Novembre 14th, 2023 Riccardo Fucile
IL SOSPETTO CHE IL DENARO VENGA GIRATO PER PAGARE GIORNALISTI, COMMENTATORI E INFLUENCER: MA VA, DAVVERO? NON CE NE ERAVAMO ACCORTI
C’è un fiume di denaro in contanti che l’Ambasciata russa a Roma
muove da un anno e mezzo. Prelievi senza sosta che hanno destato l’interesse e i sospetti della nostra intelligence tanto che il Copasir è stato informato del caso. La nuova policy, in voga tra i diplomatici russi, ha inizio in un momento ben preciso: da quando Mosca ha dichiarato guerra a Kiev invadendo l’Ucraina.
Il volume dei soldi prelevati è notevole, si parla di una cifra che supera i 4 milioni di euro, in certi casi anche con richieste allo sportello intorno ai 100mila euro per volta.
I diplomatici russi hanno prelevato da due conti correnti dell’ambasciata nella Capitale del nostro Paese. L’anomalia, perché di anomalia si tratta, ha fatto suonare tutti gli alert di Banca d’Italia, in particolare l’Ufficio di informazione finanziaria, meglio conosciuto come l’Uif. Ebbene, in poco più di 18 mesi, sono state inviate una ventina di segnalazioni per operazioni sospette, le famose Sos.
Ma per quale motivo l’ambasciata russa ha inaugurato questa nuova prassi? La risposta a questa domanda non è affatto semplice. Chi monitora il fenomeno si affida a delle ipotesi, indagare in casi simili è complesso per via delle guarentigie che tutelano il corpo diplomatico di qualsiasi Paese, ma anche per la capacità dei russi di sapersi muovere con abilità e discrezione.
Di sicuro le sanzioni che hanno colpito Mosca in Occidente non giustificano questa nuova e singolare consuetudine, i conti correnti delle ambasciate non hanno subito limitazioni stringenti.
A voler valutare l’ipotesi meno gravosa si pensa che questi prelievi siano giustificati per pagare in contanti gli stessi dipendenti della principale e più importante sede diplomatica del Cremlino in Italia. Ma è un’opzione debole, l’ipotesi peggiore, e forse la più credibile, è che il denaro prelevato sia frutto di una più complessa strategia che si poggia sull’informazione: riceverne e veicolarla.
Quindi pagare in nero determinati soggetti senza lasciare traccia, i target in questo caso sarebbero le forze armate o altri settori vitali dello Stato che possono fornire, dietro pagamento, informazioni rilevanti, ad esempio su delle nuove armi.
Il caso dell’ufficiale della Marina Walter Biot arrestato il 30 marzo del 2021 per spionaggio mentre passava una pennina con documenti top secret a un agente del Gru ne è un esempio. Ma, come si diceva prima, è possibile che il denaro venga impiegato anche per veicolare informazioni: pagare influencer, giornalisti o commentatori affinché sposino la causa del Cremlino in Italia condizionando così l’opinione pubblica.
(da La Repubblica)
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Novembre 14th, 2023 Riccardo Fucile
IL PREMIER, FINITO NELL’INDAGINE PER UN CASO DI OMONIMIA CON IL SUO MINISTRO DELL’ECONOMIA, ORMAI HA PRESENTATO LE DIMISSIONI E SONO STATE CONVOCATE ELEZIONI ANTICIPATE…AVEVA DETTO, NON HA INTENZIONE DI RICANDIDARSI. ORA CAMBIERA’ IDEA?
L’inchiesta giudiziaria che la settimana scorsa ha scatenato un terremoto politico in Portogallo, spingendo il primo ministro António Costa a dimettersi, si è rivelata ancora di più un flop. Ieri, infatti, gli imprenditori e politici indagati e tenuti in stato di fermo nell’ambito dell’operazione «influencer» sono stati tutti scarcerati.
Domenica, al termine di tutti gli interrogatori, il pubblico ministero aveva chiesto la carcerazione preventiva per Vítor Escária, capo di gabinetto del primo ministro, e per il consulente Diogo Lacerda Machado, mentre per il sindaco socialista di Sines, Nuno Mascarenhas, era stata chiesta la sospensione dall’incarico. Il giudice ha invece deciso di sottoporli a misure cautelari più lievi, come l’obbligo di firma, il divieto di espatrio o il pagamento di una cauzione.
Inoltre, fatto ancor più rilevante, il giudice istruttore ha fatto cadere le accuse più gravi nei loro confronti, quelle di corruzione e abuso d’ufficio, lasciando soltanto quella di traffico di influenze.
Nel mirino della magistratura, per giunta, il premier portoghese ci è finito per un caso di omonimia con il suo ministro dell’Economia Antonio Costa Silva. La procura portoghese ha ammesso di aver «sbagliato la trascrizione del nome» dell’indagato, mentre il premier si è sempre dichiarato innocente. Ma ormai ha presentato le dimissioni al presidente Marcelo Rebelo de Sousa e convocato elezioni anticipati alle quali, aveva detto, non ha intenzione di ricandidarsi. «Il pubblico ministero ha riconosciuto l’errore», scrive il quotidiano portoghese “Publico”.
(da il Messaggero)
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Novembre 14th, 2023 Riccardo Fucile
“PRENDETEVI CURA DELLE VITE, PERCHE’ A GAZA C’E’ VITA”
I parenti di alcuni degli ostaggi israeliani rapiti da Hamas il 7 ottobre e
tenuti prigionieri nella Striscia di Gaza si sono scagliati contro il governo israeliano. Molti accusano l’esecutivo del primo ministro Benjamin Netanyahu e i servizi segreti di non essere riuscito a prevedere l’attacco e a proteggere i loro cari.
