Destra di Popolo.net

“GIORGIA MELONI SU GIAMBRUNO? UNA MONTAGNA DI ERRORI GROSSOLANI” – L’ESPERTO DI COMUNICAZIONE PAOLO LANDI

Ottobre 21st, 2023 Riccardo Fucile

“UNA STRATEGIA CASALINGA, GRAVISSIMO AVER ILLUSTRATO IL SUO SFOGO CON UNA FOTO IN CUI LA EX-FAMIGLIOLA COMPARE FELICE, CON TANTO DI RAGAZZINA CHE NON SI È PRESA NEMMENO IL DISTURBO DI PIXELARE. DICE CHE LA VUOLE DIFENDERE, MENZOGNA: LA STA CONSEGNANDO ALL’ETERNITÀ DELLA RETE”

Quando si parla dei comportamenti dei leader di destra bisogna sempre fare i confronti con quelli furbi che li hanno preceduti. Se si parla per esempio del tweet con il quale la Meloni ha scaricato il tizio che conviveva con lei, non ci si può rifare a Trump: lui, probabilmente, avrebbe fatto lo stesso, era un maniaco della piattaforma che maneggiava sconsideratamente in diretta, a ogni ora del giorno e della notte.
No, bisogna immaginare cosa avrebbero fatto Margareth Thatcher, Mario Draghi, Angela Merkel, Emmanuel Macron. Avrebbero fatto un tweet (a parte la Thatcher per ovvie ragioni: non lo avrebbe fatto perché allora Twitter non esisteva) per annunciare il loro divorzio? Non si può sapere, ovvio, ma lo stile di questi leader conservatori, il loro modo di rapportarsi alle istituzioni di cui sono servitori, l’aplomb con il quale hanno affrontato e affrontano la loro vita pubblica, farebbe presagire di no.
Bisogna quindi circoscrivere alla provincia profonda da cui la Meloni proviene (anche se è di Roma), al piccolissimo cabotaggio dell’impiego del convivente, in una scalcagnata rete televisiva generalista che solo gli over settanta guardano (ma solo se vivono al paesello: in città anche i settantenni hanno di meglio da fare, vanno in palestra, al cinema, a teatro, allo stadio, a giocare a burraco), e al marasma che ha pubblicato un cosiddetto “fuorionda”, la decisione di affidare a un social (bollito anche quello: da quando Elon Musk ha cambiato nome a Twitter, diventato X, c’è la fuga dei cervelli) l’annuncio della propria separazione.
Per non smentirsi, togliendosi anche un volgarissimo sassolino dalla scarpa, che le dava fastidio al callo: “Ps. tutti quelli che hanno sperato di indebolirmi colpendomi in casa sappiano che per quanto la goccia possa sperare di scavare la pietra, la pietra rimane pietra e la goccia è solo acqua”.
Gravissimo aver poi illustrato – con un occhio alla campagna elettorale – il suo sfogo con una foto in cui la ex-famigliola compare felice, con tanto di ragazzina che non si è presa nemmeno il disturbo di pixelare. Dice che la vuole difendere, menzogna: la sta consegnando all’eternità della Rete, la regazzina appena avrà lo smartphone (se non ce l’ha già) si rivedrà, con tutti i commenti, quelli gentili e quelli no.
Si trasecola perciò a leggere Giuliano Ferrara che, sul Foglio, parla di “stile” e di “imprevedibile gravitas” della Meloni nell’affrontare in pubblico una sua crisi privata, che, a dire il vero, ha scaraventato sui social con una leggerezza sconsiderata, altro che “gravitas”, come se fosse una Ferragni qualsiasi, invece di essere il presidente del consiglio dell’Italia.
Prima, è vero, c’era stato Berlusconi, con quelle ragazze che si riprendevano nei bagni di casa sua e di cui abbiamo dovuto ascoltare certe telefonate da far impallidire un prete in confessionale, ma credevamo, per l’appunto, di avere già dato.
Non occorre essere esperti di comunicazione politica per vedere una tale montagna di errori, così grossolani, in questa strategia casalinga messa in atto da una donna che evidentemente non ne poteva più e non ha contato fino a sette prima di sbottare, cadendo nel trabocchetto e rispondendo alla perfida sollecitazione di un programma tv in via di estinzione: sembra impossibile immaginarla dribblare lo staff, i consiglieri, l’addetto al cerimoniale, l’amica del cuore, se ne ha una, e fare tutto da sola.
Nessuno che le abbia detto: fermati? Sempre più difficile per Giorgia: conquistato il potere urlando in Italia e in Spagna “Dio Patria e Famiglia” vede avverarsi la profezia di Mario Draghi: “Ricordate – disse – qualunque governo esca da queste elezioni, non cambierà niente”. Uscì lei, col suo governo di impresentabili: e infatti Giorgia ha dovuto draghizzarsi rimangiandosi un elenco di promesse elettorali così lungo che non vale nemmeno la pena elencarle.
Fa pena vederla chiedere aiuto all’Europa, parlare a vanvera di immigrazione dopo aver giurato di avere non una ma almeno dieci soluzioni, tradire le periferie che l’hanno eletta per concedere i soliti favori ai ricchi.
Ora avrà anche una famiglia queer, sarà lei, la regazzina, la sorella, il cognato, la nonna. La sua metamorfosi si sta compiendo, con tutti i rospi che dovrà ingoiare per imparare a stare zitta, come hanno sempre fatto la Thatcher, Draghi, la Merkel e Macron. Solo che a Giorgia piaceva Trump, quel chiacchierone.
Paolo Landi
(da Dagospia)

