Gennaio 27th, 2025 Riccardo Fucile
COSA ASPETTA LA MELONI A PRENDERE IL TELEFONO E A TELEFONARE A MADURO? GLI ITALIANI INNOCENTI SI TUTELANO ANCHE CON GOVERNI NON AMICI
Nei giorni scorsi, la famiglia di Alberto Trentini, il 45enne di Venezia arrestato a un
posto di blocco a Guasadalito, in Venezuela, ha ricevuto la telefonata del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha voluto rassicurare la mamma dell’operante della Ong “Humanity e inclusion” sugli sforzi in atto da parte dell’Italia per ricondurre il 45enne a casa.
Dopo la telefonata del Capo dello Stato, a casa Trentini il telefono non ha più squillato. La madre del cooperante arrestato il 16 novembre era in attesa di un contatto con il figlio che, a detta delle autorità venezuelane, avrebbe “presto chiamato a casa” per dirle che sta bene.
Al momento però non ci sono notizie dirette di Trentini che con la sua Ong era diretto in un villaggio per portare aiuti umanitari e che è stato consegnato nelle mani del Dgcim, la direzione del controspionaggio militare di Nicolàs Maduro.
In un colloquio informale con l’intelligence italiana, i venezuelani avrebbero fatto sapere che il 45enne sta bene e che attualmente si trova in un carcere di Caracas, probabilmente nella sede centrale dei servizi a Boleita. Al momento il governo non ha avuto risultati e la Farnesina, che sta cercando un’interlocuzione, non è riuscita per ora a trovare un accordo con il nuovo governo Maduro che tiene Alberto di fatto come ostaggio.
L’Italia non conosce infatti le accuse mosse al cooperante, ma alla base del fermo ci sarebbero alcuni messaggi innocui di dissenso verso il governo venezuelano.
La visita consolare in carcere e una telefonata a casa erano i primi due obiettivi delle nostre autorità durante i colloqui con la controparte venezuelana ma per ora niente da fare.
Le prigioni del Dgcim sono tristemente note perché oggetto di inchiesta delle Nazioni Unite proprio per i crimini contro l’umanità. La famiglia del 45enne è difesa dall’avvocata Alessandra Ballerini.
(da Fanpage)
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Gennaio 27th, 2025 Riccardo Fucile
NON DAVA SOLDI AGLI AUTOCRATI PER RICACCIARE INDIETRO I MIGRANTI
Enrico Mattei non fu un santo. È noto che per conseguire i suoi scopi, ma non per arricchimento personale, alcune volte mise la mano al portafoglio e comprò l’aiuto di qualcuno con una modalità che potremmo definire di corruzione.
Sotto la sua guida l’Eni accumulò una ingente quantità di fondi neri con i quali pagare i partiti che Mattei usava disinvoltamente per i suoi scopi.
E tuttavia Mattei, fondatore dell’Eni e in concorrenza con le ‘sette sorelle’ che avevano il dominio mondiale del commercio del petrolio, riuscì a far breccia nel mezzo di multinazionali così potenti perché riconosceva ai paesi produttori di petrolio non il 50% ma addirittura il 75%. Forse nel nome di una feroce concorrenza, ma tuttavia la sua figura è rimasta alla storia come quella di una persona che non cercava solo di sfruttare ma avere un rapporto equo con i paese meno sviluppati dell’epoca.
Oggi, come sappiamo, il nome del nome di Mattei si è abbondantemente fatto uso improprio, nella logica propagandistica e strumentale di presentare l’Italia come un paese ‘benefattore’ che coopera alla pari. E questo, stando alla stantia retorica sovanista, ha grandi benefici nei termini del controllo dei flussi migratori.
Forse è il momento di dire basta. E dare un altro nome al ‘piano Mattei’. Si chiami come si vuole, ma non Mattei.
