Ottobre 26th, 2024 Riccardo Fucile
L’EX MINISTRO AVEVA DICHIARATO CHE AVEVA UN VALORE INFERIORE A 300 EURO E QUINDI POTEVA TENERLA, IN REALTA’ VALE 12.000… SECONDO LE IENE ORA L’AVREBBE MARIA ROSARIA BOCCIA CHE SI ERA INTERESSATA PER FR OTTENERE LA SANGIULIANO LA ONOREFICENZA
Emergono nuovi dettagli sul caso Boccia-gate. Al centro dell’attenzione ora è la preziosa chiave
d’oro di Pompei, dal valore di circa 12mila euro, donata dal sindaco della città Carmine Lo Sapio all’ex ministro Gennaro Sangiuliano. Il dilemma è: che fine ha fatto? La questione, ora oggetto di indagine da parte della Procura di Roma e della Corte dei Conti, ha una nuova svolta: in esclusiva, il programma Le Iene domani sera trasmetterà documenti inediti che potrebbero chiarire ulteriori dettagli su dove si trovi la preziosa chiave. Secondo la ricostruzione di Alessandro Sortino, l’onorificenza è stata consegnata a Sangiuliano grazie all’intermediazione della consulente ministeriale Maria Rosaria Boccia, come lei stessa ha dichiarato in un’intervista a La Stampa: «Sono io che ho mediato per fare avere l’onorificenza. Il ministro ci teneva, ma non è stato semplice visto che appartiene a un diverso schieramento politico rispetto al sindaco».
Il precedente
La chiave d’oro di Pompei ha un precedente importante: una copia simile era stata data anche predecessore di Sangiuliano, Dario Franceschini, che l’aveva però considerata priva di valore e l’aveva riportata al ministero solo dopo lo scandalo di quest’estate. Franceschini ha spiegato a Le Iene di non aver sospettato alcun valore speciale nella chiave, avendola ricevuta come molti altri riconoscimenti durante il mandato. «Quando ho letto che quella consegnata a Sangiuliano aveva un valore importante, ho deciso di restituirla immediatamente», ha dichiarato.Il documento inedito
La questione prosegue: se Sangiuliano, come riportato a La Stampa, inizialmente aveva assicurato che la chiave era stata “protocollata” al ministero insieme ad altri doni, in un documento successivo firmato dallo stesso ex ministro emerge una dichiarazione contrastante. Sangiuliano avrebbe ritenuto la chiave di valore inferiore ai 300 euro, limite oltre il quale i doni devono essere depositati presso l’amministrazione pubblica. Tuttavia, in base a una foto postata sui social, la chiave risulterebbe ora in possesso di Maria Rosaria Boccia. In risposta, l’ex ministro si sarebbe reso disponibile a coprire la differenza di valore, per circa 11.700 euro. Mentre Sangiuliano mantiene la sua versione, Boccia ha evitato di rilasciare ulteriori commenti. La Procura e la Corte dei Conti stanno ora vagliando ogni elemento per chiarire i dettagli di questa intricata vicenda.
(da agenzie)
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Ottobre 26th, 2024 Riccardo Fucile
DI QUI LE ANTICHE REAZIONI DI UN PAESAGGIO UMANO CHE PER DECENNI HA UTILIZZATO AL TELEFONO UN FRASARIO CIFRATO ANCHE SOLO PER STABILIRE APPUNTAMENTI CONVIVIALI (“CI VEDIAMO AL SOLITO POSTO ALL’ORA CHE SAI”)”
Estratti da “Il passo delle oche. L’identità irrisolta dei postfascisti”, di Alessandro Giuli (ed. Einaudi) – 2007
Storace è un esemplare tipico del sottosuolo missino, terra di esilio subito, di manie persecutorie, di timori motivati che possono trasmutarsi in danni biologici. Tra questi c’è storicamente la paura d’essere continuamente sotto controllo, seguiti, ascoltati, registrati dalle propaggini ombrose del cosiddetto «sistema».
