Giugno 23rd, 2023 Riccardo Fucile
GLI EMENDAMENTI PRESENTATI DALLA LEGA SONO STATI CAMBIATI ED E’ SPARITO OGNI RIFERIMENTO AL SUPEBOLLO
Una “tassa odiosa”, il superbollo che si versa per le auto da più di 185 kW, cioè 252 cavalli. Così l’aveva definito Matteo Salvini, ministro dei Trasporti e segretario della Lega che spesso, nelle scorse settimane, ha ribadito che il governo Meloni avrebbe eliminato il superbollo con la sua nuova legge delega di riforma fiscale.
Ma il testo della legge è arrivato in commissione, le proposte di modifica sono state presentate, e l’eliminazione del superbollo non c’è.
Cosa ha detto Salvini sul superbollo
Il superbollo esiste dal 2011, quando lo introdusse il governo Berlusconi (Giorgia Meloni era ministra in quell’esecutivo) appoggiato anche dalla Lega. Il governo Monti poi ne raddoppiò praticamente l’importo, così che oggi porta a spendere circa 20 euro per ogni kW sopra la soglia dei 185. Ad aprire l’argomento della sua cancellazione era stato il viceministro all’Economia, Maurizio Leo, già a inizio maggio.
Nelle settimane successive, il ministro Salvini è tornato sul tema a più riprese, prima definendo l’imposta una “tassa odiosa”. Poco più di un mese fa, il 21 maggio, ha ribadito che eliminare il superbollo “era una nostra promessa e la stiamo portando avanti”. L’ultima conferma è arrivata ancora più in là, il 31 maggio.
Cosa è successo in commissione alla delega fiscale
L’emendamento di cui parlava Salvini, effettivamente, è stato presentato: in commissione Finanze della Camera, dove il testo della legge delega era discussione, la Lega ha proposto di aggiungere la richiesta di “razionalizzare e semplificare il sistema tributario anche con riferimento all’eliminazione dell’addizionale erariale sulla tassa automobilistica per le autovetture e gli autoveicoli destinati al trasporto promiscuo di persone e cose, aventi potenza superiore a 185 chilowatt”, cioè di eliminare il superbollo. Lo stesso ha fatto Fratelli d’Italia con un altro emendamento.
Poi, però, la proposta è cambiata. Come spesso accade nei lavori parlamentari, c’è stata una riformulazione degli emendamenti, che la commissione ha votato e approvato.
A notarlo è stato Carlo Canepa, responsabile editoriale di Pagella politica: nella nuova revisione, dal testo degli emendamenti è sparito ogni riferimento esplicito al superbollo auto.
Infatti, in quello della Lega e in quello di Fratelli d’Italia la formula è diventata semplicemente: “Revisione e riordino delle tasse automobilistiche, senza maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.
La legge delega, d’altra parte, è una norma che dà delle indicazioni al governo, che poi avrà due anni di tempo per metterle in pratica con dei decreti specifici. Tuttavia, è indicativo che il riferimento alla tassa sulle auto di grossa cilindrata sia stato cancellato. La formula che è rimasta (“rivedere e riorganizzare”, per di più “senza maggiori oneri” per lo Stato) è piuttosto vaga, e certamente non si può considerare come la prova del fatto che il governo, nel mettere in pratica la delega fiscale, interverrà per rimuovere del tutto il superbollo.
(da agenzie)
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Giugno 23rd, 2023 Riccardo Fucile
GOVERNO IN FIBRILLAZIONE, VOLANO PAROLE GROSSE TRA SOVRANISTI
Quarantotto ore di fuoco. Un duello che provoca lo slittamento di un consiglio dei ministri già programmato e, soprattutto, due giorni di tensione nella maggioranza che faranno fatica a spegnersi. Giorgia Meloni e Matteo Salvini litigano. Soprattutto sul Mes, il meccanismo salva Stati da tempo al centro di un braccio di ferro con l’Europa. Il tutto si somma alle fibrillazioni a cui è sottoposto il governo in questi giorni dopo le inchieste che coinvolgono la Lega da una parte (con l’arresto di Gianluca Pini coinvolto nell’inchiesta su un appalto milionario per le mascherine anti-Covid con l’ex direttore delle Dogane, Marcello Minenna) e FdI dall’altra (con l’indagine sulle società della ministra Daniela Santanché).
Premier e vicepremier si parlano al telefono. E non finisce bene. Meloni è furibonda perché la richiesta leghista di votare in commissione contro il Mes — suggerita dal segretario — ha provocato un pasticcio politico.
Ma è su molti dossier che i due entrano in rotta di collisione, premessa di quanto accadrà nei prossimi mesi forse anche a causa della competizione per la guida del centrodestra che si è aperta dopo la morte di Silvio Berlusconi. Salvini e Meloni litigano anche sul nome del commissario alla ricostruzione in Emilia Romagna: la leader vuole un politico, il vicepremier preferirebbe un tecnico. Come se non bastasse, manca anche la copertura sulle norme per la ricostruzione.
