Settembre 14th, 2023 Riccardo Fucile
I NODI E I DATI CHE PREOCCUPANO
Gli operai a 67 anni hanno 5 anni in meno di speranza di vita rispetto ai manager: 16 anni contro 20,9 anni. Dopo una vita mediamente più faticosa ed esposta a maggiori rischi per la salute e per la stessa sopravvivenza, come testimonia il quotidiano stillicidio di morti sul lavoro, godranno di meno anni di meritato riposo e graveranno meno, o affatto, sul bilancio pensionistico.
È una delle questioni di equità che emerge (indirettamente) dal ricco rapporto annuale Inps.
Un’altra riguarda l’impatto dell’inflazione, che non solo si è mangiata tutti gli aumenti retributivi, ma ha anche diminuito il potere d’acquisto del restante, specie tra chi si trova nei quintili di reddito più bassi, un fenomeno già noto.
Meno noto, forse, il fatto che i pensionati, il cui reddito è stato più protetto dalle crisi del 2008 e poi della pandemia rispetto ai redditi da lavoro, oggi si trovano meno protetti di fronte all’inflazione, stante che non possono aumentare il loro reddito aumentando le ore lavorate o il numero di lavoratori in famiglia.
Le disuguaglianze tra pensionati non riguardano solo le biografie professionali, ma anche il divario di genere, non più solo, come nel passato, relativamente all’ammontare medio della pensione, più bassa per le donne a causa sia delle carriere più piatte e dei divari salariali, sia delle biografie lavorative e contributive più intermittenti, ma anche all’età in cui vanno in pensione. Proprio a motivo di carriere discontinue a causa dell’interferenza delle responsabilità di cura familiare che sono state addossate tutte o in larga misura a loro, con l’andata a regime del sistema contributivo le lavoratrici anziane oggi, a differenza di pochi anni fa, vanno in media in pensione cinque mesi dopo gli uomini e spesso devono aspettare l’età della pensione di vecchiaia, mentre molti lavoratori uomini possono andare in pensione di anzianità.
Le donne sono e saranno ancora per qualche anno, i soggetti più penalizzati nel passaggio dal metodo retributivo a quello contributivo, pagando un prezzo alto per tutto il lavoro familiare gratuito che fanno nel corso della vita. Un prezzo insito anche nella misura che sembrava di specifico vantaggio per loro, “Opzione donna”, che ha consentito a chi, per lo più a basso reddito, ne aveva bisogno per far fronte alle responsabilità di cura familiare, di andare in pensione un po’ prima. Ma con una forte decurtazione della pensione. Cosa che non è successo ai – molto più numerosi – lavoratori, per lo più uomini, che hanno potuto fruire di “Quota 100”.
La questione delle carriere lavorative discontinue non riguarda solo le donne. La crescente precarietà nel mercato del lavoro, che vede un aumento di 20 punti percentuali in 10 anni di chi entra con un contratto temporaneo, insieme all’aumento del part time involontario, segnala che sta diventando una caratteristica di una quota crescente di lavoratori e lavoratrici, anche se incide di più tra queste ultime. Alla questione della precarietà che si traduce anche in meno ore lavorate, remunerate, accompagnate da contributi, si associa quella del lavoro povero. Giustamente il Rapporto segnala che non è solo una questione di bassi salari, ma di quante ore, settimane, mesi si riesce a lavorare. Anche se la soglia al di sotto della quale colloca i lavoratori poveri mi sembra davvero troppo bassa: 24.9 euro lordi al giorno per i part-time e 48.3 euro lordi al giorno per i full time. Grosso modo, per chi lavora full time sarebbero molto meno di 6 euro netti l’ora. L’opportunità di discutere a fondo quale sia il salario netto minimo decente appare evidente, anche se è solo una parte del problema del lavoro povero.
Infine, una buona notizia: il numero dei beneficiari del Reddito di cittadinanza è un po’ diminuito a seguito, non dell’espulsione iniziata ad agosto, ma perché, smentendo ogni fantasia sui percettori nullafacenti che non vogliono lavorare, la ripresa occupazionale, documentata anche da Istat, ha consentito a qualche centinaio di migliaia di trovare un’occupazione e un reddito decenti.
