Destra di Popolo.net

PERCHE’ LO SCUDO PENALE PER LE FORZE DELL’ORDINE DEVE FARE PAURA AI CITTADINI

Gennaio 15th, 2025 Riccardo Fucile

IL GOVERNO PENSA A TUTELARE GLI ABUSI INVECE DI DIFENDERE I CITTADINI CHE LI SUBISCONO

Immaginate di vivere in un Paese normale. Anzi, meglio: in una democrazia normale.
Immaginate pure che esca un video in cui dei carabinieri inseguono una coppia di ragazzini in motorino che non si sono fermati a un posto di blocco, e che in quel video si sentano gli agenti che si incitano vicendevolmente a speronare il motorino per farlo cadere, e a dolersi nel non essere riusciti a farlo. Immaginate pure che nel corso di quell’inseguimento si verifichi un impatto tra motorino e volante, che uno dei due ragazzini muoia in seguito a quell’impatto, e che quegli stessi agenti si premurino di far cancellare o occultare ogni video che racconti la dinamica di quell’inseguimento.
Immaginate anche che, qualche giorno dopo, dei poliziotti fermino delle giovani militanti nel corso di una manifestazione ambientalista di protesta, le portino in Questura e, arrivate lì, in una stanza gelida, chiedano loro di spogliarsi, di togliersi gli slip e di piegarsi tre volte sulle gambe.
In una democrazia normale, probabilmente, si discuterebbe della tutela delle persone di fronte a due presunti casi di prevaricazione da parte delle forze dell’ordine.
E magari di come tutelare maggiormente i cittadini per far sì che l’uso della forza di cui le forze dell’ordine stesse hanno monopolio sia commisurato alla reale entità dei reati commessi, o del disordine sociale che una manifestazione di protesta può provocare.
In Italia, invece, di fronte al video della morti di Ramy Elgaml nessun esponente del governo o della maggioranza si è sentito in dovere di dire alcunché. Così come del resto di fronte ai racconti delle militanti di Extinction Rebellion Brescia.
A scatenare le ire e il furore legislativo della maggioranza di destra che sostiene Giorgia Meloni sono stati gli episodi di violenza verso le forze dell’ordine durante la manifestazione di Bologna per protestare contro la morte di Ramy. Episodi che hanno convinto la maggioranza a proporre una sorta di “scudo” per i poliziotti che rischiano di finire automaticamente nel registro degli indagati quando “qualcosa va storto” nell’esercizio delle loro funzioni.
Intendiamoci: si può discutere se questa sia una misura corretta o meno. E pure quanto nel concreto permetta alle forze dell’ordine di avere le mani ancora più liberi nel reprimere con violenza manifestazioni di protesta e disordini sociali. Quel che spaventa più di tutto, di questa proposta della maggioranza, sono le intenzioni. La volontà, cioè, di affermare il principio che il governo sta con le forze dell’ordine che abusano della loro forza, mentre al contrario non si interessa dei cittadini che quegli abusi li subiscono. Tanto più se sono stranieri o oppositori politici.
Non è un fulmine a ciel sereno, ovviamente. Che lo si chiami o meno scudo penale, questa proposta rappresenta l’ennesima piccola torsione verso uno Stato autoritario e illiberale, in cui manifestare il dissenso è sbagliato a prescindere. E in cui alla rabbia sociale – che nel caso di Ramy ha perlomeno un motivo – si risponde solo con la repressione, meglio ancora se violenta, anziché eradicandone le cause.
Sappiamo come va a finire, in questi casi: violenza chiama violenza, repressione chiama reazione che chiama ulteriore repressione.
Fino a che in piazza non ci scenderà più nessuno, per paura di prenderle, di finire in questura a subire chissà cosa, con la consapevolezza che lo Stato tutelerà sempre e comunque l’agente violento, anziché il cittadino che quella violenza la subisce.
Se questo è l’obiettivo del governo, forse dobbiamo iniziare a spaventarci. Anche perché l’aria che tira – in Italia, in Europa, in Occidente -non promette altro che questo.
(da Fanpage)