Ma non è finita qui. Nel tritacarne del conflitto finisce anche il ruolo di Giorgetti. Che Meloni accusa di una pessima gestione della lettera della discordia sul Mes, ma a cui Salvini imputa un posizionamento troppo distante dalla linea della Lega. E certo, il fatto che nell’inchiesta di Forlì finisca Gianluca Pini non aiuta: nelle carte l’ex parlamentare vanta un rapporto con il titolare dell’Economia. E il segretario leghista non gradisce, visto che proprio Pini già nel 2020 ingaggiò una battaglia politica e sul simbolo contro Salvini.
Tutto finisce nell’aspro confronto tra la premier e il suo vice. Forte dei sondaggi attuali, Meloni arriva a ventilare il ricorso alle urne, anche se soltanto come sfogo per reagire alla guerriglia leghista. Perché Salvini continua a promettere un voto contrario sul Mes, quando si arriverà in Aula. E Fratelli d’Italia non può assumersi il peso politico di sostenere l’odiato salva Stati, lasciando al Carroccio la bandiera della coerenza.
Il leader della Lega lo ribadisce anche alla premier, ottenendo in cambio una risposta durissima, forte di sondaggi che le sorridono, e che può sintetizzarsi così: «Io ci metto due minuti a portare tutti alle elezioni». Solo una minaccia, ma che racconta di una tensione che non sembra destinata a sgonfiarsi. E che può scemare solo se si troverà una soluzione condivisa, che distribuisca la responsabilità tra tutti gli alleati.
Nella giornata di ieri, anche un giallo che riguarda il consiglio dei ministri. La presidente del Consiglio decide di sconvocare il cdm, in agenda per le 17. Fa trapelare ragioni “personali” dietro alla decisione. E fonti di palazzo Chigi offrono versioni discordati: c’è chi ipotizza una visita medica programmata, chi lega la scelta ad alcuni impegni presi da Meloni in quanto genitore.
Di certo c’è che la presidente del Consiglio lascia Palazzo Chigi alle 17.38, nell’auto di servizio, fumando una delle sigarette sottili che da tempo cerca di abbandonare. Il consiglio dei ministri si riunisce comunque, senza di lei. Ma salta l’avvio dell’esame della riforma del codice della strada. E su questo punto la questione si complica ulteriormente. A sera, infatti, tra i ministri prevale un’altra interpretazione: la premier avrebbe deciso di sconvocare la riunione del cdm dopo lo scontro con Salvini. Una ritorsione politica. Il leghista deve rinunciare alla conferenza stampa. Certo è che poco dopo fa inviare ai cronisti una lunghissima nota esplicativa sul provvedimento. E fa aggiungere, velenoso: «Salvini è pronto a tornare in tv. Doppio appuntamento questa sera, su Rete 4 e su Rai1». La promessa di una battaglia appena cominciata.
(da La Repubblica)
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Giugno 23rd, 2023 Riccardo Fucile
PINI PARLAVA DI ENTRATURE CON GIORGETTI: MILLANTAVA?
L’ex direttore generale dell’Agenzia delle dogane Marcello Minenna aveva trovato un sistema per dare «auto di rappresentanza» a politici e rappresentanti delle istituzioni. Senza aste pubbliche.
Il dettaglio emerge dall’inchiesta che ha portato in carcere l’ex assessore al bilancio della giunta di Virginia Raggi. Insieme a Gianluca Pini, ex esponente della Lega in Emilia-Romagna. Secondo l’inchiesta Pini avrebbe assicurato a Minenna che avrebbe interceduto presso Giancarlo Giorgetti (nel 2020, quando non era ancora ministro) per accreditarlo nel Carroccio. L’esponente della Lega è estraneo ai fatti e non indagato. Mentre nella rete di complicità emergono anche un poliziotto e un carabiniere.
Le intercettazioni dell’ordinanza
In alcune intercettazioni contenute nell’ordinanza del gip di Forlì Minenna parla con «esponenti politici e/o alti rappresentanti delle istituzioni». E assicura la «dazione di auto di rappresentanza che erano in carico all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli». Un fatto già segnalato il 18 ottobre 2022 da una nota del Mef. In cui si «sottolinea chiaramente la non conformità di tale usanza introdotta da Minenna di concedere gratuitamente, senza aver mai espletato aste pubbliche, auto anche di grossa cilindrata ad esponenti politici e/o alti rappresentanti delle istituzioni».
