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I PUTINIANI BATTONO I TACCHI PER VANNACCI: GIOVEDÌ 11 GENNAIO IL GENERALE SCRIBACCHINO PRESENTERÀ IL SUO LIBRO ALLA PRESENZA DI ALCUNI DEI PRINCIPALI SUPPORTER ITALIANI DI “MAD VLAD”

Dicembre 30th, 2023 Riccardo Fucile

CI SARANNO L’EX DEPUTATO LEGHISTA VITO COMENCINI E IL CONSIGLIERE REGIONALE STEFANO VALDEGAMBERI…IL GIALLO SULL’ESPERIENZA MOSCOVITA DI VANNACCI E QUELLO SULLA CANDIDATURA ALLE EUROPEE

Giovedì 11 gennaio, alle 20.30, in un albergo di Verona ci sarà un incontro a cui parteciperanno alcuni dei principali supporter italiani della Russia di Vladimir Putin. Il centro dell’incontro però non sarà Mosca. Ma il generale Roberto Vannacci, e il suo libro, il Mondo al contrario.
Il militare in carriera – rientrato da pochi giorni al lavoro con il prestigiosissimo incarico di capo di stato maggiore delle forze operative terrestri – discuterà del suo testo al centro delle polemiche da mesi – per alcuni dei suoi passi omofobi e razzisti – con accanto personaggi legati tra loro da una, meglio due circostanze: sono tutti filo-putiniani. O con un presente o passato nella Lega.
Ci sarà infatti Vito Comencini, parlamentare veronese, che all’inizio della guerra in Ucraina, da San Pietroburgo dove era in vacanza con sua moglie russa, si era detto pronto a correre in Donbass per “portare solidarietà” ai profughi russi: “l’invasione dell’Ucraina è una conseguenza della guerra in Donbass e del mancato rispetto ucraino degli accordi di Minsk” aveva detto in un’intervista a Repubblica.
Accanto a Comencini e Vannacci si siederà il consigliere regionale Stefano Valdegamberi, un ultras del presidente russo. E soprattutto, secondo un’inchiesta di Occrp, il portale internazionale di giornalismo investigativo, a libro paga del Cremlino. “Mi rifiuto di commentare le fake news – ha detto al Foglio lo scorso anno – Io conosco bene i russi, i loro sentimenti, i loro torti ma anche le loro ragioni: non possiamo soltanto colpevolizzarli. Se fossi uno stratega, il nordest dell’Italia sarebbe tra i primi obiettivi di un eventuale attacco nucleare”.
A legare Valdegamberi a Comencini l’amore per la Crimea e la convinzione che il comportamento del governo russo sia cristallino: proprio grazie alla loro iniziativa, infatti, il Veneto fu il primo ente al mondo a riconoscere l’annessione della penisola ucraina nel 2014. Provvedimento che poi il Consiglio fu costretto a cancellare in tutta fretta.
Nell’ultimo periodo Valdegamberi è stato grande sponsor del vaccino russo Sputnik, anche se poi è diventato sostenitore dei no vax oltre a sposare posizioni rigidissime della destra ultracattolica. Ma sempre lui ha recentemente meritato titoli di cronaca per un altro delirio: ha dato della “satanista” ad Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, la studentessa uccisa dal suo ex fidanzato, diventata simbolo della battaglia contro i femminicidi.
A organizzare l’incontro di Verona è stato un terzo politico, il consigliere comunale – leghista, poi transitato in una lista civica – Rosario Russo, difensore oltranzista della famiglia tradizionale, da sempre vicino a Comencini.
Ma perché i filo-putiniani sono con Vannacci? Nei mesi scorsi è venuta fuori la vicinanza di Vannacci al governo russo, maturata nel periodo in cui il militare ha lavorato proprio a Mosca nell’ambasciata italiana, prima di essere espulso insieme con gli altri diplomatici.
Avvenne come gesto di reazione della Russia a una decisione analoga presa dall’Italia, dopo lo scandalo Biot, l’ufficiale di Marina condannato per aver venduto segreti militari proprio ai russi. Tale vicinanza è stata respinta con sdegno dal generale, anche di recente in occasione di un botta e risposta con Bruno Vespa.
Non è un mistero però che i rapporti di Vannacci con i suoi omologhi russi fossero ottimi: era il suo lavoro, certo. Ma il militare italiano non ha mai nascosto una certa sua contrarietà al fronte atlantico
Chiedo al ministro della Difesa, Guido Crosetto: è tutto normale?” dice il parlamentare di Italia viva, e membro del Copasir, Enrico Borghi.
Non è tutto: perché secondo molti proprio la presentazione del libro in Veneto sarebbe soltanto l’antipasto della candidatura alle Europee, proprio con la Lega, del generale Vannacci. “Si può fare campagna elettorale in divisa?” si chiede ancora Borghi. Forse tra 10 giorni a Verona potrebbe arrivare qualche risposta.
(da La Repubblica)