Il vecchio democristiano ed ex partigiano ‘bianco’, come detto, non fu una mammola. Ma lui non finanziava torturatori, non dava soldi agli autocrati perché ricacciassero indietro i migranti, talora mandandoli a morire di fame e di sete nel deserto. Ma soprattutto non fece mai fuggire criminali di guerra
(da Globalist)
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Gennaio 27th, 2025 Riccardo Fucile
GUASTI A LABICO E AD ANAGNI, TRENITALIA PARLA DI “INCONVENIENTI TECNICI”, FINITA LA FASE DEI COMPLOTTI?
Ancora guasti sulla linea Alta Velocità: a causa di inconvenienti tecnici, la linea Roma –
Napoli è fortemente rallentata e al momento non si sa quando la circolazione tornerà alla normalità. A comunicarlo è Trenitalia, che ha segnalato ritardi fino a novanta minuti.
Nella giornata di oggi, sull’Alta Velocità Roma – Napoli, sono ben due i guasti che hanno interessato la linea. Il primo si è verificato alla stazione di Labico: verso le 15.50 sono stati comunicati rallentamenti per accertamenti all’infrastruttura tra Roma Prenestina e Labico.
Alle 18, nonostante l’intervento dei tecnici, la situazione non era ancora tornata alla normalità. “La circolazione è in graduale ripresa dopo accertamenti all’infrastruttura tra Roma Prenestina e Labico – si legge nell’ultimo aggiornamento di Trenitalia – I treni Alta Velocità possono registrare un maggior tempo di percorrenza attuale fino a 40 minuti. I treni Alta Velocità sono stati instradati sui percorsi alternativi via Cassino e via Formia e hanno registrato maggiori tempi di percorrenza fino a 60 minuti”.
A quello di Labico è poi seguito alle 18 un guasto alla stazione di Anagni. “La circolazione è rallentata per un inconveniente tecnico alla linea nei pressi di Anagni. I treni Alta Velocità possono essere instradati sui percorsi alternativi via Cassino e via Formia e registrare un maggior tempo di percorrenza fino a 60 minuti”.
Quello di oggi è l’ennesimo guasto che interessa la linea dell’Alta Velocità: una situazione che sta causando non pochi problemi al Gruppo Ferrovie dello Stato che, insieme al ministro dei Trasporti Matteo Salvini, ha persino parlato di ‘complotto’ e sabotaggio e presentato un esposto in procura.
(da Fanpage)
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Gennaio 27th, 2025 Riccardo Fucile
CONTE: “SI E’ INFILATA NELLA TENDI BIN SALMAN COME UN RENZI QUALSIASI”
Non è affatto piaciuta alle opposizioni la visita di Giorgia Meloni in Arabia Saudita per incontrare il principe Mohammed bin Salman. Ieri, domenica 26 gennaio, la premier ha annunciato dal Medio Oriente una serie di nuovi accordi commerciali su energia, difesa e altri ambiti di cooperazione per un valore totale di 10 miliardi di dollari. Eppure, fino a qualche anno fa era la stessa Meloni, al tempo tra i banchi dell’opposizione, a criticare ferocemente l’ipotesi di accordi tra Italia e Arabia Saudita. «Per me, possono metterci i miliardi: non passano», tuonava la leader di Fratelli d’Italia in una clip del 2019 riportata a galla dai profili social del Partito democratico e successivamente da quello dei Verdi. Anche se è stata la stessa premier, nelle scorse ore, a precisare che a suo modo di vedere «non c’è contraddizione tra quello che dicevo ieri e quello che faccio oggi».
L’attacco dei Verdi
Nel filmato pubblicato dal partito di Angelo Bonelli si vedono due versioni molto differenti di Giorgia Meloni: una risalente al 2019, quando esprimeva una posizione netta contro il Paese saudita, criticando ad esempio la condizione delle donne in quel Paese, e una ben più recente, che la immortala insieme al principe bin Salman proprio in questi giorni in Medio Oriente. «Oggi, da premier, firma accordi da 10 miliardi di euro con lo stesso regime che definiva “fondamentalista”», attaccano i Verdi. «Prima di siglare quegli accordi – incalza il leader Bonelli – la presidente ha chiesto al principe bin Salman spiegazioni sulla pena di morte per apostasia (abbandono della religione, ndr), sullo stato dei diritti umani o sulle condanne per fustigazione inflitte alle donne?».