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“L’ITALIA HA IL TEMPO CONTATO”: L’OPINIONISTA EURO-SCETTICO DEL “DAILY TELEGRAPH” AMBROSE EVANS-PRITCHARD, PARAGONA GIORGIA MELONI A LIZ TRUSS, LA LEADER CONSERVATRICE CHE FU COSTRETTA A DIMETTERSI DOPO SOLI 49 GIORNI, A CAUSA DEI SUOI DISASTRI IN ECONOMIA

Ottobre 21st, 2023 Riccardo Fucile

“MELONI HA ALLENTATO LE POLITICHE FISCALI MENTRE SI PREPARA UNA TEMPESTA SUI TITOLI DI STATO. LE MISURE DI RISANAMENTO SONO STATE RINVIATE ALMENO AL 2026. LO SPREAD SUI BOND A 10 ANNI È SCHIZZATO A 207 PUNTI, E ORA SIAMO IN ZONA DI ALLERTA”

“L’Italia di Giorgia Meloni sta tentando un azzardo. La legge di bilancio del governo della prima ministra non è così diversa, in contenuti e contesto, da quella sciagurata di Liz Truss l’anno scorso”. A parlare è Ambrose Evans-Pritchard, commentatore economico del quotidiano conservatore “Daily Telegraph”.
Sappiamo poi come è andata a finire, perlomeno nel caso britannico: la leader conservatrice fu costretta a dimettersi dopo soli 49 giorni, a causa dei suoi disastri in economia. I suoi tagli alle tasse, in un momento di alta inflazione e sfavorevole congiuntura finanziaria, quasi mandarono il Regno Unito a picco, con la Banca d’Inghilterra che salvò all’ultimo i fondi pensione prima che capitolassero, evitando così una catastrofe ben peggiore per il Paese.
Premessa: Evans-Pritchard è un commentatore sempre molto critico dell’euro e della Ue, e non perde mai occasione di contestare Bruxelles e le sue istituzioni, spesso prevedendo (a vuoto) una loro imminente crisi. Eppure, il paragone di Meloni con Truss, da parte dell’opinionista, è forte, perché presuppone che l’Italia e la sua economia potrebbero presto passare grossi guai simili. Anzi, nell’articolo si legge come “l’Italia è l’anello debole dell’eurozona, e rappresenta un serio rischio per il progetto europeo. Anzi, da Roma potrebbe iniziare la sua fine”.
Scrive Evans-Pritchard: “Meloni ha allentato le politiche fiscali mentre si prepara una tempesta sui titoli di Stato. Le misure di risanamento sono state rinviate almeno al 2026. Lo spread sui bond a 10 anni è schizzato a 207 punti, e ora siamo in zona di allerta. I tassi di interesse sui titoli di stato hanno toccato il 5% per la prima volta dalla crisi del debito dell’eurozona nel 2012. Tutto ciò si unisce al debito pubblico italiano pari al 140%”.
“Il prossimo anno l’Italia dovrebbe smaltire il vecchio debito e finanziarne di nuovo per una somma pari al 24% del suo Pil, secondo i dati della Banca centrale europea. Tutto questo mentre lo spread sale. Nessun Paese europeo ha qualcosa di simile. Gli interessi sul debito stanno crescendo di più del Pil nominale. Se è vero come dicono i mercati che stiamo entrando in un’era di interessi sui bond permanentemente più alti, allora l’Italia ha il tempo contato”.
Nella sua lettura molto negativa della situazione economica italiana, Evans-Pritchard sottolinea come all’Italia manchi crescita “e Meloni, a differenza persino di Truss, non sta facendo nulla per farla ripartire”.
(da agenzie)