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CASO SEYMANDI, IL PM CHIEDE L’ARCHIVIAZIONE PER GLI INSULTI RICEVUTI SUI SOCIAL IN QUANTO “SUI SOCIAL NON E’ POSSIBILE ASPETTARSI DI RICEVERE LO STESSO RISPETTO CHE E’ DOVUTO NELLA REALTA'”

Gennaio 15th, 2025 Riccardo Fucile

UNA TESI ALLUCINANTE CHE NEGA GIUSTIZIA ALLE VITTIME… SE LO STATO NON ESISTE, SI APRE LA STRADA A CHI VORRA’ FARSI GIUSTIZIA DA SOLO, ANDANDO A BUSSARE ALLA PORTA DEI LEONI DA TASTIERA

Per gli insulti ricevuti sui social media Cristina Seymandi non ha intenzione di lasciar correre. L’imprenditrice torinese, finita al centro delle cronache per la turbolenta fine della sua relazione con Massimo Segre, con tanto di video a testimoniare le accuse di lui di un presunto tradimento durante una festa per le imminenti nozze, a inizio dicembre dicembre ha visto chiudersi in un nulla di fatto la sua denuncia per diffamazione. Seymandi aveva allegato alla sua richiesta una serie di commenti offensivi ai quali aveva deciso di trovare soddisfazione in tribunale.
Il pm Roberto Furlan ha invece chiesto l’archiviazione, spiegando in sintesi che sui social non è possibile aspettarsi lo stesso rispetto che è dovuto nella realtà.
Martedì 14 gennaio il suo avvocato Claudio Strata ha scandito che «è giunto il momento di fare qualcosa per stanare questi vigliacchi, leoni da tastiera che non vedono l’ora di colpire persone indifese, che a loro insindacabile giudizio devono essere, chissà perché, danneggiate», sollecitando la Procura a non tollerare «che queste gravissime aggressioni restino impunite». Ora spetta al giudice per le indagini preliminari pronunciarsi sulla opposizione di Seymandi alla richiesta di archiviazione, e lo farà nei prossimi giorni.
(da agenzie)

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“BUFFONE, DIMETTITI”: RENZI TORNA A CHIEDERE LA TESTA DI SALVINI ASSENTE AL QUESTION TIME SUL CAOS TRENI

Gennaio 15th, 2025 Riccardo Fucile

IL LEADER LEGHISTA NON SI PRESENTA IN AULA, LE OPPOSIZIONI IN RIVOLTA CONTRO IL MINISTRO DEI TRASPORTI

“Salvini torna a bordo!”, lo attaccano da ogni anfratto delle opposizioni. Pd, 5 Stelle, Avs, +Europa, Italia Viva, Azione, tutti scatenati contro il ministro delle infrastrutture che mentre i treni tracollano un’altra volta sparisce.
Dopo il caos di martedì alla stazione Termini oggi nuovi rallentamenti sulla linea Roma-Firenze, nel nodo di Verona, sulla Jonica, a Pomezia, sulla Domodossola-Milano. Ma Salvini non si presenta nemmeno al question time in Parlamento previsto nel primo pomeriggio. Con Matteo Renzi che gli urla “Buffone dimettiti”.
Matteo Renzi era tornato all’attacco rilanciando la petizione on line per chiedere le dimissioni del ministro: “Sei stato al governo più tempo di me, buffone. Da quando tu fai il ministro, è un ritardo continuo. Ma perché non ti dimetti come ti stanno chiedendo migliaia di cittadini?”, controribatte via social a Salvini, che poco prima lo aveva attaccato ricordandogli la promessa non mantenuta di lasciare la politica ai tempi del referendum.
Il leader di Azione Carlo Calenda ha interrogato il governo sul disastro di questi giorni, tra cancellazioni, ritardi biblici e guasti. Ferrovie ha depositato stamani un esposto alla Digos di Roma.
(da agenzie)

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SO’ PIPPE E GRIDANO AL COMPLOTTO? IL GRUPPO FERROVIE HA PRESENTATO UN ESPOSTO ALLA DIGOS IPOTIZZANDO UN SABOTAGGIO DIETRO AI GUASTI A RIPEZIONE DELLE ULTIME SETTIMANE

