BLUFF JOBS ACT: SOLO 13 POSTI IN DUE MESI
DOPO LE SPARATE DEL MINISTRO POLETTI, RIDIMENSIONATE DAL SUO MINISTERO E DALL’ISTAT, LA DOCCIA FREDDA INPS: “NEI PRIMI DUE MESI (RISPETTO AL 2014) IL SALDO ASSUNZIONI È ZERO”
Ben ultima venne l’Inps, con la perfidia dei numeri a decretare la fine dell’affaire Poletti.
Il verdetto: quanti posti di lavoro ha prodotto finora il Jobs act?
Solo 13 in tutto il Paese, una variazione statistica dello 0 per cento.
Nelle stesse ore in cui a Palazzo Chigi si confezionava la nuova “operazione bonus”, l’Istituto guidato da Tito Boeri archiviava la campagna comunicativa con cui il ministro del Lavoro ha provato a magnificare gli effetti della riforma —nonostante pessimi dati sulla produzione e fatturato industriale — anticipando dati incompleti: “Nei primi due mesi dell’anno ci sono 79 mila nuovi contratti a tempo indeterminato rispetto al primo bimestre 2014”, annunciava Giuliano Poletti a fine marzo, anticipato di poco dal tweet di giubilo del premier Matteo Renzi: “L’Italia riparte”.
Un dato che riferiva solo le “attivazioni”, ma non le “cessazioni”.
Pochi giorni e il bluff è scoperto: pressato, il ministero ammette che considerate le seconde, le prime sono 45.703 (34 mila in meno).
Poi arriva l’Istat: a febbraio ci sono stati 44 mila occupati in meno (quasi tutte donne) e 23 mila disoccupati in più, con la disoccupazione che sale al 12,7 per cento (lo 0,2 in più rispetto a febbraio 2014, primo mese dell’era Renzi a Palazzo Chigi) e quella giovanile che arriva al 42,5 per cento.
Veniamo ai numeri di ieri: nel comunicato diffuso dall’Istituto di previdenza colpisce lo 0,0% cifrato sotto la colonna “variazione percentuale” del totale delle assunzioni tra gennaio- febbraio 2015 e lo stesso periodo dello scorso anno.
Nei primi due mesi dell’anno i contratti di lavoro attivati sono stati 968.883, rispetto ai 968.870 del bimestre 2014: la differenza fa, appunto, 13, meno di un rumore statistico.
Il balzo in avanti lo fanno invece i contratti a tempo indeterminato, quelli che beneficiano della generosa decontribuzione stanziata dal governo con la legge di Stabilità (fino a un massimo 8.060 euro l’anno, per tre anni): aumentano del 20,7 per cento, portando la quota di lavoro stabile dal 37,1 al 41,6 per cento.
Nello stesso tempo, però, diminuiscono i contratti a termine (-7 per cento) e di apprendistato (-11,3 per cento), e questo porta il saldo a zero.
Nel 2013, per dire, non solo vennero siglati più contratti, ma la quota di precari era più bassa. Significa che la qualità del lavoro — adeguatamente sussidiata — sta migliorando perchè molti contratti precari vengono chiusi e riconvertiti in stabili per poter usufruire della decontribuzione.
Qui però si inserisce un dato inquietante: le conversioni stanno comunque scendendo di numero, sono 10 mila meno di gennaio-febbraio 2014, e quasi 60 mila rispetto al 2013. Significa che gli incentivi del governo stanno tamponando una probabile emorragia di posti di lavoro.
“Per aumentare l’occupazione serve la crescita — spiega l’economista Pietro Garibaldi, padre insieme a Boeri del contratto unico a tutele crescenti (partito il 7 marzo) — senza la domanda interna e con l’economia piatta è davvero difficile che si muova qualcosa”.
Eppure sempre secondo l’Inps, nei primi due mesi c’è stato un boom di richieste per la decontribuzione: 76 mila aziende per un totale di 276 mila lavoratori.
Numeri che esaurirebbero in poco tempo le risorse stanziate dal governo.
Nelle legge di Stabilità ci sono infatti 1,9 miliardi nel 2015 (altri 5 fino al 2017) in tutto. Secondo Poletti, con questi soldi si può arrivare fino a un milione di nuovi posti di lavoro. Anche qui è stato però smentito: come ha spiegato la fondazione dei consulenti del lavoro per arrivare a quella cifra —anche ipotizzando una decontribuzione di 4.130 euro — servono 4,7 miliardi.
All’appello ne mancano quindi 2,8. “Mi pare che sia assolutamente evidente la propaganda che è stata fatta”, ha commentato gelida la leader della Cgil Susanna Camusso: “Mi pare che siano la conferma che si stanno spendendo molte risorse per tenere lo stesso livello di occupazione e, quindi, per un Paese che non ha risorse sia un errore”.
Critica anche la Uil: “L’occupazione non è aumentata, c’è stato solo un riciclaggio di posti di lavoro”, ha spiegato il segretario generale Carmelo Barbagallo: “Peraltro — ha continuato — parlare di contratti a tempo indeterminato potrebbe rivelarsi una forzatura. Quanti sono gli imprenditori che hanno assunto con questa forma solo per fruire dei vantaggi fiscali, pronti poi a licenziare?”.
Visti i dati, ieri nessuno dal governo nè dalla maggioranza ha deciso di commentare.
Silenzio totale.
Carlo Di Foggia
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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