Dicembre 14th, 2024 Riccardo Fucile
“VANNACCI? C’E’ STATO UN MATRIMONIO DI INTERESSE, CHE PRIMA O POI SI SCIOGLIERÀ, ADESSO CONVIENE A TUTTI E DUE STARE ASSIEME”… “LA MELONI? “L’ELETTORATO ADESSO SI È INNAMORATO DI LEI, PASSERÀ…”
“Non vedo l’era di Salvini al tramonto, ma il sogno di una Lega nazionale per Salvini premier è definitivamente tramontato: mi immagino che la Lega vada avanti senza scossoni almeno fino alle prossime elezioni”. Così all’Adnkronos l’ex ministro leghista Roberto Castelli a pochi giorni dal congresso lombardo del 15 dicembre, dove verrà eletto il prossimo segretario regionale.
“Mi pare – sottolinea Castelli – che dopo un certo periodo di crisi adesso la Lega si sia stabilizzata intorno al 9%: ormai questo crollo si è fermato. Penso – prosegue l’ex ministro – che Salvini lo utilizzerà per vivacchiare, è chiaro che i suoi sogni di gloria (è scritto anche nel nome del partito ‘Lega per Salvini premier’) facciano parte del passato ma non penso che lui corra pericoli a capo della Lega. Non vedo grandi scossoni”, sottolinea. “Ormai abbiamo visti questi cicli: l’elettorato si innamora di qualche figura: si è innamorato di Salvini, si è innamorato di Renzi, si è innamorato di Grillo. Adesso si è innamorato della Meloni, passerà anche quello…”.
Sulla scelta di Romeo come candidato unico alla segreteria della Lega lombarda Castelli evidenzia: “E’ una persona gradita alla base e non è contro Salvini”. Sul rapporto tra Salvini e Vannacci l’ex ministro evidenzia: “C’è stato un matrimonio di interesse che prima o poi si scioglierà, adesso conviene a tutti e due stare assieme: non vedo perché Vannacci debba fondare un suo partito in un momento in cui non ci sono tornate elettorali”, conclude.
(da agenzie)
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Dicembre 14th, 2024 Riccardo Fucile
IN MANOVRA IL GOVERNO SI AUTOGRATIFICA A SPESE DEGLI ITALIANI
Le certezze nella vita, come è noto, sono poche. Tra queste ci sono le tasse, piccole o
grandi, che di soppiatto vengono infilate nella manovra last minute. E questa volta c’è pure il pensiero natalizio rivolto agli amici, in questo caso i vicini di banco al governo. Al costo di varare misure ad alto tasso di impopolarità.
È stato inserito infatti l’emendamento dei relatori di maggioranza che prevedere l’adeguamento – ossia l’incremento – dello stipendio dei ministri che non sono parlamentari all’indennità percepita da deputati e senatori. La norma va quindi a modificare la riforma introdotta dal governo di Enrico Letta, che mirava a ridurre le spese.
Dell’aumento saranno beneficiari gli otto ministri non eletti né alla Camera né al Senato: Andrea Abodi (Sport) Guido Crosetto (Difesa), Marina Elvira Calderone (Lavoro), Alessandra Locatelli (Disabilità), Alessandro Giuli (Cultura), Matteo Piantedosi (Interno), Giuseppe Valditara (Istruzione), Orazio Schillaci (Salute). Dopo le indiscrezioni, non smentite per tutta la giornata, è arrivata la conferma del testo depositato in serata. L’emendamento, inoltre, introduce la cosiddetta norma “anti-Renzi”, sul cumulo di compensi per attività all’estero di parlamentari e ministri.
L’operazione-stipendi, favorevole ai componenti del governo, getta benzina sul fuoco delle proteste delle opposizioni dopo l’ennesimo “no” della destra al salario minimo per i lavoratori. «Mentre il Paese lotta per arrivare a fine mese, il governo decide di destinare risorse all’aumento degli stipendi dei ministri», ha attaccato Ubaldo Pagano, deputato del Pd. «Pensano solo ai loro interessi», ha rilanciato Vittoria Baldino, deputata del Movimento 5 Stelle.