Gennaio 15th, 2025 Riccardo Fucile

OGGI NUOVI PROBLEMI SULLE LINEE ROMA-FIRENZE E ROMA-NAPOLI… LE OPPOSIZIONI ALL’ATTACCO DI SALVINI: “CERCASI MINISTRO DISPERATAMENTE”

Dopo i disagi sulla linea convenzionale Roma-Firenze, che vanno avanti da stamattina con rallentamenti per un guasto alla linea tra Montevarchi e Laterina – temporaneamente regolata tramite l’utilizzo di un unico binario – arriva un altro inconveniente tecnico in Centro Italia, in particolare sulle linee Roma-Napoli via Formia e Roma-Nettuno.
Dalle 9.45 “la circolazione è sospesa tra Pomezia e Campoleone per un inconveniente tecnico alla linea elettrica. In corso l’intervento dei tecnici”, si legge su Infomobilità.
Il Gruppo Fs, alla luce dell’ennesimo incidente anomalo sulla rete e di un elenco di circostanze altamente sospette, ha preparato un esposto denuncia molto dettagliato che ha depositato ora presso le autorità competenti. In particolare, gli orari in cui si sono verificati alcuni problemi (non può essere un caso che si tratti di quelli più complicati per la circolazione ferroviaria, con ricadute pesanti su tutta la rete), il tipo di guasti e la loro frequenza stanno destando più di qualche interrogativo.
“Bene l’iniziativa del gruppo Fs che si è rivolto alle autorità per verificare che tutto sia stato casuale. Dalla sinistra del malgoverno e del No a tutte le opere, anche ferroviarie, consueto e indegno sciacallaggio”. Così i capigruppo di Camera e Senato della Lega Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo.
“Alle ore 11.55 il Gruppo Fs annuncia un esposto all’autorità giudiziaria sui guasti ritenuti anomali. Con incredibile tempestività, nemmeno il tempo di leggere, e alle 12.06 una nota congiunta dei capigruppo della Lega di Camera e Senato plaude all’iniziativa del Gruppo FS facendo anche pesanti allusioni. La Lega era già a conoscenza dell’iniziativa del Gruppo FS?”. A domandarlo è Angelo Bonelli.
“Il forte sospetto – riprende il deputato Avs – è che si presenti un esposto per spostare l’attenzione dalle inadempienze e dal disastro in cui si trova la nostra rete ferroviaria. Siamo noi ad annunciare un esposto – conclude – per denunciare la latitanza di Matteo Salvini”.
“Invece di occuparsi del disastro dei treni, il ministro dei Trasporti e delle infrastrutture Matteo Salvini incontra il ministro degli Esteri israeliano Gideon Saar promettendo il pieno sostegno dell’Italia al governo del criminale Netanyahu. Dopo aver provato a prendere il posto di Piantedosi agli Interni, ora punta alla sedia di Tajani? Salvini ministro di tutto e di niente, continua a non fare il lavoro per cui è pagato dai contribuenti italiani”. Lo dichiarano i parlamentari m5s delle Commissioni Esteri di Camera e Senato.
“Anche oggi Matteo Salvini fa il ministro dei Trasporti domani, anche oggi migliaia di utenti che avrebbero dovuto viaggiare sono costretti a vivere la via crucis dei treni italiani. Nel frattempo, il ministro Salvini ha incontrato il ministro degli esteri israeliano, ha twittato su fatti di cronaca nera, processi, raccolta fondi per carabinieri. Ha fatto di tutto, tranne che occuparsi di treni. Quando si dimetterà, sarà già troppo tardi”. Lo afferma il segretario di Più Europa Riccardo Magi.
“Cercasi Ministro disperatamente. Un’altra giornata di caos nelle stazioni, con guasti, ritardi ed enormi disagi per i passeggeri. Nel frattempo Salvini vuole ridurre il numero dei treni. Come può essere questa la soluzione? Al Paese serve un ministro dei trasporti. Basta perdere tempo”. Così Matteo Ricci, europarlamentare Pd, in un post sui social.
(da agenzie)