In un appunto della polizia giudiziaria del 4 maggio scorso si legge che tra il 2020 ed il 2022 Minenna «assegnava le auto in violazione di qualunque normativa di riferimento e con il solo fine di accrescere la propria personale sfera di influenza su esponenti politici e/o alti rappresentanti delle istituzioni, ha consegnato svariate autovetture confiscate dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli disponendone come se fossero suoi beni personali».
L’indagine per cocaina
L’inchiesta ha preso il via da un’indagine su un carico di cocaina trasportata su un camion dal Belgio. Dall’individuazione dell’autotrasportatore, legato a un gruppo malavitoso albanese, attraverso le intercettazioni si arriva a un amico e socio di Pini, parlamentare forlivese fino al 2018, che dopo l’esperienza sui banchi della Lega ha intrapreso alcune attività imprenditoriali. Fra queste la Codice srl che a metà marzo 2020, quando il mondo era terrorizzato dal Coronavirus, riesce a strappare un contratto milionario all’Ausl Romagna, per la fornitura di mascherine, che in quei giorni erano pressoché introvabili. Secondo le ipotesi dell’accusa le mascherine dalla Cina avevano false certificazioni e prezzi superiori a un euro l’una. Pini, grazie alla sua attività di parlamentare e di segretario nazionale della Lega Romagna per oltre un decennio, si era procurato credibilità e contatti.
Cosa c’entra Giorgetti
L’attuale ministro dell’Economia del governo Meloni entra nell’inchiesta per i legami con Pini. Agli atti c’è anche una telefonata (di qualche minuti) con Minenna, su insistenza dello stesso Pini. Che però risale al periodo in cui non era ancora ministro. Giorgetti veniva contattato per partecipare ad alcuni eventi dell’Agenzia del Demanio, come il Libro Blu e la Casa dell’Anticontraffazione. Attraverso il suo staff il ministro ha fatto sapere di essere totalmente estraneo alla vicenda. Precisando anche che in ogni caso non ha bisogno di intermediari per parlare con il direttore delle Dogane e partecipare agli eventi. Anche perché alla fine Minenna non ha ottenuto un granché: ha lasciato l’Agenzia ed è stato pure arrestato. Per questo adesso il dubbio è: forse Pini millantava?
(da Open)
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Giugno 23rd, 2023 Riccardo Fucile
IN CASO DI INDAGINE LA MINISTRA IN BILICO, LA MELONI ORA TEME LA PROCURA
Alle 17:30 di una delle giornate più difficili da quando è premier, con tanto di Consiglio dei ministri rinviato per “sopraggiunti impegni personali” (una visita medica, è la versione ufficiale), la presidente del Consiglio Giorgia Meloni esce da Palazzo Chigi provando a lasciarsi alle spalle i problemi del governo. Fuma in macchina, è infuriata. La ratifica del Mes, lo scontro sulla giustizia, la tenuta fragile di Forza Italia. Questi i dossier politici che la preoccupano. Da ieri, però, se n’è aggiunto un altro e riguarda la ministra del Turismo Daniela Santanchè, adesso in bilico nel governo. Quest’ultima è finita sotto i riflettori per un’inchiesta di Report di lunedì in cui si riprendevano accuse in parte già raccontate dal Fatto (potete leggerle qui sotto): dall’inchiesta emerge una malagestione delle aziende Ki Group e Visibilia con fornitori non pagati e fatti fallire e dipendenti obbligati alla cassa integrazione. Su Ki Group non risulta alcuna indagine, su Visibilia (editoria) invece sì e a stretto giro la Procura di Milano dovrebbe chiudere l’inchiesta. È proprio in vista della chiusura delle indagini che la situazione della ministra Santanchè sta scoppiando nel governo. Le opposizioni intanto hanno chiesto a gran voce che la premier Meloni venga a riferire in aula e faccia dimettere la ministra. Al momento, però, la linea di Meloni è chiara: difendere la ministra fino a un possibile avviso di garanzia su Ki Group o un rinvio a giudizio per Visibilia. Se dal quadro giudiziario dovessero emergere fatti più gravi, le cose potrebbero cambiare: la ministra potrebbe rischiare il posto.
La giornata di ieri era iniziata con un editoriale del Foglio molto duro nei confronti di Santanchè: nell’articolo si parlava di comportamenti “gravi” e si chiedeva a Meloni di farla dimettere. Nelle ultime ore, probabilmente mercoledì sera, c’è stato un colloquio proprio tra Meloni e la ministra. La premier ha voluto sapere da Santanchè la sua versione dei fatti e chiesto rassicurazioni sulle accuse mosse da Report: già un segnale che la fiducia nei confronti della ministra del Turismo stia iniziando a vacillare. Poi, dopo le rassicurazioni, Meloni le ha detto: “Se è così non puoi stare in silenzio e devi chiarire pubblicamente per evitare sospetti”. Così nasce l’idea di un comunicato per respingere le accuse. Santanchè nel pomeriggio scrive una nota negando tutto e annunciando querele nei confronti di Report. Chi ha parlato con la ministra di FdI nelle ultime ore la definisce assolutamente “tranquilla”, quasi “inconsapevole” di quello che sta succedendo.