Conti critica Meloni e la paragona a Renzi
A criticare il viaggio di Meloni in Arabia Saudita è anche Giuseppe Conte. «Nulla da dire sui contratti che le nostre imprese hanno sottoscritto ma era proprio necessario attovagliarsi nella tenda di bin Salman come un Renzi qualsiasi?», si chiede il leader del Movimento 5 stelle durante una diretta social alludendo ai legami tra il leader di Italia Viva e il principe saudita. E a proposito di bin Salman, Conte poi aggiunge: «Io l’ho incontrato il primo dicembre 2018. Gli ho detto che se non avesse assicurato alla giustizia i responsabili i nostri rapporti non potevano essere normalizzati».
(da agenzie)
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Gennaio 27th, 2025 Riccardo Fucile
“MI DISSERO ADESSO TI BECCHI ANCHE UNA DENUNCIA”
Secondo quanto riporta l’agenzia Agi è rimasto solo un frame ma l’esistenza delle
immagini sono confermate sia dalle ricerche on line del testimone che dall’attività fatta dal dispositivo. Due carabinieri sono indagati per frode processuale e depistaggio.
Il video sull’inseguimento e l’incidente di Ramy Elgaml è stato cancellato, ma c’era: questo l’esito della consulenza firmata dal tecnico informatico Marco Tinti incaricato dai pm Marco Cirigliano e Giancarla Serafini sullo smartphone di Omar E., il testimone che è stato costretto a cancellare le immagini, subito dopo l’incidente, sotto richiesta di alcuni carabinieri.
Secondo quanto apprende l’AGI, il video di un minuto e dieci secondi non è stato ritrovato ma ci sono tracce evidenti della cancellazione di un file, di cui è rimasto un solo frame (riportato dall’agenzia in esclusiva) nella cache della galleria in cui vedono quelle che sembrano le luci dell’auto dei carabinieri che arrivano. La fotocamera del telefono di Omar E. e’ risultata in esecuzione dalle 4.03 e 22 secondi fino alle 4.04 e 31 secondi e la posizione dell’utente alle 4:03 è geolocalizzzata esattamente in via Ripamonti, angolo via Quaranta, dove lo scooter guidato da Fares Bouzidi, con in sella Ramy, finì contro un palo. Sulla fuga terminata in tragedia, esistono, fortunatamente, altre testimonianze video.
«Cancella immediatamente il video, adesso che hai fatto il video ti becchi anche una denuncia»
Non solo, dalla cronologia sullo smartphone si vede come il testimone alle 4.49 fece delle ricerche online subito dopo la cancellazione. Tra le ricerche su Google quelle «come recuperare i file cancellati dal cestino», per ben tre volte. «Quando hanno visto che stavo filmando, erano due pattuglie, due carabinieri in divisa, non so se della prima o seconda macchina – ha raccontato nella sua deposizione Omar – i carabinieri sono venuti vicino a me e mi hanno fatto una foto al documento e mi hanno detto ‘cancella immediatamente il video, adesso che hai fatto il video ti becchi anche una denuncia‘». Al momento su questo aspetto della vicenda due carabinieri sono indagati per frode processuale e depistaggio.
(da agenzie)
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Gennaio 27th, 2025 Riccardo Fucile
MENTRE PER I MULTIMILIONARI IL BELPAESE È ORMAI UNA SPECIE DI PARADISO FISCALE: SULLE RENDITE, A DIFFERENZA CHE SUL LAVORO, SI PAGANO TASSE BASSE. SE POI LE ACCREDITATE SU UNA SOCIETÀ HOLDING SI AVVICINANO A ZERO. PATRIMONIALE ZERO E CON LE IMPOSTE DI SUCCESSIONE TRA LE PIÙ BASSE DEL MONDO
Parlando di economia, l’affermazione «i ricchi sono sempre più ricchi» è l’equivalente del «non ci sono più le mezze stagioni». È vero, ma quanto?