Di qui le antiche reazioni di un paesaggio umano che per decenni ha utilizzato al telefono un frasario cifrato anche solo per stabilire appuntamenti conviviali («Ci vediamo al solito posto all’ora che sai»), con una ricaduta comica nel sospetto gratuito indotto in chi poi spiava per davvero, oltreché di depistaggio per l’interlocutore di turno.
Un mondo che per lo stesso motivo ha dovuto sradicare espressioni ritenute ambigue: «Non dire mai che la batteria dell’auto è carica, sennò pensano che stai per rapinare una banca» (qualcosa di simile avveniva nell’estrema sinistra).
Lo stadio successivo del morbo subentra quando l’incubo della guardia che ti spia diventa il calco negativo di un sogno depositato più giù nel sottofondo irrazionale di certa genuina fascisteria. Il sogno di fare il ministro dell’Interno, di ribaltare le parti e amministrare finalmente l’uniforme dell’ordine civile.
(da agenzie)
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Ottobre 26th, 2024 Riccardo Fucile
SI VOTA IL 17 E 18 NOVEMBRE: LA PRESIDENTE USCENTE E’ AL 48,2%, LA RIVALE DI CENTROSINISTRA AL 47,7%… IL DIVARIO ALLE EUROPEE E’ STATO DEL 4,3% A FAVORE DEL CENTRODESTRA
Mentre i cittadini della Liguria si preparano a scegliere il prossimo presidente di Regione
(urne aperte domani dalle ore 7 alle 23 e lunedì dalle 7 alle 15, poi lo spoglio), gli occhi sono puntati anche sull’Umbria al voto il 17 e 18 novembre.
Secondo il sondaggio BiDiMedia del 25 ottobre è testa a testa tra la candidata governatrice Donatella Tesei, presidente di regione in campo di nuovo con il centrodestra, e la sindaca di Assisi Stefania Proietti per il centrosinistra.
Nel dettaglio: Tesei sarebbe al 48,2% e Proietti al 47,7%. Una differenza dello 0,5%. Solo l’1,3% per il terzo candidato Marco Rizzo per la lista Umbria sovrana nel cuori.
Fratelli d’Italia e Partito democratico avanzano: il partito della premier Giorgia Meloni è sopra il 26,7%, i dem al 25,3%.
Nel centrodestra la Lega si attesta al 6,8% mentre Forza Italia al 7%. Delle due liste delle candidate presidenti è avanti quella di Stefania Proietti (5,8%), la lista Tesei è invece al 4%. Non raggiunge il 3% Alternativa popolare di Bandecchi (2,9%) e si ferma all’1,5% la lista di Maurizio Lupi “Noi moderati”.
Liste nel centrosinistra. Vicinissima al 6% Alleanza sinistra e verdi con il 5,9% sopra il M5S al 5,5%. Azione non va oltre il 2%, la lista Sanità per l’Umbriaè all’ 1,7% e Umbria Futura al 2,8%.
(da agenzie)
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Ottobre 26th, 2024 Riccardo Fucile
“A QUESTO PUNTO BLOVVHIAMO TUTTA LA RICERCA SCIENTIFICA”
La gestazione per altri (o maternità surrogata) «non dovrebbe neanche essere reato». E la legge approvata dal governo Meloni «è sbagliata nel merito e nel metodo». A parlare non è il leader di uno dei partiti di opposizione, ma Alessandra Mussolini, ex eurodeputata di Forza Italia nella scorsa legislatura europea. In un’intervista rilasciata a Il Foglio, la nipote del Duce fa un esempio: «Mettiamo una ragazza che ha una malattia e non può avere figli. Non può congelare gli ovociti, perché attenzione, questa legge sulla surrogata, la 40, è pure ambigua, e c’è scritto che è vietata “qualunque realizzazione di commercio di embrioni”. Quindi tu magari congeli gli ovociti, poi vai all’estero da single e torni incinta e che fanno? Ti sequestrano il neonato, ti mettono in galera?», si chiede l’ex eurodeputata di Forza Italia.
Pur militando in una forza politica di centrodestra, in questi anni Alessandra Mussolini si è spesso discostata dalla linea di partito in tema di diritti civili.
