Maggio 24th, 2024 Riccardo Fucile
OGGI LO RITROVIAMO AUTORE DI “GRAMSCI È VIVO. SILLABARIO PER UN’EGEMONIA CULTURALE” (ALTRO CHE D’ANNUNZIO) … IL PASSAGGIO DA “ARISTOCRAZIA ARIANA” DI FREDA ALLA NOVELLA “ARISTOCRAZIA ARIANNA”, E’ COSA FATTA
«Gramsci è vivo», assicura Alessandro Giuli, e non scandalizzatevi se a resuscitarlo per l’occasione sono radunati anche alcuni eredi – ma ormai alla lontana, assicurano i Fratelli d’Italia – di quelli che all’epoca resero Gramsci diversamente vivo.
Alla libreria Mondadori di Roma, alla presentazione del libro di Giuli, Gramsci è vivo. Sillabario per una egemonia culturale, ospite d’onore tra il pubblico è Arianna Meloni, alla quale prima dei lavori proviamo a chiedere invano di Gramsci. «Non parlo», dice con un sorriso. Una solerte assistente della sorella della presidente del Consiglio conferma e taglia corto: «Oggi non parla». Oggi Arianna ascolta.
Alla Mondadori c’è la destra cui non basta il governo, il comando, le partecipate, la radiotelevisione italiana. Vorrebbe quello che ha avuto un tempo la sinistra: la primazia intellettuale, e persino una immagine da destra aperta e dialogante.
Vasto programma che Giuli, presidente del Maxxi di Roma e punta dell’intelligenza postmissina, si incarica di tradurre in questo slogan: «La destra deve fare ciò che la sinistra ha smesso di fare, perché il momento è ora e la sinistra non resterà per sempre nelle Ztl».
Giuli cita Bobbio, gli azionisti, prefigura una sorte di sinistra tricolore, cioè – sintesi nostra – una destra che metta insieme nazionalismo e socialismo, ma senza la crasi lessicale che inevitabilmente evocherebbe brutti ricordi. Come già Beppe Niccolai, ariete del fascismo rosso nel Movimento sociale italiano del dopoguerra, come già il decaduto Fabio Rampelli, che negli anni Novanta da capo dei Gabbiani riempì Roma con manifesti raffiguranti il Che Guevara, Giuli arruola per la missione di appropriazione culturale, direbbero alla Columbia, il volto più nazional-popolare, direbbe l’incolpevole Gramsci, del rossobrunismo.
Arriva infatti come relatrice Sabrina Ferilli, da tempo capace di passare da un ricordo berlingueriano a un insulto a Zelensky passando per la riabilitazione di Raggi e la denuncia della lobby ebraica a Hollywood.
Con Ferilli, due grandi giornalisti, ex comunisti, molto ex, ma cultori della materia, Giuliano Ferrara e Pierluigi Battista. Autore e relatori si accomodano proprio a fianco della pila di volumi su Matteotti, che con Gramsci ha condiviso il trattamento fascista ma non, almeno lui, il tentativo di recupero a destra.
Giuli spiega perché la generazione Atreju può riuscire nell’esercizio alto del potere mentre quella finiana arrivò impreparata. «A me Fiuggi non piacque, fu una cosa improvvisata e superficiale». E spiega: «È lecito non appropriarsi di Gramsci, ma ricordare che Gramsci considerava strategica la cultura e non solo una sovrastruttura del capitale».
Alla classe dirigente meloniana dice che è necessario «un ponte tra destra e sinistra. Non rinuncio alla mia storia, rinuncio a declamarla come Vannacci». Arianna applaude, non sapremo mai se il fantomatico ponte o se la puntura a Vannacci. Racconta Giuli: «Ho invitato Carlo Ginzburg al Maxxi e mi ha detto: non vengo perché siete nazisti. E io per dispetto ho scritto Gramsci è vivo». Dice Giuli che «abbiamo il dovere di dialogare. Tocca alla destra prendere sul serio la missione storica di uscire dalla delegittimazione reciproca». Arianna applaude, anche se il partito di cui è coordinatrice non pare impegnatissimo nella missione.