Come riporta il quotidiano Haaretz, in un incontro organizzato nella Knesset (il Parlamento israeliano, ndr) lunedì 13 novembre, a cui erano presenti ministri e familiari degli ostaggi, Gil Dikman, cugino di Carmel Ga, rapito il 7 ottobre scorso insieme alla moglie Yarden Roman Gat ha rivolto parole durissime contro Galit Distal Atbaryan, parlamentare ed ex ministra per la diplomazia di Israele, per alcune sue affermazioni in cui aveva parlato di “radere al suolo Gaza”.
“Mio cugino è a Gaza, così come sua moglie e i suoi bambini. Come possiamo provare noi sentendola parlare in questo modo? Come se nemmeno fossimo qui”, ha detto Dikman. “Se avete ancora un briciolo di umanità in voi, smettetela di usare nei vostri slogan parole come “radere al suolo” o “distruggere”. Sono le persone che voi avete abbandonato che volete annientare, ci sono esseri umani tenuti sotto scacco da un regime terroristico che voi volete distruggere. Prendetevi cura delle vite, perché c’è vita a Gaza, i nostri cari sono lì insieme a tante altre persone”.
Anche Shmuel Brodetz, padre di un altro ostaggio, Avishai, si è rivolto ad Atbaryan, chiedendole che cosa avrebbe detto se ci fossero stati i suoi bambini a Gaza. Brodetz ha anche detto che, se gli ostaggi sono ancora vivi, il governo dovrebbe impegnarsi immediatamente a cercare un accordo per il cessate il fuoco e riportare a casa i prigionieri.
L’approccio dell’esecutivo israeliano ha continuato a raccogliere forti critiche con il passare dei giorni. Le famiglie degli ostaggi hanno attaccato in particolare Gal Hirsch, l’ex militare scelto dal primo ministro Benjamin Netanyahu per coordinare le operazioni per il rilascio, per aver eccessivamente politicizzato la questione.
E il mese scorso sempre Gil Dikman si era scagliato contro Hirsch sui social media, dicendo che il primo incontro con le famiglie degli ostaggi era stato organizzato soltanto tre settimane dopo il loro rapimento, senza dare alcuna informazione sul loro stato di salute, ma invitandole semplicemente a confidare nel lavoro diplomatico.
“Le famiglie temono che non si stiano facendo negoziati seri per ottenere il rilascio degli ostaggi”, ha detto Ronen Tzur, portavoce dell’associazione che riunisce le famiglie dei rapiti, aggiungendo che i parenti degli ostaggi non daranno credito al governo all’infinito.
(da Fanpage)
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Novembre 14th, 2023 Riccardo Fucile
“E’ IMPRONTATA A UN’OTTICA DI BREVE PERIODO”… CRITICHE ANCHE ALL’AUMENTO DEL DEFICIT
“La manovra appare improntata a un’ottica di breve periodo, con interventi temporanei e frammentati”. L’Ufficio parlamentare di bilancio gela il governo Meloni, che – dopo aver trasmesso la legge di Bilancio alle Camere – ascolta con interesse le audizioni in Senato. Dall’Upb, rappresentato dalla presidente, l’economista Lilia Cavallari, arrivano diverse critiche: “Per il secondo anno consecutivo inoltre – ha continuato – si prevede sia un aumento del deficit per il primo anno rispetto a quanto precedentemente stabilito, sia il rinvio all’anno finale dell’orizzonte previsivo del conseguimento di un disavanzo inferiore al 3% del Pil”. Insomma, non arrivano solo ovazioni per la manovra Meloni, ma critiche molto simili tra loro: la scorsa settimana era stato il Fmi, ieri Bankitalia.
“Alla luce delle oggettive condizioni di incertezza e instabilità dello scenario, combinate con il peso del debito e la debole dinamica del Pil nel nostro paese, i già forti vincoli di bilancio si fanno più stringenti – ha spiegato Cavallari – Sebbene l’impatto della manovra sia coerente con gli obiettivi programmatici stabiliti nella Nadef 2023 e nel Dpb 2024, ogni rallentamento sulla strada obbligata di riduzione del debito rischia di comprimere ulteriormente i margini di manovra per affrontare condizioni sfavorevoli, come shock inattesi o rallentamenti della crescita”. Le previsioni macroeconomiche ufficiali sono “ancora accettabili per il 2023”, mentre sono “decisamente aumentati i rischi al ribasso per l’anno prossimo”.
A salvare la situazione possono essere due fattori: “Gli obiettivi di crescita del governo per il 2024 sono raggiungibili, ma solo sotto l’ipotesi che si rafforzi consistentemente la domanda estera e che avanzino speditamente i progetti del Pnrr”. Lo stesso Piano che, in queste ore, viene fortemente criticato da un filone di economisti, come spiegato da Tito Boeri a Fanpage.it. “Il Pnrr ha un ruolo centrale per il sostegno dell’economia e la sua attuazione non può ammettere rinvii – ha insistito invece Cavallari – Secondo stime dell’Upb, il pieno avanzamento dei progetti del Pnrr fornirebbe uno stimolo all’attività economica che, se pur appena inferiori rispetto a quello prefigurato dal Mef, è determinante per lo sviluppo nel prossimo biennio”.
La misura principale – anche a livello di oneri – è il taglio del cuneo combinato alla rimodulazione dell’Irpef: “L’effetto è più consistente sugli operai, con un vantaggio medio della categoria del 3,4% dell’imponibile, seguiti dagli impiegati con un più contenuto 1,9% – ha spiegato Cavallari – Per i pensionati, l’incidenza del beneficio e il beneficio assoluto risultano inferiori a quelli di operai e impiegati. La decontribuzione premia sempre, in rapporto al reddito, in modo particolare i più giovani, soprattutto entro i 35 anni”. Il motivo è presto detto: sotto ai 35 anni gli stipendi sono sensibilmente più bassi. “Dalle analisi Upb, l’intervento sull’Irpef risulta sostanzialmente neutrale dal punto di vista della redistribuzione – ha continuato l’economista – Includendo anche la decontribuzione, l’impatto diventa progressivo”. Il taglio del cuneo, se oggi garantisce supporto ai redditi medio-bassi, alla lunga rischia di diventare “un forte disincentivo al lavoro che renderebbe più complesso il raggiungimento degli accordi di rinnovo contrattuale”.
