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“GIULIO REGENI ERA BENDATO E SFINITO DALLA TORTURA”: IL RACCONTO DA BRIVIDI DI UN CITTADINO PALESTINESE DETENUTO NELLO STESSO CARCERE DEL RICERCATORE ITALIANO, IN EGITTO

Novembre 19th, 2024 Riccardo Fucile

LA TESTIMONIANZA IN UN DOCUMENTARIO TRAMESSO DA “AL JAZEERA”, MOSTRATO NEL CORSO DELL’UDIENZA DEL PROCESSO CONTRO I QUATTRO 007 EGIZIANI… “ERA AMMANETTATO CON LE MANI DIETRO LA SCHIENA, DUE CARCERIERI LO PORTAVANO A SPALLA, LO TORTURAVANO CON LA CORRENTE ELETTRICA

”Giulio dove hai imparato a superare le tecniche per affrontare l’interrogatorio? Dove hai conseguito il corso anti interrogatorio?”. Queste le domande che venivano ripetute a Giulio Regeni dai carcerieri nel corso degli interrogatori e riportate nella testimonianza di un ex detenuto palestinese in un videodocumentario tramesso da Al Jazeera e mostrato oggi nel corso dell’udienza del processo davanti alla Prima Corte di Assise di Roma che vede imputati quattro 007 egiziani.
”Ricordo più volte questa domanda ripetuta in dialetto egiziano. Non so se Giulio abbia risposto a meno -ha spiegato – Insistevano molto su questo punto, erano nervosi. Usavano la scossa elettrica e lo torturavano con la corrente elettrica”. Nella videotestimonianza l’ex detenuto ha spiegato di aver visto Giulio Regeni il 29 gennaio 2016, tra il pomeriggio e la sera, ”mentre usciva dalla palazzina del carcere, passando nel corridoio, diretto al luogo dove avveniva l’interrogatorio.
La lingua usata per interrogare era l’arabo e il dialetto egiziano. C’erano anche ufficiali che non avevo mai visto prima e un dottore specializzato in psicologia. Giulio era ammanettato con le mani dietro la schiena, con gli occhi bendati. Era a circa 5 metri da me. Indossava una maglietta bianca, un pantalone largo blu scuro”.
In seguito ”l’ho rivisto che usciva dall’interrogatorio, sfinito dalla tortura. Era tra due carcerieri che lo portavano a spalla verso le celle”. Quando, ha spiegato il palestinese, ”ero in quella struttura i miei familiari non sapevano nulla di me, non c’era nessun contatto col mondo esterno: la sensazione era quella di stare in un sepolcro. Sono stato sequestrato, detenuto e poi liberato senza un perché’
(da agenzie)

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SALVINI STA CON LE PEZZE AL CULO: LA SCONFITTA DELLA LEGHISTA DONATELLA TESEI IN UMBRIA AFFOSSA IL SUO PROGETTO DI UN CARROCCIO NAZIONALE

Novembre 19th, 2024 Riccardo Fucile

IN CINQUE ANNI LA LEGA HA PERSO LE UNICHE DUE REGIONI DEL CENTRO-SUD CHE GOVERNAVA, SARDEGNA E UMBRIA E L’ANNO PROSSIMO RISCHIA DI PERDERE IL VENETO CHE GIORGIA MELONI VUOLE PER FRATELLI D’ITALIA: LA LEGA, PRIVA DI LUCA ZAIA (CHE NON SI PUÒ RICANDIDARE) NON PUÒ PIU’ GUIDARE LA RICCA REGIONE DEL NORD-EST