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CHI L’HA VISTO? ERA DIVENTATO IL NOSTRO ANGOLO DEL BUONUMORE, NE SPARAVA UNA AL GIORNO E TRA UNA CAZZATA E UNA GAFFE, FERMAVA PURE I TRENI

Gennaio 15th, 2025 Riccardo Fucile

DOPO QUASI DUE ANNI DI LOLLISMO SENZA LIMITISMO, QUESTA ESTATE, UNA VOLTA SEGATO DALLA MOGLIE, LA SORELLA D’ITALIA ARIANNA MELONI, È SCOMPARSA LA NOSTRA RUBRICA PREFERITA: “LA SAI L’ULTIMA DI LOLLOBRIGIDA?”

Era diventato il nostro quotidiano angolo del buonumore. Francesco Lollobrigida, lo “Stallone di Subiaco” di Fratelli d’Italia miracolato ministro dell’Agricoltura, ne sparava una al giorno, togliendo il medico di torno: “Quante guerre non ci sarebbero state di fronte a cene ben organizzate?”.
Ancora: “Per fortuna quest’anno la siccità colpisce molto di più le regioni del Sud e in particolare la Sicilia”. Di più: “Non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica: gli italiani fanno meno figli, quindi li sostituiamo con qualcun altro. Non è quella la strada”. Alle critiche, replica soave: “Sono ignorante, non razzista”.
Il suo apogeo lo tocca il 22 novembre 2023, ordinando a Trenitalia una fermata non prevista, alla stazione di Ciampino, di un Frecciarossa che lo deve portare a Napoli e poi a Caivano, all’inaugurazione di un parco. Lollobrigida scende con i suoi collaboratori e con un’auto blu prosegue il suo viaggio.
Ora, occorre ammetterlo, un tipino che al G7 dell’Agricoltura in quel di Siracusa si presenta sul palco in bermuda, manco fosse un Salvini spiaggiato al Papeete, rappresentava un barzelletta da proteggere per tramandarla ai posteri, patrimonio dell’umanità cazzona, integratore per innalzare il nostro sistema immunitario dall’abisso depressione socio-politica.
Dopo quasi due anni di sfrenato lollismo senza limitismo, questa estate, una volta abbandonato dalla moglie, la Sorella d’Italia Arianna Meloni, è scomparsa la nostra rubrica preferita: “La sai l’ultima di Lollobrigida?”.
Zac!, il silenzio è sceso come ghigliottina sul ministro dell’Agricoltura (per mancanza di prove). Zero affermazioni, zero interviste, zero apparizioni in tv, zero cazzate.
E’ successo che dalla “banda dei quattro” di Palazzo Chigi (le due Meloni, Fazzolari e Scurti), è partito l’ordine di cucirgli l’effervescente boccuccia (stesso trattamento all’altra “pecora nera”, Andrea Giambruno).
A questo punto, non essendo nato un movimento di liberazione del poverino, “Che fare?”, si è chiesto. Avendo, nel corso degli anni bui di Fratelli d’Italia, ricoperto un ruolo di primo piano in via della Scrofa, stilando liste di candidati alle politiche e piazzando fedelissimi in ruoli chiave, a “Lollo” restano al fianco ancora vari parlamentari: perché non mettere su una tosta corrente nel partito e riprendersi ciò che gli è stato tolto?
E come complice della sua riscossa il suo primo pensiero è andato all’altro camerata di sventure, Giovanni Donzelli, anche lui fatto fuori da Arianna dalla poltrona di capo della segreteria politica e responsabile del tesseramento di Fratelli d’Italia.
Fatti due conti (è responsabile nazionale dell’organizzazione del partito) e quattro chiacchiere con chi ha il potere, il nasuto toscano si è tirato indietro.
Dato che nello stato di totalitarismo meloniano vigente, l’unica corrente sopravvissuta è quella di Fabio Rampelli, “duce” dei Gabbiani di Colle Oppio, altro rinnegato di Fratelli d’Italia, il Lollo ripudiato starebbe pensando di proporre di mettere insieme le loro forze per ritornare ad avere una voce nel capitolo del potere.
Del resto, i due si conoscono, e bene. Nelle grotte di Colle Oppio Rampelli ha biberonato non solo le giovinette Meloni, ma ha anche svezzato il giovine Lollo (celebre fu la craniata del Gabbianone al braccio destro di Fini, Checchino Proietti, che voleva rimuovere lo “Stallone” da consigliere di Subiaco).
(da Dagoreport)