Sono rimasti i più poveri, presumibilmente con più difficoltà a collocarsi nel mercato del lavoro, a prescindere dalla composizione della loro famiglia. Invece di inventarsi strane categorie di occupabili, e interrompere il sussidio su questa base, sarebbe bastato guardare con attenzione i dati e mettere in piedi politiche attive del lavoro effettive, anche d’accordo con le imprese, mantenendo il sostegno a tutti coloro che hanno bisogno di più tempo, o non ce la fanno.
(da agenzie)
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Settembre 14th, 2023 Riccardo Fucile
POCA RESA E TANTA SPESA
I condoni sono il collante dell’unità politica nazionale? Anche Meloni valuta la sanatoria sui contanti. Una misura che, come le 83 precedenti, crea distorsioni economiche sul lungo periodo ma sono adottati da ogni esecutivo senza distinzione di colore politico. Segno di visioni poco lungimiranti. E costose: negli ultimi 10 anni abbiamo perso circa 60 miliardi di entrate fiscali.
Sessanta miliardi di euro: il costo dei condoni, in termini di mancato gettito, nell’ultimo decennio è pari a quello di due manovre finanziarie. In Italia tra remissioni volontarie, sanatorie e pratiche di tipo simile, quella che doveva essere un’eccezione sta diventando la regola. Una regola costosissima. Il portale True Numbers ne ha contati 82 nella storia d’Italia prima della nascita del governo Meloni. La sanatoria sulle cartelle esattoriali della manovra 2023 è stato l’83esimo, e ora il Corriere della Sera riporta che il governo Meloni sta valutando la possibilità di introdurre una voluntary disclosure sui patrimoni liquidi occulti.
L’ultimo dei condoni in arrivo con la manovra?
La proposta prevederebbe di consentire ai contribuenti di regolarizzare contanti e valori custoditi nelle cassette di sicurezza delle banche con un’aliquota unica del 23%. Una norma simile era stata proposta anche dal governo Conte I, ma all’epoca l’aliquota era del 15%. Il presidente dell’Ordine dei Commercialisti Elbano De Nuccio ha espresso preoccupazione per la possibilità che la misura possa essere utilizzata per regolarizzare proventi illeciti.
Il vice-ministro dell’Economia Maurizio Leo, che sarebbe indicato come il promotore della misura, ha smentito la notizia in una nota stampa, ma a Via Solferino sono convinti che il governo potrebbe evitare di metterci la faccia lasciando proporre la disclosure a un parlamentare della maggioranza in sede di approvazione della Legge di Bilancio con un apposito emendamento. L’obiettivo sarebbe quello di ottenere circa 10 miliardi di euro di risorse per rimpinguare le anemiche casse dello Stato. Pressate nel breve periodo dal rischio del ritorno del Patto di Stabilità e dalla “bomba” Superbonus.
Oltre ottanta condoni nella storia d’Italia
Ebbene, la storia insegna che quella dei condoni e delle sanatorie è una strada tutt’altro che positiva per il Paese. L’Italia ha di fatto promosso in media una misura di questo tipo ogni due anni dall’inizio della sua storia unitaria a oggi. “Dal 1861 al 1972 non si può, tecnicamente, parlare di veri e propri condoni fiscali i quali consistono nella possibilità data al contribuente di non pagare delle tasse o delle imposte dovute per legge”, nota True Numbers. “Tecnicamente si può parlare di sanatorie fiscali perché al cittadino è stata data la possibilità, appunto fino al 1972, di non versare sanzioni e/o interessi su tasse e imposte comunque pagate. Dopo quella data si è passati direttamente ai condono fiscale vero e proprio”, che riduce i gettiti ordinari delle misure o consente di uscire da situazioni illegali”.
Il fronte dei condoni è trasversale
A partire dall’inizio del nuovo millennio, sono molte le misure di condono di varia taglia promosse dagli esecutivi in carica. Destra e sinistra, moderati e populisti: tutti pazzi per i condoni. Non c’è differenza di colore politico.
Il governo Berlusconi II approvò nel 2001 lo scudo fiscale, seguito dalla sanatoria fiscale del 2003 (legge 289/2002). Le due misure avrebbero dovuto garantire 26 miliardi di gettito, undici anni dopo ridotti a 22 per la mancanza di 4 miliardi dal gettito complessivo. Il successivo condono, di nuovo denominato scudo fiscale, risale al 2009, con il governo Berlusconi IV, e ha garantito ingressi per 5,6 miliardi di euro di capitali.
