliardi di euro. Rispetto al 2019, il valore dell’economia non osservata si è ridotto complessivamente di quasi 30 miliardi. Nel 2020, ultimo anno di osservazione statistica, sono state 2 milioni 926 mila le unità di lavoro irregolari nel 2020, in calo di circa 660 mila rispetto al 2019. Numeri che però non riflettono la crisi energetica che ha dovuto sopportare l’eurozona dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina.
Il discorso cambia se si guarda alle possibilità dell’Italia di ridurre l’esposizione al sommerso in ottica strutturale. Più volte il Fondo monetario internazionale (Fmi), così come agenzie di rating e di consulenza, hanno suggerito al governo italiano di spingere sull’acceleratore delle riforme per limare le divergenze con gli altri Paesi europei. Eppure, i passi da fare restanno ancora numerosi. Anche fra le missioni del Pnrr ci sono strumenti ad hoc per ridurre l’economia non osservata, ma come rimarcato dall’Ocse, «sarebbe necessario un progetto strutturale di lungo periodo».
(da la Stampa)
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Giugno 21st, 2023 Riccardo Fucile
DA PRIVATIZZARE A PRIVARE E’ UN ATTIMO
Sono arrivati al governo e hanno falciato il rapporto tra la spesa sanitaria e il Pil che si è contratto passando dal 6,9 per cento del 2022 al 6,7 per cento. Questo è solo l’inizio.
La volontà di tagliare è evidente, con una riduzione nei prossimi anni di oltre 3,3 miliardi di euro: il governo ha indicato nel Def che a partire dal 2026 la spesa scenderà ancora fino al 6,2 per cento.
Intanto continuano a diminuire i posti letto negli ospedali pubblici. Curarsi diventa un lusso, la privatizzazione della sanità ci priva giorno dopo giorno della sanità.
Sono arrivati al governo e l’ufficio parlamentare di bilancio certifica che dei quasi 1,2 milioni di nuclei familiari beneficiari di reddito di cittadinanza, circa 400mila (il 33,6%) sono esclusi dall’assegno di inclusione perché al loro interno non sono presenti soggetti tutelati. Sono persone già sotto la soglia di povertà.
Tra quelli che lavorano invece ben 3 milioni risultano poveri nonostante abbiano un impiego. Continueranno a esserlo visto che il governo ha dichiarato a più riprese di non avere nessuna intenzione di intervenire sul salario minimo. Niente da fare nemmeno per le pensioni. Si rimane così com’è.
Sono arrivati al governo e hanno assicurato che avrebbero modificato il Pnrr.
A oggi non si sa cose e come vogliamo modifiche. Sappiamo in compenso che l’Ue è profondamente scontenta di come stanno andando le cose e le prossime rate sono a rischio.
Fino a quando dunque, Meloni, abuserà della pazienza degli italiani?
(da lanotiziagiornale.it)
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Giugno 21st, 2023 Riccardo Fucile
IN UN ANNO IN CUI DI LAVORO SI CONTINUA A MORIRE, IL GOVERNO NON TROVA DI MEGLIO CHE DIMINUIRE I FONDI
Si tratta di pochi soldi, per questo il taglio del contributo alle famiglie dei morti sul lavoro sa ancor più di beffa. Una scelta che avviene, peraltro, in un anno in cui di lavoro si continua a morire eccome: 264 gli infortuni mortali nei primi quattro mesi dell’anno, tre in più dello stesso periodo del 2022 e un totale che anche quest’anno è destinato a superare i mille decessi.
Questo a stare al database Inail, cioè alle denunce arrivate all’assicurazione pubblica: contando tutto quel che non rientra in questa casistica burocratica il conto sale di alcune centinaia di decessi l’anno (secondo l’Osservatorio indipendente di Bologna, ad esempio, da gennaio a maggio i morti sul lavoro sono stati oltre 560).
Ecco, a fronte di questa strage che non si ferma, il governo ha scelto di definanziare il “Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro”, il che comporta un taglio cospicuo dell’assegno una tantum riservato agli eredi.