La bocciatura dell’Upb arriva anche sulla sanità: “Il finanziamento del Sistema sanitario nazionale per il 2024 potrebbe non coprire integralmente le spese, anche tenendo conto dei potenziali livelli di spesa farmaceutica, dell’applicazione dei nuovi Lea e del contenzioso delle imprese sul payback – ha detto Cavallari – Ulteriori difficoltà, in tutto il periodo di programmazione, potrebbero sorgere in relazione alle carenze di personale e all’impatto di nuova pressione dei prezzi dei beni energetici sul settore sanitario”.
(da Fanpage)
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Novembre 14th, 2023 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA DI FANPAGE SU DOVE FINISCONO I SOLDI DELLE AVIS DI NAPOLI E ROMA
Nel sentire comune, l’Avis, viene quasi percepita come “un’istituzione pubblica”, in realtà si tratta di un’associazione privata senza scopo di lucro che opera con finalità di interesse pubblico: la raccolta di sangue che viene messo a disposizione degli ospedali, delle Asl e di tutte le strutture della sanità pubblica. Fanpage.it ha lavorato per diversi mesi al monitoraggio delle attività di raccolta sangue dell’Avis di Napoli ed ha approfondito i movimenti economici di alcune Avis locali in Campania e Lazio per capire dove finiscono i soldi pagati dal servizio sanitario nazionale per il sangue raccolto.
Le nostre telecamere nascoste hanno registrato diverse violazioni dei protocolli sanitari durante le raccolte del sangue svolte alle emoteche mobili in strade e piazze. Una serie di omissioni e violazioni delle più semplici norme che regolano la donazione del sangue che oltre a rappresentare una difformità rispetto alle leggi in vigore, mettono a rischio la salute pubblica. Inoltre, abbiamo svelato un sistema con cui alcuni dirigenti delle Avis locali hanno fatto finire i soldi raccolti dalle associazioni no profit nelle tasche dei propri familiari. Un vero e proprio business che nulla ha a che fare con il volontariato e la solidarietà.
“Facciamo un’eccezione”
L’Avis in Italia conta oltre 1 milione e 200 mila donatori. Si tratta di un patrimonio indispensabile per il servizio sanitario nazionale. Senza le loro donazioni di sangue ci sarebbe maggiore difficoltà per le trasfusioni e per la produzione di farmaci emoderivati. Il sangue può essere raccolto o presso le sedi ufficiali delle associazioni, oppure in strada, con le emoteche mobili, fenomeno diffuso solo in alcune città. Tra queste c’è Napoli, dove le nostre telecamere nascoste hanno ripreso per diverse settimane il comportamento di alcuni volontari e medici dell’Avis durante la raccolta del sangue in strada. Abbiamo visto come alcuni volontari Avis pur di raccogliere una sacca di sangue in più, sembrerebbero essere disposti a tutto. Un donatore deve rispettare diverse prescrizioni per poter dare il sangue: non bisogna avere tatuaggi fatti di recente, non bisogna assumere determinati tipi di farmaci, deve esserci la chiara e precisa identità del donatore. Questi sono solo alcune delle oltre 70 condizioni che vengono richieste nella scheda di anamnesi che i volontari dovrebbero far compilare al donatore.
Invece le nostre spycam mostrano che non solo alcuni volontari non consegnerebbero la scheda di anamnesi ai donatori, compilandola loro e non mostrandola mai alle persone che si apprestano a donare, violando palesemente i protocolli, ma suggerirebbero risposte alle domande poste dai medici. “Hai fatto un tatuaggio recentemente? Se te lo chiede il medico dici che lo hai fatto quattro mesi fa, altrimenti non puoi donare” dice una volontaria alla nostra giornalista che si è finta donatrice. Un invito a dichiarare il falso e una violazione dei protocolli sanitari. “Prendete antistaminici e cortisonici? Ok va bene” dice una dottoressa dell’Avis di Napoli ad un’altra potenziale donatrice. Anche questa una violazione dei protocolli sanitari. “Non ha il documento d’identità? Va bene facciamo un’eccezione, poi ce lo manda per whatsapp” è l’affermazione di un’altra volontaria dell’Avis durante una donazione.
Il rischio è quello di mettere in circolo sangue non tracciabile o peggio ancora che possa essere esposto a rischi. “Il questionario anamnestico è un foglio informativo – spiega a Fanpage.it il dott. Antonio Pavan, primario di Immunoematologia del Policlinico Umberto I di Roma – in cui vengono riportati tutti quelli che possono essere gli eventuali comportamenti a rischio del donatore e i farmaci che sono utilizzati. Si tratta di una dichiarazione ufficiale del donatore e ha anche valore legale. Dichiarare il falso può essere molto rischioso”. È giusto tuttavia aggiungere che le strutture sanitarie pubbliche svolgono comunque analisi e accertamenti dettagliati e approfonditi sulla donazione del sangue. Esami che, tuttavia, hanno un costo che grava sulla collettività e che inoltre non possono che basarsi sulle dichiarazioni scritte nell’anamnesi del donatore.