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MEDICO INTERNISTA E 18 ORE DI FILA DI LAVORO: “NON DORMIVO PIU’ PER LO STRESS E ORA CI RIDUCONO LA PENSIONE”

Dicembre 30th, 2023 Riccardo Fucile

“SIAMO PURE MINACCIATI DAI PARENTI, NON E’ PIU’ VITA QUESTA”

Marco Evangelista, 37 anni, medico internista napoletano e responsabile regionale giovani del sindacato Anaao, il pensiero di mollare tutto lo ha fatto. «Lavoro anche 18 ore di fila, subisco le minacce dei familiari dei pazienti e con i carichi di lavoro che ho non dormo la notte per paura di aver commesso qualche errore».
Evangelista, alla fine cosa ha deciso?
«Due mesi fa stavo per mollare tutto e tornare al privato poi ho optato per il passaggio da un ospedale di prima linea com’è quello di Frattamaggiore a un più tranquillo, come il Monaldi di Napoli. Ma ho vissuto la scelta come una sconfitta professionale, perché dovremmo essere messi nelle condizioni di lavorare meglio proprio dove c’è più bisogno».
Ha ricevuto anche minacce e aggressioni?
«Altro che. E questo ha finito per non farmi più lavorare serenamente. Magari evito un intervento necessario perché a rischio o chiedo aiuto a un collega del quale prima non avrei avuto bisogno».
Com’era la sua precedente vita nel privato?
«Sicuramente migliore, ma ero e resto innamorato del servizio pubblico e per questo avevo scelto di lavorare in quello che qui chiamano il triangolo della malavita. Ma sono arrivato a non vedere più moglie e figli, lavorando in questo modo si rischia anche di commettere errori».
Ne ha fatti?
«Per fare un’anamnesi serve tempo, quello che soprattutto nei reparti di emergenza e urgenza spesso manca. Quando arrivi in pronto soccorso devi occuparti di 10-20 pazienti del turno precedente e ce ne sono anche di più che aspettano di essere presi in carico. Così l’errore più facile è lo scambio di paziente. E poi si rischia di non seguire fino in fondo i percorsi assistenziali o di somministrare una terapia che andava data a un altro».
Un bello stress…
«A volte non sono riuscito a dormire per l’angoscia di aver sbagliato qualcosa, come non aver ordinato una tac o un ricovero».
Come vede il suo futuro professionale?
«Come per molti colleghi con inquietudine e poche prospettive di carriera, visto che andrò in pensione a 72 anni e con un assegno modesto, comunque lontano dalle aspettative precedenti a questa manovra che ha messo in discussione diritti che sembravano acquisiti. Un bel modo per avvicinare i giovani al Ssn».
(da La Stampa)

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LA RESA DELLA GUARDIA MEDICA DI TORINO: “IN UN SOLO GIORNO 5.800 CIAMATE, 6 ORE DI ATTESA PER PARLARE AL DOTTORE”