Altre tasse
Tra i vari cespugli della legge di Bilancio 2025 spunta così il prelievo sulle scommesse, che dovrebbe servire a finanziare gli impianti sportivi. Ma potrebbe servire anche per altro, come ammettono dal Mef. Così come è previsto un altro balzello: l’aumento dell’addizionale sulle tasse di imbarco per i voli extra Unione europea, oltre al prelievo su tasse e banche per introdurre la misura dell’Ires premiale.
Insomma, mesi e mesi a parlare della manovra, in un groviglio di trattative e mediazioni tra leader, ma si è arrivati al solito punto: il caos e la nevrosi di dicembre, a pochi giorni dalle festività natalizie. Con le sorprese che escono dal cilindro. Nei fatti c’è un’altra mezza finanziaria, scritta a suon di emendamenti dei relatori e del governo, da valutare in tempi record. Senza grosse possibilità di intervento o dibattito.
L’approccio confusionario ha sollevato più di qualche lamentela dai deputati impegnati nella sfiancante maratona in commissione Bilancio alla Camera per l’iter del provvedimento. Non che rappresenti una novità, quando si parla di una manovra. Ma trasmette un senso di approssimazione ben lontano dalla narrazione decisionista che veicola il governo Meloni. E smentisce il presunto cambio di passo dell’era sovranista.
La giornata non è stata delle più semplici per il governo. La crescita, secondo la Banca d’Italia, si fermerà quest’anno allo 0,5 per cento, dimezzando l’1 per cento contenuto nel Piano strutturale di bilancio scritto dall’esecutivo. Un dato più basso anche dello 0,7 per cento che il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, aveva vaticinato qualche ora prima.
Ammettendo che si trattava di una crescita «asfittica». I problemi non sono destinati a terminare, in «un quadro di incertezza», come riporta l’analisi di Bankitalia. Così il trend di revisione al ribasso del Pil riguarda anche il 2025, dall’1 per cento indicato a ottobre si passa allo 0,8 per cento.
E mentre da via Nazionale arrivavano brute notizie, il governo ha provato a spandere ottimismo almeno sull’approvazione della Legge di Bilancio. Per ore è circolato lo spin comunicativo, secondo cui le votazioni sul provvedimento sarebbero terminate entro il fine settimana in commissione Bilancio.
Manovra complicata
«Spero si chiuda il confronto entro il weekend», è stato l’auspicio del il ministro dell’Economia Giorgetti. Un’affermazione che ha provocato ilarità tra i deputati delle opposizioni. E hanno avuto le loro ragioni. La giornata si è infatti ingarbugliata, richiedendo un supplemento di sforzo al sottosegretario all’Economia Freni, sempre più Mr. Wolf del governo quando c’è bisogno di dipanare le matasse della legge di Bilancio.
Solo che, per quanto esperto in materia, non è attrezzato al compimento di miracoli. «Non sono la Madonna di Pompei», ha ironizzato, chiamato in causa su un emendamento da finanziare.
Così gli auspici di chiusura entro domenica non possono essere mantenuti. Occorre un supplemento di tempo. Il tour de force in commissione dovrebbe terminare lunedì per trasmettere il testo all’aula
Di mezzo c’è pure il congresso della Lega in Lombardia che richiede lo spostamento fisico di alcuni esponenti del partito di Salvini.
Un indizio sul rinvio è arrivato dalla presidenza della Camera, che ha convocato la capigruppo per lunedì alle ore 18. In quella sede si definirà la tempistica con l’intreccio ostico del calendario: martedì a Montecitorio ci sarà Giorgia Meloni per le comunicazioni in vista del consiglio europeo.
Tra uno slittamento e l’altro, è probabile che il primo via libera alla manovra dovrebbe arrivare a ridosso del prossimo fine settimana con il voto di fiducia.