Non solo. Oltre ai volontari, che pur di raccogliere sangue, sarebbero disposti a violare le procedure sanitarie, ci sono alcuni medici, pagati dall’Avis, che si assumono la responsabilità di come viene raccolto il sangue e delle eventuali omissioni o violazioni procedurali. Ma chi sono questi medici? A spiegarcelo è un dottore dell’Ospedale Cardarelli di Napoli, con cui l’Avis locale ha una convenzione. “I medici delle associazioni sono medici a gettone – ci racconta – se io vado in una zona e inizio a scartare troppe persone, sto facendo un danno all’associazione”. Insomma se si applica la legge, bisogna scartare dai donatori diverse tipologie, come ad esempio chi assume cortisonici, chi ha fatto un tatuaggio recente, chi non ha documento. Quello che abbiamo ripreso per diverse settimane nei luoghi di raccolta dell’Avis di Napoli ci viene confermato anche da alcuni ex volontari dell’associazione. “Molto spesso vengono commessi degli errori sanitari – ci racconta un ex volontario dell’Avis di Napoli – si viene invogliati a chiudere un occhio per incassare di più”
“C’è una consigliera dietro”
Nata nel 1927, l’Avis è una associazione privata strutturata in maniera federativa con associazioni comunali, provinciali, regionali e la struttura nazionale. L’Avis non è la sola associazione che in Italia si occupa della raccolta di sangue da fornire alla sanità pubblica. Per raccogliere più sangue possibile con le emoteche mobili, le Avis locali devono presidiare i luoghi più affollati della città. A Napoli l’Avis riesce ad ottenere la concessione delle vie e delle piazze più affollate per un periodo lunghissimo, senza consentire, di fatto, a nessuna altra associazione di potersi aggiudicare anche solo per pochi giorni le migliori postazioni. Via Toledo, Piazza del Gesù, Piazza Garibaldi, sono alcuni dei luoghi dove le emoteche dell’Avis di Napoli stazionano quasi ogni giorno. Si tratta di un fenomeno, quello della raccolta del sangue da donatori occasionali, che è particolarmente diffusa nel capoluogo campano e meno diffusa nel resto d’Italia.
Ci siamo recati più volte agli uffici comunali interessati per capire come fosse possibile che l’Avis di Napoli si aggiudicasse sempre le migliori postazioni sempre, in un caso addirittura per un anno intero. Fingendoci membri di un’associazione per la raccolta del sangue abbiamo fatto vari tentativi di richiesta degli stessi luoghi di raccolta solitamente usati dall’Avis Napoli. Dopo estenuanti discussioni ci hanno detto come stanno le cose. “Senta ma come è possibile che l’Avis riesce ad ottenere tutte queste autorizzazioni?” chiediamo negli uffici del Comune. “Noi purtroppo siamo perseguitati, c’è una consigliera comunale che ci perseguita e ci bombarda. Noi però non vi abbiamo detto niente” ci rispondono. In altre parole, l‘Avis di Napoli godrebbe quindi della sponsorizzazione di una consigliera comunale che farebbe pressione sugli uffici comunali per il rilascio delle autorizzazioni. La stessa consigliera comunale organizza e sponsorizza gli eventi dell’Avis di Napoli. I dirigenti dell’Avis di Napoli si sentono quindi “blindati” dalla politica per ottenere quante più sacche di sangue possibili da dare poi al servizio sanitario pubblico in cambio di soldi. Una condizione che si evince chiaramente dalle parole di Raffaele Di Martino, presidente dell’Avis Napoli 1, durante un incontro sul tema organizzato all’ospedale Cardarelli. “Noi abbiamo dei posti storici e ritengo che debbano esserci lasciati liberi. Io a via Roma ho costruito una vita, quindi (gli altri ndr) a via Roma no” dice Di Martino. Quando il rappresentante di un’altra associazione gli fa notare che: “Via Roma non ve la siete comprata”, Di Martino replica: “Tra vent’anni quando io non ci sarò più, rivendicherete le vostre posizioni”
Il “sistema” degli affitti
Quando le Avis locali raccolgono le donazioni di sangue, le sacche vengono conferite alle strutture ospedaliere o alle Asl con cui le singole Avis locali sottoscrivono delle convenzioni. Per ogni sacca di sangue raccolto le Avis ricevono un rimborso di circa 56 euro. Solo nel 2022 le Avis di tutta Italia hanno raccolto quasi due milioni di sacche di sangue per un corrispettivo stimabile in decine di milioni di euro. Ma dove finiscono i soldi che si incassano dal servizio sanitario nazionale? Quello che abbiamo scoperto è un sistema messo in piedi da alcuni dei dirigenti più influenti dell’Avis in Campania per “girare” parte dei soldi che l’associazione raccoglie ad alcuni dei loro famigliari. Tutto gira intorno al pagamento dell’affitto per le sedi delle Avis locali.
A Casalnuovo, in provincia di Napoli, la sede dell’Avis locale si trova in via Saggese, si tratta di diversi locali al piano terra fronte strada. La proprietà dell’immobile, a cui l’Avis locale paga l’affitto con un regolare contratto, è della Urania srl. I due proprietari della società sono Almonio Burattini, responsabile dell’Avis Casalnuovo e il figlio di Leonardo De Rosa il direttore sanitario dell’Avis regionale. Lo stesso schema si ripete a Napoli, dove in via Rosaroll hanno sede l’Avis Napoli 1 e l’Avis Campania. I due appartamenti al primo piano sono di proprietà della moglie, della figlia e del figlio di Bruno Landi, storico dirigente Avis campano.
I contratti di affitto regolarmente registrati, che abbiamo visionato, descrivono una locazione di circa 20mila euro all’anno, per gli appartamenti usati come sedi dell’Avis locale. L’Avis, vale la pena di ribadirlo, è una federazione di associazioni di volontariato: si tratta quindi di no profit, strutture senza scopo di lucro, nelle cui attività i membri ed i soci non possono trarre guadagno in maniera diretta o indiretta. A Bruno Landi abbiamo chiesto conto di questa situazione, ma il dirigente non ha trovato nulla da eccepire. “Le proprietà sono intestate ai miei figli, c’è un regolare contratto registrato, è tutto a posto” dice Landi davanti alle nostre telecamere. Insistiamo: non ci trova nulla di strano nel fatto che l’associazione paghi l’affitto ai suoi figli? “Non c’è nulla di strano, se c’è qualcosa che non va me lo faccia sapere” commenta
La consulenza alla moglie dell’ex presidente
La gestione familiare dei soldi delle Avis non riguarda solo la Campania: anche nel Lazio abbiamo trovato situazioni analoghe, in cui i soldi dell’associazione finiscono di fatto nelle tasche dei familiari dei dirigenti. Il caso che abbiamo preso in esame è quello della “Casa del donatore”, una struttura malconcia situata alla periferia Nord di Roma, che l’Avis locale ricevette dalla Regione Lazio nel 2018 per farne una struttura specializzata per la donazione del sangue. A volere fortemente il progetto fu l’ex presidente dell’Avis di Roma, Maurizio Infantino, che utilizzò queste parole in occasione della presentazione del progetto: “La casa del donatore è un luogo dove le persone diventano volontari, i volontari diventano donatori, sarà il luogo dove poter donare”.
