BABY ESCORT E L’ILLUSIONE DI NON FARE NULLA DI MALE
QUANDO RICAVARE DENARO DAL LIBERO SFRUTTAMENTO DEL PROPRIO CORPO PER MOLTE GIOVANISSIME DIVENTA NORMALITA
Alla fine, che c’era di male in quello che facevo? Meglio i grandi che i ragazzini, che vanno in giro a sputtanarti.
Così dall’alto dei suoi diciotto anni appena compiuti, la baby squillo di Cuneo ha giustificato la vendita del proprio corpo quand’era ancora minorenne e lo faceva in cambio di (molti) soldi e qualche sniffata.
Spiegando a tutti noi una cosa sconcertante: l’oscenità della prostituzione, intesa come «fuori dalla scena», al riparo della visibilità , appare più dignitosa del finire su quella piazza mediatica dove tante ragazzine si esibiscono in cambio di niente o poco di più.
E’ una morale discutibile quella che trasforma l’ipocrisia della discrezione in un valore aggiunto agli occhi di una sedicenne che si prostituisce in autogestione, o almeno così pare.
Ma la questione va certamente al di là di un giudizio etico scontato da parte di quella società civile in cui ci riconosciamo come benpensanti.
Perchè negli ultimi decenni il sesso ha attraversato una girandola di definizioni davvero spiazzante. Prima era peccato tout court, il distillato di tutti i tabù. Due generazioni fa ci è stato insegnato che è un’esperienza positiva, ma imprescindibile dall’amarsi. Che senza amore non ha senso, ed è sbagliato. Poco dopo si è scoperto che sta in piedi da solo, che va scoperto e praticato per quello che è.
Oggi stiamo imparando, non tanto a spese di noi adulti quanto di chi si sta formando nell’onda lunga di tutte queste metamorfosi, che nel passaggio da un’idea all’altra qualcosa di forse irreparabile s’è perso per strada.
Che fra il sesso come tabù e il sesso come esercizio di libertà dovrebbe stare un tassello importante. Quello che manca alla storia e alle parole di una sedicenne che si prostituisce perchè crede di averlo scelto ma si sbaglia e con lei sbagliamo tutti noi che prepariamo per i nostri figli un terreno infido e paludoso, dove si affonda con i piedi e con il cuore e con la testa.
Perchè la libertà — e in particolare quella di considerare e praticare il sesso — non ha senso senza la consapevolezza e il senso di responsabilità che in sostanza significa avere, per se stessi e per il mondo che ci circonda, un minimo di lungimiranza.
La coscienza, cioè, che le nostre azioni e i nostri pensieri portano inevitabilmente delle conseguenze. Come quella di compromettere la tua libertà di considerare e praticare il sesso in futuro, associandolo o meno all’amore, dopo che a sedici anni ti sei prostituita non perchè qualcuno ti ha obbligato a farlo, ma per una presunta libertà di scelta.
Che altro non è se non incosciente sfruttamento di sè. Anche se il cliente ti paga, e pure bene. Anche se «non fa nulla di male» se non stravolgere l’idea che a sedici anni ci si dovrebbe formare del sesso, dell’amore, dei rapporti fra le persone, di se stessi come persona.
Ricavare denaro e beni tangibili dal «libero» sfruttamento del proprio corpo ha varcato il confine del tabù: per le giovanissime generazioni assomiglia sempre di più a una specie di normalità .
Non di consuetudine, ma quasi. Certamente non stupisce più di tanto, purtroppo: nè quando si esercita con la colpevole omertà del cliente adulto nè quando esce quasi allo scoperto nel folto della trama mediatica, sugli schermi dei cellulari, sulle pagine dei social network.
Tocca all’educazione stabilire dei confini netti, e non tanto appigliandosi a una moralità astratta e scivolosa quanto puntando su quel senso di responsabilità verso se stessi che sta alla base di ogni libertà .
Anche e soprattutto quella di pensare e praticare il sesso.
Elena Loewenthal
(da “La Stampa”)
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