E soprattutto: perché? Alla luce delle aggiornata classifiche dei miliardari italiani, cresciuti in un anno del 10 per cento (ovvero venti volte di più della crescita stimata del nostro Pil), abbiamo provato a rispondere a entrambe le domande.
Il principio generale, senza spoilerare troppo, è che negli ultimi quarant’anni il capitale ha ingaggiato una guerra totale con i lavoratori. In Italia, unici in Europa certifica l’Ocse, hanno visto rimpicciolirsi i salari reali. Pur continuando a tenere in piedi lo stato sociale versando, tra dipendenti e pensionati, oltre l’80 per cento delle tasse.
Mentre per i multimilionari il Belpaese è ormai una specie di paradiso fiscale dove, a differenza dei tax haven più celebri, si mangia bene e si vive meglio.
Partiamo da questo titolo di giornale: “Quel travaso pazzesco di ricchezza dal lavoro al capitale”. L’ho preso da Lotta Comunista, intenerito dai volontari che ancora lo vendono porta a porta? No, è del Sole 24 Ore.
Lo firma Riccardo Gallo, professore alla Sapienza con una lunga carriera di consulente economico per vari ministri perlopiù repubblicani, e dice una cosa piuttosto decisiva: tra il 2020 e il 2023 la quota di ricchezza che va al lavoro, ha perso 12 punti. Mentre quella che va agli utili è aumentata del 14 per cento
In parole povere: la torta è cresciuta, ma chi ha faticato per questo risultato non se n’è accorto perché il di più se lo sono pappato tutto i manager. Anzi, tra inflazione, pane e olio che costano il doppio, bollette lievitate, la working class sta decisamente peggio di prima.
Il secondo dato lo dobbiamo a Valeria Cirillo, dell’università di Bari: al 10 per cento dei dipendenti più ricchi va oggi il 40 per cento dei redditi nazionali contro il 28 che intascavano negli anni Ottanta. Detto altrimenti, la disuguaglianza delle buste paga è aumentata del 43 per cento a favore di chi già stava meglio
Anche Churchill, che temeva la competizione ideologica del modello sovietico, diceva: «Per difendere il capitalismo dobbiamo liberarci dei ricchi oziosi tassando eredità e patrimoni». Oggi quasi nessuno lo dice più.
Addentriamoci ora dentro al perché l’arricchimento è avvenuto. Mario Pianta, professore di politica economica alla Scuola Normale Superiore, nel confermare che «negli ultimi 30 anni c’è stato uno spostamento del 15 per cento della ricchezza dal lavoro al capitale», ne elenca alcune ragioni: «I ricchi veri, oltre ad accaparrarsi quote sempre più importanti di reddito, sono tali soprattutto per le rendite, immobiliari e finanziarie.
Le prime sono state favorite dall’abolizione dell’Imu e dagli sconti della cedolare secca al 21 per cento, un enorme regalo per chi ha tante case. Idem per la finanza, i cui capital gain sono tassati al 26 per cento.
Per non dire di un sistema fiscale che, negli anni 70, aveva un’aliquota massima al 72 per cento mentre oggi è del 43. Con molti meno scaglioni, per cui un impiegato paga quanto un milionario. Altra ragione: la fuga di capitali all’estero. La Ferrero è nata ad Alba ma ha sede globale in Lussemburgo e Giovanni Ferrero non è residente in Italia».
Nel Principato di Monaco vive da anni Francesco Giliberti Birindelli, un’autorità tra i fiscalisti di calciatori, imprenditori e vip vari. Non ha alcuna difficoltà ad ammettere che, negli ultimi vent’anni, «quasi tutti i Paesi hanno avuto politiche fiscali a vantaggio del capitale e a svantaggio del lavoro».
Però dice anche che, dalla fine del segreto bancario in Svizzera nel 2015, sono diminuiti i paradisi fiscali dove si potevano spostare i soldi senza neppure dover traslocare: «Si parla tanto del Lussemburgo, ma l’Italia per certi versi ormai non è da meno. Con il forfait da 100 mila euro voluto da Renzi per attrarre gli ultraricchi stranieri e oggi raddoppiato da Meloni.