Ferrara diverte il pubblico: «Una volta venne da me un segretario provinciale del Pci che mi chiese: ma tu l’hai letto mai Gramski in edizione originale?». Tocca a Ferilli: «Sono qui come curiosa non come competente. La cosa che mi piace più di Alessandro è che del fascismo condanna le cose condannabili, anche se resta un affezionamento (sic) a determinati ideali e passaggi, e alcuni li condivido pure, come i rimandi al Risorgimento».
La curiosità di Ferilli risulta appagata dalla lettura del libro: «Ho scoperto di Gentile cose che non sapevo». L’attrice chiude criticando la sinistra che «oggi si occupa solo di diritti civili» ma comunque rimproverando a Meloni di non occuparsene: «Sono di sinistra e alcune cose di questo governo, te lo dico Alessandro, mi lasciano interdetta». Battista introduce un elemento biografico dell’autore: «Voi non lo sapete ma Giuli era un ultras della Roma, faceva a botte». Giuli conferma. Stavolta Arianna non applaude. Deve essere laziale.
(da agenzie)
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Maggio 24th, 2024 Riccardo Fucile
UNA DELLA VITTIME PARLA DI UNA RAGAZZA BIONDA CHE NON CORRISPONDE MINIMAMENTE A ILARIA: “IL VOLTO DELL’IMPUTATA? L’HO VISTA SOLO SUI GIORNALI”… E ALTRI DUE TESTIMONI CONFERMANO: “MAI VISTA”
È stato aggiornato al 6 settembre il processo a Ilaria Salis, la 39enne accusata di aggressione ai danni di militanti di estrema destra a Budapest. Per la prima volta l’attivista, candidata alle Europee per Avs, è stata portata in aula senza manette e catene alle caviglie. Giunta in tribunale assieme ai suoi genitori, ha fatto il suo arrivo tra i giornalisti e il sostegno dei suoi amici, tra cui spicca la presenza di Zerocalcare. Prima dell’inizio della terza udienza del processo a suo carico, Salis ha espresso il suo ringraziamento a tutte le persone che l’hanno sostenuta in questo travagliato percorso legale: «Voglio ringraziare tutte le persone che mi hanno supportato», ha affermato. Il giudice Josef Szos ha rivelato l’indirizzo dove Ilaria Salis sta scontando i domiciliari durante la terza udienza del processo a carico dell’ex insegnante.
NESSUNO DEI TESTIMONI L’HA RICONOSCIUTA
I tre testimoni sentiti oggi in aula non sono stati in grado di riconoscere Salis tra gli aggressori del gruppo di estrema destra.
Il primo a parlare, Zoltan Toth, intervenuto come parte lesa, non ha riconosciuto Salis. Collegato da un’altra aula con voce camuffata, Toth ha spiegato che «il 10 febbraio del 2023 all’uscita di un ufficio postale sono stato aggredito da dietro da persone che avevano il volto coperto e quindi non sono in grado di riconoscerne nessuna. Non hanno detto niente e non so se fossero uomini o donne».
Toth ha aggiunto che prima di entrare nell’ufficio postale «mi ha chiamato una donna con i capelli biondi che mi ha chiesto se partecipavo al giorno dell’Onore e ho detto di no. Sono entrato nell’ufficio postale e uscendo sono stato aggredito. Mi hanno colpito alla testa e sono caduto per terra cercando di proteggere la faccia. Non ho capito nulla, stavo male, ho cercato di sedermi e mi hanno spruzzato spray in faccia».
Toth ha spiegato di far parte di un’associazione «che protegge i valori ungheresi» e che «probabilmente sono stato aggredito per il mio abbigliamento».
(da agenzie)
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Maggio 24th, 2024 Riccardo Fucile
L’ANALISI PER REDDITO E FASCE D’ETA’
È la sintesi del sondaggio condotto da Cluster17 per il Fatto su un campione di 1.051 persone, di cui vi diamo conto nell’ultimo giorno utile prima del consueto black-out delle rilevazioni pre-Europee.
L’analisi di Cluster17 dà indicazioni anche sulle preferenze a seconda degli orientamenti socio-politici. E
merge per esempio che il Pd è primo partito tra chi si auto-definisce “progressista-radicale”, col 41 per cento, ma in questa fascia il M5S è alto, al 29 per cento. Il boom del Movimento è ancora tra gli “anti-sistema”, dove raccoglie il 69 per cento. FdI va sopra il 50 per cento sia tra i “tradizionalisti” che tra i “conservatori-moderati”, mentre insieme alla Lega (32) guida tra gli “euroscettici”.