Negli anni successivi, si segnalano altri quattro condoni. Nel 2015, il governo Renzi approvò la voluntary disclosure per l’emersione dei capitali all’estero: su 60 miliardi di euro di risorse emerse, ne andarono al Fisco 3,8. Nel 2018, il governo Conte I introdusse il “saldo e stralcio”, che prevedeva un avvio di “pace fiscale” con la riduzione di un debito tributario per soggetti in difficoltà economica su piccole cartelle esattoriali: debiti per 1,3 miliardi di euro furono trasformati in un gettito di 700 milioni.
I gialloverdi estesero nel 2018 le misure di rottamazione delle cartelle esattoriali consolidate dai governi Renzi e Gentiloni: la rottamazione 2016, introdotta da Renzi, consentì all’erario di riscuotere 8,4 miliardi di euro su 17,6. La seconda finestra, con Gentiloni, 2,6 su 8,5 miliardi di debiti. La rottamazione gialloverde, invece, fu il più grande dei mini-condoni erariali, garantendo allo Stato 6,3 miliardi su 26,3 complessivi. Sono poi seguiti i condoni di Draghi, la Rottamazione-quarter, e il nuovo saldo e stralcio targato Meloni.
I costi dei condoni
I costi dei condoni, in quest’ottica, sono calcolabili con attenzione solo a partire dai condoni dell’era Renzi. I 3,8 miliardi di euro incassati sui 60 emersi all’estero nella discolsure di Renzi sono stati pari al 6,33% del valore complessivo. Per fare un paragone, i dividendi esteri hanno una tassazione al 26%. Normalmente, questi capitali avrebbero subito una imposizione di 15,6 miliardi di euro. Parliamo dunque di 11,8 miliardi di euro di mancato gettito per l’erario.
Questi, sommati alle varie amnistie e ai condoni accumulati negli anni consentono di calcolare il gettito perso nell’erario solo nell’ultimo decennio: 11,8 miliardi per il rientro dei capitali dall’estero, 600 milioni per la pace fiscale, 35,1 miliardi per il primo “terzetto” di rottamazioni. Il totale, dal 2015 a oggi, fa 47,5 miliardi. A cui bisogna aggiungere il fatto che il think tank economico LaVoce.info ha stimato incassabili solo 12,4 dei 25,4 miliardi di euro emersi come debiti “rottamati” con la rottamazione quarter, i cui dati definitivi sono ancora da calcolare. Il risultato? 60 miliardi in meno di dieci anni. E tutto questo senza calcolare il buco nero dell’era Berlusconi, in cui le stime non erano ancora così approfondite.
Tutti i problemi dei condoni
In base ai dati forniti dall’Agenzia delle Entrate, i governi italiani hanno incassato circa 53,8 miliardi di euro con i condoni fiscali e le sanatorie dal 2000 a oggi. Le cifre coinvolte sono stimate però essere almeno cinque volte più grandi in termini di debiti su cui il condono dello Stato si è reso operativo. E questo impone delle serie riflessioni sull’utilità di queste misure.
Uno dei principali problemi dei condoni fiscali è che scoraggiano l’assolvimento degli obblighi fiscali. I contribuenti sanno che, in futuro, potranno sempre beneficiare di un condono, quindi non hanno alcun incentivo a pagare le tasse in modo regolare. Questo comportamento, nel lungo periodo, può portare ad una riduzione delle entrate fiscali e ad un aumento dell’evasione.
Un altro problema dei condoni fiscali è che favoriscono l’utilizzo di prestanome. I contribuenti che non vogliono pagare le tasse possono utilizzare prestanome per nascondere i propri redditi occulti. In questo modo, possono beneficiare del condono fiscale senza incorrere in alcun rischio.
Infine, i condoni fiscali possono danneggiare la credibilità dello Stato. I contribuenti che pagano le tasse in modo regolare si sentono defraudati quando vedono che i trasgressori vengono perdonati. Questo può portare ad una perdita di fiducia nel sistema fiscale e ad un aumento dell’illegalità.
Una misura straordinaria diventa ordinaria. Ed è un male
Difendere i cittadini più deboli e in difficoltà dalle fragilità che un eccessivo onere debitorio pregresso in condizioni di insolvibilità può far emergere è un conto. Condoni generalizzati legati alla difesa di privilegi di vario tipo e all’emersione di sommersi concentrati nelle parti alte della distribuzione del reddito sono antieconomici, anticoncorrenziali e nemici dello sviluppo.