Giorgia Meloni fa i complimenti ai due governatori del centrosinistra e, dal Brasile, rinvia l’analisi del voto del suo partito. Non sfugge a nessuno, però, che il calo di consensi di FdI rispetto alle Europee (in Umbria 80 mila voti in meno) è in linea con quello visto tre settimane fa in Liguria. Segno che, come fa notare un esponente di spicco di Forza Italia, «Meloni non è certo il Salvini degli anni d’oro».
La linea di Fratelli d’Italia è «siamo cresciuti rispetto alle scorse regionali e perdiamo quando di fronte abbiamo il “campo larghissimo”», ma tutti sanno che un ragionamento aggiuntivo andrà fatto.
L’anno prossimo andranno al voto Puglia, Toscana, Campania (governate dal centrosinistra) e soprattutto il Veneto. Le prime due sono considerate sfide impossibili, la terza dipende dalle mosse di Vincenzo De Luca, mentre la battaglia è aperta (non da oggi) sul successore di Luca Zaia. E la sconfitta di Tesei non facilita di certo la trattativa.
Giorgia Meloni fa un ragionamento: la Lega, con queste percentuali, non può pensare di mantenere la guida di Veneto e Lombardia. Antonio Tajani, forte di una crescita costante sia in Umbria sia in Emilia-Romagna, è l’unico che ha lanciato una candidatura, quella dell’ex sindaco di Verona Flavio Tosi. La Lega, però, mai come adesso dovrà aggrapparsi al Nord-est per non perdere del tutto il suo potere regionale.
Se a Salvini capiterà oggi di gettare uno sguardo sulla cartina dell’Italia che ha appeso dietro la sua scrivania, al ministero dei Trasporti, si renderà conto che la Lega è completamente scomparsa dalle Regioni del Centro-Sud. Un anno fa aveva la guida della Sardegna, con il governatore Christian Solinas, e difendeva l’Umbria con Donatella Tesei: entrambe riconquistate dal centrosinistra.
Sono, per essere più precisi, le uniche due regioni che Pd, M5S e Avs sono riusciti a strappare al centrodestra nel 2022. Insomma, senza accorgersene, il leader del Carroccio è tornato alla vecchia Lega Nord.
Nelle grandi città non va meglio. A Salvini restano solo due sindaci: Michele Conti a Pisa e Alan Fabbri a Ferrara. Al Centro non sfonda, al Sud meno che mai.
Anche in Umbria, Forza Italia si è ormai riconsolidato come secondo partito della coalizione, è in crescita, mentre il Carroccio continua a ristagnare da due anni intorno al 7%,
Ma la perdita della Regione è, sopra ogni cosa, un colpo durissimo al progetto di Lega nazionale che il leader aveva inaugurato ormai 6 anni fa e che ancora dopo le Europee difendeva con convinzione: «La Lega nazionale – diceva – è la scelta del futuro». Nel presente, intanto, Salvini è costretto a battere in ritirata per organizzare un’ultima linea difensiva in Veneto, dove si voterà in primavera.
Nel quartier generale di Tesei si respira un’atmosfera funerea. Se nel pomeriggio qualche esponente con la spilla di Alberto da Giussano al petto circolava per la sede, in serata sono quasi tutti spariti. E chi è rimasto scarica una parte di responsabilità sul sindaco di Terni, Stefano Bandecchi: «Salvini non era convintissimo di allearsi con lui – stilla veleno un giovane leghista umbro – e aveva ragione. Forse, invece di portarci qualche voto, ce l’ha tolto». Rancori che non resteranno confinati in Umbria.
(da La Stampa)

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PER SALVINI IL PONTE SULLO STRETTO RIMANE UN MIRAGGIO: IL MINISTERO DELL’AMBIENTE HA DATO IL VIA LIBERA AL PROGETTO, MA HA IMPOSTO 62 INTEGRAZIONI, CHE RENDONO DIFFICILE FAR PARTIRE I LAVORI ALL’INIZIO DEL 2025, COME PROMESSO DAL “CAPITONE”

Novembre 19th, 2024 Riccardo Fucile

IL PROBLEMA PRINCIPALE È LO STUDIO SUI RISCHI SISMICI, TUTTO DA RIFARE DOPO ALL’ALLARME LANCIATO DAL PRESIDENTE DELL’ISTITUTO NAZIONALE DI GEOFISICA E VULCANOLOGIA, CARLO DOGLIONI, SUI MANCATI ESAMI IN TEMA DI FAGLIE ATTIVE… IL GIALLO SULL’ALTEZZA DELL’OPERA