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SULLA CONSULTA GIORGIA NON RIESCE A USCIRE DAL PANTANO : LA 13ESIMA FUMATA NERA PER L’ELEZIONE DEI QUATTRO GUIDICI DELLA CORTE COSTITUZIONALE È DOVUTA ALLE DIVISIONI NELLA MAGGIORANZA

Gennaio 15th, 2025 Riccardo Fucile

GLI APPELLI DI MATTARELLA SONO CADUTI NEL VUOTO – L’ACCORDO È CHIUSO SU FRANCESCO SAVERIO MARINI, CONSIGLIERE GIURIDICO DELLA MELONI, E MASSIMO LUCIANI PER IL PD… C’È IL NODO FORZA ITALIA, CHE NON TROVA UN CANDIDATO CHE VADA BENE ALLA DUCETTA

Il Parlamento in seduta comune per eleggere i giudici della Corte Costituzionale si riunirà – ove non vi fossero ulteriori novità e comunque previa intesa con il Senato giovedì prossimo 23 gennaio. È quanto emerso dalla riunione dei capigruppo della Camera.
Non ce l’hanno fatta. Neanche al tredicesimo scrutinio. Finisce con 377 schede bianche, 15 nulle e 9 voti dispersi quella che doveva essere la “decisiva” votazione per i quattro giudici costituzionali, inutile la sfilata di deputati e senatori riuniti in seduta comune. Si riproverà.
Ma più che una fumata nera, sigla assolutoria che va bene a tutti, è invece un trionfo di espedienti e sotterfugi quello che si consuma fino al primo pomeriggio a Montecitorio. Tutto avviene nonostante le esortazioni reiterate del Quirinale affinché il Parlamento compisse il suo dovere nel ripristinare il quorum della Consulta. E nonostante la mano tesa della Corte che aveva spostato di una settimana, dal 13 al 20 gennaio, la camera di consiglio prevista per decidere sull’ammissibilità dei referendum per autonomia differenziata, cittadinanza, Jobs act appalti.
Il ragionamento, che a sera circolava tra i Palazzi più alti, seguiva quindi questo filo: ammesso anche che il Parlamento riuscisse ad eleggere i quattro giudici entro giovedì, i neo-eletti – che nel frattempo dovranno mollare i vari incarichi, liberarsi delle incompatibilità – giurerebbero nel weekend dinanzi al Presidente Mattarella ed entrerebbero di corsa nella camera di consiglio di lunedì? Ovvero, senza aver neanche letto le centinaia di pagine di memorie e documentazione che preparano l’atteso verdetto sulle consultazioni. Risultato: la Consulta potrebbe serenamente andare avanti con il quorum ad 11 membri.
Poche le certezze dopo giorni di altalenanti trattative. La prima: l’accordo è chiuso a metà, due nomi su quattro, i soliti ormai, Francesco Saverio Marini, consigliere giuridico di Meloni per FdI; e Massimo Luciani, costituzionalista di rango, per il Pd. La seconda: saltano ufficialmente due candidate rimaste coperte, a cui destra e sinistra tenevano, per il no che gli uffici del Quirinale non possono non opporre. Infatti sia per Augusta Iannini, giudice di lungo corso a Roma (e moglie di Bruno Vespa) sia per la ex magistrata e senatrice dem Anna Finocchiaro, mancano i requisiti formali.
Terza certezza, la più spinosa: Forza Italia non ha candidati che convincano completamente Meloni, la quale ha anche dato lo stop al passaggio dal Parlamento alla Consulta. Una decisione che elide subito in FI le ambizioni del senatore Zanettin e del viceministro Sisto, che Tajani stesso non appoggia fino in fondo. Gli azzurri gli appaiono incontenibili, c’è chi mette in giro la voce che sia il Quirinale a non volere i parlamentari, c’è chi si informa: dal Colle più alto, pazienti, devono precisare, nessun veto su deputati o senatori.
A quel punto Tajani ferma tutto: pone sul tavolo il nome di Andrea Di Porto, docente alla Sapienza, difensore di Fininvest. Ma il suo profilo non sembra entusiasmare tutti, per ora.
Paolo Barelli, capogruppo FI alla Camera: «Ma noi, come maggioranza abbiamo i nostri nomi. Il problema è solo sulla figura del tecnico». Ovvero, altre divisioni sul profilo extra partiti, quello dell’unica donna (su quattro) che dovrebbe entrare.
La partita si giocherà, tranne sorprese, tra l’avvocata generale dello Stato Gabriella Sandulli Palmieri, (troppo “contiana”, per la destra), la prof dei giuristi cattolica Valeria Mastroiacovo (troppo area Lega, per la sinistra) che passerebbe, peraltro irritualmente, dal ruolo di assistente di un giudice a quello di membro della Corte. Tra loro resta il nome della giuslavorista dell’Università del Molise, Luisa Corazza. Che forse potrebbe spuntarla. Sempre che il Parlamento coroni l’impresa.
(da agenzie)