E se la manovra è ormai prossima all’approvazione, da Forza Italia arriva il monito per il nuovo anno. Antonio Tajani ha riunito i vertici del partito per fare un bilancio del 2024, ma soprattutto per serrare i ranghi per il futuro. «Dal primo gennaio dobbiamo cambiare registro», ha detto il segretario di FI, ribadendo un principio: «Vogliamo riaffermare la nostra identità».
(da editorialedomani.it)
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Dicembre 14th, 2024 Riccardo Fucile
“CHI LA DURA LA VINCE”: A PERDERE SONO SEMPRE QUEGLI ITALIANI FESSI CHE RISPETTANO LA LEGGE
Quando un italiano (su tre) riceve una multa, non la paga. La colleziona. La mette a riposare come un cuoco la carne: per renderla più morbida. Il segreto, con le multe, consiste nel saper praticare la nobile arte dell’attesa, ma soprattutto nell’accumularne il più possibile, perché maggiore è il numero delle contravvenzioni arretrate o delle cartelle esattoriali in sospeso e più frecce si avranno al proprio arco quando arriverà il momento di sedersi a trattare con lo Stato.
E quel momento, si sa, da noi arriva sempre. Basta aspettare il governo giusto e poi «chi la dura la vince», come ha affermato ieri con malcelato orgoglio Ignazio La Russa: quella di chi ignora i solleciti è evidentemente l’unica Resistenza che gli piace.
Il presidente del Senato fraternizzava idealmente con quei No Vax che non pagarono la sanzione prevista per chi aveva violato la legge e che adesso si vedranno condonare la multa, mentre i No Vax che la saldarono (i Sì Lex?) non se la vedranno affatto rimborsare.
È rassicurante scoprire che anche tra gli oppositori dell’obbligo del vaccino si era riprodotta la stessa dicotomia riscontrabile in qualunque altra comunità di connazionali al momento di pagare il conto: da una parte i ligi che borbottano, ma mettono mano al portafogli, e dall’altra i furbi che davanti alla minaccia incombente si comportano come gli opossum: fingendosi morti. Tanto chi la dura la vince.
E a perdere sono sempre gli stessi, che in italiano fa rima con fessi.
(da il Corriere della Sera)
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Dicembre 14th, 2024 Riccardo Fucile
FILA DIETRO LE QUINTE PER RENDERLE OMAGGIO, IN ATTESA DI PORTARLA IN PROCESSIONE PER GRAZIE RICEVUTE
Lo dicono tutti, botta di gomito: “Arianna è rinata”. E aggiungono: “Questa è la sua
Atreju”. Per la prima volta ha partecipato a un panel, come vengono chiamati tutti questi dibattiti molto istituzionali avvolti da una coreografia blu – auto blu – compassata a metà fra un’assemblea di Confindustria e un evento Anci.
Poca goliardia, molto potere, in quantità industriale. Tangibile. E’ il Circo Massimo del melonismo: dopo questo ci sarà solo il Colosseo. Niente scherzi, le burle non sono ammesse come ai vecchi tempi. E’ l’edizione che consacra la sorella della premier, a cui la “Voce del patriota” dedica la prima intervista dell’edizione straordinaria. La responsabile della segreteria politica parla di mattina a proposito del soffitto di cristallo, che con la sorella Giorgia ha frantumato, poi si dedica alle cortesie per gli ospiti nel backstage. Tutti passano da lì prima di salire sul palco o solo per farsi vedere e salutarla. E’ la stanza di Arianna, in attesa della sorella prevista domenica.