Si tratta di un fondo istituito nel 2007 e che viene finanziato ogni anno dal ministero del Lavoro, anche se poi è l’Inail a erogare il contributo: il fondo, in ogni caso, è aperto a tutte le famiglie di vittime sul lavoro che ne facciano richiesta, anche di quelle categorie che non sono assicurate dall’Inail (ad esempio, nel settore pubblico, le forze dell’ordine, i vigili del fuoco, i militari, mentre nel settore privato vanno citati almeno i liberi professionisti così cari al governo). Il contributo una tantum è destinato al coniuge, ai figli, ai genitori e a fratelli e sorelle se risultano a carico del lavoratore deceduto.
Il taglio, come detto, è cospicuo: il Fondo era stato finanziato con 9,8 milioni di euro nel 2022, scesi a 5,4 milioni quest’anno, una riduzione del 45% circa. In soldi per i beneficiari, basandosi sul tabellario inserito nel decreto ministeriali 75/2023 della ministra Marina Calderone del 18 maggio (registrato dalla Corte dei Conti il 14 giugno), si tratta di una diminuzione che va da 2mila a 8mila euro a seconda della composizione del nucleo familiare. Nel 2022, ad esempio, se il lavoratore deceduto sul lavoro aveva un nucleo composto di un solo familiare il contributo era pari a 6mila euro, nel 2023 sarà di 4mila; per un nucleo di due familiari si passa da 11.400 euro a 7.500 euro; per tre familiari l’assegno scende da 16.800 euro a 11mila. Il taglio più corposo in termini nominali è ovviamente quello che riguarda i nuclei più numerosi (oltre tre persone): il contributo per i parenti della vittima passa in un anno da 22.400 a 14.500 euro, quasi 8mila euro in meno.
È vero che il Fondo, essendo rifinanziato ogni anno, ha sempre presentato oscillazioni nelle prestazioni, ma anche nel 2021 – per restare in tempi vicini – l’assegno andava da 5mila a 19mila euro per 8,4 milioni complessivi (contro 4mila-14.500 di quest’anno per 5,5 milioni).
A guardare i tabellari precedenti, il livello di quest’anno è il più basso di sempre con l’esclusione del biennio 2018-2019 quando gli importi nominali erano leggermente più bassi: è anche vero, però, che nel frattempo c’è stata una discreta inflazione e dunque il contributo di quattro e cinque anni fa in termini reali è stato comunque più alto di quello attuale.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Giugno 21st, 2023 Riccardo Fucile
QUANDO UNA DECISIONE GIUDIZIARIA PROVOCA SCONQUASSI EMOTIVI
Devo applicare la legge, dice la magistrata di Padova che ha ripercorso all’indietro, fino al 2017, tutti gli atti di nascita di figli di coppie omogenitoriali trascritti dal sindaco, allo scopo di cancellare il nome della «seconda mamma», quella non biologica.
Non è questo il giorno per sviscerare un tema complicato e controverso come la gestazione per altri.
Vorrei concentrarmi solo su quei trentatré bambini che già esistono e che non si possono rimuovere per decreto.
Sono un italiano medio, cresciuto con i personaggi in chiaroscuro di Sordi e Gassman, per i quali la legge stava dentro e non sopra la vita, e la vita non era mai spaccabile perfettamente a metà come la mela di Biancaneve: di qua il bene, di là il male.
Sono anche un orfano precoce e so che cosa significhi ritrovarsi già da piccoli in una famiglia sconvolta, costretti a reggere il contraccolpo di un cambiamento indesiderato e improvviso.
La città di Padova, che immagino composta in maggioranza da italiani come Sordi e Gassman, farà di tutto per limitare gli sconquassi emotivi della decisione giudiziaria e la «seconda mamma» continuerà ad andare a prendere sua figlia all’asilo senza che nessuno sia così fiscale da chiederle la delega firmata dalla mamma «titolare».
Però chi vuol bene a quei bimbi dovrà comunque tenere a bada nuove ansie di cui proprio non si sentiva il bisogno. Mi chiedo sommessamente se, in casi come questo, un eccellente modo di applicare la legge non consista nel dimenticarsi di farlo.