Lo storico e sociologo Alessandro Volpi, a tal proposito, ha scritto su AltraEconomia che è fallace l’idea di fondo che spesso giustifica i condoni. Quella, cioè, di un fisco irrimediabilmente nemico dei cittadini: a fronte di 1.110 miliardi di euro di crediti non riscossi dall’ente tributario centrale, “la stessa Agenzia stima che solo 110 miliardi circa siano realmente esigibili e le ultime rottamazioni ne hanno già cancellati oltre 40. In pratica di 1.000 miliardi di euro da riscuotere ne restano una sessantina. Non mi sembra perciò che nel nostro Paese ci sia stata mai una “guerra” contro chi non paga, anzi direi che esiste da tempo una pace perpetua”. La pace dei condoni, con buona pace dei furbi.
(da true-news.it)
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Settembre 14th, 2023 Riccardo Fucile
LA PROTESTA MONTA SOPRATTUTTO IN VENETO, NEL FORTINO DEL GOVERNATORE LUCA ZAIA: “È UN’ERESIA CHE CERTA GENTE VADA SUL SACRO PRATONE”… PROPRIO IN VENETO E’ IN CORSO UNA DIASPORA DI LEGHISTI: DALLE FILA DEL “DOGE” ZAIA STANNO PASSANDO A QUELLE DI TOSI
La presenza di Marine Le Pen sul palco di Pontida ha già spaccato la maggioranza di governo. Ma riapre pure le ferite leghiste. Soprattutto nel Veneto
Nelle chat il banner con le foto affiancate di Matteo Salvini e di madame Le Pen e la scritta «Vi aspettano a Pontida» sta facendo surriscaldare gli animi. «Ci ha dato molto fastidio» ammette a denti stretti un dirigente di primo piano, «ma come si permettono di far dire a quella signora che ci aspetta a casa nostra?».
«Siamo alla fascistizzazione del partito» tuona dalle pagine dei quotidiani veneti Franco Rocchetta, fondatore della Liga e organizzatore insieme a Umberto Bossi del primo raduno nel 1990. «È un’eresia che certa gente vada sul sacro pratone, e non parlo solo della Le Pen» protesta Fabrizio Boron, consigliere regionale cacciato alla vigilia del congresso «nazionale» di giugno.
«L’unico lato positivo della mia espulsione è che Salvini mi ha tolto l’imbarazzo di andare a Pontida» conclude. La pensa allo stesso modo Marzio Favero, ex sindaco di Montebelluna che ancora siede sui banchi del Carroccio a palazzo Ferro Fini.
«Le posizioni centraliste della Le Pen sono quanto di più lontano dall’approccio federalista che sta alla genesi della Lega» spiega Favero, soprannominato «il filosofo» per la materia che insegna alle scuole superiori. La lingua se la morde, invece, l’eurodeputato Gianantonio Da Re, che comunque a Pontida ci sarà: «Come la penso lo sapete. È meglio che stia zitto».
In questo caso, poi, più delle voci critiche fanno rumore gli imbarazzi e i silenzi. «Io andrò a Pontida per incontrare la base e i militanti. Indipendentemente da chi salirà sul palco» prova come sempre a dribblare le polemiche Luca Zaia. La rivolta contro la presenza della leader nazionalista francese nel luogo simbolo del leghismo, in realtà, nasconde anche molto altro. «Sono anni che siamo alleati ma la sensazione è che si voglia strumentalizzare questo passaggio per dare fuoco alle polveri». Il riferimento è a ciò che sta accadendo in Regione.
Dato per scontato che difficilmente Giorgia Meloni concederà ai governatori un «terzo mandato», infatti, e nel timore di finire all’angolo in una sfida per la candidatura fra il ministro Adolfo Urso per Fdi e il coordinatore regionale Flavio Tosi per Forza Italia, alcuni esponenti di peso stanno abbandonando la Lega. Gianluca Forcolin, vice di Zaia nella passata legislatura, e Massimiliano Barison, assessore regionale e sindaco di Albignasego, sono già passati con Tosi
Lo stesso hanno fatto l’ex senatore di Treviso Gianpaolo Vallardi e l’ex assessore padovano Alain Luciani. Presto potrebbero seguirlo anche il consigliere Boron, ma soprattutto tre dei sei assessori leghisti della giunta attuale.
«Che futuro può avere un partito che rischia di restare al governo a Roma con Fdi e Forza Italia ma all’opposizione a Bruxelles alleato di Le Pen e Afd? Come ce lo spiegheranno i vari Zaia e Giorgetti?» è il ragionamento che qualcuno comincia a fare.