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“SE DIAMO IL VENETO A FRATELLI D’ITALIA, QUI VIENE GIÙ TUTTO” : NON C’E’ SOLO ZAIA A SCALPITARE. C’E’ ANCHE L’INTERA CLASSE DIRIGENTE DEL CARROCCIO IN LAGUNA

Gennaio 15th, 2025 Riccardo Fucile

LA LEGA PUÒ CONTARE SU BEN 40 CONSIGLIERI REGIONALI, INCLUDENDO QUELLI DELLA LISTA ZAIA (DA SOLA, OLTRE IL 44% CINQUE ANNI FA). CON FDI AL POTERE, PER MOLTI SAREBBE LA FINE… “NESSUNO È DISPOSTO AD ASSECONDARE GIOCHETTI DI SALVINI CHE DIMOSTRA DI NON AVERE ALCUN POTERE CONTRATTUALE”

La palla passa a Matteo Salvini. Ma la partita, giurano in Veneto, «è di vita o di morte». Sarà il segretario leghista a doverla sbrogliare. […] Il potenziale di una Lega che corre da sola contro gli storici alleati nella Regione simbolo dell’autonomismo è devastante: la crisi di governo, peraltro ieri già ventilata dalle parti di Fratelli d’Italia («Conseguenze anche a Roma») o una bomba nucleare sulla Lega nella sua culla anche culturale.
Logica vorrebbe che se ne parlasse domani, al consiglio federale del partito. Ma sulla carta, spiegano, è stato convocato per «questioni tecniche legate al tesseramento» e cioé al congresso del partito che dovrebbe svolgersi in marzo. Lì Matteo Salvini chiederà la conferma alla guida della Lega. Ma è difficile che la netta posizione assunta da Luca Zaia (e dal Veneto) possa essere ignorata dal «parlamentino» leghista.
Certamente, il segretario dovrà tenere conto di tante insidie. Il primo dato è che per la classe dirigente che è la spina dorsale della Lega, il governatore indicato da FdI significherebbe la fine. Oggi in Veneto la Lega può contare su ben 40 consiglieri regionali, includendo quelli della lista Zaia (da sola, oltre il 44% cinque anni fa). Con il cambio di scenario, per molti sarebbe l’uscita di scena
Questo comporta, spiega uno di loro, che «nessuno è ricattabile, nessuno è disposto ad assecondare giochetti di un segretario che dimostra di non avere alcun potere contrattuale. Se diamo il Veneto a Fratelli d’Italia, qui viene giù tutto». Al contrario, secondo un’elaborazione che circola tra i leghisti, con il «40/43% il partito otterrebbe con il premio di maggioranza circa 30 seggi». Con 13 o 14 seggi per FdI e FI, e 7 seggi per il Pd.