(da Il Corriere della Sera)
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Giugno 21st, 2023 Riccardo Fucile
L’UPB LANCIA L’ALLARME SUI CONTI DEL GOVERNO
Il governo con i conti in rosso. In vista della prossima manovra e, soprattutto della riforma fiscale, l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni potrebbe essere costretto a importanti tagli sui servizi e sulle politiche sociali per mettere in campo le nuove regole e la riduzione delle aliquote Irpef. A lanciare l’allarme è l’Ufficio parlamentare di bilancio nel suo rapporto sulla politica di bilancio.
Per la riforma fiscale, viene sottolineato, sembrano necessarie risorse cospicue per le coperture. Soldi che “appare difficile poter reperire senza incidere sulla prestazione dei servizi e sull’attuazione delle politiche sociali, come anche reso evidente dai risparmi relativamente limitati che – nei programmi del governo – sono previsti derivare dal rafforzamento della revisione della spesa dei ministeri nei prossimi anni”.
L’Upb sottolinea che ci sono incertezze sulle coperture finanziarie richieste per mettere in campo gli interventi annunciati (o necessari) per la prossima legge di Bilancio. Dal rinnovo dei contratti della Pa alle misure sulle pensioni, dalla conferma del taglio del cuneo fiscale alla riforma del Fisco, servono tantissime risorse, che il governo oggi sembra non avere. E per questo secondo l’Ufficio sono a rischio i servizi e le politiche sociali.
Nella sua relazione l’Upb sottolinea, inoltre, che “non è auspicabile” ricorrere all’ipotesi di gettito della lotta all’evasione per coprire il taglio delle tasse. Parliamo di una delle possibile coperture individuate dal Def, che non convince però l’Ufficio, secondo il quale gli effetti finanziari sono incerti e non è dunque corretto ricorrere a queste risorse (ipotetiche) per interventi strutturali, come anche la riforma fiscale.
Un altro avvertimento dell’Ufficio parlamentare di bilancio riguarda il Pnrr, la cui realizzazione è considerata un “elemento fondamentale di cui tener conto nella valutazione delle previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica”. Il Piano deve essere attuato pienamente e la sua revisione deve essere valutata con attenzione “per assicurare nuovo slancio all’azione di riforma e al potenziamento infrastrutturale, entrambi essenziali per superare i divari generazionali, di genere e territoriali”.
Con la revisione, sottolinea l’Upb, è fondamentale valutare le conseguenze sui saldi di bilancio e sulla spesa pubblica. In sostanza, vuol dire che non si possono perdere i fondi del Pnrr né possono arrivare in ritardo, se non si vuole rischiare di avere meno risorse a disposizione per la manovra.
(da lanotiziagiornale.it)
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Giugno 21st, 2023 Riccardo Fucile
SONO PRONTI 700 MILIONI MA FITTO NON SA SPENDERLI
Un grande piano contro il gap infrastrutturale tuttora fermo. Una preziosa eredità del governo precedente congelata, nonostante una dotazione già pronta: 700 milioni di euro per iniziare, per poi spendere fino al massimo 4 miliardi e 600 milioni nei 10 anni successivi. Ecco risorse a portata di mano, in bilancio, messe sul piatto per contrastare i divari nelle infrastrutture, dalla scuola alla sanità, nelle aree più svantaggiate con un focus specifico sul Mezzogiorno. L’uso degli stanziamenti avrebbe un doppio risultato: spingere l’economia nelle zone meno ricche, grazie all’apertura di nuovi cantieri, e migliorare la qualità dei servizi, oggi carenti.
Sarebbe tutto a portata di mano, se i soldi non fossero stoccati, immobili, nei cassetti del dipartimento del Sud e delle politiche di coesione, guidato da Raffaele Fitto, con il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, co-protagonista del singolare letargo, chiamato a esprimersi. Il problema è che nessuno ha deciso come ripartire la cifra e con quali modalità scegliere il finanziamento dei progetti. Il motivo ufficiale è legato a un aspetto burocratico: manca il decreto della presidenza del Consiglio. Fatto sta che la “destra del fare”, come ama definirsi, non fa nemmeno le cose più semplici, come spendere i soldi già in tasca. E si limita alla propaganda.