(da “la Stampa”)
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Settembre 14th, 2023 Riccardo Fucile
SOLO NELL’ULTIMO ANNO, LE DOMANDE AI CORSI DI LAUREA SONO DIMINUITE DEL 10% SENZA CONTARE I PENSIONAMENTI NEI PROSSIMI ANNI, COLORO CHE VANNO A LAVORARE ALL’ESTERO
Sarà per lo stipendio non allettante, i turni di lavoro pesanti e le prospettive di carriera ridotte al lumicino, fatto sta che la professione infermieristica non attira più i giovani. Stando al report della Conferenza nazionale corsi di laurea professioni sanitarie, infatti, le domande di accesso ai corsi di laurea rispetto allo scorso anno accademico sono diminuite del 10%.
In alcuni atenei, per la prima volta, le richieste non raggiungono nemmeno il numero di posti a bando: «Da 25.539 domande dello scorso anno si passa alle attuali 22.870 su 19.860 posti, con un calo medio nazionale di -10,5% che è diverso fra le Università delle tre aree geografiche: Nord -14,0%, Centro -14,4% e Sud -5,4%». […]
La Corte dei conti ha indicato un buco di 65.000 unità; e con il decreto 77/2022 sul riordino dell’assistenza sul territorio si stima servirebbero almeno altri 20mila infermieri, […] La situazione diventa ancora più preoccupante, poi, se si considera che i 10mila pensionamenti annui di infermieri dal 2029 raddoppieranno; senza contare inoltre i quasi 30mila infermieri italiani andati a lavorare all’estero.
«Intanto, oltre 13mila infermieri stranieri sono in servizio, a vario titolo, sul territorio nazionale denunciano dalla Fnopi senza iscrizione agli Ordini e senza i dovuti controlli sulla conoscenza della lingua, in virtù delle deroghe previste da decreti emergenziali, che quindi lavorano in un contesto di totale insicurezza delle cure». I sindacati continuano ad alzare la voce.
Le criticità, sono ormai note da tempo. Andrea Bottega, segretario nazionale del Nursind – «[…]per infermieristica siamo lontani da qualsiasi soglia di sicurezza: con circa 3mila domande in più rispetto ai posti messi a bando«[…]non si riuscirà neppure a coprire il turnover. Parliamo di una carenza stimata di 70mila unità che è destinata solo ad aumentare».
Al calo di domande, si aggiunge poi un altro dato negativo. «Chi con coraggio decide di iscriversi alla facoltà di infermieristica osserva De Palma – deve affrontare un duro percorso che non sempre giunge a compimento: alto è infatti anche il tasso di abbandono degli studi prima del loro termine, con una preoccupante percentuale che oscilla tra il 19 e il 20%». A conti fatti, stando ai sindacati, l’Italia rischia di perdere nei prossimi tre anni fino al 30-30,5% di infermieri rispetto ai numeri programmati dalle stesse Regioni e dal Governo.
LA STRATEGIA
E se intanto la Fnopi prova ad aprire le porte a più professionisti possibile, per la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (Fnomceo) si pone il problema opposto: gli studenti che provano a iscriversi a medicina non mancano mai. «La professione medica continua ad essere attrattiva per tanti giovani», spiega il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli. Ma per molti resta lo scoglio del numero chiuso. Sul quale però i medici fanno muro
«I nostri ragazzi vanno all’estero e sono ambiti perché hanno una formazione di qualità rimarca Anelli – Se aumentiamo il numero di iscritti, la qualità viene meno. E, comunque, dobbiamo anche considerare l’aspetto occupazionale: se formiamo per esempio 90mila medici, per una questione etica alla fine del percorso di studi lo Stato dovrebbe garantire altrettanti posti di lavoro».
(da il Messaggero)
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Settembre 14th, 2023 Riccardo Fucile
IL PARTITO ECOLOGISTA DANESE IN PARLAMENTO HA SEI DEPUTATI, TUTTE DONNE
In Danimarca esiste un partito ecologista, Alternative, che ha portato sei deputati in Parlamento: cinque donne e un uomo, Torsten Gejl. Finché il maschio superstite si dimette per sopraggiunto stress (da accerchiamento, insinuano i maligni) e viene sostituito dal primo dei non eletti: una signora.
