ALFANO NON SI IMMOLA PER AZZOLLINI E DENTRO NCD PARTE LA FRONDA
L’ACCUSA: “LO HA SCARICATO PER SALVARE CASTIGLIONE”
Il partito di Alfano assomiglia alla più classica maionese impazzita, attorno al frullatore delle inchieste.
E il “caso Azzollini” sta già producendo ancora più grumi.
Il segnale di ciò che potrà accadere è nella risposta di Renato Schifani a domanda se ci saranno ripercussioni del governo sull’arresto di Azzollini: “Sono due piani diversi, non ci sono collegamenti, qui si discute della libertà di una persona”.
Il che significa che Angelino Alfano ha già dato garanzie di tenuta della maggioranza. Certo difenderà il suo senatore, ma non drammatizzerà fino a mettere in difficoltà Renzi e non si immolerà sull’altare della difesa del presidente della Commissione Bilancio.
Ed è proprio attorno a questa manovra del ministro dell’interno tesa a non spezzare l’asse che lo lega a Renzi che aumentano i grumi della maionese.
E non è un caso che ieri alla riunione dei senatori di Ncd Alfano non abbia partecipato, rimandando la sua presenza alla riunione di martedì prossimi.
E non è un caso che, negli ultimi giorni, sulla scuola e non solo la maggioranza sia andata sotto per colpa di assenze “mirate” di senatori di Ncd.
E non è un caso nemmeno che ormai i rapporti tra Alfano e Quagliariello si sono così incrinati che ormai il mite ex ministro alle Riforme viene descritto “in rotta con Angelino”.
Al Senato il partito centrista è diviso in tre bande. E, delle tre, aumenta di consistenza quella di chi, come Quagliariello, pensa che “così non si può andare avanti”, e dunque o si negozia un “patto complessivo” con Renzi oppure si finirà per arrivare a una lenta e inesorabile estinzione.
Dove nel patto complessivo c’è tutto: dalle riforme, compresa la modifica della legge elettorale, alla difesa di Castiglione e Azzollini.
Tra questi c’è Schifani e il vicepresidente del Copasir Giuseppe Esposito, uno che parla poco, ma quando parla manda segnali molto chiari: “Marino e Zingaretti — ha scritto in una nota – dovrebbero dimettersi il prima possibile. Se dal punto di vista giudiziario vale per tutti la presunzione di innocenza, in chiave politica non è possibile lasciar passare che il sindaco della capitale e il governatore del Lazio siano stati eletti anche grazie ai voti ottenuti per effetto di connivenze tra il malaffare e il proprio partito. Per molto meno ministri, sottosegretari e presidenti di Regione hanno dovuto compiere un passo indietro”.
E c’è un motivo se il warning è già scattato a palazzo Chigi.
Dove è tangibile una certa tensione, e da dove è partito l’ordine di scuderia di non giocare col fuoco.
Perchè basta un attimo e scoppia l’incendio. E per questo Orfini dopo aver dichiarato inevitabile il voto “sull’arresto di Azzollini” uscito da palazzo Chigi ha dichiarato che certo “le carte vanno lette”.
Il nervosismo riguarda tutto, ma nel tutto il timore che la gamba di centro della maggioranza possa franare è concreto.
Avanza nel gruppo al Senato una certa insofferenza verso la linea Alfano per cui, dicono in parecchi, “Lupi e Azzollini pari sono” purchè resti salda la sua posizione al Viminale, mentre non si dice nulla su Marino e Roma.
E soprattutto il sacrificio di Azzollini, attraverso una finta difesa, viene visto come la mossa di Alfano per avere da Renzi una difesa vera di Castiglione: “Io — dice un senatore di Ncd — le carte su Azzollini le ho lette e c’è poco. La vicenda Castiglione è politicamente rilevante, ma Castiglione è Alfano. E Angelino pensa che difendendo Castiglione difende se stesso, secondo me sbagliando, perchè così tiene il Viminale al centro dell’attenzione. Ma evidentemente non può permettersi di scaricarlo”.
Ma non ci sono solo gli insofferenti che dicono “o patto o rottura”.
Ci sono quelli — sette, otto senatori – che ormai si sentono “renziani” e che vorrebbero direttamente entrare nel Pd e il cui punto di riferimento è Beatrice Lorenzin, come Chiavaroli, Bianconi, Langella.
E c’è un gruppo che oscilla, come quello dei calabresi, tra le sirene di Verdini e la suggestione di un nuovo centro-destra.
Su 35 senatori, stando ai ben informati, di fedelissimi, il ministro dell’Interno ne conta 7-8. La Lorenzin su una linea filo Pd altrettanti. Gli altri venti, tra critici e dubbiosi, sono una ventina.
Le elezioni anticipate non le vuole nessuno ma al Senato si balla.
(da “Huffingtonpost”)
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