Mentre la premier accoglie a Palazzo Chigi il presidente della Palestina Abu Mazen e quello argentino Javier Milei, la sorella maggiore fa gli onori di casa a questa schiera di super vip che non fanno fatica a riconoscerla. Solo ieri: Lorenzo Guerini (presidente del Copasir), Nunzia Ciardi (vicedirettrice della Cybersicurezza), Sabino Cassese (costituzionalista), Claudia Gerini (attrice simpatizzante), Giulio Base (Torino film festival), Manuela Cacciamani (Cinecittà in polemica con la precedente gestione), lo scrittore Federico Moccia, Luciano Violante ed Enrico Letta, in quota diversamente Pd e suoi derivati, Maria Chiara Carrozza (presidente Cnr). Ah ecco Marion Le Pen con il marito Vincenzo Sofo che bussano alle transenne: perché chi conta sta dietro, più che sul palco. E poi ci sono tutti i ministri, i vice, i sottosegretari, i parlamentari di FdI, gli amministratori delegati d’area, gli staff inebriati da questo potere che annusano a occhi chiusi. La “via italiana” è quella che porta al salottino privé. Da dove la Meloni non si muove, d’altronde in Via della Scrofa occupa la stanza che fu di Giorgio Almirante e Gianfranco Fini. Caffè, abbracci, “mettiti seduto”, “che mi racconti?”.
La romanità usata come antidoto ai formalismi. “Non rilascia dichiarazioni, Arianna. Ha già parlato questa mattina”, informa chi le custodisce parole, opere e omissioni. La sorella della Nazione è stata l’ospite d’eccezione dell’incontro tutto al femminile nella sala Cristoforo Colombo con la sottosegretaria e figlia d’arte Isabella Rauti, l’attivista Lgbt Anna Paola Concia, la conduttrice Nunzia De Girolamo e Claudia Gerini. Resta l’aggettivo “vergognoso” nei confronti di Report che ha mandato in onda la telefonata fra “una coppia in crisi”. E cioè l’ex ministro Gennaro Sangiuliano e la moglie ai tempi del caso Boccia. Un fatto non tollerabile – secondo colei che è di fatto la numero due del primo partito italiano – che poi spingerebbe i più giovani al revenge porn. Da Atreju, spazio di confronto e poco scontro, Arianna Meloni lancia anche una sorta di bicamerale affinché “dialoghino le femministe di destra e sinistra”. Concia dice sì. “Paola io ci sto”, risponde la padrona di casa, emozionata per questa prima volta. Salvo, appena superata la prova, rientrare nella sua tana, quella delle relazioni e della gestione con Giovanni Donzelli. Un andirivieni di persone da accogliere: direttori, ad, presidente, onorevoli ministri, mani da stringere e, sperano in molti, carriere da benedire anche se non si può dire. Niente di strano, niente di cui stupirsi. Lo spirito del tempo è questo.
Fortuna Ignazio La Russa, certo. In una festa un po’ anestetizzata ma piena di carboidrati, la sala stampa sforna pizzette e dolci senza sosta, il presidente del Senato, intervistato da Peter Gomez, non delude. Esistono poche certezze nella vita: tra queste c’è la seconda carica dello stato, gioia dei titolisti. Canta a Radio Atreju “Azzurro” (“l’inno dell’Italia di serie B”), gira tra gli stand, ruba una caramella (“io sono Babbo Natale”), si esibisce in una barzelletta su Conte e Grillo (la cui pace è più difficile di quella fra israeliani e palestinesi), sfotte bonariamente l’omologo della Camera Lorenzo Fontana (“dicono che io soffra di incontinenza verbale rispetto a lui? Aspirerà a fare il presidente della Repubblica…Io no”). Sul palco La Russa annuncia che, niente mare, è per votare al referendum sull’Autonomia differenziata, accarezza la ministra Daniela Santanchè (“credo nella sua innocenza: guai a dimenticarsi degli amici”). E poi ancora mischia con simpatia bordelli e nucleare: boom. “Se sono favorevole alla regolamentazione della prostituzione? Sono favorevoli gli svizzeri, vanno tutti a Lugano. Questa roba è come per le centrali nucleari che ce le hanno messe al confine della Francia. Abbiamo centrali nucleari al confine con la Francia, bordelli al confine con la Svizzera, i fregati sono sempre gli italiani”. Segue nota risata del presidente del Senato e applauso del pubblico. Così si arriva al pranzo ma poi all’ora dell’ammazza caffè c’è il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, che sventola il certificato giudiziario intonso senza voler dire per cosa avrebbe oblato una condanna, e poi al momento di partecipare a un dibattito sulla sicurezza in punta di diritto dice: “Noi vogliamo prendere per la pelle del culo chi occupa la casa degli anziani, dargli un calcio nel sedere e ridare il possesso della casa all’anziano”. La giostra gira: ecco il vicepresidente della Commissione Ue Raffaele Fitto, l’ad di Enel Flavio Cattaneo, Bruno Vespa. Lo spirito di Giorgia veglia dall’alto, il sorriso di Arianna ti avvolge. I soliti maliziosi: “Sai che l’ex compagno, il ministro Francesco Lollobrigida, praticamente non si è mai visto causa impegni istituzionali?”. Spunterà oggi per un panel sul valore del cibo made in Italy.