Sei su sei, bingo, e un bingo storico, perché mai a memoria d’uomo, ma soprattutto di donna, un gruppo parlamentare era stato composto da sole femmine: nemmeno gli sceneggiatori di «Barbie» si erano spinti a tanto. Le donne del piccolo partito danese esultano sui social, ma vengono sorprendentemente redarguite. E da chi? Da un’altra donna, Marie Bjerre, la ministra dell’Uguaglianza del governo di centrosinistra: «Attente a non polarizzare la lotta discriminando il maschio: anche gli uomini sono importanti».
Affermazione, quest’ultima, per cui sentitamente la ringrazio. Ecco, magari il generale Vannacci leggendo le ultime da Copenaghen sarà colto dal panico.
Eppure, in mezzo a un mare di cattive notizie di giornata, molte delle quali hanno ancora per protagoniste donne vittime di ogni genere di abusi, questa piccola storia di mondo alla rovescia mi fa sperare che stiamo lentamente andando nella direzione giusta. Rivela un rovesciamento di paradigma e di ruoli, indispensabile per arrivare là dove vogliamo tutti: alla parità vera. Quando non avrà più importanza sapere di che sesso siano i parlamentari, ma solo se siano bravi o no.
(da Il Corriere della Sera)
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Settembre 14th, 2023 Riccardo Fucile
MANGIANO MEGLIO DEI RICCHI E RINUNCIANO PURE A CURARSI
Dopo l’entusiasmante uscita per cui i poveri mangiano meglio dei ricchi, perla (ahimè, non rara) del ministro-cognato Lollobrigida, aspettiamo con ansia nuove illuminazioni sulla salute degli italiani.
Chissà, qualcuno potrebbe venirci a decantare il ritorno dei vecchi cari rimedi della nonna, gli impacchi con la polenta, le sanguisughe, radici curative raccolte nel bosco, o altre diavolerie medievali per cui superstizione e arte di arrangiarsi – due must dei fortunatissimi poveri – fanno premio sulla ricerca e sull’assistenza.
Insomma, urge nuova narrazione sull’invidiabile culo dei meno abbienti, categoria sociale in vertiginoso aumento, anche in tema di sanità, perché soldi non ce ne sono, le liste d’attesa si allungano di mesi e anni, e forse per fare finalmente le analisi prenotate a suo tempo bisognerà riesumare il cadavere del nonno, che nel frattempo ha tolto il disturbo.
Basti pensare che nel 2022 (dati Istat) quattro milioni di italiani (il 7 per cento di tutti noi) ha rinunciato alle cure o per mancanza di soldi o per difficoltà di accesso al sistema sanitario, che significa che tu telefoni oggi per un appuntamento che ti fissano tra un anno e mezzo, e allora sai che c’è, vaffanculo e incrociamo le dita (un vecchio trucco dei poveri, insieme al ferro di cavallo e al cornetto portafortuna).
Va detto che la narrazione sulla sanità a uso e consumo dei meno abbienti ha radici storiche, e ancora si ricordano le leggende di una decina di anni fa (governo Renzi) che narravano di troppi esami richiesti dai pazienti – avidi di prelievi – con conseguente stretta sugli esami passati dal Ssn. Insomma, pur di tagliare si accusava la popolazione di essere ipocondriaca, e i medici di essere di manica larga. A proposito di medici e infermieri, tra l’altro, segnalerei a tutte le categorie professionali italiane di tenersi alla larga dai complimenti e dagli osanna dei media. Gli operatori della sanità che per un annetto e più sono stati “eroi”, “santi”, “angeli”, passata l’emergenza stanno nella merda come e più di prima, tanto che dalla sanità pubblica c’è un fuggi fuggi generale: nel biennio 2021-2022, tra medici e infermieri, quelli che sono scappati prima del tempo sono aumentati del 120 per cento, senza contare quelli che espatriano perché all’estero li pagano meglio, o che si mettono a lavorare a cottimo per tappare i buchi.
Dopo aver sbandierato al mondo che qui il Pil andava come un treno, che crescevamo alla grande, che c’era una specie di boom economico, anche la sora Meloni e il suo variegato staff di parenti sta aprendo un po’ gli occhi, e magari si accorgerà che i medici italiani chiedono il nuovo contratto (2022-2024) che costerebbe 2,7 miliardi, ma ancora non ci sono i fondi per rispettare il contratto del triennio precedente, e aggiungerei che quasi il 90 per cento delle strutture sanitarie italiane usa macchine diagnostiche obsolete, che andrebbero rinnovate. La spesa a carico dei cittadini in materia di sanità aumenta vertiginosamente: il 41,8 per cento dichiara di aver pagato di tasca propria per visite specialistiche (nel 2022), il 27,6 (stesso anno) di averlo fatto per accertamenti diagnostici.