Il via libera al Ponte sullo Stretto sulla carta c’è, ma i tempi per aprire i cantieri non saranno quelli sognati dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. Perché se da un lato è vero che la commissione di Valutazione impatto ambientale (Via) del ministero di Gilberto Pichetto Fratin ha dato parere favorevole al progetto «definitivo» della grande opera, nelle 685 pagine della relazione la stessa commissione impone 62 integrazioni e studi alla società committente Stretto di Messina spa che di fatto smontano i piani, e in parte anche le carte, del governo. A partire da nuovi studi da fare, perfino sul rischio sismico, che richiederanno mesi e da un giallo che riguarda l’altezza dell’opera. [
I progettisti assicurano che il Ponte resisterà «almeno 200 anni» e a «sismi di magnitudo Richter fino a 7,1». Proprio su quest’ultimo aspetto la commissione Via dà ragione di fatto all’allarme lanciato dal presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) Carlo Doglioni sui mancati esami in tema di faglie attive e rischio sismico: «Il proponente deve presentare — si legge nel parere della commissione Via — uno studio in cui siano maggiormente approfondite le indagini geofisiche, sismologiche e paleosismologiche e la caratterizzazione delle faglie ritenibili ancora attive».
Doglioni nei giorni scorsi ha preso le distanze dai suoi due ricercatori che «a titolo personale» hanno collaborato con la Stretto di Messina. Anche se allegata al progetto è saltata fuori una convenzione con la spa che ha dato 26 mila euro all’Ingv per questa collaborazione.
La commissione Via chiede inoltre di rifare gli studi sul traffico stimato, visto anche i costi del Ponte a carico dello Stato e giustificabili solo da esigenze di trasporto nell’area: «Si richiede al proponente di elencare e descrivere i flussi di traffico attesi in linea con quelli tipici di settore +». Prescrizioni anche sul rischio di dissesto idrogeologico, con «studi che dovranno consentire un monitoraggio dell’evoluzione della costa».
Ma in più nello stesso parere c’è un giallo di non poco conto che riguarda l’altezza del Ponte. La Stretto di Messina, insieme al committente Eurolink capitanato da Webuild, apre all’innalzamento dell’impalcato per garantire il passaggio delle navi più alte: ma nella documentazione approvata dalla commissione del ministero si fa riferimento invece all’altezza del vecchio progetto, 65 metri, che non consentirebbe il passaggio di alcune grandi navi da crociera.
Un punto chiave quest’ultimo: qualsiasi modifica al progetto approvato dal ministero richiederebbe un nuovo passaggio in commissione Via, con tempi che si allungherebbero di almeno un anno per riavere il parere. Ma nella prima parte del parere appena ottenuto la Stretto di Messina assicura che sarà alzato il Ponte per «salvaguardare la navigabilità dello Stretto».
Ed elenca le modifiche: «Il profilo verticale è stato rialzato, in modo da evitare che l’impalcato vada a ingombrare il franco minimo di navigazione ». E ancora: «Il lato siciliano della campata principale è stato rialzato verticalmente fino a quota 77,50 metri. La quota superiore delle torri è stata innalzata a 399 metri». Ma perché poi nella documentazione del parere Via restano i 65 metri?
Salvini vuole aprire il cantiere nei primi mesi del 2025. Un obiettivo che sembra però impossibile vista la mole delle prescrizioni fatte da una commissione comunque contestata dal centrosinistra perché composta tra gli altri da dirigenti di Fdi e Lega.
(da la Repubblica)

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BANDECCHI NON AMMETTE LA SCONFITTA NEMMENO DI FRONTE ALL’EVIDENZA: “NON ABBIAMO PERSO NOI. ALTERNATIVA POPOLARE HA FATTO QUELLO CHE DOVEVA FARE, ESCE VINCENTE”

Novembre 19th, 2024 Riccardo Fucile

IL PARTITO DEL VULCANICO SINDACO DI TERNI, CHE PROMETTEVA DI ESSERE DECISIVO, HA TALMENTE VINTO CHE NON HA PRESO NEMMENO UN CONSIGLIERE E SI È FERMATO AL 2,16%, SUPERATO PURE DA “NOI MODERATI”… CHI L’AVREBBE MAI DETTO: SPUTARE CONTRO I CITTADINI NON PAGA