L’ultimo esempio viene proprio dalla legge sulla maternità surrogata, resa «reato universale» dal governo di Giorgia Meloni. «Allora la scienza si deve fermare, blocchiamo tutte le possibilità di ricerca. Anche le staminali. Ma aboliamo anche i treni, allora, come del resto sosteneva un tempo la Chiesa, perché il treno è strumento del diavolo», polemizza Mussolini nell’intervista al Foglio.
I «medici snitch»
A proposito del provvedimento approvato dal governo italiano, l’ex eurodeputata critica anche il passaggio per cui i medici – come spiegato dalla ministra Eugenia Roccella – devono denunciare i colleghi che non rispettano la nuova legge. Mussolini dice che l’esecutivo vuole medici «snitch», un termine dello slang inglese che significa fare la spia. «Io Roccella la conosco molto bene. Quando facemmo la legge sulla procreazione assistita, io ero in commissione Affari sociali e c’era già allora questo furore ideologico ultra cattolico», ricorda Mussolini. E poi continua: «All’epoca però l’aborto gli andava bene: noi volevamo introdurre la diagnosi pre impianto, ma loro erano contrari, dicevano: “tu metti nel corpo della donna tutti gli embrioni che vuoi, senza diagnosi prenatale, al limite poi abortisci”. Per fortuna poi è intervenuta la Corte costituzionale».
L’obiezione di coscienza
Nell’intervista al Foglio, Alessandra Mussolini dice di essere contraria anche all’obiezione di coscienza sull’aborto, ossia il diritto per un medico di rifiutarsi di obbedire a una legge che contrasta con i suoi principi e convinzioni personali. «Non lo so se è un diritto, soprattutto in una struttura pubblica non devi rompere le scatole con queste storie del battito del feto, come fanno i Pro Vita. Il nostro Stato è laico, tu puoi essere anche ultra cattolica, ma la legge dello Stato riguarda tutti», osserva ancora Mussolini.
(da Il Foglio)
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Ottobre 26th, 2024 Riccardo Fucile
ECCONE SVELATI ALCUNI
Con il passare dei giorni, dopo l’invio al parlamento della legge di bilancio, salta sempre più
agli occhi una circostanza, che era evidente a intuito, ben prima della presentazione del testo: tutto quello che il governo aveva annunciato, nella manovra non ci poteva stare. Molto banalmente, non lo permettono i vincoli di bilancio, imposti dalle nuove regole europee. Così sono state accantonate alcune promesse dei partiti, dall’estensione della flat tax, all’incremento delle pensioni minime, fino (almeno per ora) alla riduzione dell’Irpef per il ceto medio. Altre misure, presenti lo scorso anno sono state eliminate, a cominciare dal taglio del canone Rai. E anche il proclama riguardo sulle “zero nuove tasse” per famiglie e imprese, non ha retto alla prova dei fatti: basti pensare – solo per fare un paio di esempi – all’estensione della digital tax o all’aumento delle accise sul diesel.
In alcuni casi, poi, il governo è ricorso a dei veri e propri escamotage contabili, per stringere i cordoni della borsa, senza dichiararlo apertamente. Prendiamo la misura simbolo della manovra, il taglio del cuneo fiscale. Formalmente è stato esteso, arrivando a comprendere i redditi fino a 40mila euro, dai precedenti 35mila. Ma rispetto alla formulazione precedente, la norma è stata profondamente rivista. Per l’anno in corso, si trattava di un taglio dei contributi pari a 7 punti percentuali, per i redditi da lavoro entro i 25mila euro. E di sei punti, per quelli sotto il tetto dei 35mila. Dal 2025 invece sarà previsto un mix di tra bonus di tre diverse entità, per chi guadagna meno di 20mila euro. E una scala di detrazioni, per la fascia dai 20 e i 40mila euro.