O con le imposte di successione tra le più basse del mondo. Per cui, se sei un milionario di Mentone e vuoi fare una donazione importante, fai pochi chilometri e ti trasferisci in Liguria e allo Stato lascerai tra il 4 e l’8 per cento invece di una percentuale che può raggiungere il 60! Un bel risparmio, no?».
Il trucco di tanti astuti milionari è però un altro: la metamorfosi da persona fisica a persona giuridica. Ovvero, costituire una società holding, italiana o estera, per gestire il patrimonio finanziario. In pratica se invece di comprare io alcune azioni le faccio comprare alla società, quando mi staccheranno un dividendo non dovrò pagarci nemmeno il già basso 26 per cento.
Perché in molti Paesi i dividendi sono detassati dal 95 al 100 per cento e quindi, alla fine, in media verserò sì e no l’1 per cento di imposte.
Riassunto di Birindelli: «Chi fa così ha una leva, un vantaggio, di quasi il 25 per cento, su un comune mortale che investa in Borsa in Italia, come individuo e non come società». Chiunque, dice, può aprire società di questo tipo perché la Ue favorisce lo spostamento di capitali.
Ha ovviamente un costo ma, per patrimoni da pochi milioni in su, calcola a spanne il fiscalista, l’investimento si ammortizza subito. Oppure, se si vuol spendere meno, un altro modo per azzerare le tasse sui guadagni finanziari è di farli proliferare all’interno di polizze vita. Quello che è chiarissimo è che solo noi morti di sonno usiamo ancora i conti correnti o – i più ardimentosi – i depositi titoli.
Riepiloghiamo. Sulle rendite, a differenza che sul lavoro, si pagano tasse basse. Se le accreditate su una società holding si avvicinano a zero. Come se non bastasse, se appartenete al 7 per cento dei più ricchi, gente con redditi oltre i 76 mila euro, a dispetto di quel che prevede la Costituzione il sistema fiscale diventa regressivo, più guadagnate meno versate rispetto alle entrate.
Con il paradosso che se addirittura fate parte dello 0,1 per cento che di euro ne prende addirittura 520 mila, pagate meno tasse di un insegnante, un medico di base o qualsiasi appartenente del ceto medio. È la scandalosa scoperta di un recente paper congiunto Sant’Anna-Bicocca
Il professor Andrea Roventini, uno degli autori, spiega che in quei redditi altissimi «pesano di più le rendite finanziarie e quelle da locazioni immobiliari, tassate meno, oltre che la regressività dell’Iva e il minor peso dei contributi sociali». Sta di fatto che, per i più ricchi tra i ricchi, la pressione fiscale complessiva è intorno ai 36, contro i 46 dei comuni mortali.
Per livellare la situazione Roventini vede con favore una patrimoniale, come se n’è parlato al G20 di Rio o modello Oxfam Italia, dall’1 al 3 per cento di prelievo su chi ha patrimoni superiori ai 5,4 milioni di euro. Vale a dire – anche qui – lo 0,1 per cento della popolazione: 50 mila persone.
Il “normalista” Pianta è d’accordo. Idem lo storico Alfani («Il problema è che gli elettori sono sempre convinti, ed è Berlusconi il primo ad averci portato su quella strada, che dicendo patrimoniale si parli di loro, che li riguarderebbe, ma non è vero!») che aggiunge che dovremmo subito alzare le imposte di successione, uniformandoci al resto d’Europa.
Perfino l’Ocse ha consigliato una patrimoniale al nostro Paese. La Norvegia ce l’ha da molti anni e, al netto dei titoli sulla “fuga di milionari” dopo un aumento recente, nel 2023 i soldi raccolti han fatto toccare un nuovo massimo.
La Spagna, che l’Economist ha appena laureato economia più sana d’Europa, l’ha introdotta da due anni. Come ragionano di fare Francia e Gran Bretagna. Da noi la segretaria Pd Elly Schlein ha detto che ne può parlare, ma poi non ne ha più parlato.
