ARRESTATO NELLA NOTTE IL TITOLARE DELLA FUNIVIA E DUE COLLABORATORI: “HANNO AMMESSO, FRENO MANOMESSO PER AGGIRARE ANOMALIE”
PER NON PERDERE TURISTI E SOLDI NON HANNO FERMATO L’IMPIANTO: PERFETTA LOGICA ULTRA-LIBERISTA, QUELLA CHE PIACE TANTO AI SOVRANISTI
La morsa che teneva aperti i freni, il cosiddetto “forchettone” non era stato dimenticato inserito ma aveva una precisa funzione, quella di aggirare un’anomalia ai freni che durava da un mese e mezzo.
Una scelta criminale, fatta anche al prezzo della vita di 14 persone, poiché quel pezzo di ferro rosso, che serve per tenere aperte le morse del freno d’emergenza, è con tutta probabilità la principale causa dello schianto della cabina della funivia che collega Stresa al Mottarone.
Le tre persone arrestate nella notte per il disastro alla funivia del Mottarone hanno ammesso le responsabilità loro contestate, come ha spiegato il comandante provinciale dei Carabinieri di Verbania, tenente colonnello Alberto Cicognani.
“Il freno non e’ stato attivato volontariamente? Si’, si’, lo hanno ammesso”. “C’erano malfunzionamenti nella funivia, – ha spiegato l’ufficiale – è stata chiamata la manutenzione, che non ha risolto il problema, o lo ha risolto solo in parte. Per evitare ulteriori interruzioni del servizio, hanno scelto di lasciare la ‘forchetta’, che impedisce al freno d’emergenza di entrare in funzione”.
Gli interrogatori ai dipendenti della società Ferrovie del Mottarone si sono conclusi verso le quattro di notte con tre persone fermate: Luigi Nerini, titolare dell’impresa che gestisce la funivia, difeso dall’avvocato Pasquale Pantano, il direttore dell’esercizio Enrico Perocchio e il capo servizio Gabriele Tadini.
“Uno sviluppo consequenziale, molto grave e inquietante, agli accertamenti che abbiamo svolto. Nella convinzione che mai si sarebbe potuto verificare una rottura del cavo si è corso il rischio che ha purtroppo poi determinato l’esito fatale”, ha spiegato la procuratrice Olimpia Bossi, lasciando la caserma.
A loro carico ci sono “gravi indizi di colpevolezza” che hanno portato la procuratrice capo di Verbania Olimpia Bossi e la sostituta Laura Carrera a disporre il fermo: “Si è trattato di una scelta consapevole dettata da ragioni economiche. L’impianto avrebbe dovuto restare fermo”, ha detto Bossi, che ha coordinato le indagini dei carabinieri che, guidati dal comandante provinciale di Verbania Alberto Cicognani, hanno raccolto il materiare per arrivare a muovere queste contestazioni.
Cambiata anche l’ipotesi di reato: all’omicidio colposo si è aggiunto l’articolo 437 del codice penale che punisce con una condanna fino a 10 anni la rimozione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, aggravate se da quel fatto deriva un disastro. I tre arrestati sono stati portati in carcere a Verbania. E nelle prossime ore sarà chiesta la convalida del fermo e l’applicazione di una misura cautelare.
Secondo quanto ricostruito, da circa un mese, ossia da quando la funivia era stata riaperta dopo il lockdown, la centralina rilevava delle anomalie sull’impianto frenante di una delle due cabine.
La segnalazione era stata presa in considerazione, tanto che erano stati chiesti anche degli interventi di manutenzione. Tuttavia non erano stati risolutivi e sarebbe stato necessario un lavoro più incisivo che avrebbe probabilmente tenuto fermo l’impianto proprio ora che la bella stagione era appena iniziata e il Covid stava mollando la presa. D’altra parte però era complicato continuare con quella cabina che di tanto in tanto si fermava e toccava andarla a recuperare trainandola con fatica fino alla stazione. Ecco allora che una soluzione è stata trovata non per risolvere il problema ma per aggirarlo e da alcuni giorni era stato sistemato il forchettone che escludeva i freni di emergenza.
Uno dei punti ancora da chiarire è se il divaricatore sia stato sistemato solo su uno dei due freni della cabina o su entrambi. Dalle foto scattate e dai video girati dopo il disastro sembra che sul relitto ci sia un solo forchettone sistemato, ma stamattina è in programma un sopralluogo approfondito per controllare se per caso il secondo sia saltato durante l’urto con il terreno. In ogni caso questo non spiega la rottura del cavo, che era un fattore imprevedibile.
Le indagini per lo schianto della funivia del Mottarone hanno subito un’improvvisa accelerazione durante la notte quando è entrato in caserma Luigi Nerini, il titolare della società Ferrovie del Mottarone che gestisce l’impianto, la cui proprietà pubblica viene rimpallata tra Regione Piemonte e Comune di Stresa.
Nel pomeriggio erano iniziate le convocazioni come testimoni dei dipendenti della società che gestisce l’impianto di risalita. Dopo una serie di domande incrociate tra i vari lavoratori, verso le sette e mezza di sera l’arrivo di un avvocato ha rivelato che la posizione di uno dei lavoratori si era complicata portando all’iscrizione nel registro degli indagati di un primo nome.
A notte fonda alcuni dei testimoni hanno lasciato la caserma, ma i carabinieri hanno continuato a interrogare ad oltranza fino a quando non è stata chiarita la situazione. In giornata erano stati acquisiti documenti anche in Regione ed era stata sequestrata anche la registrazione della telefonata al 118 di chi per primo ha dato l’allarme
(da agenzie)
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