Le trappole del nuovo cuneo
Il ministro dell’Economia Giorgetti ha assicurato che il meccanismo è studiato per far sì che i benefici non mutino, con in più appunto l’estensione del numero dipendenti a cui spetterà la detrazione. Formalmente il ragionamento è corretto, nel senso che a parità di reddito da lavoro, si otterrà più o meno quanto corrisposto nel 2024. A cambiare però è il meccanismo, per cui i soggetti interessati verranno collocati nelle diverse fasce di beneficio. Fino a oggi, per stabilire a chi spettava il taglio da 7 e 6 percento del cuneo, si usava come base il reddito imponibile del lavoratore. Ora ,invece, l’appartenenza a uno dei tre scaglioni previsti per ottenere il bonus (sotto i 20mila euro) o la deduzione (fra 20 e 40mila) sarà calcolata, considerando il più ricco reddito complessivo. Quello che comprende, oltre allo stipendio da dipendente, anche altri introiti come possibili affitti, trattamenti pensionistici anticipati, partecipazioni societarie, assegni di invalidità parziale, compensi occasionali, etc…
Dunque, un lavoratore che sulla base del proprio reddito imponibile – derivato dal rapporto di lavoro subordinato – otterrebbe un trattamento più vantaggioso, potrebbe invece essere penalizzato, se il suo reddito complessivo lo portasse a scavalcare una delle diverse soglie previste dalla legge di bilancio, per calcolare il benefit. O addirittura a essere escluso in toto dalla misura, se con altri introiti diversi superasse il limite massimo dei 40mila euro. In una simulazione per il quotidiano La Stampa, lo Studio tributario Timpone ha calcolato perdite possibili tra gli 82 fino ai 1080 euro l’anno, per chi cadrà nella trappola della nuova versione della norma, rispetto a quanto avrebbe ottenuto con la precedente versione del taglio del cuneo.
Benefit per i figli, ma non troppo
Passiamo ora a un’altra bandierina del governo Meloni in manovra: l’applicazione del quoziente familiare. È stato presentato come un modo per far pagare meno, chi ha più figli. In realtà sarà usato non per offrire maggiori benefici, ma per calcolare una penalizzazione. Il meccanismo a cui viene applicato il quoziente infatti è quello del taglio delle detrazioni. La legge di bilancio infatti stabilisce un tetto massimo di 14mila euro per le detrazioni, di chi percepisce un reddito sopra i 75mila euro. E di 8mila euro, per chi supera i 100mila. Ora, si potrebbe pensare che nel caso di contribuente con prole questi tetti vengano aumentati. In realtà sono diminuiti, anche se in misura minore, più sono i figli a carico. Così per i nuclei familiari senza figli il tetto si riduce della metà, per chi ha un figlio arriva al 70 percento, per chi ne ha due all’85 percento. Insomma, tutti i contribuenti con due figli e reddito maggiore di 75mila euro sono doppiamente penalizzati, dall’applicazione del tetto alle detrazioni e dalla sua successiva decurtazione. Solo chi ha almeno tre figli può raggiungere la soglia piena di 14mila o 8mila euro.
Infine veniamo al cosiddetto bonus mamme. Anche qui, l’esecutivo ha ampiamente pubblicizzato l’estensione della norma sulla parziale decontribuzione per le madri lavoratrici con due o più figli, anche alle autonome. Ma ha omesso di dire, che nello stesso tempo è stato introdotto un tetto, che limita il beneficio alle donne con redditi sotto i 40mila euro. Come nel caso del taglio delle detrazioni, pure in questo caso si può discutere se i nuovi vincoli vadano nella direzione di una maggiore equità fiscale, oppure colpiscano anche la classe media. Il punto è che mentre il governo si affretta a decantare ogni singolo euro in più destinato a famiglie e imprese, c’è molto più silenzio sui tanti lacci e vincoli introdotti, pur di far quadrare i conti.