Sotto la presidenza di Infantino, l’Avis di Roma affida una consulenza per la realizzazione del progetto della struttura alla società In Pocket srl. La proprietà della società è divisa tra lo stesso Infantino e sua moglie. Raggiunto al telefono da Fanpage.it, Infantino ha commentato: “Il mio obiettivo in quel momento era risparmiare soldi – dice l’ex presidente dell’Avis Roma – oggi direi che non è stata opportuna quella cosa, io impropriamente ho dato disponibilità. Avrei dovuto dire di no, ma tante cose sono state fatte in pieno spirito solidaristico”.
Ma dopo che la società di Infantino e della moglie ha incassato la consulenza per il progetto della Casa del Donatore, cosa ne è stato della struttura? Siamo andati a verificarlo di persona. La struttura oggi è in evidente stato di abbandono. Un vicino ci spiega cosa ne è stato di quella che doveva essere la Casa del Donatore: “Hanno cominciato a fare dei lavori – ci dice – poi è successo qualcosa ai vertici dell’Avis ed hanno abbandonato la storia. Si vede che hanno visto solo il progetto sulla carta, perché non se ne è fatto più niente”.
Abbiamo chiesto all’attuale presidente dell’Avis di Roma, Raniero Ranieri un commento sulla vicenda della “Casa del donatore”: “Noi abbiamo abbandonato la Casa del Donatore, per me è un capitolo chiuso e non vorrei che non fosse mai riaperto. Non voglio assolutamente riaprire quel caso, il vecchio consiglio direttivo aveva deciso di fare un certo progetto, fu deciso a maggioranza di andare avanti ed è stato portato avanti fino a quando c’era Infantino, poi il nuovo consiglio direttivo ha deciso di fermare tutto. Abbiamo restituito l’immobile alla Regione Lazio e non vogliamo fare nessuna polemica retroattiva su quello che è successo precedentemente. Non voglio fare nessuna azione né pro e né contro, per me questa cosa è chiusa per sempre”. A Raniero Ranieri abbiamo chiesto se l’operazione della “Casa del Donatore” ha lasciato danni economici ai conti dell’Avis Roma, per capire quanto sia costata l’operazione: “Per me la vicenda è chiusa, non voglio aprire nessun contezioso. Se volete ne parlate con l’Avis nazionale”
La risposta di Avis: “Infangano l’associazione”
Siamo andati, infine, dal presidente nazionale dell’Avis, Gianpietro Briola, per mostrargli quanto abbiamo documentato. Medico di pronto soccorso, Briola ci accoglie all’ospedale dove presta servizio in provincia di Brescia. Gli mostriamo tutto quello che abbiamo raccolto ed i documenti che attestano il travaso di denaro dalle casse delle Avis locali di Napoli e Roma alle tasche dei familiari dei dirigenti. E la prima cosa che gli chiediamo è proprio questa: è un problema la gestione dei soldi che vengono presi dal servizio sanitario nazionale? “Assolutamente sì – risponde il presidente dell’Avis nazionale – ogni sezione ha una sua autonomia gestionale e allora in questo sono i dirigenti locali che devono rispondere delle cose che fanno davanti alla legge. L’associazione non deve essere concepita né come un bene personale, né come un ritorno economico. Su Napoli poi avevamo già avuto dei problemi, pensavamo di averli superati”.
Ma a Briola mostriamo anche quello che avviene presso le emoteche mobili, le registrazioni che documentano come i volontari violino i protocolli sanitari, e tutta la storia della Casa del Donatore di Roma. Briola è visibilmente sconcertato: “Sinceramente io, carte alla mano, farò sicuramente un esposto – ci dice – infangano il buon lavoro di migliaia di volontari che lavorano sul territorio e di milioni di donatori”. L’appello che noi facciamo e che ribadiamo, l’Avis è fatta soprattutto di brave persone – sottolinea Briola – sul territorio c’è bisogno di donare, quindi a tutti chiediamo di venire a donare il sangue, non per Avis, ma per i malati che ne hanno bisogno ogni giorno”.
(da Fanpage)
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Novembre 14th, 2023 Riccardo Fucile
AD ESEMPIO, IL MINISTRO FITTO NON DICE IN CHE TEMPI PREVEDE DI SPENDERE I 191,5 MILIARDI CONCESSI DA BRUXELLES DA QUI AL 2026…EPPURE STANDARD & POOR’S È STATA CHIARA: “IL PIENO DISPIEGAMENTO DEI FONDI È FONDAMENTALE ANCHE PER EVITARE UN DECLASSAMENTO DEL RATING
L’Italia sta attraversando indenne l’attuale ciclo di revisione dei rating da parte delle più importanti agenzie del mondo. Può darsi che ciò si spieghi anche con un passaparola, forse avviato riservatamente dal Tesoro americano: in un mondo con due guerre drammatiche e molte ferite aperte – finanziarie e politiche – evitiamo, se possibile, di innescare nuove crisi.
Certa è invece la ragione di fondo fornita dalla più importante delle agenzie di rating, S&P, nel graziare l’Italia: “Entro il 2025, prevediamo che la crescita del prodotto interno lordo italiani segnerà una ripresa sopra l’1%, dopo una decelerazione nel 2023-2024. Decisivo per questo risultato è il pieno dispiegamento dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza”.