Ma adesso la questione Santanchè sta diventando dirimente nel governo. L’accelerazione delle ultime ore cela il timore di novità giudiziarie che potrebbero arrivare a breve. Cosa farebbe la premier di fronte a una richiesta di rinvio a giudizio? Inoltre tra i fedelissimi di Meloni c’è la paura di possibili nuovi sviluppi giudiziari che potrebbero emergere nelle carte dell’inchiesta. Non solo: il colloquio delle ultime ore tra Meloni e Santanchè non è il primo sulle vicende giudiziarie della ministra. La premier, infatti, quando erano già emerse le notizie di stampa sull’indagine nei confronti di Santanchè per il caso Visibilia, aveva telefonato alla ministra del Turismo infuriandosi per non essere stata avvisata in anticipo dell’indagine in corso da parte della diretta interessata. A preoccupare i vertici di FdI è anche la posizione del presidente del Senato, Ignazio La Russa, padrino politico della ministra e, secondo Report, legale che ha assistito Visibilia e il fondo emiratino che ha finanziato l’azienda.
Così si ragiona già di ritirare le deleghe alla ministra: in quel caso prenderebbe l’interim la stessa Meloni che ritiene il Turismo un tema qualificante per il suo governo. A questo si aggiunge una spaccatura in Fratelli d’Italia: se la componente romana vicina a Francesco Lollobrigida (a partire dal deputato Gianluca Caramanna) difende Santanchè, una parte di FdI chiede le dimissioni. “Come si fa a difendere una ministra che non pagava i dipendenti e i fornitori e poi parliamo di tutelare i lavoratori?”, dice un dirigente meloniano
(da Il Fatto Quotidiano)
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Giugno 23rd, 2023 Riccardo Fucile
LA PROCURA INDAGA SUL CRAC
Due procedimenti giudiziari in corso, in sede civile e della procura di Milano, mettono nel mirino Visibilia editore durante la gestione dell’imprenditrice “prestata” alla politica, Daniela Santanché, oggi ministra del Turismo. Ieri nel procedimento civile la procura guidata da Marcello Viola, che lo scorso novembre ha aperto un fascicolo per falso in bilancio coinvolgendo anche la ministra, ha consegnato nuove relazioni tecniche sulla gestione allegra della società, svuotata negli ultimi anni esattamente come un’altra spa gestita dalla Santanchè, il gioiellino del biologico Ki group. Due aziende floride finite sul lastrico, anche se non fallite e ancora sulla carta attive, decine di dipendenti licenziati e che attendono in alcuni casi anche il tfr e le azioni dei piccoli azionisti ridotte a carta straccia. Il tutto mentre come amministratrice Santanchè ha preso lauti compensi, come raccontato da Report in un ampio servizio andato in onda lunedì scorso.
Sia il fascicolo della procura di Milano sia il giudizio in corso in sede civile su Visibilia editore nascono da esposti di alcuni piccoli azioni. La società è attiva nel campo dei giornali e della pubblicità e fino alla fine del 2022 ha avuto tra i suoi soci Santanchè insieme al compagno attuale Dimitri Kurz. Il bilancio del 2021, chiuso con una perdita di oltre 3 milioni di euro, non è stato approvato dalla società di revisione Bdo «per l’impossibilità di esprimere un giudizio». Ma a dicembre del 2020 Visibilia editore spa, tra le strane operazioni portate avanti, ha speso 816 mila euro, il 50 per cento del valore in quel momento in borsa, per acquistare i domini internet delle testate collegate a Novella2000 e Visto. E da chi le ha comprate? Da Visibilia magazine srl, altra società della galassia che ruota attorno a Santanché. Nel 2017 Visibilia editore aveva comunque licenziato già tutti i giornalisti e nel 2019 per far fronte a una grave crisi di liquidità aveva chiesto un prestito a una misteriosa società di investimento di Dubai, Negma. E qui compare il nome del presidente del Senato, Ignazio la Russa, che si è presentato come legale del fondo in una diffida inviata al giornale Milanotoday: sito online che aveva ricevuto una diffida anche da Visibilia, firmata sempre dall’avvocato La Russa. Secondo i piccoli azionisti che hanno presentato denunce in procura, e avviato la causa civile, anche l’operazione Negma ha contribuito a diminuire il valore delle azioni: a fronte di un prestito da 3 milioni di euro, il fondo di Dubai ha ricevuto azioni di Visibilia che poi a rivenduto sul mercato contribuendo ad abbassarne il valore.