I più ottimisti sperano che Meloni, che ha la responsabilità di unire la coalizione, acconsenta a lasciare il Veneto alla Lega. Ma attenzione. Comunque finisca, la vicenda rischia di innescare un effetto domino. Quella Lombardia in cui Salvini non ha vinto il congresso riprenderebbe immediatamente a sobbollire. Anche (e soprattutto) nella migliore delle ipotesi in campo, l’assai improbabile passo indietro di Fratelli d’Italia, con la rinuncia alla candidatura in Veneto. A quel punto, sarebbe «ufficiale, definitiva e bollinata la rinuncia della Lega alla Lombardia».
«Che cosa è una Lega senza il Veneto e senza la Lombardia?», dice cupo un deputato, questa volta lombardo. Che aggiunge: «Strano anche che Giorgia Meloni non tenga conto che al di là di Salvini, i governatori di Lombardia e Veneto possono davvero destabilizzare il governo. A meno che non sia proprio questo il suo calcolo».
Il tutto in un clima da fine del mondo. In cui, tra gli avvelenati nei confronti di un segretario che sul terzo mandato dei governatori «non ha fatto abbastanza», circolano persino le voci più stravaganti. Per esempio, quello di uno scambio: «Il posto al Viminale in cambio della fine delle ostilità sul Veneto». Impossibile, certo. Ma rende bene l’idea del clima in un partito che dovrebbe andare a congresso entro due mesi. La carta del cambio di nome del partito, con la scomparsa della dicitura su «Salvini premier» viene esclusa nella maniera più categorica dai vicini al segretario.
Ma combinazione, secondo AdnKronos , lo scorso 9 gennaio l’Ufficio brevetti e marchi del ministero delle Imprese ha approvato la registrazione del logo di Alberto da Giussano, così come chiesto da Salvini il 15 giugno del 2018. Approvata anche la domanda per la registrazione del simbolo della «Lega Salvini premier» e di «un altro logo dove compaiono solo la scritta «Lega» e l’immagine dello storico condottiero: ma senza la dicitura «Salvini premier». Insomma, contro Salvini nessuno potrà utilizzare quei simboli.
(da agenzie)

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ALBERTO TRENTINI, 45ENNE VENEZIANO ARRESTATO DUE MESI FA IN VENEZUELA SENZA CHE GLI SIA MAI STATA CONTESTATA NESSUNA IMPUTAZIONE, POTREBBE ESSERE “VITTIMA” DI UNA RITORSIONE POLITICA

Gennaio 15th, 2025 Riccardo Fucile

CONTRO TRENTINI POTREBBE AVER PESATO LA POSIZIONE DEL NOSTRO GOVERNO CONTRO L’ELEZIONE DI NICOLAS MADURO, AVVENUTA LO SCORSO 28 LUGLIO… E L’ITALIA CHE FA? PER CECILIA SALA CI SI E’ MOSSI IN FRETTA. E PER TRENTINI?