In sostanza il Pnrr ci ha salvati da un brutto voto sul rating. Già, ma come va il Pnrr? La risposta sincera è che non lo sappiamo: non sono pubblicamente disponibili gli elementi per valutare. Eppure sarebbe essenziale.
Per capire quanto essenziale, guardate il grafico qui sopra. Lo ha pubblicato il ministero dell’Economia nell’ultima nota di aggiornamento economico-finanziaria (Nadef) e poi di nuovo nel Documento programmatico collegato alla Legge di bilancio ora in parlamento. Il grafico mostra l’andamento previsto del debito pubblico dell’Italia nei prossimi undici anni, in diversi scenari.
Vedete subito che c’è un’ipotesi-horror, appropriatamente in rosso cupo, denominata “scenario A”, in cui il debito torna a esplodere fino quasi al 150% del Pil. Quando l’ho vista, ho pensato: vabbè, dev’essere quello che succede se va proprio tutto storto. Chessò, altre epidemie, altri choc energetici, un governo iper-populista.
Poi però ho letto bene il Documento programmatico di bilancio e ho scoperto che lo scenario-horror è semplicemente ciò che accade, in sostanza, se continuiamo a andare più o meno come stiamo andando: i conti restano più o meno dove oggi stiamo sperando che saranno nel 2026 (deficit previsto in calo al 2,9% del pil); il surplus di bilancio prima di pagare gli interessi sul debito resta a un livello francamente alto e virtuoso per le nostre medie storiche (più 1,6% del Pil); la demografia declinante resta quella che è; il costo in interessi del debito aumenta come sta già aumentando; e soprattutto la crescita resta debole – com’è già, da un quarto di secolo – se il sistema-Italia resta allo stato attuale. Dunque è lo stesso governo che ci sta dicendo che se continuiamo su questa strada, ci schiantiamo. Chiaro?
Qui entrano in gioco gli altri scenari del grafico qui sopra. Quello migliore, in giallo (debito in calo verso il 120% del Pil nel 2034), implica che continuiamo a ridurre il deficit e alzare il surplus prima di pagare gli interessi sul debito ma, soprattutto, realizziamo davvero il Pnrr e questo successo ci permette di crescere di più.
Lo realizziamo tutto: gli investimenti e anche le riforme che vanno con questi: da una giustizia più efficiente, a un’amministrazione più capace, a una scuola più adatta alle esigenze dei bambini e ragazzi, a una sanità territoriale più avvicinabile dai pazienti. E tutto il resto. Per questo è davvero vitale capire come sta andando realmente il Pnrr.
Ci sono stati anche segnali incoraggianti, per esempio mi sembra di intuire che la Commissione europea sia abbastanza soddisfatta della proposta di revisione di 57 misure su circa 300 avanzata in estate dal governo. Ma, appunto, oggi è molto difficile dire come sta andando realmente il Pnrr.
Per chiarire cosa intendo guardate questi altri due grafici, molto semplici. Quello immediatamente qua sotto (”Tavola I.1”) mostra il programma del governo sul Pnrr in tutti gli anni del Piano. Con i volumi, le variazioni anno per anno e le modifiche nei programmi rispetto ad alcuni mesi prima. Molto dettagliato. Ma era il programma steso e presentato dal governo di Mario Draghi nella Nadef del settembre 2022.
Il programma presentato nell’ultima Nadef, quella di settembre scorso, si presenta invece così come lo riporto nel grafico immediatamente qua sotto (Tavola III.3). Le sei colonne anno per anno con le varie righe sulle variazioni in corso d’opera sono scomparse. Lasciano il posto a un’unica colonna “2020-2026”.
Il governo ha smesso di dirci in che tempi prevede di spendere i 191,5 miliardi del Pnrr da quest’anno al 2026. Ci dice solo che intende farlo. In realtà però qualche informazione la si può desumere. Per esempio nell’ultima Nadef il governo dice che gli “investimenti fissi lordi” nel 2023 saranno pari al 2,9% del Pil, mentre nell’ultima Nadef di Draghi e del ministro Daniele Franco per quest’anno erano previsti al 3,3% del Pil (circa 8 miliardi in più di quanto preveda ora il governo Giorgia Meloni-Giancarlo Giorgetti).
Se si considera la quota degli “investimenti fissi lordi” sul totale dei fondi del Pnrr, si può immaginare che l’attuale governo, almeno a settembre scorso, avesse in mente di spendere fondi del Piano per circa una trentina di miliardi quest’anno. Forse qualcosa di meno. E’ probabile che anche trenta miliardi di spesa nel 2023 siano un obiettivo troppo ambizioso, se si guarda ai bandi di gara già lanciati e agli impegni di spesa di enti come i comuni. Draghi e Franco invece, poco più di un anno fa, programmavano che quest’anno sarebbero stati spesi 40,9 miliardi.
Un po’ di ritardo si sta accumulando. Era forse inevitabile, l’Italia in questo non è certo sola e in sé non è un dramma. Più problematica è la scarsa visibilità dell’esterno nella scatola nera del Pnrr. La banca dati pubblica sul Piano, “Universo Regis”, è molto dettagliata ma non include la colonna di numeri sulla spesa già effettuata. Il ministro delegato al Pnrr Raffaele Fitto ieri non era immediatamente disponibile a rispondere alle mie domande di chiarimento su questi dati.
E anche questo lo capisco, per carità. Ma né il ministro, né l’intera unità di missione sul Pnrr a Palazzo Chigi, né l’intero dipartimento delle Politiche europee della Presidenza del Consiglio – che ha accentrato il controllo di circa 350 miliardi di euro fra Pnrr, fondi europei e fondi nazionali – non ha, che io sappia, un portavoce che risponda alle domande dei giornalisti. Non solo questo.