Report ha messo nel mirino anche la gestione Ki gruop: azienda di commercializzazione di prodotti biologici rilevata da Santanché e dal suo ex compagno Canio Mazzaro intorno al 2011. «In meno di nove anni — dice Report — solo come stipendi per le cariche sociali, Daniela Santanché si è portata a casa due milioni e mezzo di euro e Canio Mazzaro sei». Ma c’è di più: dal 2018, quando Santanché e Mazzaro subentrano nella gestione diretta dell’azienda, la Ki Group ha enormi difficoltà nel saldare la merce ai propri fornitori e inizia a promettere pagamenti che non arrivano a decine di aziende. Nel 2018 i debiti di Ki Group verso i fornitori arrivano a oltre 8 milioni di euro, quasi un quarto del fatturato. A partire dal 2019 i numeri di Ki Group spa sono sempre più preoccupanti. I bilanci dell’azienda vengono sistematicamente bocciati dalla società che li revisiona e viene creata una seconda società con lo stesso nome (ma srl) che si prende i rami di azienda che fatturano e la Ki group spa diventa «una scatola vuota». Nel frattempo i dipendenti hanno perso il lavoro e alcuni attendono ancora il tfr e hanno presentato istanza di fallimento alla srl omonima per 500 mila euro. In nove anni il valore di Ki group in borsa è passato da 35 milioni a 465 mila euro, gli azionisti hanno versato 23 milioni e 9 milioni di euro sono andato solo a emolumenti di Santanchè e dell’ex compagno.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Giugno 23rd, 2023 Riccardo Fucile
LA PAURA DI UN’INCHIESTA CHE COINVOLGA LA RUSSA E LA MACCHIA SUL GOVERNO
Se per Daniela Santanchè dovesse arrivare un rinvio a giudizio dovrà dare le dimissioni da ministra del turismo. Parola di Giorgia Meloni, che ieri lo ha detto alla diretta interessata.
L’occasione, racconta La Stampa, è stata un colloquio che ha fatto il punto sulle indagini che la lambiscono. Ovvero quelle su Visibilia e Ki Group Spa. Con i racconti sui fornitori non pagati, sui tfr mai percepiti e sull’uso della cassa integrazione durante il periodo della pandemia. Oltre alle accuse sulle operazioni finanziarie a danno degli azionisti di minoranza. Quello di Santanchè, è il ragionamento della premier, è un nome di peso all’interno di Fratelli d’Italia. Oltre che vicinissimo al presidente del Senato Ignazio La Russa. E quindi ogni risvolto giudiziario diventerebbe una macchia sulla reputazione del governo.
«Basta stronzate. Indagata per cosa?»
Per questo Meloni ha posto a Santanchè un limite alla difesa nei suoi confronti da parte dell’esecutivo. Adesso verrà protetta. Ma se arriverà un rinvio a giudizio sarà difficile evitare le dimissioni. Per una questione di opportunità politica. Che viene prima dei principi del garantismo. Lei invece di indagini non vuole sentire parlare: «Ma basta con queste stronzate. Indagata di cosa?». Nell’inchiesta su Visibilia si parlava di debiti con il fisco e di stato d’insolvenza: una situazione economica che aveva fatto chiedere ai pm il fallimento. Richiesta rientrata dopo il saldo delle spettanze dell’Agenzia delle Entrate. Santanchè, che per evitare conflitti di interesse sui balneari ha venduto a Flavio Briatore e al compagno Dimitri Kunz d’Asburgo Lorena le quote del Twiga, sostiene che non ci sia nulla di cui preoccuparsi. «È sempre la stessa inchiesta. Non hanno trovato niente. Siamo usciti puliti da tutto», sostiene.
L’inchiesta e le dimissioni
Minaccia di portare in tribunale i giornalisti di Report per il servizio di domenica scorsa sulle due aziende. «Chi scrive che sono indagata dovrà risponderne in tribunale», sostiene. Nel frattempo però è sparita da ogni evento pubblico. Ma Meloni le ha chiesto di spiegarsi. Perché solo dopo un chiarimento pubblico lei potrà difenderla. L’incubo della premier è un’inchiesta che coinvolga anche La Russa e che occupi tutto il tempo della campagna elettorale per le europee 2024. E sempre La Stampa scrive che all’epoca dell’inchiesta sul fallimento Santanchè non avvertì Meloni di quello che stava succedendo. La premier seppe tutto dai giornali.
Open to fallimento
L’inchiesta di Report firmata da Giorgio Mottola e intitolata Open to Fallimento punta su Visibilia e Ki Group. Il programma ha mandato in onda testimonianze di dipendenti e fornitori storici. Parlando di «bilanci in rosso, lavoratori mandati a casa senza liquidazione, ditte messe in difficoltà, o addirittura strozzate, dal mancato saldo delle forniture». L’azienda di alimentare biologico Ki Group la ministra la acquista nel 2006 insieme all’ex compagno Canio Mazzaro. Tra 2018 e 2019 Ki Group accumula debiti con fornitore che arrivano a 8 milioni di euro.