Ricordate il titolo sul “travaso pazzesco” con cui abbiamo iniziato? Chiedo a Gallo se al quotidiano di Confindustria si siano distratti al momento di mettere in pagina una messa in stato d’accusa così inequivoca. Ride: «Macché, chapeau a loro». Lui – già collaboratore di La Malfa, Spadolini, Visentini – sarebbe molto favorevole a cambiare in radice la remunerazione: «I lavoratori, come già fanno gli alti dirigenti con premi di produttività, stock option e quant’altro, dovrebbero partecipare delle sorti dell’impresa. Non nella stessa entità, ma nella stessa concezione.
Essere pagati anche in azioni. Altrimenti i migliori, come già succede, fuggiranno tutti all’estero. E così, da trentesimi su sessantasette che eravamo nella lista di competitività generale delle nazioni, siamo sprofondati al numero 44.
Se ci limitiamo al mercato del lavoro ancora più giù (56). Per tasse quasi ultimi (61) e per finanza pubblica ultimi assoluti. Di recente, a parole, Maurizio Landini ha preso a scaldarsi di più. Ma io lo scavalco a sinistra!».
(da agenzie)
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Gennaio 27th, 2025 Riccardo Fucile
LA DUCETTA, DAL BAHREIN, HA URLATO CONTRO I SUOI E CONTRO L’AISI. E IL QUOTIDIANO DI FITTIPALDI CI METTE IL CARICO SCODELLANDO IL TESTO INTEGRALE DEL DOCUMENTO
La vicenda dello spionaggio del capo di gabinetto di Palazzo Chigi, Gaetano Caputi, è
intricata e piena di misteri.
Quel che appare certo è che il documento bomba pubblicato da “Domani” sarebbe dovuto rimanere riservato, e invece è finito nel fascicolo dell’inchiesta per rivelazione di segreto d’ufficio, aperto dopo la denuncia del capo di gabinetto di Giorgia Meloni contro il quotidiano diretto da Emiliano Fittipaldi.
La “fiamma magica” di Fratelli d’Italia e gli 007 sono incazzati come iene con il procuratore capo di Roma, Franco Lo Voi: la denuncia di Gaetano Caputi aveva come obiettivo quello di trovare le fonti di “Domani”, e invece si è trasformata in un clamoroso boomerang, svelando che…Palazzo Chigi spiava Palazzo Chigi.
Dal Bahrein, dove Giorgia Meloni si trova per concludere il suo tour sul Golfo Persico, la Ducetta ha urlato la sua rabbia sia contro la sua “fiamma magica”, sia contro i vertici dell’intelligence interna.
Ma cosa è successo? Può essere andata solo in due modi: o Del Deo ha “spiato” il capo di gabinetto di Palazzo Chigi di sua spontanea volontà (e a questo punto dovrebbe dimettersi), oppure sia lui che Parente, capo dell’Aisi all’epoca dei fatti, hanno ricevuto l’ordine di spiare Gaetano Caputi. E da chi?
(da Dagoreport)
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Gennaio 27th, 2025 Riccardo Fucile
NEL NUOVO CONTRATTO SONO PREVISTI AUMENTI MEDI DI 165 EURO PER 13 MENSILITÀ. CHI VUOLE POTRÀ SPERIMENTARE LA SETTIMANA CORTA DI QUATTRO GIORNI A PARITÀ DI ORE LAVORATE. E AUMENTANO LE ORE DELLO SMART WORKING… FARE LO STATALE A ROMA O A MILANO NON È CERTO L’ASPIRAZIONE DELLA VITA PER UN LAUREATO
I dipendenti dei ministeri, quelli delle Agenzie fiscali, dell’Inps, dell’Inail, insomma tutto quel pezzo del lavoro pubblico che va sotto il cappello delle “Funzioni centrali”, potrebbe diventare un mondo a parte. Parallelo nel pubblico impiego. Questa mattina all’Aran, l’Agenzia che negozia per il governo, i sindacati firmeranno l’accordo definitivo sul contratto 2022-2024, con un aumento del 6 per cento di stipendio che, in media, fanno circa 165 euro in più al mese per tredici mensilità. Soldi ai quali si aggiungeranno anche un migliaio di euro lordi di arretrati.