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ANTONIO RICCI: “ECCO LA MIA RICOSTRUZIONE SUL CASO GIAMBRUNO”

Ottobre 21st, 2023 Riccardo Fucile

“DOPO AVER VISTO LA COPERTINA DI ‘CHI”, PRIMA CHE SIGNORINI PROPONESSE LA BEATIFICAZIONE DI GIAMBRUNO, HO RITENUTO DA LAICO RIPORTARE TUTTI SULLA TERRA”

“Vorrei anch’io fornire la mia versione, naturalmente senza nessuna pretesa di esser creduto, ci mancherebbe, ma solo per dare un contributo al dibattito. Il fatto, secondo me, si sarebbe svolto così”. Antonio Ricci, il patron di Striscia la Notizia, ha scritto una lunga dichiarazione per fornire la sua versione su quanto accaduto in questi giorni, dai fuorionda sull’ex compagno di Giorgia Meloni, Andrea Giambruno, alla decisione della premier di interrompere la relazione con lui.
“Mercoledì mattina sulla scrivania mi trovo la rivista Chi (secondo alcuni house organ della famiglia Berlusconi) con in prima pagina la foto del first gentleman in un campo di grano, a guisa di papaverone o spaventapasseri – scrive Ricci – All’interno veniva esaltato il cuore ‘gitano’ e il ciuffo del giornalista che sarebbe priapescamente cresciuto con gli ascolti. ‘
Acciderbola – ho pensato – l’astuto cardinal Signorini si sta preparando a celebrare una beatificazione’. Siccome sono un laico, specie in estinzione, ho una naturale diffidenza verso i nuovi santi, ricorderete il ‘Caso Soumahoro’. Ho pensato subito di utilizzare l’antidoto. Da una fortunosa pesca estiva avevo due fuorionda del giornalista in frigo. Li ho usati. Così come son solito fare. Come quello di ‘Buttiglione-Tajani’ che Berlusconi dichiarò esser la causa della caduta del suo governo”. “Qualche lombrosiano potrebbe obiettare: ‘Potevi mandarlo senz’audio, non ci vogliono mica dieci anni per capire che soggetto è, basta solo vedere come cammina’ – continua Ricci – Lo so, a volte son didascalico. È un mio difetto. Violando la privacy vi posso raccontare della telefonata di Fedele Confalonieri. L’incipit è stato: ‘Sei il re dei rompicoglioni, anzi sei l’imperatore dei rompicoglioni'”. “Il seguito, essendo stato pronunciato in stretto lombardo, anche volendo, non sono in grado di riferirlo – aggiunge l’ideatore di Striscia la Notizia – La cosa che mi ha più stupito di tutto il dibattito è che per il 90% dei giornali sembra impossibile che possa esistere qualcuno che prende iniziative di testa sua e non sia un mero ventriloquo. Un’anomalia da censurare”. “Per quanto riguarda la pioggia sulla roccia – conclude riferendosi all’ultima parte del post di ieri di Giorgia Meloni – , magari non scalfisce subito, ma può far nascere un bell’arcobaleno”.
(da agenzie)

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AD…DIO, PATRIA E FAMIGLIA

Ottobre 21st, 2023 Riccardo Fucile

DOPO UN ANNO DI GOVERNO MELONI DEL SOVRANISMO E’ RIMASTO BEN POCO, IL BERLUSCONISMO INVECE CONTINUA A GODERE DI OTTIMA SALUTE