Dicembre 30th, 2023 Riccardo Fucile

COVID, INFLUENZA E CHIUSURA DEGLI STUDI DEI MEDICI DI BASE HANNO CAUSATO IL CAOS

«Le ore di attesa per essere messi in contatto con un medico sono arrivate ben oltre le sei ore e mezza e in questa situazione di stress lavorativo, la Centrale alle volte nonostante abbia distinto i sintomi d’allarme (es. dolore toracico, mancanza del respiro) presentati dagli utenti, non ha potuto dare una priorità, come da protocollo».
«Nella sola giornata del 26 dicembre fino alle ore 20, la Centrale operativa ha ricevuto all’incirca 5800 chiamate, di cui 2900 sono state gestite e quindi messe in comunicazione diretta con un medico; le restanti sono state perse o dissuase dal sistema per il troppo afflusso». E «una volta contattatati gli utenti, in alcuni casi, già si trovavano in Pronto Soccorso, andando ad oberare ancor di più gli accessi ospedalieri».
E’ la fotografia del collasso del servizio di assistenza nei giorni festivi, denunciato da un comunicato di FIMMG che descrivere le problematiche lavorative che i Medici di Continuità Assistenziale di Torino e provincia (ex Guardia medica) hanno avuto in questo ponte di festività natalizie. In pratica i pochi medici turno sono stati travolti da una marea di chiamate che hanno determinato il crollo delle possibilità di assistenza a chi ne aveva bisogno: l’organizzazione della Centrale di risposta 116117, primo contatto e filtro tra i medici del servizio e l’utente, ha fatto il possibile e l’impossibile: «i medici presenti per consentire i giorni di riposo dei colleghi di medicina generale si sono trovati a gestire l’alta affluenza di pazienti dovuta al picco influenzale e la recrudescenza del covid offrendo una professionalità ed una abnegazione che hanno impedito l’aggravarsi del ricorso all’accesso improprio nei Pronto soccorso degli ospedali e risolvendo il più possibile le problematiche sanitarie che gli venivano presentate: il 25 dicembre, i medici hanno gestito circa 2700 utenti, tra consulenze e visite domiciliari, in Torino e provincia».
Ma si sarebbe potuto e dovuto fare di più: «In seguito alle numerose e reiterate criticità presentatesi in questi giorni di festività l’organizzazione precaria della Centrale ci aveva spinto a segnalare le problematiche che avevano portato ad un disservizio nei giorni di festività dell’Immacolata ad inizio mese; la richiesta di un tavolo tecnico urgente per affrontare queste difficoltà prima del nuovo ponte natalizio inoltrata ad Azienda Zero è stata rinviata al mese di gennaio del prossimo anno anziché essere calendarizzata subito».
E così, «Durante gli orari mattutini delle giornate dal 23 al 26 dicembre, per diverse ore molti utenti non sono riusciti a contattare telefonicamente gli operatori della Centrale al numero 116117 (la voce registrata avvisava che tutte le linee erano occupate e di riprovare più tardi). Ai medici a volte non sono state inoltrate le chiamate degli utenti che erano in attesa di un consulto sanitario nonostante fossero liberi: quando i dottori hanno sollecitato gli operatori della Centrale operativa perché assegnassero le schede ferme in coda, questi in più occasioni hanno spiegato di essere eccessivamente oberati di lavoro per il numero di persone (solamente otto operatori al mattino e quattordici al pomeriggio per una popolazione di quasi due milioni e mezzo di abitanti della Città Metropolitana) e di non riuscire a passare più celermente le schede degli utenti, anche a causa dei rallentamenti dei sistemi informatici».
(da La Stampa)

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“NOI NON CI SIAMO MAI MESSI IN FILA PER MANGIARE AL PASTATION”: I DOMICILIARI A TOMMASO VERDINI SCATENANO I FRATELLI D’ITALIA CHE NON VEDEVANO L’ORA DI VENDICARSI SU SALVINI

Dicembre 30th, 2023 Riccardo Fucile

IL MELONIANO GIOVANNI DONZELLI SI RINGALLUZZISCE E RIVENDICA LA DISTANZA DAL “MACELLAIO” DENIS: “CE NE SIAMO ANDATI DAL PDL PERCHÉ C’ERA LUI”