Lo studio indaga pure la distribuzione del voto per età.
E l’anomalia è che il Pd vince tra gli estremi, potendo contare sul 29 per cento sia tra chi ha meno di 24 anni sia tra gli over 65.
Nelle fasce centrali si consolida invece il primato di FdI, che oscilla tra il 29 e il 37 per cento negli elettori dai 24 ai 64 anni.
Più naturale la distribuzione dei 5 Stelle, che partono alti tra i giovani (23 per cento) per poi calare fino al 12 per cento tra chi ha più di 65 anni. Non solo.
Un andamento simile lo si nota, per il Movimento, quando Cluster17 analizza il voto per fasce di reddito. I 5 Stelle sono la prima forza politica tra chi guadagna meno di 1.000 euro al mese (26 per cento, contro il 17 di FdI, il 16 del Pd e l’11 della Lega), cala tra il 15 e il 18 nella fascia di chi dichiara tra i 1.000 e i 3 mila euro al mese e crolla tra i redditi più alti, ottenendo il 7 per cento tra i 3 mila e i 5 mila euro e addirittura il 5 per cento sopra i 5 mila euro.
Percorso inverso fanno Lega e FI, rispettivamente al 14 e al 13 tra gli elettori più ricchi, mentre FdI soffre tra i più poveri (17 per cento, appunto) ma poi si mantiene in alto fino al 33 per cento registrato nella fascia sopra i 5 mila euro al mese.
E il Pd? Dal 16 per cento sotto ai 1.000 euro al mese sale progressivamente trovando il picco del 27 per cento tra i 3 mila e i 5 mila euro di reddito, per poi scendere al 19 tra i più ricchi.
Questi dati combaciano con quelli che l’istituto registra analizzando i votanti per tipi di professione.
Non meraviglia dunque che FdI (32 per cento) e Pd (28) siano primi tra “dirigenti e professioni intellettuali superiori”, mentre il 28 per cento degli operai sceglie M5S (il 25, FdI), così come il 26 dei disoccupati (il 22, il Pd). I dem sono invece primi tra i pensionati, dove raccolgono il 29 per cento, popolo ormai di riferimento molto più degli operai, dove il dato scende al 13, e degli impiegati (12 per cento, meno di FI al 16).
C’è tempo per cambiare idea? Il 59 per cento degli astensionisti si dice “completamente sicuro” della propria scelta, mentre il 41 per cento potrebbe scegliere altro. Qui favoriti sembrano essere Lega e FdI, che hanno l’89 e il 76 per cento di elettori “certi”, uno zoccolo duro a cui aggiungere voti. Magari dagli Stati Uniti d’Europa, che invece hanno la “certezza” solo del 44 per cento dei propri elettori. Cattive notizie, nella bagarre per il 4 per cento.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Maggio 24th, 2024 Riccardo Fucile
LA POLIZIA PENITENZIARIA: LE CARCERI ITALIANE SONO UNA BARZELLETTA
Dopo il suo rientro in Italia il condannato per omicidio Chico Forti è stato trasferito nel carcere di Verona. Poi ne è uscito per fare visita alla madre a Trento. Nel frattempo ha fatto anche qualche giro della struttura e si è meravigliato per il cuoco professionale che gli prepara pranzi e cene. Ma a quanto pare il trattamento non è piaciuto a tutti, spiega oggi Repubblica. «Venga qua con noi a vedere che inferno è questo», dicono gli altri carcerati come riporta l’associazione Sbarre di Zucchero. «Dispiace vedere questa situazione di privilegio, specie se ad assistere a questo spettacolo è gente che deve dividere pochi metri di spazi vitali in una cella», dice la moglie di un detenuto.
Le proteste
Marco Costantini, segretario di “Sbarre di zucchero”, aggiunge: «C’è gente che aspetta da 5 anni per andare a trovare la madre. E a volte c’è chi non riesce ad arrivare nemmeno in cimitero, per salutare il proprio caro deceduto. Perché con lui è tutto così veloce? In un carcere già problematico come Montorio non ci possono essere detenuti di Serie A e altri di serie Z».