Ancora un italiano arrestato all’estero senza aver commesso reati. A pochi giorni dalla liberazione della giornalista Cecilia Sala dopo 21 giorni di detenzione in Iran, si apprende la notizia di un veneziano di 45 anni, Alberto Trentini, cooperante della Ong Humanity & Inclusion, arrestato due mesi fa in Venezuela. Con il sospetto che sia di nuovo una ritorsione politica.
Contro Alberto Trentini potrebbe aver pesato la posizione del nostro governo, con Ue e Stati Uniti, contro l’elezione con brogli di Nicolas Maduro. La riconferma è avvenuta il 28 luglio e già il 2 agosto il ministro degli Esteri Antonio Tajani dichiarava che l’Italia avrebbe sostenuto i venezuelani contro Maduro. E soltanto venerdì la premier Giorgia Meloni ha ribadito: «Intendiamo continuare a lavorare per una transizione democratica e pacifica. Le legittime aspirazioni del popolo venezuelano devono finalmente trovare realizzazione». Parole certamente non gradite al presidente venezuelano.
È probabile che sarà necessario un lungo lavoro diplomatico. Proprio ieri, peraltro, il Venezuela ha annunciato di aver ridotto a tre il numero di diplomatici accreditati presso le ambasciate francese, italiana e olandese. Tre nostri diplomatici sono giù stati espulsi ieri e oggi, come risposta, con molta probabilità verranno espulsi tre diplomatici dall’ambasciata venezuelana a Roma.
Intanto, Trentini è detenuto da due mesi in un carcere di Caracas, o almeno questo si è saputo informalmente. Senza la possibilità di comunicare con l’esterno. Senza una contestazione formale.
Senza i medicinali di cui avrebbe bisogno, dati i suoi problemi di salute. E ora i suoi genitori, Ezio e Armanda Trentini, assistiti dall’avvocata Alessandra Ballerini, si rivolgono al governo per ottenere un aiuto concreto che possa portare al rilascio.§
In Venezuela per aiutare persone con disabilità, il veneziano sarebbe stato arrestato assieme all’autista della sua Ong a un posto di blocco lungo la strada da Caracas e Guasdualito. «Non ci è mai stata comunicata nessuna notizia ufficiale da nessuna autorità, né italiana, né venezuelana – accusano i genitori di Trentini -. Da quasi due mesi non sappiamo nulla. Dal suo arresto, a quanto sappiamo, nessuno è riuscito a vederlo né a parlargli, nemmeno il nostro ambasciatore, nonostante i diversi tentativi».
Da tempo, Trentini raccontava alla sua compagna delle «ostilità riscontrate in ogni aeroporto», in occasione dei suoi trasferimenti tra Caracas e l’Amazzonia. E anche per questo il 14 novembre, il giorno prima di venire arrestato, le aveva confidato che si sarebbe dimesso. La sua Ong ne è stata informata dell’arresto.
Intanto si apprende che «che l’ambasciata e il consolato italiani a Caracas, in stretto raccordo con la Farnesina, stanno seguendo la vicenda con la massima attenzione. È stato richiesto con urgenza che venga garantito l’esercizio dell’assistenza consolare nei confronti del connazionale e che vengano comunicati quanto prima i motivi dell’arresto e della detenzione».
(da agenzie)

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BANKITALIA: IL DEBITO PUBBLICO SFONDA QUOTA 3.000 MILIARDI, NON ERA MAI SUCCESSO

Gennaio 15th, 2025 Riccardo Fucile

L’AUMENTO RIFLETTE QUELLO DELLE DISPONIBILITA’ LIQUIDE DEL TESORO E IL FABBISOGNO DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Lo scorso novembre il debito delle amministrazioni pubbliche è aumentato di 23,9 miliardi rispetto al mese precedente, risultando pari a 3.005,2 miliardi. È quanto emerge dalla pubblicazione “Finanza pubblica: fabbisogno e debito” della Banca d’Italia.
L’aumento riflette quello delle disponibilità liquide del Tesoro (20,9 miliardi, a 63,9) e il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche (3,2 miliardi); in senso opposto ha operato l’effetto complessivo degli scarti e dei premi all’emissione e al rimborso, della rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e della variazione dei tassi di cambio (complessivamente 0,2 miliardi).
Con riferimento alla ripartizione per sottosettori, il debito consolidato delle amministrazioni centrali è aumentato di 23,9 miliardi, mentre quello delle amministrazioni locali e quello degli enti di previdenza sono rimasti invariati.
La vita media residua è rimasta stabile a 7,8 anni. La quota del debito detenuta dalla Banca d’Italia è diminuita al 21,8 per cento (dal 22,1 per cento del mese precedente); a ottobre (ultimo mese per cui questo dato è disponibile) quella detenuta dai non residenti è aumentata al 30,5 per cento (dal 30,2 per cento del mese precedente), mentre quella in capo agli altri residenti (principalmente famiglie e imprese non finanziarie) è lievemente diminuita al 14,3 per cento (dal 14,4 per cento in settembre).
(da agenzie)

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