UN GAP DA RIDURRE
Così, la premier Giorgia Meloni e la sua squadra di ministri si dimostrano più attenti a criticare i predecessori, in primis sul Pnrr, che a svolgere il proprio compito. Arrivando al colmo di non sfruttare il sostanzioso lascito. La storia di questa vicenda inizia nel settembre 2022, quando l’esecutivo di Draghi ha approvato il decreto Infrastrutture.
Nel provvedimento era stato inserito un corposo stanziamento per il «recupero del divario infrastrutturale», da avviare dopo una prima fase di ricognizione nelle «aree che risentono di maggiori criticità nei collegamenti infrastrutturali con le reti su gomma e su ferro, e dei territori del Mezzogiorno». L’attività si sarebbe concentrata sulle «strutture sanitarie, assistenziali e scolastiche pubbliche» ma anche sulle «infrastrutture stradali, autostradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali, idriche». Uno sforzo a trecentosessanta gradi.
Il massiccio investimento sarebbe stato effettivo attraverso il «fondo perequativo infrastrutturale» con 100 milioni già per il 2022 a cui si sono aggiunti altri 600 milioni spalmati nel biennio 2023-2024. Lo sguardo del governo Draghi è andato oltre, tenendo attivo il fondo fino al 2033 grazie a ulteriori stanziamenti fino a raggiungere un totale di 4 miliardi e 600 milioni.
Per completare l’operazione, tuttavia, era necessario un decreto attuativo, che faceva capo alla ministra del Sud Mara Carfagna, da adottare entro il 31 marzo dello scorso anno, per definire i dettagli. L’esecutivo non è riuscito a rispettare la scadenza, ma secondo quanto risulta a Domani aveva già svolto un lavoro preparatorio per individuare le principali criticità, basandosi anche su interventi previsti dal Pnrr e dal Piano nazionale complementare. Erano stati stabiliti, dunque, gli indicatori tecnici per definire il riparto delle risorse e garantire un intervento efficace. Era stato predisposto uno schema di decreto proprio con l’intento di non accumulare ulteriore ritardi e completare l’iter entro l’autunno del 2022.
FITTO SOVRACCARICO
La caduta del governo e il ritorno alle elezioni hanno stoppato tutto, trasferendo il compito nelle mani di Giorgia Meloni e della sua compagine ministeriale. Il dossier è diventato principalmente competenza di Fitto, a cui spetta l’ultima firma, in coabitazione con il ministro delle Infrastrutture Salvini, parte in causa attiva vista la materia da trattare, e del collega Roberto Calderoli, a capo del dipartimento degli Affari regionali.
Una piccola pausa era preventivabile. Solo che, a ormai otto mesi dall’insediamento del governo, si può parlare di un effettivo ritardo: il decreto non risulta pubblicato, mettendo i miliardi di euro in stand-by. Fitto si è perso nell’ampia rete di problemi che deve affrontare, su tutti in Pnrr.
Ma il sovraccarico a cui è sottoposto non rappresenta una giustificazione spendibile: è stata Meloni a dargli tutte le deleghe con lo scopo di consegnarle a un suo fedelissimo. Ora si vedono le conseguenze.
Il Pd sta provando a dare una sveglia sull’attuazione del piano contro il gap infrastrutturale. In questa direzione va l’interrogazione presentata alla Camera, che chiede espressamente «di giungere, al più presto, alla ripartizione delle risorse e all’attivazione degli investimenti».
«È assurdo avere i soldi in bilancio e non spenderli», dice a Domani il deputato del Pd, Marco Simiani, primo firmatario dell’interrogazione. «È vero che una buona parte di questi fondi – spiega – è destinata al Mezzogiorno, ma possono anche essere impiegati nelle altre aree con forte gap nelle infrastrutture. Come sta accadendo per il Pnrr, questo governo sembra non saper gestire gli stanziamenti a disposizione».