“Proietti dice che la sua è la vittoria di chi non si è fatto sopraffare da chi sputa in faccia ai cittadini? Io le porto rispetto a livello istituzionale, ma deve girare alla larga da me. Le ricordo che il suo ruolo istituzionale la obbliga a chiamarmi sindaco”: così il sindaco di Terni e leader di Alternativa popolare, Stefano Bandecchi, commentando con l’ANSA le parole della neo presidente della Regione Umbria, Stefania Proietti.
Nel suo primo discorso dopo la vittoria, pronunciato al comitato elettorale, Proietti ha detto che “questa è la vittoria di chi ha preso in mano la Costituzione, di chi non è fatto sopraffare dall’arroganza, dalla violenza verbale, da metodi scorretti, chi non si è fatto sopraffare da chi sputa in faccia ai cittadini”.
Un riferimento al sindaco di Terni, che nelle scorse settimane aveva sputato in faccia ad un cittadino dell’acqua, bevuta da una bottiglietta, durante una discussione davanti al municipio.
“Complimenti alla Proietti e al centrosinistra che ha vinto. Il popolo è sovrano, quindi quando decide qualcosa ubbidiamo. Cercheremo di fare nei prossimi cinque anni ciò che rientra nei nostri doveri”.
Così in un video sui social il leader di Alternativa popolare e sindaco di Terni, Stefano Bandecchi. Secondo cui il partito “esce vincente”. Alternativa popolare “ha fatto quello che doveva fare, non ha rubato voti alla coalizione. Non abbiamo perso noi” ha spiegato poi Bandecchi all’ANSA, commentando i risultati.
Semmai in Umbria è il centrodestra ad aver “perso voti” e Fratelli d’Italia “non è stato in grado di compensare il calo della Lega” dopo l’exploit del partito di Salvini di cinque anni fa. “Il nostro risultato è in linea con le elezioni europee, abbiamo anzi guadagnato un punto o qualcosa in più. E a Terni siamo il terzo partito” ha continuato Bandecchi. In generale, in questa tornata elettorale, “abbiamo fatto di tutto per avere un esito diverso – ha aggiunto Bandecchi -, sapevamo che avevamo due regioni dall’anima rossa, ma come sempre accettiamo la scelta del popolo e, a differenza della sinistra, non facciamo polemica, non diamo dell’imbecille al popolo”.
Quanto al voto in Emilia-Romagna, “gestire una Regione con il 20% rispetto agli aventi diritto mi fa ribrezzo, io mi vergognerei. Le elezioni secondo me – ha concluso – andrebbero annullate se vota meno il 50% degli aventi diritto”.
(da agenzie)

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CONTE E GRILLO LITIGANO E GLI ELETTORI SCAPPANO: MENTRE NEL M5S SI DISCUTE OZIOSAMENTE SE STARE NEL “CAMPO LARGO” O CORRERE DA SOLI (COME VUOLE TRAVAGLIO), I CONSENSI VANNO A PICCO: IN EMILIA-ROMAGNA I 5 STELLE FINISCONO DIMEZZATI RISPETTO ALLE EUROPEE DI GIUGNO (3,6%), IN UMBRIA IL MOVIMENTO SI FERMA AL 4,8%

Novembre 19th, 2024 Riccardo Fucile

CONTE DEVE SCEGLIERE SE FARE LA SPALLA AL PD E VINCERE O ISOLARSI E PERDERE – ATTESA PER IL NUOVO INTERVENTO DI BEPPE GRILLO DOPO: POTREBBE INVITARE GLI ELETTORI M5S A DISERTARE LA COSTITUENTE BOLLANDOLA COME “INUTILE”