Anche i sindacati sono arrabbiati. «Il carcere non è un palcoscenico nel quale star possano fare il loro show e avere trattamenti e benefici di grande riguardo», dice Aldo Di Giacomo, segretario del Sindacato di Polizia Penitenziaria. Che protesta anche per gli scatti del detenuto: «Il personale non fa il fotografo, ma ha compiti ben più seri a cui pensare. Ognuno si assuma le sue responsabilità: ci aspettiamo che l’amministrazione penitenziaria individui ogni responsabilità nell’interesse della legalità, per allontanare l’immagine che in tutto il mondo si sono fatti delle carceri italiane, come l’ennesima barzelletta italiana».
(da agenzie)
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Maggio 24th, 2024 Riccardo Fucile
QUANDO LA MELONI PROPORRA’ L’ASSASSINO FORTI PER UN REALITY O COME OSPITE AL FESTIVAL DI SANREMO?
L’arrivo del detenuto Forti nel carcere di Verona è approdato sui media con accenti festosi e surreali, con tanto di selfie, apprezzamenti sul cibo, anzi sul food, e visita amichevole, con grandi manate sulle spalle, di un deputato meloniano grande e grosso, dunque sperabilmente un bonaccione.
Ottima l’accoglienza del personale. Non è stato reso noto se abbia avuto luogo il tradizionale drink di benvenuto. Perché il detenuto Forti sia stato platealmente adottato da Fratelli d’Italia e dunque dal governo, l’ho già scritto, per me è un mistero insondabile.
Non esiste ragion politica, o logica elementare, che possa spiegarlo. Si aggiunge al mistero primario quello collaterale: il rumoroso gaudio cameratesco con il quale la vicenda si sta sviluppando. Siamo pur sempre di fronte a una condanna all’ergastolo per omicidio, al dramma della detenzione — condizione tra le più penose per qualunque essere umano — , a un caso giudiziario delicato, controverso e doloroso. Parlarne con discrezione e riserbo, e gestire il tutto al riparo dalle pacche sulle spalle e dalle foto celebrative con Giorgia, non sarebbe più savio e, se posso permettermi, anche più educato? Pare che i detenuti non dello stesso rango siano rimasti sgradevolmente colpiti. Come biasimarli?
Si paventano i prossimi sviluppi. La partecipazione a un reality? Un libro a quattro mani con l’avvocato Taormina? Un sottosegretariato? Una ospitata a Sanremo, ora che il festival è stato infine liberato dal giogo comunista, così tipicamente incarnato da Amadeus?
Noi siamo qui, in serena attesa. La vicenda è così bizzarra che comincia, quasi, ad appassionarci.
(da La Repubblica)
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Maggio 24th, 2024 Riccardo Fucile
LA RAI AVEVA VENTILATO UN AUDIT INTERNO SU UNA VICENDA CHE ORA IMPORREBBE A VIALE MAZZINI DI FARE AMMENDA
Il processo a Report, che le destre non vedevano l’ora di mettere in piedi, si chiude ancora prima di cominciare. Con l’assoluzione di Ranucci e del suo staff per non aver commesso il fatto (che non sussistendo non poteva essere commesso) oltre che per assoluta mancanza di prove.
Il casus belli, sul quale la maggioranza si preparava a schierare il plotone d’esecuzione, è stata la puntata di domenica scorsa, con l’inchiesta sulle Olimpiadi Milano-Cortina, che aveva fatto infuriare il ministero delle Infrastrutture. Secondo il quale Report non avrebbe dato conto delle risposte inviate dal Mit alla trasmissione con una mail del 14 maggio (alle 18.37).
Nonostante Ranucci abbia fin da subito chiarito di non aver mai ricevuto nessuna mail, mercoledì scorso la presidente della Rai, Soldi, ha affermato in Vigilanza che “sarà cura dei responsabili editoriali ricostruire cosa è successo e sicuramente si potrà valutare un internal audit che può essere richiesto sia da me che dall’amministratore delegato”.
Un invito a nozze per le destre che, dopo vari tentativi respinti con perdite, pregustavano già la rivincita sulla trasmissione di Ranucci. Fino alla doccia fredda di ieri che ha spento gli entusiasmi. “Per doverosa correttezza, fa sapere l’ufficio stampa del Ministero, alla luce di un confronto nato con la trasmissione proprio sul funzionamento della posta elettronica, si conferma che martedì 14 maggio erano stati effettuati due invii del materiale all’indirizzo di Report, uno dei quali aveva provocato un errore del sistema a causa di un file troppo pesante. Da ulteriori verifiche (….) è emersa la possibilità di un errore tecnico del sistema informatico del Mit, rilevato solo dopo approfonditi controlli continuati nelle ultime ore con l’obiettivo di fare totale chiarezza”.