(da ilfoglio.it)
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Dicembre 14th, 2024 Riccardo Fucile
RUFFINI METTE NERO SU BIANCO LA BENEVOLENZA DEL GOVERNO VERSO GLI EVASORI
Il direttore dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, ha inviato le sue dimissioni al ministro Giancarlo Giorgetti, anticipando di un anno la naturale scadenza del suo mandato. Ruffini, in un’intervista al Corriere della Sera, afferma di non aver “mai visto pubblici funzionari come esattori di un pizzo di Stato”, spiegando il suo disagio di fronte alla “descrizione caricaturale del ruolo di direttore dell’Agenzia, come se combattere l’evasione fosse una scelta di parte e addirittura qualcosa di cui vergognarsi”.
Ruffini mette nero su bianco che la benevolenza nei confronti dell’evasione fiscale del governo non è una percezione giornalistica, ma una realtà palpabile all’interno dell’Agenzia, il polmone finanziario dello Stato. “In effetti non mi era mai capitato di vedere pubblici funzionari essere additati come estorsori di un pizzo di Stato – aggiunge -. Oppure di sentir dire che l’Agenzia delle Entrate tiene in ostaggio le famiglie, come fosse un sequestratore”. Promettere di demolire le istituzioni, sostenendo che questo sia il passo verso la completa libertà, è la favola di sfondo dei sovranisti di ogni latitudine.
La cittadinanza regalata per ius sanguinis al presidente argentino Javier Milei, l’etere spalancato a Elon Musk, la passione sfrenata per Viktor Orbán e le moine di Giorgia Meloni con Donald Trump raccontano l’attrazione di questo governo per i distruttori delle istituzioni. È la condanna di chi, anche al governo, dimostra di saper fare solo opposizione: distruggere ciò che non si riesce a governare. E chiamarla politica.
(da agenzie)
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Dicembre 14th, 2024 Riccardo Fucile
TRA I BENEFICIARI NORDIO, VALDITARA, CROSETTO, PIANTEDOSI E GIULI..IL FLOP DEL CONCORDATO E LA CRESCITA DELLE SPESE PER I VIAGGI
Il conto preciso lo fa Il Sole 24 Ore: per 17 ministri e sottosegretari che non sono
deputati a partire dal 2025 lo stipendio aumenta di 7.193,11 euro al mese. L’emendamento alla Legge di Bilancio che prevede l’aumento dell’emolumento mensile aggiunge 3.503,11 euro della diaria che spetta a deputati e senatori e i 3.690 euro di rimborsi per l’esercizio del mandato. E ai settemila e più euro bisogna sommare anche altri 1.200 per le spese telefoniche e i rimborsi di viaggi. Che si sommano, naturalmente, ai 10.435 euro lordi di partenza. Tra i beneficiari ci sono Andrea Abodi, Carlo Nordio, Giuseppe Valditara. E poi Alessandro Giuli, Guido Crosetto, Matteo Piantedosi, Alessandra Locatelli e Orazio Schillaci. Intanto aumentano la tassa d’imbarco per gli aerei e le tasse per i giochi online. E il concordato è un flop
L’aumento dello stipendio dei ministri
Con l’emendamento per i componenti del governo che non hanno un seggio parlamentare si prevede l’allineamento non più dell’indennità, ma dell’intero trattamento economico. E così i 17 tra ministri e sottosegretari sommeranno ai 10.435 euro lordi al mese i 3.503,11 euro della diaria che spetta a deputati e senatori e i 3.690 euro di rimborsi per «l’esercizio del mandato». Anche se questi soldi servono al pagamento dei collaboratori e i ministri hanno già riempito gli uffici di staff a chiamata fiduciaria. Ai 7.193,11 euro totali si sommano i 1.200 annui per le spese telefoniche e i rimborsi di viaggio. Con l’emendamento arriva il divieto per parlamentari e presidenti di Regione di svolgere incarichi retribuiti al di fuori dell’Unione Europea. Una norma che serve a far arrabbiare Matteo Renzi, ma che colpisce anche gli eletti nelle circoscrizioni estere extraeuropee.