Ha disintegrato il mito della Patria relegando l’Italia, al netto di qualche inutile passerella, a comparsa sulla scena internazionale. Lei che, al grido di ”la pacchia è finita”, doveva difendere l’interesse nazionale, ma si era dimenticata di dire che si trattava di quello americano.
Di Dio non parliamo neppure. La carità cristiana si è persa nella sistematica guerra ai poveri, cancellati dall’agenda del suo governo con la demolizione del Reddito di cittadinanza prima e l’eutanasia del Salario minimo affidata al Cnel senza neppure metterci la faccia. Lei che del metterci la faccia ha sempre fatto un vanto. Mentre condono dopo condono diventava sempre più chiaro che il “prima gli italiani” valesse soprattutto per gli evasori.
L’ultimo mito, quello della famiglia, si è sgretolato nel giro di 48 ore. Ultimo atto di un dramma personale in cui lei, Giorgia Meloni, è rimasta vittima di un doppio conflitto d’interessi. Domestico, innanzitutto. In cui l’ex first gentleman Giambruno, conduttore di un programma tv di primo piano, intrecciava inevitabilmente la sua professione con quella della compagna. Sovraesponendosi, tra gaffe e scivoloni che hanno finito per mettere in imbarazzo la stessa premier (la favola del lupo docet), al legittimo sospetto di parzialità, reale o presunta che fosse.
Poi c’è l’altro conflitto d’interessi, tutto politico: l’intreccio tra Mediaset e Forza Italia, sopravvissuto alla morte di Berlusconi e rimasto intatto con i suoi eredi. Con l’altrettanto legittimo sospetto che a trarre vantaggio dai fuori onda galeotti dell’ex compagno della premier e dipendente Mediaset (messo alla berlina da un programma della stessa Mediaset), sia stata proprio Forza Italia per regolare i conti in sospeso con la presidente del Consiglio.
Morale: dopo un anno di governo Meloni, del sovranismo è rimasto ben poco. Il berlusconismo, invece, continua a godere di ottima salute.
(da La Notizia)

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DIO E FAMIGLIA NON FUNZIONANO PIU’

