ABBIAMO I CONTI PUBBLICI SCASSATI E IL GOVERNO NON SA CHE PESCI PRENDERE: MELONI E GIORGETTI SONO TENTATI DI PRESENTARE UN DEF SENZA CIFRE, EVITANDO COSI’ DI INDICARE GLI OBIETTIVI DI FINANZA PUBBLICA
UNA PARACULATA CHE POTREBBE INNESCARE TENSIONE SUI MERCATI E FAR IMBIZZARRIRE LE AGENZIE DI RATING CHE TRA APRILE E MAGGIO DOVRANNO VALUTARE LE PROSPETTIVE DELL’ITALIA
Palazzo Chigi e il Tesoro hanno l’accordo sul Def: l’idea è approvare un Documento di economia e finanza solo con il quadro macroeconomico tendenziale, ovvero con le stime a legislazione vigente, senza indicare gli obiettivi di finanza pubblica stabiliti dal governo. Questo è il ragionamento con cui si sono lasciati Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti venerdì pomeriggio, quando si sono visti per fare il punto sul Def. La decisione definitiva, però, sarà presa soltanto oggi, anche alla luce degli ultimi dati del Superbonus, che ha già superato i 210 miliardi di euro di impatto e veleggia verso i 250.
L’ipotesi di presentare un documento al buio, rinviando tutte le scelte di politica economica era stata discussa nei palazzi già la settimana scorsa, con il timore sottolineato dai tecnici che un messaggio del genere potesse innescare tensioni sui mercati. Da non sottovalutare, spiega una fonte, anche l’effetto di tale incertezza sulle agenzie di rating, che tra aprile e maggio dovranno valutare le prospettive dell’Italia.
La struttura del Mef non è abituata a fare un lavoro a metà, negli ultimi anni non si ricordano precedenti simili, solo la Nadef di Mario Draghi dell’autunno 2022 venne varata dal Consiglio dei ministri senza il quadro programmatico, ma allora si erano tenute le elezioni il 25 settembre, e un esecutivo dimissionario non poteva certo prendersi in carico le responsabilità sulla manovra successiva.
Anche guardando al lavoro che stanno preparando Francia, Germania e Spagna, non c’è la sensazione che questi Paesi vogliano rinunciare a rivelare i propri target sulla crescita e i conti pubblici. Il ministro Giorgetti lascia intendere che questo sia un comportamento prudente in attesa delle linee guida della nuova Commissione europea, c’è chi invece la giudica una scusa.
Negli ambienti tecnici, gli economisti dell’Upb, dell’Istat, di Ref ricerche e di altri osservatori consultati da Parlamento ed esecutivo si interrogano su un’opzione di questo tipo.
Secondo Giampaolo Galli dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica, «il governo sarebbe tenuto a fare sia il quadro tendenziale sia quello programmatico. Io penso che il governo sia in qualche imbarazzo e sia tentato di scaricare le responsabilità sull’Europa se non riuscirà a confermare le promesse, come la riduzione del cuneo fiscale. Certo non si poteva aspettare le proporzioni disastrose del Superbonus – ricorda – ma il problema sta anche nell’aver sottovalutato lo stato della finanza pubblica».
La scelta di Meloni è essenzialmente politica, peraltro condivisa da Giorgetti, e rientra nella strategia cara a Palazzo di Chigi di voler discutere con Bruxelles in una logica di pacchetto. Dopo il voto per le europee dell’8 e 9 giugno, la presidente Meloni ha intenzione di trattare personalmente con il futuro vertice della Commissione sulle cariche e sui vincoli di bilancio.
Un atteggiamento che si scontra su alcuni punti fermi difficilmente trascurabili: l’Italia andrà incontro a una procedura per disavanzo eccessivo e già quest’estate potrebbe dover dare il via libera a una manovra correttiva e ridurre il deficit strutturale dello 0,5%. Giorgia Meloni, invece, vorrebbe strappare almeno 10 miliardi di extra deficit a Bruxelles da utilizzare a copertura della prossima manovra. Palazzo Chigi è convinto di poter dare le carte dopo le elezioni di giugno arrivando a concordare l’extra deficit necessario alla legge di bilancio. Probabilmente serviranno dei buoni alleati in Europa.
(da “la Stampa”)
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