(da editorialedomani.it)
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Giugno 21st, 2023 Riccardo Fucile
A 90 ANNI SI PRESENTA A SCUOLA PER SOSTENERE L’ESAME DI MATURITA’
Si chiama Imelda Starnini e sta sostenendo l’esame di maturità a Città di Castello. È una dei tanti, ma quello che la distingue è l’anno di nascita: il 1933. A 90 anni compiuti la donna si è presentata per sostenere la prova d’italiano all’istituto paritario San Francesco di Sales. Perché vuole infatti coronare il sogno di una vita e diventare una maestra, almeno sulla carta. La studentessa novantenne sta quindi sostenendo la maturità come altri circa 400 tifernati. «Senza sacrificio non si ottiene nulla nella vita ed a questa età ho deciso di rimettermi in gioco ed affrontare questo esame, un obiettivo che ho rincorso da sempre ma che per varie ragioni, familiari e di lavoro mi è sfuggito», ha spiegato all’ufficio stampa dell’amministrazione comunale prima di cominciare la prova. «Ora sono qui – ha aggiunto – e grazie all’aiuto della mia famiglia inizio il percorso di prove, che spero, mi condurranno ad ottenere il diploma. Li abbraccio tutti questi bellissimi giovani che oggi qui con me ed in tutta Italia sono pronti a superare gli ostacoli degli esami: lo studio, il sapere e il desiderio di conoscere non hanno età ed io ne sono la dimostrazione. Bisogna crederci, così mi hanno insegnato i miei genitori. Avanti ragazzi ora non si scherza più», ha concluso.
(da Open)
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Giugno 21st, 2023 Riccardo Fucile
“LA SOLUZIONE A UN VUOTO NORMATIVO NON PUO’ ESSERE LA DISCRIMINAZIONE”
«Le coppie a Padova sono sotto choc, come se fosse passato uno tsunami sulle loro vite». A dirlo a Open è Alessia Crocini, Presidente della Famiglie Arcobaleno dopo la decisione della procura di Padova di impugnare per «illegittimità» gli atti di nascita di 33 bambini e bambine, figli di coppie di due madri, registrati dal sindaco Sergio Giordani dal 2017 fino ad oggi. La procuratrice Valeria Sanzani, che ha messo la firma sulle impugnazioni, chiede che venga modificato il certificato di nascita attraverso la «cancellazione» del nome della madre non biologica e la «rettifica» del cognome attribuito alla figlia, tramite il depennamento di quello della “seconda mamma”. «Parliamo di bambini che hanno certificati anche da sei anni in alcuni casi. Se dovessero essere cancellati dai giudici significa togliergli la loro identità familiare. Come si spiega tutto questo a un bambino?», chiede Crocini ricordando come i bimbi coinvolti siano stati concepiti all’estero con fecondazione eterologa (tecnica permessa solo alle coppie eterosessuali sposate o conviventi) e poi riconosciuti in Italia come figli di entrambe le madri. Ma su cosa fa leva la decisione della Procura di Padova? «Su una giurisprudenza purtroppo consolidata», spiega invece l’avvocato Alexander Schuster, esperto di diritti civili e difensore dei diritti della comunità lgtbtq+.
La decisione della procura di Padova
«Ci sono quasi una decina di sentenze della Cassazione – benché a sezioni semplici – che da ormai tre anni a questa parte affermano che il consenso prestato alla fecondazione eterologa da parte della compagna di colei che partorirà non vale nulla», dice Schuster sottolineando come il riconoscimento del bambino nato dalla volontà di due madri dovrebbe essere «un’applicazione non discriminatoria di quello che è il diritto italiano rispetto alle coppie eterosessuali». In sostanza, la coppia che deve ricorrere a gameti esterni, cioè lo spermatozoo e l’ovocita o ad entrambi e quindi «l’uomo che dice sì alla fecondazione eterologa e dunque a un percorso che vedrà la nascita di un bambino grazie al patrimonio genetico, sarà vincolato da quel “sì” a essere padre», dice Schuster. Non solo in termini di diritti, ma anche di doveri. «Una volta che nasce il bimbo, l’uomo non può dire ci ho ripensato. Tu l’hai voluto, quindi tu diventerai genitore, non puoi sottrarti alle tue responsabilità. Ma la domanda è – continua -: perché lo stesso bambino che nasce dalla volontà non di un compagno ma di una compagna, ma è la stessa volontà, lo stesso sì, non ha gli stessi diritti?». La legge in Italia «ci piaccia, oppure no» è chiara: «Le coppie lesbiche – continua – non possono rivolgersi a un medico o a una clinica per fare un percorso di eterologa». Tuttavia, ciò che la legge non dice è «cosa occorre fare dei bambini che comunque nascono». Ed ecco che allora c’è un vuoto normativo: «se queste coppie vanno all’estero, in una clinica danese, austriaca, francese, spagnola o maltese a fare questo percorso per poi tornare in Italia, cosa facciamo? Gli daremo due genitori. Ed ecco il caso di Padova e di altri sindaci e giudici». La soluzione non può essere una discriminazione: «Un bambino che nasce – continua – ha diritto ad avere due genitori perché non è che togliendo la seconda madre, questo bambino avrà un padre, ma rimarrà al contrario con un solo genitore». Per la Cassazione, però, «visto che c’è il divieto di effettuare questo percorso in una clinica italiana, allora il bambino non potrà mai essere tutelato dalla nascita da un secondo genitore che sarebbe la seconda madre».