(da Fanpage)
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Ottobre 26th, 2024 Riccardo Fucile
LA STORIA DI DUE RAGAZZI ARRIVATI IN ITALIA CON LA PROMESSA DI UN LAVORO NEI CAMPI PAGATO 5 EURO L’ORA: SONO FINITI A LAVORARE PER MESI SENZA STIPENDIO IN CONDIZIONI DI VITA DISUMANE
Fino a dodici ore di lavoro nei campi senza la possibilità di uscire e senza ricevere uno stipendio. Una condizione ai limiti della dignità umana quella raccontata, e documentata attraverso alcuni video, da due ragazzi indiani. La loro testimonianza parte dall’arrivo all’aeroporto di Fiumicino, partendo dall’India. Un viaggio per trovare un lavoro e condizioni di vita migliori: invece alle porte di Roma.
Il viaggio e la promessa di un lavoro
L’arrivo in Italia di questi dodici lavoratori, grazie la Decreto flussi, ha dei contorni da subito poco chiari. Per prima cosa la richiesta alla Prefettura non arriva da uno studio legale nei paraggi ma addirittura dal Veneto. Poi l’arrivo in Italia è garantito dietro una cifra parecchio maggiore a quella davvero necessaria (16 euro di marca da bollo) ovvero circa 10mila euro.
Le speranze dei due ragazzi svaniranno ben presto. Finiscono in una struttura agricola alle porte di Roma e avrebbero lavorato per mesi senza ricevere nessuno stipendio (la paga promessa dal contatto che li ha portati in Italia era di 5 euro l’ora). “Siamo stati trattati come degli schiavi – sussurra uno dei due protetto dall’anonimato – vivevamo in un container dove non c’era neanche l’acqua corrente”. Le immagini raccolte dai due ragazzi con il loro telefonino lasciano poco spazio all’immaginazione. In un filmato si vede il prefabbricato dove trascorrevano il resto della giornata i braccianti, dopo aver trascorso ore e ore nei campi. I letti non sono altro che materassi accatastati per terra uno accanto all’altro, una piccola cucina con un fornello collegato ad una bombola e un bagno inutilizzabile. “Andavamo in campagna per fare i nostri bisogni – spiega l’altro ragazzo – e non essendoci neanche l’acqua pure la doccia dovevamo farla all’aperto utilizzando dei secchi riempiti al pozzo”. Un lucchetto veniva poi utilizzato per chiudere tutte le sere il cancello d’ingresso dei campi quindi nessuno di loro aveva la possibilità di uscire.
Dopo mesi vissuti in quelle condizioni i due ragazzi decidono di fuggire scavalcando il cancello.
L’esposto in Procura del sindacato
La loro testimonianza è stata raccolta dalla Cgil Flai di Latina ed è finita in un esposto presentato alla Procura di Roma i primi di settembre. “Sono trascorsi quasi due mesi dalla nostra segnalazione – ammette con un po’ di amarezza Laura Hardeep Kaur segretaria generale della Flai Cgil di Latina e Frosinone – non sappiamo ad oggi se la Procura si è attivata in qualche modo, sicuramente nessuno ha contattato i due ragazzi per ascoltarli”. E continua: “Stiamo parlando di persone rinchiuse con un lucchetto ridotte in una condizione di schiavitù, se neanche questo riesce a smuovere qualcosa poi veramente non conta niente”.
(da Fanpage)
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Ottobre 26th, 2024 Riccardo Fucile
TUTTI GLI EMISSARI DEL SOTTOSEGRETARIO E DI PALAZZO CIGI CHE VIGILANO E INFORMANO IL “GENIO”
Una sentinella per ogni ministero. Occhi per vedere, orecchie per sentire, un colonnello a cui
riportare: Giovanbattista Fazzolari. Il genio, il più bravo di loro, Kurtz, ha assemblato il “Moffazz”, il Mossad anti stracciaculi, la sua intelligence. E’ l’agenzia di lealtà, il patto: “Riferite a me. Avvisatemi”. Capi di segreteria, uomini della comunicazione, ad, vice capi, meglio se parenti, che possano individuare “l’infame”, parola di questo tempo, che possano vigilare sui ministri e l’infosfera. Al Masaf è stato distaccato, come portavoce, Gennaro Borriello, che era stato già inviato a seguire il commissario di Caivano, Fabio Ciciliano. Alla Cultura, a sorvegliare, c’è il capo di segreteria tecnica, Emanuele Merlino che dal suo ufficio frusta gli sciancati della bellezza: “E’ un ministero colabrodo, non siamo capaci di custodire una mail. Vergogna”. Alla Salute, il capo di segreteria del ministro è Rita Di Quinzio, l’altra, già capo segreteria tecnica, ora a capo del dipartimento della prevenzione è Maria Rosaria Campitiello, compagna del viceministro di FdI, Cirielli. All’Istituto Superiore di Sanità è stato nominato (ha tutti i titoli per farlo) Rocco Bellantone, nato a Messina, come Fazzolari, che conosce il generale da bambino (“cugino da lontano”). Come nel film di Sergio Leone. E’ C’era una volta a Messina.
