A GENOVA PER IL GOVERNO L’EMERGENZA NON C’E’
MAI DICHIARATO LO STATO DI CALAMITà€, MAI VISTI I 12,5 MILIONI STANZIATI DA PALAZZO CHIGI, BUIO PESTO SU RISARCIMENTI E MESSA IN SICUREZZA
Genova, cantava Fossati, si vede solo dal mare.
Matteo Renzi invece la guarda in tv:
“Non vado a fare passerelle — ha detto dopo la prima alluvione del 9 e 10 ottobre — Vado a Genova quando son partiti i lavori e non le chiacchiere”.
Atteggiamento meritorio, per carità , anche se ai tempi del ritorno in porto della Concordia la passerella a Genova la fece volentieri.
Insomma, il problema non è tanto stare sul posto — per quanto pure i gesti simbolici contano — quanto un’impressione di generale inattività del governo rispetto a un disastro che continua a ripetersi: il suo volto, per ora, è solo quello della Protezione civile regionale e dei militari (90 fino a ieri, 140 in tutto da oggi) che sono lì a dare una mano.
EMERGENZA?
Viene da chiedersi cosa si intenda a palazzo Chigi con questa parola: l’esecutivo, infatti, non ha ancora trovato il modo — a un mese dai morti della prima alluvione — di proclamare per Genova “lo stato di emergenza per calamità naturale”.
Pure i dodici milioni e mezzo di euro stanziati per “la prima assistenza alla popolazione, il soccorso e le somme urgenze” in città non si sono ancora visti.
La cosa, peraltro, assume una coloritura persino farsesca se si pensa che l’annuncio dello stanziamento scatenò parecchie polemiche perchè i fondi erano insufficienti: “Le somme per ristorare i danni subiti nella recente alluvione appaiono assolutamente insufficienti alla luce del bilancio che andiamo facendo”, scrisse il sindaco Mario Doria ai parlamentari (secondo stime governative ne servivano almeno 60).
La squadra di Matteo Renzi non s’è fatta mancare nemmeno la figuraccia tecnica: nel decreto che ha sospeso il pagamento dei tributi fino al 20 dicembre, il ministero dell’Economia s’è scordata le ritenute d’acconto e ha dovuto metterci una pezza l’Agenzia delle Entrate facendo sapere che “valuterà la possibilità di non applicare le sanzioni ai sostituti d’imposta in caso di loro impossibilità a effettuare i versamenti (…) a causa dei disagi procurati dal maltempo a stretto ridosso della scadenza” (il che peraltro significa a ottobre — “stretto ridosso” — non il 20 dicembre).
I SOLDI
“Un pensiero particolare ai commercianti che avevano avuto già il negozio distrutto dall’acqua tre anni fa. Erano ripartiti e adesso si sono ritrovati di nuovo in ginocchio. Vorrei rassicurarli sul fatto che il governo troverà le soluzioni, non lasceremo soli coloro che vogliono ripartire”.
Così Matteo Renzi su Facebook dopo la prima ondata d’acqua e così, più o meno con le stesse parole, s’era commosso ospite di Barbara D’Urso a Domenica Live.
Il conto da pagare è stato già compilato dalla regione: “Servono 150-200 milioni e non per gli interventi di messa in sicurezza, ma per le famiglie, le imprese, i Comuni che altrimenti non si rialzano più”, ha messo a verbale il presidente Claudio Burlando.
Al momento, ovviamente, non s’è visto un euro (d’altronde non c’è ancora l’emergenza, no?) e pure per il futuro le previsioni non sono positive: “L’impegno del governo c’è ma non sono in grado di dire quante risorse riusciremo a dare”, ha detto il ministro Gian Luca Galletti.
I LAVORI.
Burlando, che pure sta lì da parecchio, aveva promesso basta coi veti: rompo i sigilli e faccio partire i lavori di messa in sicurezza del Bisagno e tutto quel che serve. Il governo parla più volentieri del suo programma nazionale contro il dissesto idrogeologico da 9 miliardi in sette anni (giovedì c’è una riunione a palazzo Chigi di sindaci e governatori con Erasmo D’Angelis, capo della Struttura di missione #italiasicura).
Sul caso specifico, invece, ieri l’assessore alle Infrastrutture Raffaella Paita ha spiegato che il governo è d’accordo a inserire “il terzo lotto del Bisagno e la realizzazione dello scolmatore (un canale che dovrebbe diminuire la portata del torrente, ndr) tra i progetti cantierabili subito” per cui sono disponibili 9 miliardi.
Si vedrà . Per ora, comunque, non s’è mossa neanche una ruspa.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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