Davanti a microfoni e taccuini anche i colonnelli di via della Scrofa ieri ostentavano indifferenza. «Non leggo le intercettazioni », metteva a verbale il capogruppo alla Camera, Tommaso Foti, mentre a pochi passi colleghi di rango raccontavano che le carte, invece, «vanno studiate». E pure bene.
Dato che finora la vicenda affaristico-giudiziaria sembra confinata nel campo leghista, c’è anche chi dentro FdI in queste ore rivendica la distanza da Verdini. Imperniandoci quasi una contro-storia della nascita di Fratelli d’Italia: «Ce ne siamo andati dal Pdl perché c’era lui!».
Ecco Giovanni Donzelli, il braccio destro di Meloni nel partito: «Noi non ci siamo mai messi in fila per mangiare al PaStation », cioè il locale gourmet di Verdini jr dietro via Veneto. Come dire: col cognato di Salvini non abbiamo nulla a che spartire.
L’unico ad intrattenere buoni rapporti con “Denis”, non si sa quanto recenti, è Ignazio La Russa. «Ma non ci parlava di politica, erano altri a farlo, mica noi», è la versione di Donzelli. Anche quando si rievoca qualche frase sibillina rilasciata a mezza bocca da Verdini senior, che recentemente si è auto-definito tra le persone «più informate d’Italia», dentro FdI hanno la risposta pronta: «Noi, comunque, non siamo ricattabili». Valeva per Berlusconi, figuriamoci per quello che fu uno dei suoi più fidati (e temuti) factotum.
Il capo del Carroccio, di presentarsi davanti al Parlamento per parlare di Anas e corruzione, non ci pensa proprio. «Non cambio la mia agenda perché me lo chiedono i 5 Stelle o il Pd», è il ragionamento riportato a chi, anche dentro FdI, l’aveva sondato sul tema ieri mattina.
Dentro il Carroccio la difesa del capo – e del sottosegretario Federico Freni – suona più o meno così: le commesse sotto la lente dei pm sono roba vecchia. Epoca Draghi, anche se le carte smentiscono questa ricostruzione e anzi nelle intercettazioni la cricca esultava proprio perché il ministero dei Trasporti era finito in mano a Salvini.
Troncare e sopire, è l’ordine di scuderia che Giancarlo Giorgetti ha interpretato benissimo. In corridoio, mentre tutto intorno si parlava solo del caso Verdini-Freni, fingeva di cadere dal pero: «E cos’è il caso Freni?».
(da La Repubblica)

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NON C’È PIÙ BISOGNO DI “PARENTI SERPENTI” IN TV: CON “LOLLO” AL GOVERNO, LA REALTÀ HA SUPERATO IL CINEMA

Dicembre 30th, 2023 Riccardo Fucile

QUEST’ANNO IL CAPOLAVORO DI MONICELLI È SPARITO MISTERIOSAMENTE DAI PALINSESTI DELLE FESTIVITÀ, DI CUI È UN GRANDE CLASSICO

Nel panorama dei film natalizi trasmessi in Tv in chiaro sui canali generalisti, quest’anno “arricchita” (?) dalle pellicole Hallmark e Lifetime tanto zuccherose da causare attacchi glicemici, i telemorenti sono abituati a due imperdibili appuntamenti ben più cinici: Una poltrona per due e Parenti Serpenti.
Ma se l’irriverente film di John Landis con Dan Aykroyd, Eddie Murphy e la popputa Jamie Lee Curtis è andato in onda regolarmente il 24 dicembre scorso per la ventiseiesima vigilia di Natale consecutiva, riuscendo a superare i già straordinari ascolti del 2022, ecco che la dissacrante commedia nera di Mario Monicelli risulta desaparecida.
Uscito nelle sale trentuno anni fa, e costellato d’interpreti magistrali quali – fra gli altri – Marina Confalone, Cinzia Leone, Alessandro Haber, Paolo Panelli e Monica Scattini, Parenti Serpenti quest’anno non è presente nei palinsesti di fine 2023.
In realtà, la guerra tra fratelli e cognati per scongiurare l’eventualità di ospitare gli anziani genitori, al punto di assassinarli con una stufa difettosa, era assente anche a fine 2022. Quando invece nel 2021 andò in onda addirittura in prima serata il 31 dicembre su La7.
L’Assenza sarà dovuta al fatto che Parenti Serpenti è stato inserito nel bouquet di Netflix? Probabile.
Ma, scherzandoci sopra, si potrebbe azzardare l’ipotesi che con l’avvento del governo Meloni, con la sua insistenza sui valori della famiglia tradizionale, non vi sia più posto in tv per la storia del clan raccontato da Monicelli ove regna l’ipocrisia, ove cognato e cognata hanno una relazione clandestina finendo pure fotografati sulle riviste pornografiche per scambisti, ove il fratello tanto amato è segretamente gay e convive da anni con un uomo, e ove tra sorelle ci si detesta e ci si invidia.
Una famiglia come c’insegna la cronaca, anche quella nera, paradossalmente non troppo lontana dalla realtà.
Chi volesse ritrovare le ciniche atmosfere del clan narrato da Monicelli può dunque rivolgersi a Netflix. In alternativa, in chiaro su La7, il 31 in prima serata ci si può divertire con la trasgressione di A qualcuno piace caldo. Per quest’anno i maschi en travesti parrebbero ancora tollerati…
(da Dagospia)