Alla Giustizia, la quasi ministra è Giusi Bartolozzi, (Nordio, uno spritz?) oggi capo di gabinetto e che sogna un prossimo seggio in Parlamento con Meloni, anche lei stimata dal Moffazz. Forza Italia li chiama “i marescialletti di Fazzolari”, la burocrazia antica pensa: “Nulla di male ad avere i marescialletti, ma i capi di gabinetto, bravi, in Italia, sono sempre i soliti 40. Li vogliono bravi o li vogliono servi, e parenti?”. Giuli che ha sostituto il capo di gabinetto Giglioli con Spano dovrebbe nominare o Valentina Gemignani del Mef o la moglie del deputato di FdI, Luca Sbardella. Al ministero della Cultura lavora la sorella di Giovanna Ianniello, che è il capo ufficio stampa di Chigi, e con Fazzolari lavora la nipote di Patrizia Scurti, che è la segretaria della premier. E’ un kibbutz, una comunità, che il comando, dopo due anni, sta indurendo. Da giorni si cercano talpe. Federico Mollicone, uno che in Sicilia si meriterebbe la frase “u carusu voli trasiri”, dice al Messaggero: “Io non sono il corvo”. A inizio legislatura c’era chi, in FdI, guardava male perfino Carlotta Sabatino, portavoce del ministro di FdI, Ciriani e solo perché in passato aveva lavorato con Mara Carfagna. Sarà leale? Anche lei ha superato la prova. Iscritta al Moffazz. Al ministero dello Sport, fa da collegamento con Palazzo Chigi, Mario Pozzi, capo di segreteria tecnica. Al Mef, Maurizio Leo ha chiamato Edoardo Arrigo, anche lui capo della segreteria tecnica che è figlio di Gabriella Alemanno, oggi Commissario Consob. Per lui, la prova è il cognome. Arruolato. L’altro valido milite è Italo Volpe, vice capo di gabinetto di Leo. Da Palazzo Chigi, dal Dagl, è stato inviato, sempre al Mef, Gabriele Casalena, oggi nuovo capo dell’ufficio di coordinamento legislativo. Era la carica ricoperta da Daria Perrotta, nominata ragioniere dello stato. Il colonnello Fazzolari si fida di Perrotta e per proprietà transitiva si fiderà di Massimo Rubechi, il compagno di Perrotta, prossimo capo di gabinetto di Anna Maria Bernini, un’altra ministra che vede corvi. Auguri, caro Rubechi. C’è la seria possibilità che anche Rubechi sia un progressista, di sinistra, come lo è tutta della burocrazia che sa fare, bene, il suo mestiere. Che si fa? Lo mandiamo a riabilitarsi con Mollicone o si mette fine a questa fattoria di talpe, corvi, volpi, ah infami? Al Viminale, con Matteo Piantedosi, lavora Francesco Kamel, che è portavoce scelto, nel senso che sceglie bene come comunicare (magari gli somigliassero) e che è amato dal Moffazz. Al Mase, da Pichetto Fratin, c’è l’ambasciatore Giuseppe Manzo, che si aggiunge al sottosegretario Claudio Barbaro (Msi, Lega) che si occupava di sport e ora di energia: dal Gatorade è passato al gas. Lavora con Nello Musumeci, e cura la comunicazione, Silvia Cirocchi. Al ministero delle Pari opportunità, di Eugenia Roccella, il colonnello può contare su Assunta Morresi, vice capo di gabinetto. Al ministero del Turismo non serve la sentinella: al suo posto c’è la torre. E’ il deputato di FdI, Gianluca Caramanna, che fa da ministro, da capo di gabinetto, capo di segreteria, agente del Moffazz: fa