La sentenza del 2022 richiamata dalla circolare di Piantedosi
Non è del tutto chiara, però, la decisione degli uffici giudiziari di Padova che sembrano propagare l’attuale confusione della maggioranza di destra. La procura ritiene infatti che sulla questione di due madri che iniziano il percorso di fecondazione eterologa all’estero e poi partoriscono in Italia debba essere applicata la sentenza del 30 dicembre 2022 a Sezioni Unite, richiamata dalla circolare di Piantedosi, «che riguarda tutta un’altra cosa», spiega Schuster. «In primis riguarda la gestazione per altri, la surrogazione di maternità, e poi è una sentenza che nasce da una coppia gay ma interessa tutte le coppie che fanno la surrogazione di maternità perché il problema – ribadisce l’avvocato – è la surrogazione di maternità, non chi la fa. Se c’è un problema presunto di sfruttamento della donna – continua – non è che c’è sfruttamento se la fanno i gay o l’uomo singolo e non c’è se la fa la coppia eterosessuale». In questo senso, «non si capisce perché la Procura di Padova citi la questione della surrogazione di maternità che non c’entra assolutamente nulla, perché due donne fanno l’eterologa come la fa una coppia eterosessuale e il figlio lo fanno per sé. Non è che le due donne poi lo danno a qualcun altro; chi partorisce vuole essere madre e chi ha dato il gene e ha voluto quel bambino vuole essere la seconda madre, il secondo genitore», ribadisce.
La retroattività al 2017 e il vuoto normativo
La sentenza sulla quale ha fatto leva il ministro dell’Interno a gennaio di questo anno per vietare la trascrizione dei figli delle coppie omogenitoriali risale al 30 dicembre 2022. In questo contesto, però, esiste una retroattività fino al 2017, ovvero quando in sindaco di Padova Sergio Giordani iniziò a registrare i certificati di nascita dei figli con due madri. «Si tratta di un’interpretazione», spiega l’avvocato. «La legge non c’è, tutto questo è frutto della giurisprudenza. No al genitore intenzionale in caso di GPA, no alle due mamme perché il consenso della donna non vale nulla a differenza di quello dell’uomo. Quindi è tutto un’interpretazione, possiamo dire che è come se la legge venisse interpretata retroattivamente e la retroattività in questo caso – continua l’avvocato – è come una sorta di interpretazione autentica se lo fosse quella della Cassazione che in realtà decide solo il caso concreto».
Il «copia e incolla» della Procura su storie diverse
C’è un ulteriore elemento su tutta questa vicenda che sembra non essere stato preso in considerazione dalla Procura di Padova, ovvero le storie dei 33 bambini. «Forse qualcuno ha perso una madre in questi sei anni, forse qualche coppia è andata in crisi», ricorda l’avvocato. Eppure, sembra che la Procura di Padova abbia fatto «un copia e incolla», ovvero «un ricorso che vale per il bambino che ha un mese, come per il bambino che ha sei anni», dice Schuster. Ad essere responsabile però è «una cultura che è lontana dalle famiglie e da questi bambini – continua -. Togliere una madre non lascia spazio alla retorica della famiglia tradizionale, perché non c’è un uomo alla porta che a quel punto verrà fatto entrare e darà un secondo genitore al bambino. Da due genitori si passa a uno, punto».