Ma oltre a questo, potranno di fatto “prenotare” un altro aumento del 5,5 per cento a stretto giro, altri 180 euro lordi al mese in media, visto che per la prima volta il governo ha già stanziato i soldi necessari al rinnovo del contratto del triennio in corso, quello che parte nel 2025 per terminare nel 2027. E questo mentre per la sanità (infermieri e personale amministrativo delle Regioni), per gli enti locali ( i dipendenti comunali) e per la scuola (professori e personale Ata), il contratto del triennio che si è chiuso nel 2024 è destinato a tardare per la ferma opposizione di Cgil e Uil che ritengono insufficienti le risorse stanziate.
Il contratto 2022-2024 delle Funzioni centrali contiene alcune innovazioni per il mondo degli statali che fino a pochi mesi fa era difficile anche immaginare. A partire dalla settimana corta di quattro giorni a parità di ore lavorate.
Si tratta per ora di una «sperimentazione» e sarà consentita ai dipendenti su base volontaria
L’intenzione sarebbe quella di fornire uno strumento alle amministrazioni per ampliare gli orari di fruizione dei servizi per il pubblico, consentendo nel contempo ai lavoratori di conciliare meglio i loro tempi di vita e di lavoro
La fruibilità dello smart woprking viene allargata, superando il principio della “prevalenza” delle giornate in ufficio. Significa che le amministrazioni potranno decidere di aumentare i giorni di lavoro da remoto, che potranno superare quelli in presenza. Altra rilevante novità: in smart working sarà pagato il buono pasto.
Sul lavoro agile le maglie sono state allargate molto, anche per consentire alle amministrazioni che ne hanno la necessità, di potersi spingere fino a consentire il cosiddetto “South working”, assumere cioé dipendenti per una regione, lasciandoli lavorare da fuori, dal luogo dove abitano e dove vivono. L’esempio è semplice: l’Agenzia delle Entrate che ha difficoltà a trovare funzionari a Milano, potrebbe assumere, per esempio, un ragazzo qualificato a Bari, permettendogli di lavorare dal capoluogo pugliese chiedendo solo pochi gestibili rientri in sede.
Vengono definite politiche di “age management”. Vengono cioè introdotte forme sia di tutoraggio per formare i nuovi assunti che di trasferimento delle competenze il cosiddetto reverse mentoring per promuovere l’acquisizione delle competenze digitali da parte del personale più anziano. Inoltre per i dipendenti oltre i 60 anni è stato previsto l’aumento delle ore di permesso annuale per esami e visite mediche da 18 a 20 ore
Vengono poi prorogate fino a giugno del 2026 le “promozioni” in base all’esperienza e in deroga al titolo di studio. Un dipendente dell’area operatori con 10 anni di esperienza e valutazioni positive nell’ultimo triennio, potrà diventare funzionario anche se non ha la laurea.
(da Messaggero)
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Gennaio 27th, 2025 Riccardo Fucile
IL RAGIONAMENTO DI FRANCESCHINI E’ FIGLIO DELLA NOSTALGIA PER I GOVERNI TECNICI CON UN OCCHIO A FORZA ITALIA.,.. ELLY SCHLEIN PREFERISCE PARLARE DI COSE CONCRETE E CONTINUA A MACINARE CHILOMETRI TRA PRESIDI DAVANTI A OSPEDALI E A FABBRICHE
Le dichiarazioni di Dario Franceschini arrivano all’improvviso e agitano il Partito
Democratico, o meglio lasciano sconcertati molti dirigenti di primo piano che continuano, da 48 ore, a chiedersi vicendevolmente “perché?” e “perché proprio ora?”.