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E’ L’IRRILEVANZA LA CIFRA POLITICA DI FORZA ITALIA NEL GOVERNO MELONI

Dicembre 30th, 2023 Riccardo Fucile

LE CAUSE PERSE DI TAJANI, DAL MES AL SUPERBNUS: UN PARTITO SENZA IDEE, AMANTE DELLA SPESA PUBBLICA E VAGAMENTE ANTIEUROPEISTA

“Noi di Forza Italia siamo molto soddisfatti”, ha detto al Corriere della Sera riferendosi al Superbonus. Eppure Antonio Tajani non ha ottenuto praticamente nulla di quanto richiesto: niente proroga del 110 per cento, niente Sal straordinario, solo la garanzia che chi non riesce a finire i lavori non dovrà restituire i soldi.
Non è la prima volta che il leader di Forza Italia esulta per una sconfitta. Il 7 agosto, dopo il Cdm che aveva approvato la tassa sugli extraprofitti delle banche, era soddisfatto: “Da mesi diciamo che la Bce sbaglia ad alzare i tassi di interesse e questa è l’inevitabile conseguenza”, disse sempre al Corriere, precisando che non si trattava di una misura contro le banche ma “a protezione delle famiglie”. Pochi giorni dopo qualcuno, probabilmente Marina Berlusconi, gli ha spiegato perché FI doveva essere contro e Tajani iniziò a criticare la tassa perché “non era stata discussa prima”.
Si era entusiasmato per qualcosa che non aveva letto né capito. Probabilmente accadrà lo stesso con la norma sul Superbonus, dopo che qualcuno avrà spiegato ai vertici di FI in cosa consiste. Anche se difficilmente andrà a finire come sulla tassa sugli extraprofitti, poi di fatto cancellata e trasformata in un accantonamento. Perché la modifica della tassa sugli extraprofitti è avvenuta per il pressing delle banche e per la volontà del ministro dell’Economia Giorgetti, che si era reso conto dell’impatto negativo sui mercati. Nel caso del Superbonus, lo scenario è opposto: la diga di Giorgetti ha retto e la reazione dei mercati sarebbe negativa se il governo tornasse sui suoi passi. Tajani ha rivendicato il merito della revisione della tassa sulle banche, ma il suo compito in Cdm era quello di impedire che una cosa del genere accadesse. In sostanza, non è stato determinante né nell’evitare l’approvazione della tassa né nella sua soppressione.
È questa ininfluenza la cifra di Forza Italia nel governo Meloni, dovuta da un lato all’incapacità di tagliare traguardi raggiungibili e dall’altro alla scelta di obiettivi impossibili. Alla prima categoria va ascritta la bocciatura in Parlamento del Mes. Un’azione efficace di FI avrebbe fatto bene al partito, che per una volta si sarebbe mostrato decisivo, e anche al governo, che non si sarebbe autoisolato in Europa. Invece Tajani ha rinunciato a giocare la partita, per evitare uno scontro nella maggioranza. E così non solo il mondo ha assistito all’imbarazzante scena del partito del ministro degli Esteri che si astiene sulla ratifica di un trattato internazionale, ma si è finalmente svelata in Europa l’illusione che Tajani sia l’esponente del Ppe capace di incidere sul governo.
Alla categoria degli obiettivi impossibili appartengono tutte le cause perse scelte da FI in un anno di governo: la proroga della maggior tutela, pretesa dal ministro Pichetto Fratin in contrasto con il Pnrr (che è poi diventata una battaglia del Pd di Elly Schlein); l’aumento delle pensioni minime; la proroga del Superbonus; la difesa dei balneari da parte di Gasparri, in contrasto con la Bolkestein. Tutte richieste che sono o incompatibili con i vincoli di bilancio oppure con il diritto europeo e che mettono in difficoltà la stessa Giorgia Meloni. La premier, preoccupata da un possibile crollo di FI alle europee che avrebbe ripercussioni sul governo, vorrebbe tanto accontentare Tajani ma non può, se le richieste sono queste.
Quello che una volta voleva essere il “partito liberale di massa” si presenta ora alle europee rattrappito, senza idee, come il partito della spesa pubblica (dal Superbonus alle pensioni) e vagamente antieuropeista (dai balneari alla maggior tutela, passando per gli attacchi alla Bce e l’astensione sul Mes). Un’offerta poco allettante per l’elettorato liberale, moderato ed europeista che dovrebbe rappresentare e che rischia di non superare la soglia del 4 per cento. Ieri ha lasciato il partito Aldo Patriciello, storico eurodeputato di FI, che alle scorse europee ha preso 83 mila preferenze, circa 15 mila in più di Tajani. Meglio di lui solo Silvio Berlusconi, che non c’è più.
(da ilfoglio.it)