Ottobre 21st, 2023 Riccardo Fucile

IL MANTRA CONSOLATORIO DEI SOVRANISTI DA ANNI NON SIGNIFICA NULLA

È un pezzo di narrazione che viene giù. Ma da qui a pensare che Giorgia Meloni non salirà più su un palco a gridare «Dio, patria e famiglia», ce ne vuole. Perché quel dogma declinato in tutte le lingue – memorabile la versione spagnola al Congresso di Vox – è una specie di mantra consolatorio che già da anni non significa nulla. Il Dio cristiano è accolto da Meloni e compagni quando conviene prendersela con il fondamentalismo islamico, ma non quando chiede di dare da mangiare agli affamati, di accogliere chi arriva sulle nostre coste a cercare riparo, di fare di tutto perché non si muoia più in mare e perché si sia trattati con dignità sulla terraferma.
La patria serve a definire i confini, ma i principi su cui la nostra è fondata – l’antifascismo da cui nasce la Costituzione italiana – sono elusi costantemente da una destra che certe parole non riesce ancora a dirle. Quanto alla «famiglia tradizionale», fare un giro tra quelle dei principali rappresentanti della maggioranza è esercizio quasi stucchevole: sono la prova – semmai ce ne fosse bisogno – che la famiglia tradizionale è una costruzione astratta sulla quale mai, mai al mondo bisognerebbe pensare di legiferare. Perché le leggi, le ordinanze, le circolari, vanno fatte a partire dalla realtà e non dagli archetipi.
Quando Luca Trapanese, l’assessore al Welfare di Napoli, omosessuale, padre adottivo di Alba solo perché nessun altro voleva prendersene cura, ha inviato una lettera alla premier invitandola a cena a casa loro. Per mostrarle come una persona single e omosessuale possa essere un genitore meraviglioso, la premier ha risposto che comunque è «meglio essere cresciuti da una mamma e da un papà che da uno solo», mettendo ancora una volta il dogma davanti alla realtà. Quando la premier non ascolta l’appello delle famiglie arcobaleno, che chiedono pieni diritti per i loro figli a prescindere da come siano venuti al mondo, continua a seguire l’ideologia e a disconoscere la realtà. Nonostante i conservatori europei – a partire dalla presidente della Commissione europea Von der Leyen – abbiano su questo una posizione estremamente avanzata.
Dio, patria e famiglia è ancora il rifugio di politici come il premier ungherese Orban, come l’ex premier polacco Morawiecki o il leader di Vox Abascal. Gli ultimi due sono stati sconfitti, il primo ha deciso di saldarsi a Vladimir Putin. Una destra moderna guarda altrove, ma Meloni – che nel privato ha risolto questo nodo con coraggio e risolutezza – non intende risolverlo nella sua dimensione pubblica. Tiene, come sempre, due registri. E così facendo depotenzia il messaggio della sua chiusura netta con un compagno diventato impresentabile. Le sue scelte di vita dicono alle donne: non fatevi umiliare mai, non siate sottomesse e non siate ricattabili. La sua narrazione politica le invita a commuoversi per la pesca del supermercato con cui una bambina vuole far tornare insieme mamma e papà.
Scrive Nicola Lagioia, ricordando la riprovazione che 50 anni fa accompagnò il divorzio dei suoi genitori da parte di una società conservatrice e di provincia, «spero che ciò che le accade oggi le faccia almeno ripensare un po’ alla sciagurata politica sulla famiglia tradizionale del suo governo, che cerca di marchiare con l’infamia tutti i legami diversi da quello a cui nemmeno la sua famiglia ha retto». Prendere atto, insomma, che la famiglia è cambiata. Che «naturale», non lo è stata mai. Che ogni famiglia è felice o infelice a modo suo e che tutte meritano rispetto e, soprattutto, meritano diritti.
(da Huffingtonpost)

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IL GOVERNO DEI FRATELLI D’ITALIA, DEI COGNATI E DEI FIDANZATI: MARIA ROSARIA CAMPITIELLO, FIDANZATA DEL VICEMINISTRO EDMONDO CIRIELLI, E’ STATA NOMINATA CAPO DELLA SEGRETERIA TECNICA DEL MINISTERO DELLA SALUTE

Ottobre 21st, 2023 Riccardo Fucile

IL GIOCO DI INCASTRI CHE HA PORTATO LA FIDANZATA DI CIRIELLI, MEDICO, A RICOPRIRE IL RUOLO E LE PERPLESSITÀ DEI COLLEGHI

Non è facile per il ministro della Salute, Orazio Schillaci, gestire i problemi della sanità italiana. E neanche quelli interni al suo dicastero, a giudicare dai sommovimenti in corso in questi giorni. L’ultimo riguarda le dimissioni del suo capo di gabinetto, Arnaldo Morace Pinelli, che faceva parte della squadra voluta dallo stesso ex Rettore di Tor Vergata e che sono arrivate subito dopo quelle del suo vice Roberto Proietti.
Ma per un gioco di incastri, al posto di Pinelli è andato il capo della segreteria tecnica del ministro, Marco Mattei, non solo medico (ginecologo), ma pure con passati incarichi in politica, nelle fila di Fratelli d’Italia.
A capo della segreteria tecnica, così, è stata promossa Maria Rosaria Campitiello, che con Fratelli d’Italia ha un rapporto “sentimentale”: è la compagna del sottosegretario agli Esteri, Edmondo Cirielli.
Un altro caso di nomine “in famiglia”, a cui il partito della premier, con tanto di sorelle e cognati d’Italia, ci ha ormai abituato. La Campitiello, medico di Salerno, era in comando al ministero da un anno e la sua nomina ha visto emergere la perplessità dei medici di varie categorie, visto che non si sarebbe fatta notare per grandi titoli.
Lo stesso Cirielli ci tiene a chiarire che si è trattato di una “scelta fiduciaria” del ministro, che lui non c’entra nulla, che anzi il rapporto tra i due è precedente. E pure che “sulla base del curriculum se lo merita”. Anche se, ammette, “io sono di parte”.
(da Il Fatto Quotidiano)

