LA CONNESSIONE TRA I RAZZISTI, LA MERDA, LE FOGNE E I DRONI SI E’ MANIFESTATO A MULTEDO
I FOMENTATORI DI ODIO SCONFITTI IN TRIBUNALE, DOVE SI SCOPRE CHE LE DEFECAZIONI “CLANDESTINE” DI 4.000 GENOVESI PROFUMANO ANCHE SE FINISCONO A CIELO APERTO
Questa che stiamo per raccontare è una storia di merda.
Non si scandalizzino i perbenisti, perchè quella che nei mesi scorsi ha agitato e scosso, o indignato a seconda dei punti di vista, i residenti di Multedo schierati su fronti opposti rispetto all’accoglienza di un pugno di giovani profughi, è proprio una storia di merda, in senso letterale.
Tutto è partito infatti dalla cacca di dieci ragazzi, ospitati nell’ex asilo Govone di via delle Ripe, gestito dalle Suore della Neve.
La defecazione dei migranti pare producesse miasmi intollerabili per un gruppo di agguerriti residenti di Multedo, assistiti dall’ineffabile avvocato Alberto Campanella, capogruppo di Fratelli d’Italia a Tursi.
E si capisce, perchè l’asilo, a loro dire, non sarebbe stato allacciato alla rete fognaria comunale e le feci dei giovani sarebbero state scaricate in un rio, come si dice “a cielo aperto” con evidente rischio sanitario, puzze mefitiche e quant’altro.
Peccato, per gli anti-migranti, che alla prova tecnica dei fatti le acque
nere dell’asilo delle Suore siano risultate effettivamente allacciate alla fognatura. Mentre lo stesso non si può dire per un discreto gruppo di caseggiati, nelle immediate vicinanze dell’asilo, nei quali risiedono circa quattromila abitanti, i cui scarichi non sarebbero a norma e finirebbero, questi sì, nei rivi a cielo aperto.
Ironia della sorte, clandestinamente.
Ora, il punto è: la cacca di quattromila genovesi profuma, mentre quella di dieci profughi puzza terribilmente?
E se non è così, come suggeriscono l’esperienza e la chimica, perchè solo quando alla cacca dei quattromila residenti si è aggiunta quella dei dieci profughi si sono alzati miasmi intollerabili
Siccome questa è anche e soprattutto una storia di impegno civile e di carità cristiana, può venirci in aiuto una parafrasi del Vangelo (Matteo 7:3-5), liberamente adattata ai fatti di Multedo: “Perchè guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello mentre non scorgi il galuscio (parola di incerta etimologia ma a Genova dal forte significato semantico) che è nell’occhio tuo?”
Il fronte degli irriducibili anti-migranti, del resto, non si è limitato a una questione di liquami.
Ha evocato anche lo spettro del terrorismo internazionale, con argomentazioni forti.
Immaginate la scena: i profughi ospiti dell’ex asilo Govone di via delle Ripe si procurano un drone. Poi studiano su Internet come costruire una bomba (ci sono molti siti che spiegano come fare, trasformando in arma letale un banale fertilizzante), agganciano la bomba al drone, salgono sul tetto dell’asilo e da lì guidano con un telecomando il tremendo apparecchietto fino a raggiungere i depositi della Carmagnani.
Quindi sganciano la bomba e distruggono buona parte del Ponente genovese.
Con dovizia di particolari e adeguata competenza questa tesi è stata portata a conoscenza del sindaco Bucci da un esperto in chimica ed è stata esposta anche in Tribunale, dove finalmente, pochi giorni fa, il giudice Raffaella Gabriel ha messo fine a queste sceneggiate definendole “Mere illazioni, come tali prive di alcun valore”.
Anche in questo caso, le nostre menti sbalordite possono trovare conforto e sostegno in un passo del Vangelo (Luca:23,34): “Padre, perdona loro, perchè non sanno quello che fanno”. E neppure quello che dicono, evidentemente.
Pure, queste “illazioni” non sono soltanto parole in libertà che possono tutt’al più muovere al riso qualsiasi persona di buon senso, indipendentemente dalla fede politica.
Sono idiozie di questo tipo che nutrono rancore e desiderio di violenza nelle persone fragili e deboli, come il mentecatto che a Macerata ha preso la pistola, è salito in macchina e si è messo a sparare sugli immigrati.
Ma il protagonista in positivo della triste vicenda di Multedo, monsignor Giacomo Martino, per tutti semplicemente don Giuacomo, che ha portato i giovani migranti nell’asilo delle Suore di via delle Ripe, non intende farsi forte della sentenza del Tribunale.
Con spirito cristiano, vuole guardare avanti. E ne ha ben donde, perchè, dice, «Questa storia mi ha fatto perdere un sacco di tempo, e costretto a rimandare progetti importanti nel sostegno alle persone che assistiamo, Credo che il senso del nostro percorso sia dare un messaggio positivo, non togliersi sassolini dalle scarpe, una soddisfazione che non porta a nulla e ti fa mettere sullo stesso piano, sterile, di quelli che “parlano di pancia”.
E poi è pericoloso cedere alla tentazione del conflitto, della rissa, anche quando ti prudono le mani».
Don Giacomo, di tempo ne ha poco di suo, perchè è parroco di San Tommaso, ma anche Aiuto Pastorale alle Grazie, ha la chiesa delle Scuole Pie, è Cappellano del carcere di Pontedecimo, Cappellano dei Sert e, buon peso, è impegnato anche nell’Ufficio Migrantes della Curia. Lui e i suoi collaboratori («senza di loro – dice – non riuscirei a fare nulla») assistono circa 350 profughi in diverse strutture sul territorio genovese
«Credo che il bene vada detto, senza suonare le trombe, ma va detto – spiega don Giacomo – Del resto, il Papa, nella sua esortazione apostolica Amoris Laetitia, scrive che chi nutre nel suo cuore sentimenti contro i poveri e contro i profughi non può fare la comunione. Sono parole pesanti, che in pratica equivalgono a una vera e propria scomunica della Chiesa nei confronti di queste persone. I ragazzi che ospitiamo sono spaventati, temono gli atteggiamenti aggressivi di chi vorrebbe rimandarli a casa, nell’orrore da cui sono fuggiti. Spesso sono tanto intelligenti quanto poco scolarizzati. Istruirli è il primo passo, insegnare loro l’italiano è fondamentale perchè senza la conoscenza della lingua non è neppure ipotizzabile un percorso di integrazione. Ed è faticoso, per noi e ancor più per loro. Pure, questi ragazzi hanno un patrimonio enorme di storia personale e possono dare tanto a noi che non abbiamo vissuto le loro enormi difficoltà . Li portiamo nelle scuole, e la reazione degli studenti genovesi è incredibile. Racconto solo un episodio: un giorno siamo andati al Bergese, c’era in classe un putiferio incredibile. Quando hanno preso la parola i nostri due giovani afghani e hanno raccontato la loro storia, si è creato un silenzio perfetto, assordante. È stata una “lezione” indimenticabile».
(da “La Repubblica”)
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