tutto lui. Alla Difesa, nel comparto, un’altra vedetta di Fazzolari (nominata da Crosetto alla direzione dell’Agenzia Industrie Difesa) è la docente Fiammetta Salmoni. Siede anche nel cda di Enel perché le partecipate sono l’altro campo da vigilare. Il capo del Moffazz si è speso per Agostino Scornajenchi, oggi ad di Cdp Venture Capital, e ragiona di filosofia con Fabio Barchiesi, vicedirettore generale di Cdp. Al Lavoro, dalla ministra Calderone, il capo di gabinetto, Mauro Nori, ha superato la prova Cambogia. Due anni da foresta. Non è un infame. A Ismea, altro feudo di Lollobrigida, è stato distaccato Sergio Marchi, capo di segreteria del ministro, da ieri nuovo direttore generale Ismea, anche lui arruolato dal Moffazz, l’agenzia anti stracciaculi, ma anche l’agenzia più scalcinata di sempre. Al Mimit, il ministero che andrebbe davvero vigilato è senza vigilanza (e si vede). Emanuele Merlino, il numero uno del Moffazz, si è fatto infinocchiare e si lasciava fotografare con Boccia e Sangiuliano. Intelligence? Somigliano tutti ai protagonisti del fumetto più amato dall’Msi, Alan Ford di Max Bunker, lo pseudonimo di Luciano Secchi. Racconta le formidabili avventure del Gruppo Tnt, una banda di agenti segreti, tutta da ridere, guidata da Bob Rock, uomo iracondo, bisbetico e permaloso. E’ chiamato il “numero uno” ma alla fine sceglie la carriera musicale. Il Moffaz? Una banda di trombette.
(da ilfoglio.it)
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Ottobre 26th, 2024 Riccardo Fucile
“LUI SI PUÒ FARE IL SUO BEL PARTITO, IL SUO MANIFESTO CON LA SUA FACCIA E SCRITTO ‘OZ E I 22 MANDATI. POTREBBE ANCHE ARRIVARE ALL’8%, IO RIVENDICO IL DIRITTO ALL’ESTINZIONE DEL MOVIMENTO”
Ora parla lui, Beppe Grillo. “Vorrei dire anche due cose io”, dice nel video di 5 minuti pubblicato sul suo sito. Non aveva detto ancora nulla da quando Giuseppe Conte lo ha licenziato non rinnovando il suo contratto da 300mila euro. “Il Movimento non c’è più, è evaporato. Però come tutte le evaporazioni – come nel caso del mare – poi magari si trasforma in una tromba d’aria, un ciclone. Non lo so. Non voglio assolutamente fare casino, io rivendico da creatore del Movimento il mio diritto alla sua estinzione”.
Il fondatore si rivolge al presidente 5S e alle parole affidate a Bruno Vespa nel suo libro in uscita il 30 ottobre con cui viene scaricato. “Anche Vespa si inserisce in questa liturgia terrificante di avvocati e notai. Già leggere un libro di Vespa è perversione e siamo nel feticismo della comunicazione, quindi è tornare a trent’anni indietro – dice seduto alla scrivania mentre registra il video – Il Movimento è compostabile, non biodegradabile. Contiene ancora l’humus, gli zuccheri, le proteine” –
Attacca ancora Conte: “Io quando vedo questa bandiera dei 5 Stelle con davanti il mago di Oz che parla di democrazia diretta mi viene un buco nello stomaco. Quindi va benissimo, dobbiamo essere persone civili. Lui si può fare il suo bel partito, si può fare il suo manifesto con la sua faccia – bella, simpatica e sincera – con su scritto ‘Oz e i 22 mandati’. Potrebbe anche arrivare all’8%”, conclude Grillo.