Tra il possibile blitz di Beppe Grillo e l’incognita del Campo largo: per il M5S quella delle Regionali non è stata del tutto una bella giornata. In Emilia-Romagna, gli stellati sono uno dei satelliti della valanga rossa di Michele de Pascale: prendono il 3,6%, quarta forza su cinque della coalizione.
Ma a far tremare i polsi ai vertici sono le preferenze: per la prima volta sotto quota 100 mila. Sono 53 mila, lontani dalle 102 mila del 2020, ma anche dai 126 mila voti delle primissime Regionali del 2010. In Umbria la situazione è lievemente migliore. Il M5S arretra: si ferma intorno al 4,8% (era al 7,4% nel 2019 e all’8,7 alle Europee), ma è fondamentale per il successo del Campo largo.
Giuseppe Conte chiama Stefania Proietti però, evita di andare in Umbria per la foto di rito, complici anche gli impegni in vista della Costituente M5S. Il nodo della vittoria, paradossalmente, ora diventa politico. Chi sostiene il Campo largo gongola. «Una vittoria del campo progressista. Abbiamo costruito un percorso solido», commenta Roberto Fico.
«Il Movimento riparta ora con questo spirito», gli fa eco Stefano Patuanelli. Ma l’ala che spinge per un cambio di orientamento con un M5S «indipendente» a sinistra, sottolinea come il trionfo sia un cul-de-sac, con i Cinque Stelle ridotti a cespuglietto dei dem.
Ma anche smarcarsi dai dem non sembra premiare: alle Comunali di Anzio e Nettuno, dove si votava nel weekend e dove il Movimento ha corso da solo, i Cinque Stelle si attestano al 5% circa (a Nettuno nel 2016 avevano vinto da soli). Dopo i risultati delle Amministrative potrebbe tornare a farsi sentire Beppe Grillo. Il dimezzamento delle preferenze in Emilia-Romagna, storica culla del M5S delle origini, è visto tra i fedelissimi del garante come l’ennesima prova della distanza tra il progetto contiano e il «fu Movimento».
Ecco la suggestione di un invito a seguire le orme degli elettori e «non prendere parte a una manifestazione inutile». Grillo si tiene le mani libere in vista della kermesse: scioglierà all’ultimo la riserva se partecipare o meno all’assemblea in programma all’Eur nel weekend. Più probabile che nelle prossime ore lanci il suo appello all’astensione.
(da Corriere della Sera)

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IL PIANO DI DE LUCA: DIMISSIONI ANTICIPATE E VOTO ENTRO 90 GIORNI, PER SFIDARE MELONI E SCHLEIN

Novembre 19th, 2024 Riccardo Fucile

ELLY HA IL NOME A SORPRESA CHE SPIAZZA TUTTI: IL MAGISTRATO RAFFAELE CANTONE E PROPORRA’ A DE LUCA DI CANDIDARSI A SALERNO… SE IL CENTRODESTRA CANDIDA PIANTEDOSI SI SUICIDA, PEGGIOR CANDIDATO NON POTREBBE SCEGLIERE

La cazzimma, la mossa, di Vincenzo De Luca, questa: dimettersi da presidente della Campania, a breve, convocare le elezioni, entro 90 giorni, anticipare le azioni del governo Meloni.
L’azzardo napoletano, il colpo di teatro, “na fint e Maradona”, sarebbero le dimissioni anticipate di De Luca. Per il Pd nazionale è “un’ipotesi da non escludere”. La legge regionale campana, recentemente approvata, che permette a De Luca di correre ancora, per il suo terzo mandato, sarà probabilmente impugnata da Meloni ma De Luca potrebbe giocare d’anticipo.
Dimettersi subito, dopo aver approvato la legge Finanziaria regionale, e convocare le immediate elezioni. Da statuto le convoca lui. Può farlo, già a dicembre, prima di Natale. Da quel momento scattano 90 giorni e si va al voto. Il rischio è un contenzioso giuridico.
Il grande problema? I consiglieri perdono almeno sei mesi di indennità. A Napoli, la destra è convinta che la Corte Costituzionale non possa che definire illegittima la norma approvata, dato che la legge elettorale regionale rinvia, a sua volta, al Tuel, il testo unico sugli enti locali.
In breve: si parifica il mandato del presidente di regione a quello dei sindaci, da qui il divieto di non superare i due mandati. De Luca ha già ricevuto il sostegno di Renzi e ha fatto sapere che correrà ugualmente così come Schein ha fatto sapere che il Pd non ricandiderà De Luca.
Ha una sorpresa, la sua. Il candidato della segretaria per la Campania sarebbe Raffaele Cantone. Se Cantone dovesse candidarsi, la destra ha un solo nome spendibile. L’elezione avrebbe come tema la legalità, la sicurezza e il solo candidato possibile è il ministro dell’Interno, Piantedosi. Ci sarebbe un’altra uscita di scena a cui pensa il Pd, un negoziato: proporre a De Luca la candidatura a sindaco di Salerno. E’ il ritorno a casa, la sua Elba, se De Luca, si dice a Napoli, “non fa’ uno e novanta” o non va a “scugnare lo strummolo”, non rompe il giocattolo. I novanta giorni di De Luca, l’ imperatore con cazzimma.
(da Il Foglio)