Insomma, si paga, e chi non può pagare in molti casi rinuncia a curarsi. Chissà, forse affidandosi a vecchi rimedi, e comunque consolandosi al pensiero che compriamo carri armati per miliardi di euro e aumentiamo la spesa in armamenti, in modo di avere sì una visita oncologica tra due anni, però abbastanza sicuri di non essere invasi da nessuno.
(da IL Fatto Quotidiano)
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Settembre 14th, 2023 Riccardo Fucile
UNA SCELTA CORAGGIOSA DI ELLY SCHLEIN E UN RICONOSCIMENTO A CHI COMBATTE PER I DIRITTI CIVILI
Il Pd ha scelto di sostenere Marco Cappato alle elezioni suppletive per il collegio di Monza, con le quali tra poco più di un mese si deciderà chi occuperà il seggio rimasto libero in Senato dopo la morte di Silvio Berlusconi. Il voto si terrà il 22 e 23 ottobre prossimi.
Cappato aveva annunciato la propria candidatura a fine luglio, lanciando la sfida al monzese doc e compagno di strada in affari e politica di Berlusconi, Adriano Galliani, sostenuto dal centrodestra.
L’elezione si svolge in «un sistema elettorale maggioritario che premia chi ottiene anche e solo un voto in più»: per questo, spiega il responsabile dell’organizzazione del Pd Igor Taruffi, il partito «ha ritenuto di privilegiare l’alleanza più larga possibile tra le forze che si oppongono alla destra».
Il sostegno dei dem si somma a quello dei Verdi, di +Europa e di Sinistra Italiana. «Anche se avremmo potuto presentare autorevoli candidature espressione del Pd locale, abbiamo ritenuto non frammentare lo schieramento che si oppone alla destra ed appoggiare la candidatura di Marco Cappato», conclude Taruffi nella propria nota.
In seguito all’appoggio del Pd, Cappato ha scritto sul social: «Sono grato al PD per la scelta generosa e coraggiosa. Sarà una sfida entusiasmante, assieme a coloro che già mi sostengono e quelli che arriveranno. Faremo tesoro delle differenze per andare a convincere e vincere il 22 e 23 ottobre».
(da agenzie)
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Settembre 14th, 2023 Riccardo Fucile
IL CURRICULUM E I PROFILI SOCIAL DI LUCA PEDETTI, LEGATO ALLA FIGLIA DI OSIPOV… E IL DIRETTO INTERESSATO FA SPARIRE GLI SCATTI ON LINE
C’è un nuovo caso su Irina Osipova, la discussa neoassunta a Palazzo Madama, russa, ex candidata di Fratelli d’Italia e putiniana, che ha vinto il concorso per lavorare in Senato. Il 26 maggio 2018 Irina si è sposata con Luca Pedetti, 44enne di antica famiglia romana. Nelle foto social pubblicate su entrambi i profili dei coniugi, racconta oggi La Stampa, figura anche il padre di lei, Oleg Osipov, per anni numero uno di Rossotrudnichestvo, l’importante agenzia russa del ministero degli Esteri oggi bollata dall’Unione europea come strumento di influenza di Vladimir Putin all’estero e quindi sanzionata. Oleg Osipov adesso vive a New Delhi. Ma se i legami familiari di Irina sono ben noti, così come le sue frequentazioni con esponenti dell’estrema destra italiana e russa – alcuni dei quali hanno combattuto in Donbass – quello che non si sapeva finora era il lavoro di Pedetti, consulente del ministero della Difesa e Nato.
Chi è Luca Pedetti
Osipova, ricordiamolo, ha vinto un posto per coadiutore parlamentare in Senato. A Palazzo Madama, dal 1 novembre, avrà accesso a banche dati e alla possibilità di classificare atti. Un impiego che per l’orientamento politico e le origini della giovane ha creato più di qualche polemica.