Quasi nessuno però lo ha chiesto al diretto interessato dopo avere letto l’intervista di venerdì a Repubblica. L’ex ministro della Cultura ha sostenuto Elly Schlein alle primarie, per poi entrare in una sorta di letargo vigile assieme a Area Dem, la corrente che a lui fa riferimento. Acquattato dietro la segretaria PD ha centellinato le dichiarazioni. Ha aspettato di vedere cosa succedeva, e ora sembra aver scelto di uscire dal quietismo, perché chi lo conosce sa che il silenzio non necessariamente corrisponde a inazione.
Franceschini spiega che la strategia non deve essere quella di costruire una coalizione politica con Alleanza Verdi Sinistra e con il Movimento 5 Stelle, che non serve un programma elettorale unitario da presentare agli elettori.
Cita il Presidente Mao pper indicare la via: “Passare i prossimi tre anni ad avvitarci in discussioni: primarie sì o primarie no, Renzi sì e Conte no, o viceversa, tavoli di programma, discussioni sul nome. Si dice spesso che la destra si batte uniti. Io, se mi passa la provocazione, mi sono convinto che la destra la battiamo marciando divisi”.
L’accordo ovviamente andrebbe trovato per i collegi uninominali, ma “valorizzando le proprie proposte e l’aspetto proporzionale della legge elettorale”. Poi a mettersi d’accordo dopo si fa sempre in tempo, in parlamento.
Anche ammettendo che vada tutto bene come dice Franceschini, rimane il fatto che da una parte ci sarebbe una coalizione che presumibilmente ha governato insieme cinque anni, dall’altra uno spazio politico difficilmente riconoscibile. Non proprio il massimo in questi tempi dove leadership credibili e chiarezza della proposta politica sembrano contare più delle sottogliezze di chi è avvezzo ai meccanismi della politica.
Un ragionamento che diventa ancora più difficile da comprendere quando poco dopo ribadisce che “serve comunque un’alleanza”, e per questo di considerare “straordinario il lavoro di Schlein, che ha recuperato dall’astensionismo, dai delusi e dai 5S”.
E allora qual’è il punto?
Dopo i cattolici e i centristi del PD che sono tornati a far sentire la loro voce, ora anche il leader di Area Dem interviene nel dibattito spiazzando un po’ tutti. Se da una parte si augura la nascita di un nuovo partito centrista “che parli di più ai moderati, che recuperi l’astensionismo di quell’area, che contenda i voti a Forza Italia”, dall’altro sottolinea che i “cattolici democratici”, non possono “che restare in una forza progressista come ci hanno insegnato Zaccagnini e Granelli”.
Quindi che deve fare il PD? Se l’alleanza serve, se il ruolo dei cattolici come lui è dentro un partito a trazione progressista, se Schlein ha fatto un grande lavoro?
Franceschini la butta là: se Forza Italia si trovasse a giocare con una legge “tutta proporzionale”, sarebbe “arbitra dei governi per i prossimi vent’anni.
Insomma Tajani e i suoi “hanno in tasca il biglietto della lotteria ma non lo sanno”. Forza Italia come ago della bilancia di un sistema proporzionale, un nuovo partito di centro, nessuna coalizione per governare.
Quello che sogna l’ex ministro della Cultura è un nuovo governo tecnico, o un nuovo accordo parlamentare, che lasci fuori gli estremi da una parte e dall’altra. Esattamente quello schema he ha logorato il PD portandolo al suo minimo storico di consensi.
E Schlein? Quando il giornale è arrivato in edicola era in viaggio per il Nord-Est dell’Italia per un tour di incontri fuori gli ospedali, con i circoli e gli amministratori del PD. Sabato mattina era davanti i cancelli del Petrolchimico di Porto Marghera, la sera alla fiaccolata a Fiumicello, in provincia di Udine, alla fiaccolata in ricordo di Giulio Regeni al fianco della famiglia.
La segretaria pensa insomma a fare quello che ha promesso: parlare di cose concrete, cosciente che al momento alla sua leadership e alla centralità di un PD di “sinistra” non c’è alternativa. Con buona pace dei manovratori.
(da Fanpage)
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