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LA GUARDIA COSTIERA TUNISINA SPERONA E UCCIDE 52 MIGRANTI: “MIO CUGINO E’ UNO DEI MINORI ANNEGATI QUELLA NOTTE”

Novembre 19th, 2024 Riccardo Fucile

UN BARCHINO CON 80 PERSONE A BORDO E’ STATO SPERONATO FINO A FARLO RIBALTARE, I SOPRAVVISSUTI SONO STATI DEPORTATI NEL DESERTO E VENDUTI AI LIBICI… E L’ITALIA FINANZIA QUESTI CRIMINALI

“Aspettavo da giorni notizie di mio cugino Musa, aveva sedici anni ed era scappato, come me, dalla guerra in Sudan. Sapevo che era partito dalla Tunisia per raggiungere l’Italia ma la sua chiamata, dall’altra parte della costa, non è mai arrivata”, racconta Mohammed (nome di fantasia) rifugiato sudanese a Sfax.
Sono le sette di sera dello scorso 7 novembre, a 19 chilometri da Sfax il mare che separa la Tunisia dalla porta d’Europa, Lampedusa, è una distesa nera. Il barchino è già in acqua con a bordo ottanta persone: una ventina di donne, tredici incinte, bambini, ragazzi e uomini. La costa è ancora vicina quando una motovedetta della Guardia Costiera tunisina intercetta i naufraghi. “Sono arrivati i tunisini, li hanno speronati, poi li hanno fatti ribaltare e li hanno guardati affogare”, racconta Mohammed, “mio cugino Mussa, è uno dei minori annegati quella notte insieme ad altre 52 persone”.
Tra le vittime c’era una madre insieme al suo bimbo di tre anni, la Guardia Costiera tunisina li ha lasciati affogare. La stessa Guardia Costiera che l’Italia finanzia da più di un anno e alla quale, lo scorso agosto, il governo Meloni ha regalato – nonostante lo stop richiesto da diverse ong e accolto dal Consiglio di Stato – le prime tre motovedette delle sei totali previste dal memorandum Italia-Tunisia per “rafforzare le attività di salvataggio in mare e le azioni di contrasto ai trafficanti di esseri umani”.
Secondo le ricostruzioni di chi è sopravvissuto, a salvarli è stato un pescatore tunisino, poco dopo costretto a consegnare i 23 superstiti alla Guardia Costiera che li ha riportati indietro a Sfax. “Una volta tornati a Sfax sono stati consegnati alla polizia che a sua volta li ha divisi in due gruppi: un gruppo è stato abbandonato nel deserto tra Libia e Tunisia e un altro gruppo venduto ai libici, nel centro di Al-Assah”, continua Mohammed, contattato dopo pochi giorni dal naufragio dagli amici del cugino, che stavano con Musa quella notte.
Nel deserto, adesso, si trovano 13 donne incinte senza cibo né acqua e senza la possibilità di tornare indietro. Tornare verso i centri abitati vorrebbe dire consegnarsi alla polizia tunisina e rischiare la prigione o di essere deportati in zone ancora più distanti del deserto. Il resto dei sopravvissuti, invece, sono stati venduti dalle autorità tunisine ai trafficanti libici della prigione di Al-Assah, centro di detenzione a cielo aperto al confine tra Libia e Tunisia, noto per la compravendita di esseri umani.
“Quello che Mohammed ci ha raccontato non rappresenta un caso isolato. Al contrario è una dinamica che si verifica molto spesso in Tunisia”, racconta Alice Basiglini dell’associazione Baobab Experience che da più di un anno monitora ciò che accade ai rifugiati in Tunisia. “Sappiamo ad esempio che solo il giorno prima, un altro natante è stato affondato dalla Guardia costiera tunisina e che ci sono stati altri morti senza nome e senza corpi da recuperare e piangere. La Tunisia è il primo partner commerciale italiano e destinataria di 4,8 milioni di euro previsti dal memorandum Italia-Tunisia e 105 milioni promessi da Ursula von der Leyen al presidente Kais Saied per impedire ai migranti sub-sahariani di salpare per l’Europa. La maggior parte di questi fondi è destinata proprio alla Guardia Nazionale. La Commissione europea, nonostante le inchieste, le testimonianze e le evidenti violazioni dei diritti umani, continua ad assicurare che sono stati messi in piedi meccanismi di monitoraggio dei casi di violazione degli standard Ue, mi chiedo allora quali siano gli standard dell’Europa in materia di diritti umani?”.
Mohammed resta da solo a Sfax, nella Tunisia di Kais Saied ancora presente nella lista dei paesi considerati sicuri dal governo Meloni.
“La nostra vita qui è continuamente in pericolo, non sappiamo se e per quanto sopravviveremo. Chi non è mentalmente forte in Tunisia rischia il suicidio”, continua Mohammed, che chiede di condividere la sua ultima preghiera per il cugino, Musa, “il suo fratellino”: “I morti non sentono, ma se voi potete sentirmi, volevo dirvi che siamo molto dispiaciuti per la vostra perdita. Avete tentato con tutte le vostre forze di raggiungere terre sicure Ma forse ora siete in un posto migliore, Eravate brave persone, e le brave persone non vivono a lungo in questo mondo. Che le vostre anime riposino in pace”.
(da Fanpage)