Risultato: la mail non è mai arrivata a destinazione come sostenuto da Report. Resta la doppia figuraccia. Del ministero di Salvini, a cui va però riconosciuto di aver ammesso l’errore. E della Rai, che ignorando la versione di un suo dipendente, ha ventilato addirittura l’ipotesi di un audit interno su una vicenda che imporrebbe, piuttosto, a Viale Mazzini di scusarsi con Ranucci.
(da lanotiziagiornale.it)
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Maggio 24th, 2024 Riccardo Fucile
UN MESSAGGIO AGLI ALLEATI: NON HA ALCUNA INTENZIONE DI DIMETTERSI (NON AVEVAMO DUBBI)
Più che alla difesa di un indagato, assomiglia a un manifesto politico, basato su un “pensiero liberale”, che “vede nell’attività privata non già un fattore egoistico da contrastare, ma una risorsa”.
Più che una strategia giudiziaria, sembra un contropiede comunicativo, destinato a prendersi la scena mediatica altrimenti riservata all’accusa, in una giornata del genere.
Ieri sera, a interrogatorio quasi concluso, dallo staff di Giovanni Toti trapela la memoria difensiva che il governatore ligure, a margine della sua audizione, ha depositato alla Procura di Genova.
Il testo viene anticipato e pubblicato integralmente, a incontro con i magistrati ancora in corso, dall’emittente locale TeleNord. È la risposta più diretta a chi aveva ancora dubbi: Giovanni Toti non ha nessuna intenzione di dimettersi.
Nel documento, Toti rivendica sostanzialmente da un punto politico le azioni che gli vengono contestate su un piano penale: “Nel mio percorso politico ho sempre perseguito l’interesse pubblico il quale è il fine unico e ultimo della mia azione politica; tale fine è seguito, come costantemente rivendicato dal programma politico della maggioranza che mi sostiene, non già mediante la contrapposizione con le rivendicazioni dei privati, quanto piuttosto attraverso la veicolazione di queste verso l’interesse della collettività e del territorio, modalità con la quale si realizza la migliore essenza dell’interesse pubblico. Il pensiero liberale, che rappresenta il faro della nostra azione politica, vede, infatti, nell’attività privata non già un fattore egoistico da contrastare ma una risorsa che, lasciata crescere nel rispetto delle regole, rappresenta un valore aggiunto per la collettività quale primario elemento di sviluppo sociale ed economico”.
Toti approfitta dell’occasione per rimarcare “errori”, “carenze” e “interpretazioni maliziose” dei giudici”. Ma non sembrano i magistrati i veri obiettivi del messaggio. A leggere tra le righe, si possono trovare tanti riferimenti che hanno le sembianze di avvertimenti. Nella sua autodifesa Toti richiama la “maggioranza che mi sostiene” (almeno fino a questo momento), allude a possibili compromissioni dell’opposizione (nel testo vengono citati gli incontri di Claudio Burlando con Aldo Spinelli, e quelli della Regione Liguria co il gruppo dell’ex parlamentare Pd Matteo Colaninno e con un’azienda rappresentata da Ariel Dello Strologo, candidato sindaco di Genova del centrosinistra).
Ancora, Toti contesta la credibilità di alcuni personaggi che nell’inchiesta si oppongono ai progetti di quella che per i pm era la consorteria d’affari che teneva insieme Toti, Aldo Spinelli e il presidente dell’Autorità Portuale Paolo Emilio Signorini: l’ex giornalista Giorgio Carozzi, che si opponeva al rinnovo trentennale del Terminal Rinfuse dato a Spinelli, viene definito “ondivago” e “contraddittorio”, uno che parla (di tangenti) più che altro “per sentito dire”; Rino Canavese, membro del Comitato portuale che vota contro la proroga, viene bollato come un “uomo dei Gavio”, dunque a libro paga della concorrenza di Spinelli. Ci sono inoltre alcuni passaggi che non riservano sconti per altri gruppi privati, come gli armatori Grimaldi (ritenuti più vicini alla Lega che a Toti) o Giulio Schenone, rappresentante del colosso Psa e definito “contiguo” a Burlando. C’è infine una precisazione al veleno su come il governatore sarebbe entrato in contatto con i fratelli Testa, che secondo i magistrati sarebbero i procacciatori dei voti della comunità riesina, inquinati dalle infiltrazioni clan Cammarata: “Me li presentarono due onorevoli, (Alessandro) Sorte e (Stefano) Benigni, che ne garantivano le qualità personali”. Per inciso, due onorevoli di Forza Italia.