Il concordato è un flop
Intanto, nonostante la proroga al 12 dicembre, le adesioni al concordato preventivo biennale per i periodi d’imposta 2024-2025 sono 750 mila. È quanto sostiene l’Associazione Nazionale Commercialisti, i cui dati preliminari stimano «un incremento marginale, con una percentuale finale di adesioni compresa tra il 14% e il 18%, per un totale non superiore a 750.000 soggetti economici». Un risultato, evidenziano, «lontano dagli obiettivi prefissati». Che prevedevano entrate pari a 2,5 miliardi di euro. «La chiusura della stagione del Concordato lascia aperte molte domande», dichiara il presidente dell’associazione, Marco Cuchel. «Soprattutto sull’effettiva capacità dello strumento di raggiungere gli obiettivi di semplificazione fiscale e di equità. Se da un lato emerge la necessità di individuare nuove risorse per sostenere le promesse fiscali, dall’altro rimane il nodo della gestione delle politiche tributarie».
Gli altri aumenti
Repubblica fa sapere che da aprile 2025 aumenta di 50 centesimi l’addizionale comunale sui biglietti aerei per voli extra-Ue. La misura riguarda gli scali italiani che hanno un traffico superiore a 10 milioni di passeggeri annui. Nel 2023 hanno superato la soglia Fiumicino, Malpensa, Bergamo, Napoli, Venezia, Catania. Nel 2024 si aggiungono Linate e Bologna. L’incremento di gettito che è stimato in 5,33 milioni per il 2025 (la misura parte da aprile) e 8 milioni per il 2026. Borgomeo (Assaeroporti): siamo alla Torre di Babele, negli scali ci sono 6 diversi livelli di addizionale comunale.
(da Open)
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Dicembre 14th, 2024 Riccardo Fucile
FDI PERDE LO 0,5%, ILPD GUADAGNA LO 0,4%
Meno di 5 punti. Questa la distanza tra Fratelli d’Italia e il Partito democratico secondo la media ponderata dei sondaggi nazionali, la Supermedia Youtrend/Agi di questa settimana.
Una tendenza che sembra qualcosa più di un’oscillazione: FdI (28,5%) perde lo 0,5 e fa segnare il suo dato peggiore dalle Europee di giugno, mentre il Pd risale di 0,4 e torna su valori (23,6%) che non si registravano da luglio.
Ad oggi, la distanza tra i primi due partiti è tornata dunque a essere inferiore a 5 punti.
Sia la crescita del Pd che il calo di FdI avvengono senza essere ‘compensati’ da variazioni di segno opposto tra i partiti alleati: questo fa sì che anche i rapporti di forza tra centrodestra e centrosinistra, e ancor più tra centrodestra e quello che viene definito ‘campo largo’ delle opposizioni, siano più equilibrati rispetto al recente passato.
Questa, nel dettaglio, la Supermedia.