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QUANDO NOI ITALIANI ERAVAMO I “NEGRI D’AMERICA”: IN UN ARTICOLO DEL “NEW YORK SUN” DEL 1899 SI LEGGE CHE I MERIDIONALI EMIGRATI NEGLI STATI UNITI ERANO CONSIDERATI, “IL COLLEGAMENTO FRA LA RAZZA BIANCA E NERA. SCURI DI PELLE, I SICILIANI SONO PIÙ NERI DEI NOSTRI ‘NEGRI’ MULATTI”

Novembre 19th, 2024 Riccardo Fucile

SECONDO UN RAPPORTO DEL 1924 SUI FATTORI RAZZIALI NELL’INDUSTRIA USA, GLI ITALIANI RISULTANO “PROBABILMENTE I PIÙ MALTRATTATI DI TUTTI GLI STRANIERI”… PILLOLE DAL SAGGIO “ITALIANI D’AMERICA” DI AVAGLIANO E PALMIERI

Notizie tratte da Mario Avagliano e Marco Palmieri, “Italiani d’America. La grande emigrazione negli Stati Uniti (1870-1940)”, Il Mulino, pagine 552, euro 30.
Meridionali. Gli italiani meridionali sono considerati, come si legge in un articolo del New York Sun del 1899, “il collegamento fra la razza bianca e nera. Scuri di pelle, i siciliani sono più neri dei nostri ‘negri’ mulatti”.
Cervello. Quando nel 1910 un medico italiano interroga un gruppo di suoi connazionali, tutti lavoratori stagionali, sul perché insistono per inviare denaro alle loro famiglie in Italia visto che con quel poco che gli resta sopravvivono a malapena negli Stati Uniti, un uomo del gruppo gli risponde: “Dottore, abbiamo portato in America solo il nostro cervello e le nostre braccia. I nostri cuori sono rimasti lì, nelle casette nei bei campi della nostra Italia”.
Intelligenti. Nel maggio 1922 la North American Review pubblica un articolo firmato dal dottor Arthur Sweeney sulla necessità di sottoporre gli immigrati a test psicoattitudinali. Dai test condotti su 360 mila soldati statunitensi nati all’estero, emerge che il 45,6% si classifica con presunta età mentale tra i 7 e gli 11 anni, e dopo i polacchi gli italiani risultano i peggiori con una media del 63,4%. Conclusione: “Abbiamo bisogno degli immigrati. Ma ci servono quelli intelligenti e adattabili all’ambiente che troveranno qui. Non abbiamo bisogno di ignoranti e idioti”.
Cartoni. Il razzismo permea anche i cartoni animati per i bambini, come Porky’s Garden dei Looney Tunes, creato nel 1937 dalla Guild Films, dove il coprotagonista è un italiano robusto, scuro di pelle, con riccioli neri e lunghi baffi, che parla un inglese pieno di errori, nel ruolo del vicino di casa del maialino Porky Pig a Podunk. Quando la fiera contadina locale organizza una gara per premiare chi riuscirà a coltivare l’ortaggio più grosso, l’italiano cerca di sabotare in ogni modo il maialino, anche con la violenza.
Porky riesce comunque a produrre una zucca da competizione, mentre l’italiano porta alla gara le sue galline giganti e si aggiudica un premio in denaro. Le galline, però, subito dopo rimpiccioliscono per avere beccato e inavvertitamente inghiottito le pillole miracolose di un imbonitore, e così Porky si riprende il premio dalle mani del vicino. Quel bullo italiano ricompare altre volte nei cartoni animati, ad esempio in Braccio di ferro nei panni di Bruto, acerrimo nemico del marinaio Braccio di ferro, americano al cento per cento, che lo batte in ogni rissa nonostante la differenza di stazza.
Maltrattati. Secondo un rapporto di Herman Feldman del 1924 sui fattori razziali nell’industria, gli italiani risultano “probabilmente i più maltrattati di tutti gli stranieri”.
Ventisette milioni. Tra il 1876, anno della prima rilevazione ufficiale, e il 1900, quasi 27 milioni di italiani lasciano il Paese. Meno della metà – tra gli 11 e i 13 milioni – fa ritorno o perché non ammessi o per il fallimento dell’esperienza all’estero o per il desiderio di tornare alle origini dopo una vita di lavoro.
Paghe. Nei primi anni del Novecento le paghe giornaliere negli Usa in lire erano tra le 6 e le 15 contro le 0,85-1,25 lire a cui poteva ambire ad esempio un contadino calabrese.
Materazzi. “Quello che ti raccomando, è che tu ti porti con te i tuoi materazzi di lana e i cuscini e la biancheria che qui la lana è molto cara” (Lorenzo Cembrola da New York al figlio Diodato a Napoli in procinto di partire). Richiesti anche i fazzoletti e le sciarpe di seta, saponi e “daretica” (profumato origano della macchia mediterranea).
(da Il Fatto Quotidiano)