I prossimi passi e le alternative
Ora si dovrà aspettare la pronuncia del Tribunale che ha fissato l’udienza per la discussione del ricorso il 14 novembre prossimo. «Tre giudici al Tribunale di Padova dovranno trovare una soluzione che sarà molto dura. Per la procuratrice Sanzani la decisione non pregiudica il benessere del bambino o della bambina, ma io ho qualche dubbio», dice Schuster. Ciò che è chiaro però «è che tutte le famiglie coinvolte che non trovano un sindaco disponibile o chi cade sotto la falce di una giustizia che copia ciecamente il pensiero dominante nella Suprema Corte di Cassazione dovrà correre ai ripari in caso di “sconfitta”». In caso di annullamento del certificato di nascita un genitore diventerebbe infatti sconosciuto per il diritto. «Io dico come la vicina di casa. Perché questo è quello che succede: non diventa una madre un po’ più attenuata o un parente di secondo grado. Diventa una sconosciuta per il bambino, al pari della vicina di casa, della persona che passa in quel momento in strada e dovrà ricorrere all’adozione», permessa in casi particolari al genitore non biologico.
I problemi delle adozioni
Sulla (delicata) questione delle adozioni c’è ancora molta strada da fare. «Il problema dell’adozione è che tu per un tot di anni non sei nulla e per il bambino cosa vuol dire? Che non puoi chiedere il congedo parentale, noi puoi chiedere la maternità, non puoi chiedere i permessi. Se il bambino avrà solo una persona per il diritto che lo accudisce, solo una persona potrà utilizzare gli strumenti che lo Stato italiano prevede per aiutare il genitore nel dovere di cura del bambino», spiega l’avvocato sottolineando, inoltre, che «se dovesse morire la persone “riconosciuta” legalmente non c’è un’eredità che va data se non fa un testamento e se lascerà tutti gli averi al bambino, il bambino è come se ricevesse tutto da uno sconosciuto con un’imposta di successione abnorme. Insomma sono vulnerabilità che stanno emergendo in questi giorni», dice l’avvocato. Vulnerabilità che conosce bene anche la presidente delle Famiglie Arcobaleno, Alessia Crocini. «La Corte costituzione ha detto che la Stepchild Adoption è lunga, farraginosa, discriminante e parziale e che bisogna fare una legge in Parlamento per mettere al sicuro i diritti di questi bambini. La risposta di questo governo qual è stata? Impugnare tutti i certificati e dire che la strada è la Stepchild che non volevano nel 2016? La stessa per cui FdI e Meloni, Roccella chiedevano l’abrogazione della legge sulle unioni civili e hanno fatto di tutto per stracciarla e ci sono riusciti. Oggi a distanza di 7 anni dalla Legge Cirinnà scoprono le meraviglie della Stepchild Adoption. Ma che cos’è un gioco?», conclude Crocini.
I timori delle famiglie di Padova
Il timore che possa accadere anche ad altre famiglie arcobaleno, magari di altre città, è evidente. «C’è da quando è stata inviata la circolare Piantedosi. È la prima volta che in Italia parte una circolare da un ministero dell’Interno verso le prefetture, verso i sindaci. A questo punto capiamo che ha avuto un effetto anche sulle Procure, cosa che non doveva accadere perché dovrebbero essere indipendenti dai ministeri. Fatto sta che a Padova per sei anni la procura ha sempre avuto tutti i certificati che venivano fatti dal sindaco Giordano, così come da tutti gli altri sindaci, e inviati in Procura dal momento in cui venivano redatti. Quindi che la Procura dopo la circolare Piantedosi abbia richiesto 33 certificati al Comune, come lo dobbiamo leggere? Non dovrebbero essere l’uno la conseguenza dell’altra. Dovrebbero essere poteri divisi e indipendenti. Questo dovrebbe preoccupare chiunque, anche le persone che non amano le nostre famiglie. Perché oggi siamo noi, domani potrebbe essere qualcun altro», sottolinea Crocini secondo cui è evidente l’appoggio delle persone: «sono dalla nostra parte – dice -, ma ci devono essere anche organizzazioni e nomi importanti che prendono posizione e che parlano altrimenti lasciamo il campo a una destra che sta sempre più assomigliando a quella ungherese, polacca e russa».
(da Open)
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