FDI 28,5 (-0,5)
PD 23,6 (+0,4)
M5S 11,5 (+0,1)
Forza Italia 9,0 (-0,2)
Lega 8,8 (=)
Verdi/Sinistra 6,2 (-0,1)
Azione 2,8 (+0,1)
Italia Viva 2,3 (=)
+Europa 2,1 (+0,1)
Noi Moderati 1,0 (=)
(da agenzie)
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Dicembre 14th, 2024 Riccardo Fucile
COME AL SOLITO, LA DUCETTA PRETENDE DI SCEGLIERE UN SUO FEDELISSIMO: GABRIELLA ALEMANNO (SORELLA DI), SEGUACE DEI DETTAMI DEL “FISCO AMICO” TARGATO MAURIZIO LEO (FDI) – IN PISTA ANCHE IL DIRETTORE VICARIO DELLE ENTRATE, VINCENZO CARBONE, E IL DIRETTORE DELL’AGENZIA DELLE DOGANE, ROBERTO ALESSE
Un direttore “amico” per il Fisco amico. L’identikit del successore di Ernesto Maria
Ruffini alla guida dell’Agenzia delle Entrate è pronto. Elaborato a Palazzo Chigi nei giorni scorsi perché il passo indietro era stato messo in conto anche se, sottolineano fonti di governo, non così presto.
E ora Giorgia Meloni vuole un fedelissimo al posto di Ruffini. Una figura, insomma, che creda nella riforma fiscale della destra. Tre nomi sul tavolo: l’attuale direttore vicario delle Entrate, Vincenzo Carbone, insieme al direttore dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli, Roberto Alesse. Nel toto-nomi anche la commissaria Consob, Gabriella Alemanno
La presidente del Consiglio, spiegano fonti di governo, vuole evitare brutte sorprese e cioè ritrovarsi un direttore ostile a una visione fiscale che continua invece a rivendicare. È quello che chiama “Fisco amico”.
La scelta di Alesse, però, implicherebbe un rimescolamento dei ruoli apicali delle Agenzie fiscali dato con la sua uscita rimarrebbe vuota la casella delle Dogane. Un puzzle da ricomporre in corsa e che, se portato a termine, potrebbe registrare il ritorno alle Dogane di Benedetto Mineo, dove il manager ha già ricoperto il ruolo di direttore.
L’indicazione di Carbone, invece, eviterebbe troppi cambi. Tra l’altro l’attuale direttore vicario delle Entrate può contare sull’apprezzamento del viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, il regista della riforma fiscale meloniana.
La promozione di Carbone, da vicedirettore della Divisione contribuenti a vice di Ruffini, è arrivata un mese fa, insieme a una delega di peso, quella per l’attuazione della riforma fiscale. Il cerchio si chiude.
(da agenzie)
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Dicembre 14th, 2024 Riccardo Fucile
LO STATO IDEALE DEI SOVRANISTI E’ UNA DITTATURA
Vietato protestare. O comunque contraddire. Nell’era del governo Meloni ogni forma di dissenso è un orpello, qualsiasi parola o sentenza sgradita è da mettere al bando. L’obiettivo finale è la revisione del diritto allo sciopero, già preannunciata dal vicepremier, Matteo Salvini. La sua idea sarà portata al tavolo di palazzo Chigi il prossimo anno. Con chissà quali esiti.
Ma la breccia è stata aperta, arrivando all’ultimo miglio della torsione autoritaria del governo Meloni che già vive con fastidio le inchieste dei giornali e i pronunciamenti dei giudici, che svolgono il proprio lavoro: raccontare i fatti ed emettere sentenze nel rispetto della legge.
Per non tacere delle proteste ambientaliste o studentesche, inserite come target da abbattere con il disegno di legge sulla sicurezza: il reato di blocco stradale prevede aggravanti fino a due anni se riunite in gruppi.
Stop alla precettazione
In questo quadro la precettazione, a cui il leader leghista ha fatto ricorso a ogni sciopero, è stato un segnale della scarsa tolleranza verso la mobilitazione. Un abuso, quello di Salvini, sconfessato dalla sentenza del Tar sullo sciopero dei trasporti di venerdì 13, proclamato dall’Unione sindacale di base (Usb). La precettazione è stata cancellata dal tribunale.
Salvini ha alzato ancora di più i toni dello scontro: «Ora ci sarà l’ennesimo venerdì di caos e disagi. I cittadini potranno ringraziare il giudice del Tar».
