AL QUIRINALE SENZA TESTIMONI
OGGI NAPOLITANO DEPONE, ESCLUSI I GIORNALISTI… NESSUN FILMATO, L’AUDIO LO REGISTRERà€ IL COLLE
Si conosce solo l’orario d’inizio. Le dieci di stamattina, nella sala del Bronzino nota anche come “sala oscura”, perchè non ha finestre sul mondo esterno.
Poi tutto quello che accadrà al piano nobile del Quirinale sarà ignoto, in una sorta di blackout di stampo nordcoreano.
Persino la disposizione di persone, una quarantina, tavoli e poltrone non è ammesso sapere.
Giorgio Napolitano testimonierà al “buio” sulla trattativa tra Stato e mafia. Fino all’ultimo si sono moltiplicati gli appelli per dare trasparenza all’esame davanti alla Corte d’Appello di Palermo, in trasferta eccezionale a Roma.
Il più autorevole ieri sul Corriere della Sera, a firma del quirinalista di via Solferino, Marzio Breda. Sembrava così che in giornata si fosse aperto uno spiraglio, ma alle sei di sera dagli uffici del consigliere per la stampa e per la comunicazione la risposta è stata laconica: “Non sono ammessi giornalisti”.
Stop. Il grande nemico: le telecamere
Al di là della rabbia e del fastidio con cui Re Giorgio ha seguito e subìto la drammatica escalation della sua testimonianza di oggi, a blindare come un’aula cieca e sorda la sala oscura del Quirinale è stata la grande paura dello staff di Napolitano. Quella riguardante la “tenuta psicofisica” del capo dello Stato.
Un timore nato esattamente un mese fa, quando al Colle fu recapitata l’ordinanza della Corte per l’esame. Quello stesso giorno a Palermo fu sentito, sempre nel processo sulla trattativa, Ciriaco De Mita e Napolitano rimase colpito dal “modo sprezzante” in cui, a suo giudizio, sarebbe stato trattato l’ex premier ed ex leader della Dc.
Da quel momento in poi, al Quirinale hanno avuto una sola priorità : preservare il Re dalle telecamere per evitare anche “eventuali manipolazioni o strumentalizzazioni” di singole immagini, che magari possono essere isolate e dare l’impressione di un Napolitano in difficoltà .
È il rischio che ieri sul Corsera, Breda ha chiamato “spettacolarizzazione” del processo.
Il presidente impegnato a studiare le carte
Ma a far pendere per la blindatura dell’udienza di oggi nella sala del Bronzino è stata la “condizione di stanchezza” del capo dello Stato (che nonostante tutto, in ogni caso, non sarebbe più intenzionato a dimettersi a gennaio).
Ed è per questo che dallo staff del Quirinale trapela la speranza che l’esame di oggi non sia estenuante e possa concludersi nell’arco di mezza giornata, a fine mattinata. Al contrario, un allungamento fino al pomeriggio potrebbe far tendere i nervi ancora di più a Napolitano.
Il quale oggi si presenterà nel suo consueto stile: gelido e pignolo. Ieri ha trascorso parecchie ore nel suo studio a studiare e rileggere le “carte”, a partire dalla questione centrale delle telefonate di Nicola Mancino, in cerca di sponde per evitare il processo, e dalla famosa lettera del suo consigliere giuridico poi morto per infarto, Loris D’Ambrosio.
Il piano del presidente, messo a punto con i suoi consiglieri, è quello di ripetere le risposte già mandate per iscritto e comunque di “uscirne bene dopo il calvario di questi mesi”.
L’amico Macaluso: ”Bisognava evitare”
In particolare, in questa vigilia descritta come “relativamente tranquilla”, l’attenzione del capo dello Stato si è concentrata soprattutto su “un’enorme mole di carte” che riguarda il biennio 1992-1993 e le conseguenti domande dei magistrati sull’allarme attentati diramato dai servizi segreti.
All’epoca, Napolitano era presidente della Camera e in questi giorni ha cercato di fare “mente locale” su episodi e dettagli di quell’anno e che possono essere al centro di questa parte dell’esame.
Ieri all’agenzia LaPresse, Emanuele Macaluso, uno degli amici più fidati del capo dello Stato, ha mostrato uno stato d’animo decisamente preoccupato: “Questa cosa andava evitata. Sarebbe stato meglio che non fosse stato chiamato a testimoniare”. Alla fine il grande giorno della testimonianza di Napolitano è arrivato.
Nel buio mediatico, in una sala oscura al piano nobile del Quirinale.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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