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MIGRANTI PROVENIENTI DALLA ROTTA BALCANICA, LA MAGGIOR PARTE ARRIVA IN SLOVENIA DOPO AVER ATTRAVERSATO BOSCHI E MONTAGNE DI MEZZA EUROPA A PIEDI , E PRENDE IL TRENO PER TRIESTE

Ottobre 21st, 2023 Riccardo Fucile

UNA VOLTA ALLA STAZIONE, MOLTI SI SPOSTANO AI “SILOS” DEGLI EX MAGAZZINI DEL GRANO, DIVENTATI UNA BARACCOPOLI…LE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO NON CREDONO ALLE PROMESSE DEL GOVERNO DI CONTROLLI PIU’ SEVERI: “PASSERANNO LO STESSO”

Località Crogole, comune di San Dorigo della Valle. La Slovenia è a due o tre chilometri da qui, Trieste a una decina.Ma per andare in Slovenia utilizzando questa strada dovresti imboccare i sentieri che scalano una montagna durissima, intristita da giornate di pioggia. Roccia e alberi. Un paradiso per escursionisti, dicono. Un parco naturale, annunciano i cartelli. […] adesso è diventato una delle strade per chi ha attraversato mezza Europa in quella che chiamano la «rotta balcanica», e vuole entrare in Italia.
Una, non l’unica ovviamente. Arrivano alle tre, alle quattro del mattino. Marciano con le luci dei telefonini accese. Trieste è un miraggio. Milano la prossima tappa. La Germania, la Svezia, il Belgio, sono il sogno.Ecco, visto da Crogole, oppure da Bagnoli della Rossanda, che non è molto distante da qui, la sospensione del trattato di Schengen è pochissima roba. Perché su queste montagne, è tutto confine. E fino a che la Jugoslavia era un corpo unico, ogni singolo passaggio, ponte sui torrenti, mezzo valico, era presidiato. Un finanziere dalla parte italiana e un poliziotto Jugoslavo dall’altra
Poi le cose sono cambiate. La Jugoslavia s’è frammentata. Si è cominciato a parlare di Europa, di libera circolazione e le divise grigioverdi se ne sono andate. Ecco, passano anche da lì i ragazzi che hanno camminato per mille chilometri, che hanno viaggiato nascosti nei tir, tra tronchi d’albero e spazi ricavati dai passeur nelle celle frigorifere dei camion. Arrivano e marciano per giorni nei boschi: bivaccano, passano il confine e scendono giù.
Poi li trovi a Trieste. Zona stazione. Ecco è lì che arrivano tutti, o quasi. Hanno mollato nei boschi i vestiti sporchi, bagnati e rotti, hanno gettato gli zaini, qualcuno anche i documenti, e sbarcano in mezzo alla città[…] I ragazzi arrivati da Pakistan, Afghanistan, Armenia, Azerbagian invece vanno al Silos. Che, forse, è il peggior accampamento di disperati dentro una città.
Anzi, no, è una baraccopoli in pieno centro. Un tempo erano magazzini del grano. Ora una parte dello stabile l’hanno recuperata, ma il grosso è abbandonato. ci sono centinaia di tende ed esseri umani
La rotta balcanica finisce qui, in questo posto abbandonato da Dio. Un porto franco: se entri lì sei al sicuro. O almeno all’asciutto. Nel frattempo ti prepari a scappare. Bastano 10 euro e sei già sul treno per Milano. Dove ci sarà un’altra strada ancora.
Se c’è una persona che conosce bene questo luogo è Anita Godelli. Che alle 11 di sera è davanti alla stazione con gli altri volontari dell’associazione Linea d’Ombra. Porta metalline e cibo. Lo consegna ai ragazzi appena scesi dal treno che arriva da Lubiana, la capitale della Slovenia.
Se la prende con il sindaco che ha chiuso il sottopasso pedonale, dove fino a qualche tempo fa si trovavano quelli di Linea d’ombra e i migranti. Niente lamentele, però: c’è troppo da fare. «Se non ci fossimo noi, non ci sarebbe nessuno che aiuta questi poveri cristi» dice. E allora via, altre metalline. Altra acqua. Medicinali. «E i più gravi li portiamo all’ospedale. Una sera è arrivato uno a cui un ratto grosso così aveva portato via un pezzo di dito». D’accordo, Mama. Ma il blocco dei confini? Schengen sospesa? «Fumo negli occhi. Soltanto quello: tanti i ragazzi arrivano comunque».
Sarà. Ma in Prefettura a Trieste, alle 9 di sera, si discute ancora su come distribuire sul territorio i 300 agenti in più arrivati nella Regione. Trecento. Ed è un manipolo dovrebbe rinforzare la vigilanza su centinaia di chilometri di confine. Non solo i varchi ufficiali. Non soltanto quello di Basovizza oppure di Opicina, ma tutti quelli del Friuli. «Si useranno anche i droni» dicono i ben informati. «Ci saranno controlli volanti» insistono altri. Il piano è articolato. Saranno dieci giorni complicati. Al «J pub» di Bagnoli, la Daniela e i suoi amici son poco convinti. «Passeranno lo stesso. Creda me. Io quella zona la conosco bene. Un tempo ci andavo a passeggiare. Adesso, da sola, non ci vado più». Ha paura? «Sì, un po’».
(da La Stampa)