Perché questo è il punto: stiamo vivendo questo passaggio fondamentale per il nostro futuro come la solita medicina europea, con l’idea che si vive meglio se se ne parla poco. Non come qualcosa di nostro. E chi la gestisce – forse avvertendo questa contraddizione – preferisce farlo in modo un po’ carbonaro, dando all’esterno meno informazioni possibile. Meno, francamente, della dose minima che dovrebbe essere consentita.
Questa cultura italiana del nascondersi mentre si lavora sulle questioni “europee” non è certo un’esclusiva della destra. A sinistra gli esempi non sono certo mancati in passato, né mancano oggi nelle amministrazioni locali a guida Pd. Ma temo che sia un clamoroso autogol: non abbiamo nessuna chance di fare del Pnrr il successo che ci serve così disperatamente, se chi governa non ne fa una missione che l’intero Paese sente come propria. Perché implica dei cambiamenti che non si fanno certo con un tratto di penna in un palazzo, perché devono vivere nella società e nei comportamenti di tantissimi italiani.
Credo sinceramente che il ministro Fitto lavori duro per il successo del Piano e lo voglia, più di ogni altro. Ma ha bisogno di aprire le finestre. Dunque gli rivolgo un invito: ministro, comunichi di più. E inizi a farlo sul “Corriere della Sera”. Siamo pronti a ospitarla, quando vuole.
(da Il Corriere della Sera)
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Novembre 14th, 2023 Riccardo Fucile
UNA DEPUTATA DEMOCRATICA, ILHAN OMAR, ORIGINARIA DELLA SOMALIA, PROVA A BLOCCARE UN PACCHETTO DI AIUTI MILITARE DA 320 MILIONI DI DOLLARI DIRETTO IN ISRAELE…E C’È CHI ADDIRITTURA FA CAUSA A “SLEEPY JOE” “PER NON AVER IMPEDITO IL GENOCIDIO A GAZA”
Più di 30 organizzazioni religiose e di attivisti – fra le quali Oxfam America, Amnesty International e Center for Civilians in Conflict – scrivono al Pentagono per chiedere la sospensione delle forniture di munizioni a Israele. “In queste circostanze concedere al governo di Israele l’accesso a queste munizioni mettere a rischio la protezione di civili, il rispetto della legge internazionale e la credibilità dell’amministrazione Biden”, affermano le associazioni nella missiva riportata dal Washington Post.
La deputata democratica Ilhan Omar introdurrà nei prossimi giorni in aula un provvedimento per bloccare un pacchetto da 320 milioni di dollari di bombe destinate dall’amministrazione Biden a Israele. Lo riporta Huffington Post citando alcune fonti, secondo le quali Omar presenterà entro mercoledì una risoluzione per disapprovare la vendita.
Il Center for Constitutional Rights (Ccr), gruppo per la difesa dei diritti civili di New York, fa causa al presidente americano Joe Biden per aver fallito nei suoi obblighi previsti dalla legge americana e internazionale nel prevenire il “genocidio” di Israele a Gaza.
L’azione legale chiede alla Corte di vietare agli Stati Uniti di fornire armi e sostegno diplomatico a Israele e punta a ottenere una dichiarazione dal presidente, dal segretario di Stato Antony Blinken e da quello alla Difesa Lloyd Austin che richieda vengano prese “tutte le misure per prevenire che Israele commetta atti di genocidio contro i palestinesi di Gaza”.
L’azione del Ccr è da parte di alcuni gruppi palestinesi e alcuni individui. L’associazione è salita alle cronache nel 2004 quanto ha ottenuto dalla Corte Suprema i diritti per i prigionieri di Guantanamo.
(da agenzie)
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Novembre 14th, 2023 Riccardo Fucile
COSA COMPORTA LA PRECETTAZIONE E IL NON RISPETTO DELLA STESSA
Perché c’è uno scontro sullo sciopero proclamato da Cgil e Uil per il 17
novembre?
Perché secondo i due sindacati che lo hanno indetto, quello del 17 è uno sciopero generale, che riguarderà il pubblico impiego, i trasporti e gli altri settori sottoposti alla legge 146 del 1990 di regolamentazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, La Commissione di garanzia sugli scioperi nei servizi pubblici essenziali non è d’accordo con questa impostazione, ma va ricordato che la Commissione è espressione del Governo
Cosa dice la Commissione?
Che quello del 17 non è uno sciopero generale ma intersettoriale, riguardando solo una parte dei lavoratori e del territorio. Non essendoci uno sciopero generale, i lavoratori dei trasporti devono sottostare alle regole di settore e limitare l’astensione dal lavoro a 4 ore. Ma Cgil e Uil hanno confermato che lo sciopero del 17 sarà per l’intera giornata, fermi restando i servizi minimi previsti dalla legge.
Il ministro dei Trasporti Matteo Salvini minaccia la precettazione per imporre la riduzione a 4 ore della durata della protesta nel settore dei trasporti.
Che cosa succede con la precettazione?
Che i lavoratori devono attenersi al provvedimento di limitazione della durata dello sciopero. In caso contrario, scattano sanzioni amministrative pecuniarie a carico dei sindacati e dei singoli lavoratori.
Contro il provvedimento di precettazione si può ricorrere al Tar, ma l’impugnazione non sospende l’immediata esecutività dell’ordinanza.
(da Il Corriere della Sera)
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Novembre 14th, 2023 Riccardo Fucile
MELONI CERCA DI ALLONTARE IL DIALOGO CON LE OPPOSIZIONI CHE L’ALA MODERASTA DELLA MAGGIORANZA VORREBBE TENERE APERTA
Una campagna referendaria iniziata almeno con un anno di anticipo. Molto prima dei passaggi parlamentari previsti. Giorgia Meloni ha deciso di intestarsi la battaglia per la riforma della Costituzione con un video-spot arrivato in larghissimo anticipo, diffuso sui suoi canali social.