Viene creata una nuova società, la Ki Group srl, per inglobare i rami in attivo e lasciare i debiti alla “bad company”. Intanto i mancati pagamenti mandano in crisi AT&B, azienda licenziataria del marchio Verde Bio. E secondo Report l’azienda cede il ramo per una cifra vantaggiosa per non rischiare di fallire. Sempre nei passaggi societari ci sono licenziamenti e mancate corresponsioni del Tfr. Ma anche di debiti con dipendenti da decine di migliaia di euro.
Visibilia e la Cig
Poi c’è la cassa integrazione in Visibilia. L’azienda, di cui Santanchè non è più azionista di maggioranza, avrebbe mandato in Cig una dipendente senza avvisarla: lei ha continuato a lavorare normalmente. E c’è anche l’accusa di aver incassato fondi di inserzioni pubblicitarie senza girarli all’editore. Intanto nell’udienza civile in corso sulla causa intentata da un gruppo di azionisti di minoranza della società i pm sono andati all’attacco sulla passata gestione societaria. E hanno depositato consulenze tecniche, richieste dall’aggiunto Laura Pedio e dal pm Maria Gravina, dalle quali emergerebbero irregolarità finanziarie e di bilancio nei conti di Visibilia Editore. Nella causa, davanti ai giudici Simonetti-Marconi-Zana, gli azionisti di minoranza, titolari di una quota superiore al 5% del capitale, hanno denunciato una serie di gravi irregolarità a partire dal 2019 nella gestione. Con conseguente «danno alla Società, al corretto funzionamento del mercato azionario, nonché agli azionisti».
La nuova udienza
Il 7 marzo l’assemblea di Visibilia Editore ha nominato un nuovo Consiglio di amministrazione. Nell’udienza di aprile i giudici hanno dato tempo ai nuovi amministratori di depositare documenti e relazioni sulla «azione concreta» della nuova gestione. Nel frattempo, sul fronte del Tribunale fallimentare e delle varie società del gruppo, la Procura nei mesi scorsi aveva già ritirato le richieste di liquidazione giudiziale per Visibilia Holding e Visibilia Editore. Mentre Visibilia srl in liquidazione si è mossa su due strade: il concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione del debito. Resta ancora l’istanza di liquidazione giudiziale (il vecchio fallimento) per Visibilia Concessionaria, che ha chiesto di poter accedere alla procedura di composizione negoziata della crisi di impresa. E una nuova udienza è fissata per fine settembre.
La bancarotta
La risoluzione delle varie situazioni di crisi delle società del gruppo potrebbe portare i pm a non contestare, nella chiusura dell’inchiesta penale, l’accusa di bancarotta. Santanchè è stata presidente e Ad di Visibilia Editore tra il 2016 e il gennaio 2022. Poi ha dismesso le quote. Anche la contestazione di falso in bilancio, segnalata negli atti della Gdf di Milano che conduce l’indagine, era scattata a partire da un esposto dei soci di minoranza di Visibilia. E si concentra, come risulta da un’informativa, sul fatto che dal 2017 il cda della società «avrebbe dovuto approvare bilanci riportanti valori di avviamento e imposte anticipate largamente diversi da quelli deliberati». Gli stessi soci di minoranza, inoltre, hanno lamentato perdite «costanti». E un «continuo ricorso ad aumenti di capitale».
(da Open)
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Giugno 23rd, 2023 Riccardo Fucile
NELLA RETE DI COMPLICI ANCHE UN POLIZIOTTO E UN CARABINIERE
C’era una vera e propria alleanza nel segno della corruzione al cuore del rapporto tra Marcello Minenna, l’ex direttore dell’Agenzia delle Dogane, poi assessore al Bilancio col Movimento 5 Stelle al Comune di Roma e oggi assessore all’Ambiente della Regione Calabria, e Gianluca Pini, imprenditore ed ex parlamentare della Lega.
È questa l’accusa mossa dalla procura di Forlì nell’ordinanza con cui ha disposto gli arresti domiciliari per i due insieme a misure cautelari per altre 32 persone coinvolte nell’indagine relativa all’approvvigionamento illecito di mascherine nel pieno della pandemia da Covid-19. Un’inchiesta nata tre anni fa quasi per caso.
Gli investigatori di Forlì si mettono sulle tracce di Pini, diventato imprenditore dopo essere stato in Parlamento col Carroccio dal 2006 al 2018, a seguito del sequestro nel gennaio 2020 di una partita di droga proveniente dal Belgio: 28 chili di cocaina fatti filtrare da una banda di albanesi. Dalle intercettazioni emerge infatti che l’imprenditore indiziato del settore degli autotrasporti nutriva un «forte e consolidato rapporto personale e d’affari» con un ex parlamentare della Repubblica: Gianluca Pini appunto.