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STIPENDI DA FAME E PREZZI ALLE STELLE: PIU’ DEL 63% DELLE FAMIGLIE ITALIANE HA FATICATO AD ARRIVARE A FINE MESE NEL 2022

Ottobre 21st, 2023 Riccardo Fucile

IL NOSTRO È STATO L’UNICO FRA I GRANDI PAESI EUROPEI (FRANCIA, GERMANIA E SPAGNA) A SUPERARE QUESTA QUOTA, LA MEDIA EUROPEA È DEL 45,5%

L’Italia è l’unico fra i grandi Paesi europei (Francia, Germania e Spagna) in cui la quota di famiglie che riporta almeno qualche difficoltà a far quadrare i conti nel 2022 è sopra il 63%. Lo afferma Eurostat. La divisione per Paesi mostra infatti come la percentuale di famiglie che dichiara almeno qualche difficoltà a far quadrare i conti nel 2022 varia da meno di un quarto in Svezia, Germania, Paesi Bassi, Finlandia e Lussemburgo all’80,3% in Bulgaria e all’89,6% in Grecia. L’Italia rientra in questa categoria – ovvero almeno il 63% del totale – superando Francia, Polonia, Spagna e Portogallo. La media europea è di 45,5%. Il dato tiene conto di sei valori nella capacità di arrivare a fine mese (da “molto facilmente” a “con grandi difficoltà”).
A livello europeo, nota il rapporto, “tra il 2021 e il 2022, la percentuale di famiglie in grado di arrivare a fine mese molto facilmente o facilmente è diminuita, passando dal 27,3% al 24,1%; all’altro estremo della gamma, la percentuale di famiglie che incontra grandi difficoltà ad arrivare a fine mese è leggermente diminuita, passando dal 7,0% al 6,8%. Tra questi estremi, la quota di famiglie che riescono ad arrivare a fine mese abbastanza facilmente è aumentata dal 29,6% al 30,3%, mentre la quota di famiglie che dichiara qualche difficoltà e difficoltà nel complesso è aumentata dal 36,0% al 38,7%”.
(da agenzie)

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SE LA MANOVRA TAGLIA FUORI I PIU’ POVERI

Ottobre 21st, 2023 Riccardo Fucile

LE CRITICITA’ DEL “PACCHETTO FAMIGLIA”