Il premierato all’italiana, vaticinato dalla ministra Elisabetta Casellati, diventa il premierato di Meloni, che bypassa le intermediazioni come stile comunicativo dominante. «Ci ha messo la faccia», sostengono i suoi fedelissimi, rivendicando la prova di forza. Lo sguardo è lanciato alla Terza Repubblica.
ADDIO DIALOGO
La possibilità del confronto in parlamento sembra già archiviata, è scoccata l’ora della propaganda, della necessità di spiegare ai cittadini la bontà della riforma battendosi contro le opposizioni pronte alle barricate. Eppure, la presidente del Consiglio aveva avuto già modo di spiegare la ratio del testo nel corso della conferenza stampa di presentazione. Non le è bastato. Il filmato degli “Appunti di Giorgia”, la sua rubrica ripescata ogni volte che serve, ha saltato a piè pari qualsiasi ipotesi di confronto. La donna sola al comando ha rotto gli indugi.
Meloni si colloca così nella scia di Matteo Renzi che si era spinto un passo in avanti con il celebre annuncio: «Se perdo lascio la politica». La premier smentisce di voler seguire la stessa logica. L’ordine impartito da Palazzo Chigi al corpaccione di Fratelli d’Italia è quello che il mandato della premier non dipende dal via libera alla riforma.
E poco conta che si inneschi un cortocircuito: a parole viene smentito il “modello-Renzi”, quello del referendum personalizzato, per quanto venga di fatto praticato. Ha voluto imprimere il proprio marchio, osservano nella maggioranza. «Sarebbe stato logico a pochi mesi dal referendum, ora ha un senso diverso», evidenziano anche nel centrodestra.
ALLEATI E DUBBI
L’accelerazione ha infatti colto di sorpresa gli stessi alleati, Forza Italia e Lega, che hanno preso atto di una questione tutta politica: Meloni ha scelto di personalizzare la sfida, prima ancora che il testo arrivasse al Senato dove avvierà l’iter di discussione.
All’interno di Forza Italia è montato un particolare scetticismo: «Sarebbe opportuno una maggiore cautela sul tema per tenere aperto un confronto con le altre forze parlamentari», ragionano i berlusconiani, evitando al momento di uscire allo scoperto. Sul parallelismo con Renzi, a microfoni spenti, più di qualcuno ammette nella maggioranza: «È evidente che abbia deciso di fare un referendum su se stessa». Cosa succederà dopo? «Chissà, ora è tutto prematuro», si muovono con prudenza anche in Fi.
Nella Lega, la mossa è stata interpretata come un cambio di passo nella strategia. E probabilmente come un’intenzione di spingere sull’acceleratore anche in parlamento per arrivare a un doppio “sì” entro le Europee.
Così, seppure in maniera indiretta, la risposta è stata affidata al capogruppo al Senato, Massimiliano Romeo: «Va bene il premierato, ma insieme all’autonomia», ha sostenuto in un’intervista al quotidiano La Verità. Il vicepremier Matteo Salvini ha fatto passare il messaggio: Meloni può intestarsi la riforma del sistema istituzionale, ma i leghisti devono portare a casa la propria bandiera politica.
Qualche paletto arriva da un altro alleato del centrodestra, il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro: «Se prendi meno del 40 per cento, secondo me ci deve essere un ballottaggio». Nessuno tra gli alleati, insomma, ha compreso la voglia di accelerare, è stata l’ennesima iniziativa non concordata. Il ritmo veloce della propaganda deve però fare i conti con un dato di realtà, di un cammino della riforma inevitabilmente lungo: il giudizio referendario arriverà solo dopo i passaggi parlamentari.
PREMIERATO MELONI
«Quel video è una legittima parte di comunicazione con cui Meloni cerca di trovare consenso popolare nella riforma», minimizza Gianfranco Rotondi, deputato di estrazione democristiana e oggi nel gruppo alla Camera di Fratelli d’Italia. Insomma, è una fisiologica azione di propaganda. Non è un rifiuto del dialogo, secondo la lettura dell’ex ministro del governo Berlusconi.
«Ma c’è», dice a Domani Rotondi, «un altro elemento da valutare. Il confronto di Palazzo per cui bisogna cercare un dialogo con la sinistra. Meloni ha già rinunciato al presidenzialismo, avanzano una proposta più garbata anche nei confronti del Quirinale. Ma il Pd sinora è fermo sulla posizione dell’intangibilità della Costituzione, teorizzata dal costituzionalista Leopoldo Elia».
Nella sua ottica il parlamentare eletto nelle liste di Fdi vede, però, uno spazio di dialogo e quindi di modifica della proposta di premierato: «Proprio Elia, però, aveva indicato una possibile riforma con il cancellierato». Non tutto è definito.
E il modello istituzionale tedesco potrebbe essere il punto di caduta. Se non sarà utile a trovare un’intesa unitaria in parlamento, quantomeno potrà spaccare il fronte della maggioranza.
Le parti più moderate del centrodestra sono sensibili a un discorso orientato al cancellierato. Il leader di Azione, Carlo Calenda, ha fiutato l’aria: «Prendiamo il modello tedesco, perché i modelli istituzionali non li puoi inventare, li devi prendere da quelli che funzionano. La Germania funziona», ha detto in un colloquio con l’agenzia Adnkronos. «Siamo sulla strada sbagliata, se pensiamo che un problema di primi ministri che perdono consenso», ha quindi aggiunto Calenda.
Ma il piglio di Meloni è quello di chi non cerca il vero dialogo: la proposta illustrata nel video è sul tavolo, nello stile prendere o lasciare. Tanto che la presidente del Consiglio ha mostrato la stanza di Palazzo Chigi che ospita le immagini dei predecessori, sottolineando che la sua foto sarà messa tra molto tempo.
«Almeno quattro anni», ha detto. Con una speranza: che siano molti di più con il via libera alla riforma della Costituzione. Quello che sogna di trasformare nel premierato di Meloni.
(da editorialedomani.it)
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