L’indagine
Spostando il faro su di lui, la procura di Forlì scopre così nei mesi successivi che Pini ha nel frattempo costruito «una rete di rapporti che gli ha permesso, tra l’altro, di ottenere un appalto milionario dall’Ausl Romagna per la fornitura di dispositivi medici lucrando così anche sulla crisi pandemica del 2020». Passato a tempo di record dal settore della ristorazione a quello appunto della fornitura delle introvabili mascherine chirurgiche, l’ex parlamentare ha infatti ottenuto un appalto da 3,5 milioni di euro dalla Regione Emilia-Romagna per l’approvigionamento di mascherine dalla Cina. Prive però delle necessarie certificazioni. E qui entra in gioco l’Agenzia delle Dogane diretta allora da Marcello Minenna. Ad assicurare l’aggiramento dei controlli doganali pensa direttamente lui, mettendo al servizio di Pini l’esercizio della funzione pubblica, scrive il Gip nell’ordinanza, «sia intervenendo egli stesso con gli uffici territoriali per risolvere le problematiche di Pini sia dando ordini ai suoi più stretti collaboratori, dirigenti nazionali dell’Agenzia delle Dogane, di mettersi a disposizione» dell’ex parlamentare «per risolvergli i problemi che l’imprenditore aveva in fase di sdoganamento della merce ovvero in fase di accertamenti da parte dei funzionari territoriali delle dogane». Ma perché Minenna si presta a questo gioco sporco, nei mesi burrascosi in cui dilaga la pandemia? Per la promessa di un concreto ritorno politico-professionale, secondo la procura. Pini gli avrebbe infatti garantito di accreditarlo ai vertici della Lega «in modo venisse considerato un uomo di quel partito e gli prometteva la conferma della nomina a Dg dell’Agenzia delle Dogane a seguito del cambio del governo, che effettivamente otteneva».
Il patto delittuoso e la personalità di Minenna
Resta per la verità il dilemma, come sottolinea Il Fatto Quotidiano, di come Pini potesse effettivamente provvedere a tale accreditamento, considerato che l’ex deputato era da tempo in rotta con Matteo Salvini ed era semmai rimasto un sostenitore del vecchio Carroccio a trazione settentrionale. Ma al netto di tali incognite, per la procura ciò che emerge chiaramente dalle indagini è il profilo di Minenna, disposto a tutto pur di ottenere i propri scopi. I reati ipotizzati, scrive il gip nell’ordinanza, «rappresentano espressione chiara della personalità criminale dell’indagato, il quale non ha esitato a commettere anche reati al fine di rimuovere ogni funzionario dell’Agenzia delle Dogane che intendesse contrastare la propria gestione padronale di siffatta Istituzione». Quello qui contestato nel patto corruttivo con Pini, insomma, sarebbe stato tutt’altro che un episodio isolato per l’allora direttore dell’Agenzia statale: «piuttosto, un costante modus operandi delinquenziale, ripetibile in ogni altra istituzione nella quale egli è chiamato a svolgere un ruolo di rilievo, quale è quello attuale di Assessore della Giunta regionale calabrese». In un altro avviso di garanzia recapitatogli il 31 gennaio scorso dalla procura di Roma, citato nell’atto, Minenna risulta in effetti anche accusato dei reati di violenza, minaccia e calunnia ai danni dell’Agenzia delle Dogane
La rete di Pini
Quanto alla capacità di far valere la propria posizione per avanzare il disegno illecito, d’altra parte, secondo quanto emerge dall’inchiesta lo stesso Pini non era da meno. Secondo quanto ricostruito dalla procura di Forlì, nella sua rete operativa di relazioni figuravano anche un poliziotto, un carabiniere e un dipendente della Prefettura di Ravenna. Il primo, aiutato in passato da Pini ad essere trasferito in un altro ufficio operava su richiesta accessi abusivi al sistema informativo delle forze dell’ordine per raccogliere informazioni utili sul conto di questa o quell’altra persona. «Incarico» simile a quello affidato ad un luogotenente dei carabinieri, trasferito anch’egli grazie all’aiuto di Pini. Quanto al terzo uomo, il funzionario della prefettura, secondo quanto ricostruito dai pm, avrebbe avuto un ruolo nel facilitare il rilascio del porto d’armi a un amico di Pini per sdebitarsi dall’aiuto ricevuto nel procurare un posto di lavoro a sua figlia.
(da agenzie)
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Giugno 23rd, 2023 Riccardo Fucile
COSA AVREBBERO DOVUTO FARE I RAGAZZI DI ROVIGO CHE HANNO SPARATO ALLA PROFESSORESSA PER MERITARSI IL 7 IN CONDOTTA? FINIRLA CON UN COLPO ALLA NUCA NEL CORTILE?