L’escalation verbale ha spalancato la strada alla sfida totale, la riduzione degli spazi di mobilitazione. «Sarà opportuno rivedere la normativa sullo sciopero. Lo porterò sul tavolo della maggioranza», ha scandito il vicepremier. La sua posizione non è una delle tante fughe solitarie del leader leghista.
Anche le parti cosiddette moderate della coalizione di governo sono pronte a sostenere l’offensiva salviniana nei confronti di un diritto sancito dalla Costituzione. Il ministro della Pa, Paolo Zangrillo, esponente di Forza Italia, ha concordato con il collega di governo: «Salvini ha ragione». E poco male se, come già raccontato da Domani, con tutti i governi ci sono stati gli stessi scioperi. Anzi con Paolo Gentiloni e Matteo Renzi a palazzo Chigi è andata pure peggio.
E, se gli scioperi sono il nuovo fronte del contrasto al dissenso, già in altri casi il governo ha usato riforme e provvedimenti per depotenziare i contrappesi democratici. Colpendo il “nemico”.
Lo scontro sulla giustizia è ormai un genere letterario. Appena possibile viene predisposta qualche normativa per depotenziare la magistratura.
Cari nemici
La separazione delle carriere è uno dei pallini del ministro Cardio Nordio: «La madre di tutte le riforme», l’ha definita. Intanto sono già entrati in vigore altri interventi, dall’abolizione dell’abuso di ufficio alla limitazione del reato di traffico di influenze. In alcuni casi lo scontro tracima nell’affronto spregiudicato.
Di fronte alle sentenze dei giudici sui trattenimenti dei migranti, il governo ha voluto nel decreto Flussi una norma ad hoc per spostare le competenze sotto l’egida delle corti d’appello, generando un pasticcio giuridico. Ma con l’effetto di essersi vendicato dei pronunciamenti che, tra le varie cose, hanno mostrato l’illegittimità, oltre che l’illogicità, delle deportazione dei migranti in Albania.
L’ultimo caso di vendetta è il disegno di legge per ridurre i poteri della Corte dei conti, troppe volte vista dal governo come un controcanto fastidioso. A cavallo tra due nemici, la magistratura e la stampa, si collocano le varie leggi bavaglio. Prima il divieto di pubblicare le ordinanze cautelari e ora il rafforzamento del divieto di riportare negli articoli gli atti di indagini e le interdittive.
L’informazione è sotto attacco su più fronti. Uno di questi, come avvenuto a Domani, è la presentazione di esposti in procura per scoprire la genesi delle inchieste giornalistiche e individuare le fonti adducendo come motivazione una possibile «rivelazione di segreto». Insomma, la stampa deve essere addomesticata, altrimenti si chiede ai pm di indagare.
È successo a questo giornale con il ministro della Difesa, Guido Crosetto, con il capo di gabinetto di palazzo Chigi, Gaetano Caputi, e anche il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari lo ha annunciato dopo alcuni articoli di Domani, sui rapporti con le società di lobbying. In alternativa, si fa ricorso all’avvio di cause civili o alle querele.
C’è un altro versante di attacco al giornalismo: ridurre gli stanziamenti. A inizio 2024 è stata cancellata la pubblicità legale sui giornali, in precedenza è stato azzerato il fondo introdotto durante il Covid. Nella manovra, in esame alla Camera, c’è un tentativo di mettere una toppa con gli emendamenti, spinti da Forza Italia e in particolare dal sottosegretario all’Editoria Barachini, per destinare qualche milione di euro aggiuntivo al settore. Bisogna vedere l’esito finale.
Il manifesto della svolta securitaria dell’era meloniana resta comunque il disegno di legge sulla Sicurezza, attualmente al Senato. È il sigillo alle misure “anti proteste”, che prevede il reato di «rivolta» in carcere oltre alla norma sui blocchi stradali. Per reprimere qualsiasi possibile protesta. Dalle strade ai penitenziari fino alle piazze dello sciopero.
(da editorialedomani.it)
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