La lunga memoria a favore di media, è dunque soprattutto un avvertimento a coloro, soprattutto se alleati, che pensavano che l’interrogatorio sarebbe bastato a far calare il sipario sul destino politico di Toti. È come se il governatore, rievocando di essere stato prima un giornalista che un politico, avesse trovato un modo per comunicare all’esterno tutto ciò che non era ancora riuscito a dire. Nella speranza che questo basti, almeno per il momento, a trasformare la sua vicenda giudiziaria in un caso politico, e a rinviare la resa dei conti che in un consiglio regionale paralizzato.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Maggio 24th, 2024 Riccardo Fucile
CROLLA IL CASTELLO DI BALLE DEI SOVRANISTI, ANCHE IL PREMIER ALBANESE BOCCIA IL PROGETTO: “CI SARANNO RICORSI, VERRA’ BLOCCATO DALLE REGOLE UE”
Il messaggio su WhatsApp compare esattamente all’ora dell’appuntamento: «Sono qua dietro, nel cortile». Passo pesante, ma piede veloce, Edvin Kristak Rama, detto Edi, compare dal nulla nel giardino di un albergo affollatissimo di Tirana.
I turisti che si buttano in piscina a bomba, le famiglie che si avventano sul buffet: all’improvviso sono spariti tutti. C’è solo lui, seduto a un tavolino con un espresso già bevuto e un biscotto intonso. Difficile non notare il premier d’Albania: 2 metri e zero uno, il leader più alto di tutto il mondo occidentale. Quando l’ho cercato con un messaggio sul telefonino mi ha risposto dicendomi che in Albania l’ospitalità è sacra, e mi ha detto che voleva vedermi subito. Tirana tutto intorno è un gigantesco cantiere. Solo gru che tirano su grattacieli a tempi di record.
«Presidente, voi ormai costruite palazzi in una notte, e il centro italiano per i migranti in Albania è fatto solo di quattro ruspe abbandonate. C’è qualcosa che non va». Rama assume subito l’espressione di un commissario di maturità di fronte a candidati un po’ ciucci. E spiega che «quella roba lì è solo italiana. L’Albania ha dato disponibilità e terreni, ma nulla di più».
Cantiere in alto mare
Un pezzo del porto di Shengjin e una ex base militare abbandonata a Gjader, a 20 minuti di pullman. Il resto sono affari nostri: è tutta una questione di appalti pubblici e subcontratti italiani. «Ma siete sicuri che non sia già pronto?» aggiunge malizioso. «E su presidente…non faccia così». E allora, all’improvviso Rama diventa confidenziale: «Amico mio, il centro comunque in qualche mese sarà pronto, quello è niente. Ma il problema sarà farlo funzionare. E sarà molto difficile per le procedure: come fai a far ruotare 3000 persone in 28 giorni con la burocrazia italiana e con le regole europee?».
Rama prevede ricorsi, battaglie politiche e spiega che le leggi non sono quelle albanesi. Insomma, lì sono solo affari nostri. Ora dicono che Rama sia un po’ in freddo con i socialisti europei. Che a marzo non sia venuto a Roma al congresso del Pse anche per questi centri di “esternalizzazione” di migranti: non sono proprio una grande idea progressista. E che quindi voglia lanciare qualche segnale di riavvicinamento a quel mondo. Adesso intanto qualche ospite dell’albergo lo riconosce e si ferma a salutarlo. Lui si alza, stringe mani, ma poi torna sul punto. «Anche questo piano Mattei… coma fai a portarlo avanti? Sì, puoi fare accordi, aprire centri in Tunisia o in Libia. Ma sai quanto soldi ci sono in ballo sul traffico dei migranti su quelle coste? Ed è tutto gestito molto in alto».