Una manovra attenta alle famiglie e ai ceti medio-bassi: così la premier ha presentato la bozza della legge di stabilità. Un’attenzione certo apprezzabile, che va verificata nella sua effettiva sostanza e coerenza. Per i ceti medio-bassi, a prescindere dalla composizione familiare, c’è la proroga del cuneo fiscale, ma solo per un anno e il rifinanziamento della carta acquisti alimentari per famiglie con ISEE fino a 30.000 euro.
Carta tuttavia che esclude sia i percettori di indennità di disoccupazione, a prescindere dal loro ISEE, sia i beneficiari del Reddito di cittadinanza e dal 2024 dell’Assegno di inclusione, che per definizione non possono avere un ISEE superiore ai 15.000 euro, sia i percettori del sostegno di inclusione attiva, che devono avere un ISEE ancora più basso. Esclusi, quindi, sono proprio i più poveri i cui bisogni alimentari sono evidentemente valutati come meno consistenti o meno legittimi. Contestualmente, si rimanda sine die la discussione in aula parlamentare del salario minimo, evidentemente considerata questione irrilevante con buona pace di chi ha contratti da 5 euro lordi l’ora. Ed invece si prospetta un ulteriore sconto per gli evasori fiscali. In conclusione, l’attenzione per i ceti economicamente più modesti appare se non altro un po’ contraddittoria, oltre che di breve respiro.
Il cosiddetto “pacchetto famiglia” appare a prima vista più coerente, nel senso che appare esplicitamente e sistematicamente orientato a sostenere insieme la fecondità e l’occupazione delle madri: aumento del sostegno economico per il pagamento della retta al nido a partire dal secondo figlio, decontribuzione parziale (per il secondo figlio) o totale (per il terzo) per le madri lavoratrici, aumento dell’indennità del secondo mese di congedo genitoriale dal 30 al 60 per cento, dopo che lo scorso anno era già stata aumentata (all’80 per cento) quella per il primo mese.
Anche in questo caso, tuttavia, a guardare bene, il quadro appare non solo meno roseo, ma meno coerente.
In primo luogo, aumentare il contributo per la frequenza al nido serve solo a chi è abbastanza fortunato da trovare un posto: una minoranza, dato che in Italia c’è posto in un nido – pubblico, privato, convenzionato – solo per un bambino su tre, quota che nel Mezzogiorno scende a 1 su dieci.
In altri termini, non è solo il costo che trattiene dall’usufruire del nido, ma la mancanza di posti, una questione cui il PNRR avrebbe dovuto iniziare a dare un risposta, ma si tratta di uno dei settori su cui è più indietro, sia per responsabilità anche del governo precedente, che ha scelto di utilizzare il sistema dei bandi, lasciando ai comuni la libertà, ma anche la responsabilità, se partecipare o meno, non garantendo così i diritti dei bambini e dei loro genitori, sia a causa di una incomprensibile impuntatura della Commissione, che accetta per il finanziamento solo la costruzione di nuovi edifici e non la ristrutturazione, allargamento, rifunzionalizzazione di edifici già esistenti. Un’altra cosa che getta ombra sulla coerenza ed efficacia del “pacchetto famiglia” rispetto agli obiettivi dichiarati è la concentrazione sui secondi e terzi figli.
È vero che chi vuole avere un figlio prima o poi (più spesso poi) lo fa. Ma le difficoltà che incontra nel decidere di farlo (lavoro precario, specie per le donne, difficile accesso ad un’abitazione, mancanza di servizi) oltre a far rimandare la decisione, di fatto riducendo quelle successive, possono diventare anche un potente scoraggiamento.
Per sostenere le libere scelte di procreazione nella situazione attuale occorre facilitare già la decisione di avere il primo figlio, anche con una visione lunga, non ferma, per altro inadeguatamente, sui primi anni di vita.
La mancanza di una buona scuola a tempo pieno può diventare un deterrente per la decisione di averne un secondo. Aggiungo che i generosi (decontribuzione totale) provvedimenti pensati per le madri che hanno tre figli o più ignorano il fatto che non solo queste sono una piccolissima minoranza sul totale delle madri, ma sono una minoranza ancora più esigua sul totale delle madri lavoratrici proprio per le difficoltà che queste continuano ad incontrare a mantenere una occupazione già con il primo figlio.
Un terzo elemento critico del “pacchetto famiglia” è che non prevede nessun incentivo per i padri perché condividano maggiormente le responsabilità di cura. Nell’aumentare da uno a due i mesi di congedo ben indennizzati perché non condizionarne la fruizione alla condivisione tra entrambi i genitori? Se ci sono, naturalmente. Oppure, perché invece non allungare il congedo di paternità oggi fermo a 10 risicati giorni? Si ha l’impressione che invece si ritenga che la cura dei bambini, specie se piccoli, tocchi solo alle madri.
(da La Stampa)

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