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MIGRANTI, DUE BARCONI CON 132 PERSONE SOCCORSI AL LARGO DI LAMPEDUSA, A BORDO ANCHE IL CADAVERE DI UN GIOVANE

Dicembre 30th, 2023 Riccardo Fucile

LA OCEAN VIKING HA SOCCORSO 244 PERSONE, LA GEO BARTNS 336

Sul barcone soccorso davanti alle coste di Lampedusa c’era anche il cadavere di un giovane pakistano. In tutto, a bordo, si trovavano 132 persone, provenienti per lo più da Bangladesh, Ghana, Siria, Egitto, Eritrea, Nigeria, Sudan, Somalia, Gambia e Pakistan appunto. Hanno raccontato di essere partite da Zwara, in Libia. Non è stato l’unico barchino ad arrivare sull’isola siciliana, oggi: in giornata erano sbarcati anche 18 migranti provenienti da Tunisia e Marocco, partiti da Mareth.
Il giovane pakistano, di appena 25 anni, sarebbe morto per asfissia a causa delle esalazioni del gas del motore. Questo almeno è quanto stabilito da una prima ispezione cadaverica eseguita alla camera mortuaria del cimitero di Lampedusa. Mercoledì scorso un giovane egiziano era arrivato senza vita sull’isola: domani è stata predisposta l’autopsia sul suo corpo, ma quasi certamente l’uomo è morto per un colpo d’arma da fuoco nel momento dell’imbarco sa Zuara.
Nell’hotspot dell’isola al momento ci sono quasi 300 persone. In giornata ne sono partite oltre 600, trasferite con i traghetti di linea a Porto Empedocle.
Intanto la nave umanitaria Ocean Viking è diretta a Bari, dopo aver soccorso 244 persone in zona Sar libica. A bordo ci sono anche 18 minori non accompagnati e otto donne, di cui due incinte. Invece, la Geo Barents è in direzione di Ravenna: la nave di Medici senza frontiere ha soccorso in totale 336 persone in tre operazioni diverse. Provengono da Pakistan, Siria, Nord Sudan, Eritrea, Egitto, Nigeria, Palestina, Sud Sudan, Sri Lanka, Yemen, Bangladesh, India, Senegal. Si tratta di 299 uomini, tre donne e 37 sono minori, di cui 27 non accompagnati. L’arrivo al porto di Ravenna è previsto per il. 2 gennaio.
(da Fanpage)

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CASO VERDINI, LE CHIAVETTE USB E GLI INCONTRI IN CUI SI “PILOTAVANO GLI APPALTI”