Il quotidiano torinese ha esaminato il profilo Instagram del marito di Irina Osipova, fino a ieri mattina era visibile previa una richiesta di amicizia. Spicca una foto in cui Pedetti esponeva la schermata di un workshop all’Ugid, l’Ufficio Generale Innovazione della Difesa italiana. Nel feed c’è un’altra foto di Pedetti con alle spalle esponenti dell’esercito e della marina militare italiana. E poi una in cui la coppia figura a Villa Abamelek, ospite dell’ambasciatore russo a Roma. Ci sono perfino i biglietti d’invito che i due ricevono dal ministero della Difesa per la Festa della Repubblica del 2 giugno del 2017 (quando era ministro Roberta Pinotti ndr)
Le start-up
In un altro scatto il presidente della commissione trasporti e tecnologia del Senato, Salvatore Deidda di Fratelli d’Italia, saluta Pedetti e compagnia: «I miei amiconi sovranisti che passano da Roma a Mosca in pura logica non imperiale». Nel 2019 il marito di Osipova ha fondato una start-up chiamava Pepeeta e si occupava prevalentemente di tecnologie, blockchain, sistemi distribuiti. Oggi, spiega La Stampa, ne ha creato un’altra. Tra i tanti incarichi che l’uomo vanta c’è «un impiego in ingegneria dei sistemi presso aziende del gruppo Finmeccanica (ora Leonardo Company) dove ha fornito supporto logistico integrato all’interno del team ILS per il sistema di pianificazione delle missioni denominato Mission Support Systems, un complesso assieme di sistemi hw/sw fornito alle Forze Armate italiane, in particolare all’Aeronautica Militare e all’Aviazione dell’Esercito, oltre che ad altre forze armate in ambito Nato»
Leonardo e Finmeccanica
Fonti aziendali confermano a La Stampa che Pedetti ha davvero lavorato per Leonardo quand’era Finmeccanica, come consulente. Raggiunto telefonicamente il diretto interessato non vuole confermare né smentire, ma – a detta del quotidiano torinese – appare «molto seccato alla telefonata di verifica». In serata, dopo la chiamata fatta, i suoi account Instagram e Twitter sembrano cancellati. Fonti nell’amministrazione hanno precisato a La Stampa che la sua collaborazione con la Difesa in effetti aveva suscitato anche delle significative resistenze, ma alla fine è stata accettata.
(da Open)
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Settembre 14th, 2023 Riccardo Fucile
UN’INCHIESTA DEL “MANIFESTO” SCOPRE POSSIBILI FRODI NEGLI ANNI IN CUI E’ STATO PRESIDE DI FACOLTA’
Il riciclo delle immagini è uno dei metodi più utilizzati per truccare le ricerche scientifiche. E pare che anche il ministro Orazio Schillaci, probabilmente per distrazione, sia finito nel tranello.
A raccontare la vicenda è Il Manifesto, che parla di alcune pubblicazioni «sospette» risalenti al periodo tra il 2018 e il 2022, quando Schillaci è stato prima preside della facoltà di Medicina dell’università di Tor Vergata e poi rettore. Il quotidiano diretto da Andrea Fabozzi ha utilizzato il software ImageTwin per identificare le anomalie negli studi del gruppo di ricerca guidate da Schillaci.
Lo strumento, sviluppato da una start-up austriaca, permette di confrontare una figura con una banca data di milioni di immagini nella letteratura scientifica, così da poter rintracciare eventuali duplicati o ritocchi.
Le pubblicazioni
Nei cinque anni in cui Schillaci ha lavorato all’università di Tor Vergata, scrive Il Manifesto, sono almeno una decina le pubblicazioni con «immagini sospette». Uno dei casi più problematici riguarderebbe una ricerca pubblicata nel 2021 da un gruppo di lavoro dello stesso Schillaci. Nel paper in questione viene presentata un’immagine relativa a cellule di tumore alla prostata. Quell’immagine però era già stata usata nel 2019 in un’altra pubblicazione, riferita però a cellule tumorali al seno. Ma episodi simili compaiono anche in altri studi scientifici pubblicati da gruppi di lavoro in cui Schillaci compare «come ideatore, supervisore, autore della prima stesura e responsabile della gestione dei dati», scrive Il Manifesto. Il quotidiano ha contattato uno degli scienziati dell’ateneo romano, che ha ammesso gli errori e ha parlato di «incidenti di percorso».
La risposta
Il ministro della Salute, invece, ha replicato così: «Apprendo da voi in questo momento la notizia, non ne avevo conoscenza. Non sono esperto di microscopia elettronica, mi sono fidato di chi ha fornito quelle immagini. Verificheremo se effettivamente ci sono degli errori».
(da Open)
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