(da agenzie)
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Ottobre 26th, 2024 Riccardo Fucile
CONTE NON INTENDE CEDERLO E CHIEDE AGLI ISCRITTI DI CAMBIARLO
Lo rivendicano tutti. Giuseppe Conte è convinto che sia suo e di averlo blindato grazie alle
regole dell’ultimo statuto. Per Beppe Grillo è l’estrema arma in suo possesso e farà di tutto affinché non risulti spuntata. Il simbolo M5s, anzi i simboli, le associazioni, almeno tre quelle succedute negli anni, aperte e mai chiuse, sono l’oggetto del contendere, al centro dell’ultimo scontro tra il presidente del partito e il garante.
Il comico genovese ora è in assetto di guerra, pronto a tornare al centro della scena. Ricostruisce la storia non più troppo recente, ripensa ai vari contrassegni, quello con le stelle, un altro con l’indirizzo del blog, tutti ostaggio del ginepraio di norme, strutture e sovrastrutture di cui si è sempre dotato il partito per poi, talvolta, restarne vittima. Quindi cerca una soluzione. L’ultima minaccia del fondatore, che considera l’ex premier incapace e poco più di un azzeccagarbugli, suona così: «L’avvocato taglia il mio contratto da consulente e io porto via il simbolo». La sua mossa non può che passare da una battaglia in tribunale: di sicuro complicherà la vita al Movimento, che sta per rinnovarsi nella costituente di fine novembre.
La pista dei soldi, come spesso accade in questi casi, è da seguire con attenzione. Togliendo a Grillo i 300mila euro annui per la consulenza, l’ex premier tenta di indebolire una possibile causa legale che comunque avrebbe un costo notevole. L’ex premier, in un colloquio con Repubblica, si è giustificato spiegando che il fondatore «non potenzia l’immagine del M5s, ma la compromette», dunque non ha senso rinnovare un accordo che si basa sulla comunicazione. E ha smentito il «parricidio», declassato a questione «marginale» in un evento del Corriere.
Al garante, dunque, non resta che rimpossessarsi del logo e dargli una nuova vita con l’aiuto di 5Stelle o ex, come Virginia Raggi o Danilo Toninelli, ma anche Alessio Villarosa e altri, che gli sono rimasti fedeli e stanno brigando con lui in questa fase. D’altronde ciò che più preoccupa Conte è vedere il simbolo M5s stampato su una scheda elettorale in corsa contro il suo nuovo Movimento. Teme che il brand e il comico genovese possano drenare non pochi voti.
Nelle ultime ore Grillo sta lavorando a una ricostruzione della storia dei diversi soggetti cinquestelle. Nel 2017, quando a Rimini Luigi Di Maio venne incoronato capo politico per acclamazione, esistevano due associazioni che usavano il logo registrato dal fondatore. La prima era stata creata nel 2009, ma si scoprì che non poteva partecipare alle elezioni politiche, quindi nel dicembre 2012 ne è nata un’altra. Cinque anni dopo, con le nuove elezioni alle porte, per superare altri problemi legali, Di Maio e Davide Casaleggio hanno fondato una terza associazione stringendo un accordo con Grillo per l’uso del simbolo. Tutto ciò è adesso nelle mani di Conte ma le due associazioni esistono ancora e il garante è pronto a togliere la polvere e a capire come superare i problemi che erano stati rilevati. Inoltre fa notare che l’ultimo statuto, quello in cui è stata inserita la figura del presidente, recita che quest’ultimo «è responsabile dell’utilizzo del simbolo». Responsabile, va ripetendo Grillo, «non significa proprietario per la vita».
Ma di certo, per adesso, è in uso a Conte. L’assemblea costituente vuole cambiarlo. Oggi i 330 “saggi”, scelti per sorteggio, redigeranno un documento nel quale confluirà la necessità, emersa durante la fase di ascolto, «di modificare o il nome o il simbolo, adeguandoli ad una immagine che va rinnovata, in linea con le prospettive strategiche attuali». L’obiettivo di Conte è far sparire l’attuale logo. Grillo ritiene che non possa succedere senza il benestare il garante. Parola agli avvocati.
(da repubblica.it)
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