Dicembre 30th, 2023 Riccardo Fucile

EMERGONO ALTRI DETTAGLI DAL LAVORO DELLA PROCURA DI ROMA

Nell’inchiesta della procura di Roma che ha portato agli arresti domiciliari Tommaso Verdini, figlio dell’ex parlamentare Denis, anch’egli finito sotto indagine emergono dettagli particolari. Come l’uso delle chiavette USB, cariche di documentazione (riservata), riporta il Corriere della Sera, che finivanoN puntuali sulle scrivanie degli imprenditori. Il «sistema gestito da Denis e Tommaso Verdini», testato sull’azienda Anas, poteva esser replicato ovunque. «Tre giorni dopo l’esecuzione delle perquisizioni – riporta la gip Francesca Ciranna- Pileri (Fabio Pileri, indagato per corruzione e colpito da interdittiva, ndr) mostrandosi preoccupato per il rinvenimento delle pennette, in una intercettazione ambientale riferendosi a Ciccotto (Angelo Ciccotto, imprenditore indagato, ndr) ha esclamato: “Vuoi scommettere che lo scemo l’ha salvata sul computer?”». La chiavetta, ora nelle mani del nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf, diventa un elemento prezioso all’indagine. Ma si terrà non prima della prossima settimana, forse il 3 gennaio, il primo confronto tra gli indagati e il gip di Roma che ha disposto 5 misure cautelari nell’ambito di una inchiesta su presunti illeciti in commesse in Anas tra cui una a 180 milioni di euro per il risanamento di gallerie.
L’accordo presunto con la Lega
In una intercettazione Pileri parla di un presunto accordo con la Lega. «Quando s’è fatto la lista d’accordo con Massimo – afferma l’indagato parlando con un imprenditore – quando nel Consiglio di amministrazione è passato con loro e gli ha dato una mano quello della Lega, lui ha fatto un accordo con quelli della Lega di futura collaborazione con Matteo e con noi tramite Freni un rapporto di intermediazione…ci ha chiesto una lista di persone interne a quel gruppo da aiutare e noi gli abbiamo messo un po’ di persone che ci hanno dato i nostri». Freni sarebbe il sottosegretario al Mef Federico Freni che, è bene ricordarlo, non è indagato nel procedimento. Secondo l’Ansa, che riporta la ricostruzione del gip «emerge che Denis Verdini è socio di fatto della Inver, decide la sua strategia, è colui che in virtù del suo peso politico e dei suoi rapporti con il sottosegretario Freni (non indagato nel procedimento, ndr) e con il dottor Bruno assicura sponde o appoggi tali da consentirgli, direttamente o tramite il figlio Tommaso, e Pileri di promettere e garantire» ai funzionari pubblici «avanzamenti di carriera in Anas o ricollocamento in posizioni lavorative di rilievo».
/da agenzie)