Il ragazzo di Rovigo che sparò alla professoressa con una pistola ad aria compressa e il compagno che ne diffuse le gesta sui social sono stati promossi con 9 in condotta.
Chiedo scusa per la sfacciataggine della domanda, ma che cosa avrebbero dovuto farle per meritarsi non dico 7, ma almeno 8? Appenderla al lampadario per le orecchie, oppure finirla direttamente in cortile con un colpo alla nuca?
Leggo su Studenti.it che il 9 in condotta «viene attribuito agli studenti che sono generalmente corretti nei confronti di insegnanti, compagni e personale della scuola». Se ne deduce che, per il consiglio di classe, sparare dei pallini in faccia a un’insegnante con una pistola rientra tra i comportamenti «generalmente corretti».
Mi è stato spiegato che i professori non hanno abbassato troppo il voto per non rovinare la media ai due ragazzi.
E io, ingenuo, che pensavo bisognasse abbassarglielo di più proprio per rovinargliela.
Continua infatti a sfuggirmi, ma è sicuramente colpa mia, la ragione per cui sia saltato il rapporto tra la gravità di un gesto e le sue conseguenze. Il messaggio che quegli educatori stanno trasmettendo è che basta chiedere scusa e scontare una minima pena afflittiva (la nota sul registro, al limite un giorno di sospensione) per uscirne intonsi e leggeri, qualunque cosa uno abbia fatto.
Starei quasi per stupirmi, se non fosse che è lo stesso messaggio che da anni trasmette la classe politica, compresa quella parte che ieri si è indignata per il 9 in condotta.
(da Il Corriere della Sera)
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Giugno 23rd, 2023 Riccardo Fucile
“NEMMENO I GENITORI SI SONO DEGNATI DI CHIEDERE SCUSA”
Maria Cristina Finatti è la professoressa di Rovigo colpita lo scorso 11 ottobre da due pallini sparati da una pistola ad aria compressa in classe. A gennaio ha denunciato i due alunni responsabili dell’accaduto. Ha atteso che la scuola prendesse provvedimenti.
Al termine dell’anno scolastico lo studente è stato promosso. Con 9 in condotta. E lei adesso è una furia: «Nessuno mi ha chiesto scusa. Ho dedicato la mia vita alla scuola. E ora mi sento emarginata». Finatti parla in un’intervista a Repubblica. Nella quale comincia raccontando prima di tutto i fatti: «Era appena iniziata la scuola e non conoscevo ancora bene gli alunni di quella prima. Ho visto subito una disposizione diversa dei banchi e me la sono segnata. Oggi dimostra che erano tutti complici».
Le palline di plastica
«Quel giorno sono stata raggiunta per due volte da palline di plastica sparate da una pistola ad aria compressa, con la seconda ho rischiato di perdere un occhio, per fortuna avevo la mascherina. Ho pianto perché non capivo cosa stesse succedendo, quando mi sono ripresa ho capito che stavano girando un video che poi è stato diffuso», prosegue Finatti nel colloquio con Vera Matrangola. E prosegue: «Prima il vicepreside mi ha messo del ghiaccio in testa, poi sono andata a casa in bicicletta. Mi ha preso un senso di abbandono che non mi ha più lasciato. Da quel giorno ho sempre sentito disagio ad andare a scuola, io che ai ragazzi ho dedicato la vita».
Sulla denuncia, dice di aver aspettato fino all’ultimo prima di farlo. E che sperava che la scuola prendesse provvedimenti. Oppure un segnale dei genitori del ragazzo. Ma non è successo nulla.
Le scuse e il ritiro della denuncia
«Le uniche scuse arrivate sono state tramite la preside, a condizione che ritirassi la denuncia! Alla fine, non volevo più sentirmi così umiliata e ho presentato esposto, denuncia e querela nei confronti di tutta la classe presso la Procura della Repubblica al Tribunale dei Minori a Venezia per lesione dolose, reiteramento del reato, interruzione al servizio di pubblica utilità e oltraggio al pubblico ufficiale», aggiunge.
A quel punto ha continuato a insegnare nell’istituto Viola Marchesini, ma in un’altra sezione. Mentre dal ministro Valditara vorrebbe sapere «quali sono stati i criteri utilizzati per dare un 9 in condotta e perché l’episodio è stato svalutato». Infine: «Posso capire che si possano fare delle bravate, ma quello che mi ha delusa e indignata è che nessuno mi ha mai chiesto scusa. Se ci fossero stati un’ammissione di colpa, un sincero pentimento, un gesto umano di empatia sarebbe stato diverso. È l’indifferenza che ti distrugge».
(da agenzie)
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