“Ci vorrebbe D’Alema”
Qui il premier albanese cita rapporti dei servizi di mezza Europa. Mica basta la volontà politica, l’unica strategia, dice, sarebbe diluviarli di soldi. Ma tanti, tanti. «Lo sai chi ci vorrebbe? D’Alema ci vorrebbe!». E qui il premier albanese ritira fuori il suo spirito da vecchio socialdemocratico, forse cercando una riappacificazione con i socialisti europei, sospettosi dei suoi troppi WhatsApp con Meloni. «Presidente, ma adesso che c’entra D’Alema?».
Rama si illumina e racconta della baia di Valona, nel ‘98, nelle mani degli scafisti. «Poi arrivò Massimo, misero un radar sull’isola di Saseno, nel canale d’Otranto, aprirono canali di immigrazione agevolata, e poco a poco finì tutto: oggi ci sono mezzo milione di albanesi in Italia».
La fila di gente che vuole fare i selfie con lui si ingrossa. Il problema è che le foto vengono sempre paradossali: il premier gigante e gli avventori inevitabilmente più bassi. Commenta una turista delusa con il suo nuovo selfie presidenziale: «È come con Meloni… siamo sproporzionati!».
(da La repubblica)
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Maggio 24th, 2024 Riccardo Fucile
LE IMMAGINI GIRATE DURANTE UNA FESTA NEL NOTO CLUB “PONY” SULL’ESCLUSIVA ISOLA DI SYLT… TUTTI CANTANO: “LA GERMANIA PER I TEDESCHI, FUORI GLI STRANIERI”… LA POLIZIA APRE UN’INDAGINE… I SOLITI FIGHETTI RAZZISTI CON IL PORTAFOGLIO DI PAPA’
Polemiche e indignazione in Ger
mania per un video, diventato subito virale sui social, in cui un gruppo di giovani “vip” tedeschi intona cori contro gli stranieri e accenna dei saluti romani e imitazioni di Hitler in un rinomato locale dell’esclusiva isola di Sylt, la Capalbio del Mare del Nord. I media tedeschi parlano di “scandalo nazista” e “scene disgustose” nell’isola dei “ricchi e famosi”.
Nell’elegante cittadina di Kampen, il gruppo di giovani si è filmato nel bar delle celebrità “Pony” mentre intonava il coro “Deutschland den Deutschen, Ausländer raus” (“La Germania per i tedeschi, fuori gli stranieri”) sulle note della famosa hit “L’amour Toujours” del dj italiano Gigi D’Agostino. Negli ultimi mesi, la canzone è stata spesso usata dai gruppi neonazisti per adattarla a slogan xenofobi.
Le immagini mostrano anche un uomo in camicia bianca che, ridendo, si porta due dita alle labbra, imitando i “baffetti” di Hitler e poi accenna un saluto romano. In Germania fare il saluto hitleriano e i cori xenofobi possono essere considerati reati punibili penalmente. La polizia di Sylt ha reso noto di aver avviato le indagini per identificare gli autori del video mentre l’agenzia per la sicurezza statale sta indagando sull’accusa di incitamento all’odio e di utilizzo di simboli incostituzionali.
L’episodio, riporta Bild, è accaduto durante l’apertura della stagione per la festa di Pentecoste nella Strönwai Strasse, meglio conosciuta come il “Whisky Mile” (Il miglio del whisky) dove si trovano ville di lusso, boutique esclusive e i locali dei vip come il “Pony”, tra i più noti ritrovi dei “rich kids” tedeschi. Qui festeggiano regolarmente i figli delle star televisive, degli artisti e dei più importanti uomini d’affari di Germania. Entrare al “Pony” costa intorno ai 150 euro – bevande escluse.
Il proprietario del “Pony”, Tim Becker, si è detto inorridito per quanto accaduto. “Quando ho visto il video, ho subito pensato che non potesse essere vero. Se lo avessimo notato, i ragazzi sarebbero stati cacciati subito. Ma intorno alla terrazza all’aperto c’erano circa 500 persone”, ha spiegato Becker. “Abbiamo visto il video sui social media e stiamo valutando se possiamo sporgere denuncia e quali altre opzioni abbiamo. Il “Pony” non discrimina nessuno, siamo un bar aperto a tutti. Stiamo cercando di scoprire chi è stato. Saranno banditi a vita. Chiunque riconosca queste persone deve contattare noi o la polizia”, ha detto ancora il proprietario del locale.
(da agenzie)
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