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MATTEO SALVINI E I CERCHI MAGICI: LA MALEDIZIONE ITALIANA

Dicembre 30th, 2023 Riccardo Fucile

DA BOSSI A RENZI, LA STORIA SI RIPETE

La chiameremo emergenza Cerchio Magico. È l’evenienza che prima fa prosperare le leadership italiane e poi le inchioda nel recinto di relazioni amicali e familiari ad alto rischio: gente che offre sostegno ma chiede pure tantissimo, che si prodiga ma poi pretende, che conosce segreti e quindi diventa ineludibile. Dopo l’ultima inchiesta su Denis Verdini e suo figlio Tommaso la domanda è ovvia: i due erano o no nel cerchio magico del loro quasi-genero e quasi-cognato Matteo Salvini? Millantavano le loro entrature col vertice leghista o ne avevano davvero? Possibili entrambe le versioni, ma non sarà certo la magistratura a dare risposte definitive a un interrogativo tutto politico.
Sta di fatto che l’emergenza Cerchio Magico evoca dolorosi déjà-vu a tutte le latitudini del Parlamento italiano ma soprattutto nella Lega. Il fondatore Umberto Bossi fu disarcionato proprio dagli impicci della sua corte, con massimo disonore, impotente davanti alle ramazze impugnate sul palco dai barbari di Roberto Maroni: un grande show simbolico contro il lordume affaristico di figli, figliocci, mogli, badanti e fedelissimi. Le cortesie di scambio di quella tavola rotonda, lauree facili pagate dal partito in Albania o spericolati acquisti di diamanti, inchiodarono il Senatùr all’imperdonabile accusa di aver ceduto alle lusinghe della romanità ladrona e di aver svenduto la celtica integrità degli esordi al familismo mediterraneo. Ci restò sotto, e di sicuro nel Carroccio nessuno ha dimenticato quelle orrende giornate.
Ma il «ti ricordi?» è pressante e velenoso pure sull’altro lato dell’affaire, quello dei Verdini, famiglia che risultò tangente a un altro potentissimo Cerchio Magico della nostra storia, il team Matteo Renzi, e anche lì: grandi onori ed enormi disavventure perché accordi politici e favori familiari diventarono scambi di informazioni strategiche, consulenze interessate, e alla fine qualcuno finì in galera, qualcuno no, tutti rimasero altamente screditati. Babbo Renzi, Luca Lotti, Maria Elena Boschi, babbo Boschi, una commissione d’inchiesta sulle Banche, una sequela di inchieste e titoloni. Verdini si era avvicinato al club ai tempi del Patto del Nazareno e aveva scommesso sui suoi soci in nome della comune toscanità. Nelle interviste si scherniva, faceva un po’ il finto tonto: «Renzi è molto più giovane di me, aveva rapporti più con i miei figli». Sì, proprio loro, Tommaso e Francesca. Ah, la famiglia.
I cerchi magici sono l’anello protettivo dei leader, insomma, ma anche il loro tallone d’Achille, la “moglie di Cesare” che dovrebbe essere al di sopra di ogni sospetto e invece ne genera a catena. Il caso dei Verdini è esemplare. Sicuro, o quantomeno probabilissimo, che né Matteo Salvini né la fidanzata Francesca Verdini (che si occupa di cinema) sapessero nulla delle società del quasi-cognato, del ruolo che esercitava il quasi-suocero e delle modalità con cui i suoi attaché spendevano le relazioni con la Lega per assicurarsi clienti. E tuttavia è Francesca la moglie di Cesare che finisce, senza che nessuno la nomini, al centro della richiesta di informativa urgente avanzata dalle opposizioni sul sistema di appalti pubblici banditi da Anas. Ed è evidente che quando i soci di Tommaso Verdini si rallegrano al telefono per il ritorno degli inviti a cena («Ora con Salvini ministro ci richiamano tutti») facevano riferimento a lei, ai rapporti di familiarità generati dalla sua presenza accanto al Capitano, e ovviamente alle loro potenzialità.
Un bel guaio. Non lo dice solo l’opposizione ma lo dimostra la cautela del mondo leghista, che tra le molte linee difensive disponibili ha scelto quella di limitarsi al portato giudiziario dell’affaire e retrodatare la questione al 2022 (data a cui risale la denuncia che ha generato l’inchiesta) per dire: non ci riguarda, non dobbiamo spiegazioni. Tiepidi gli alleati. «Deciderà Salvini se riferire in Aula, noi restiamo garantisti» dice Forza Italia: il minimo sindacale. Da FdI silenzio fino a tarda sera. Solo prudenza? O un segnale di distanza da un vice-premier che da tredici mesi sembra giocare solo per se stesso?
In realtà, tutti nel Centrodestra sentono avvicinarsi una nuova emergenza Cerchio Magico. Se ne stanno alla larga perché hanno esperienza diretta del rischio che si corre quando padri, fratelli, mogli, compagne, amici del cuore, per i più diversi motivi finiscono sotto i riflettori. Di Bossi e Renzi si è detto. Silvio Berlusconi scontò le sue fidanzate usa-e-getta con l’inchiesta su Ruby (e una valanga di milioni). La vecchia destra ci rimise un leader importantissimo, Gianfranco Fini. E pure quella nuova ha dovuto pagare la sua libbra di dolore a un quasi-marito televisivamente intemperante. Le lezioni dovrebbero essere abbastanza e tuttavia i Cerchi Magici si disfano e si riproducono a ogni legislatura, nessuno ci rinuncia, tutti se li tengono stretti, fino al fatidico momento del «Chi me lo ha fatto fare?», che di solito arriva troppo tardi.
(da La Stampa)

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