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VLADIMIR SHKLYAROV, LA STELLA DEL BALLETTO RUSSO E’ MORTO “CADENDO DALLA FINESTRA” (TANTO PER CAMBIARE)

Novembre 19th, 2024 Riccardo Fucile

AVEVA CRITICATO L’NVASIONE DELL’UCRAINA…LA VERSIONE UFFICIALE “E’ CADUTO DA UN BALCONE”

Un tragico incidente sabato sera ha posto fine alla vita di Vladimir Shklyarov, 39 anni, ballerino russo di danza classica di fama mondiale, stella del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo. Molti ballerini russi hanno reso omaggio a Shklyarov dopo la diffusione della notizia della sua scomparsa, con Irina Baranovskaya che ha definito la sua morte “uno stupido, insopportabile incidente” su Telegram. Baranovskaya ha scritto che Shklyarov “è uscito sul balcone per prendere un po’ d’aria e fumare” e “ha perso l’equilibrio” sul “balcone molto stretto”.
Una versione della tragedia confermata dalla portavoce del Teatro Mariinskij, Anna Kasatkina, che ha dichiarato ai media russi che Shklyarov è morto cadendo da un balcone mentre cercava di rientrare nel suo appartamento al quinto piano di un palazzo.
Kasatkina ha detto anche che il ballerino aveva recentemente subito un infortunio alla schiena e avrebbe assunto forti antidolorifici in attesa di un intervento chirurgico alla spina dorsale. Non è chiaro se e in che misura l’uso di antidolorifici abbia avuto un ruolo nella caduta dal terrazzo. Mentre è stata avviata un’indagine da parte della polizia per indagare sulle cause della morte, “la causa preliminare” è stata dichiarata “un incidente”, come ha riferito l’agenzia di stampa russa Ria Novosti. Vladimir Shklyarov era sposato dal 2013 con Maria Shirinkina, ballerina solista della compagnia del Teatro Mariinskij, ed era padre di due figli.
I media britannici e statunitensi ricordano che Shklyarov era una delle voci critiche su Putin e si era espresso contro l’invasione russa dell’Ucraina, come riportato da Lbc. Nel 2022, scrisse: “Sono contro la guerra in Ucraina, sono per il popolo, per un cielo pacifico sopra le nostre teste. I politici dovrebbero essere in grado di negoziare senza sparare e uccidere civili, per questo hanno ricevuto una lingua e una testa”.
(da agenzie)

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