BERLUSCONI CONTRO BOSSI: “NON ACCETTERO’ UN ALTRO RIBALTONE, DEVE DARMI GARANZIE SUBITO”: MA NON ERANO COSI’ AMICI?
DA COMPAGNI DI MERENDE A PARENTI-SERPENTI: IL PREMIER TEME UN GOVERNISSIMO E L’EMERGENZA ECONOMICA…UN MINISTRO DICE: “SE CADE MILANO, A SILVIO CONVIENE GOVERNARE LA SUA SUCCESSIONE”… L’UNICO NOME CHE TROVEREBBE D’ACCORDO LE VARIE CORRENTI E’ QUELLO DI GIANNI LETTA
Saltare a piè pari il risultato (che si prevede catastrofico) dei ballottaggi a Milano e Napoli.
Provare a far finta di niente, proiettando l’azione del governo sui prossimi mesi. Allontanare lo spettro di quel governissimo che è tomato a materializzarsi su palazzo Chigi.
A questo servirà l’ufficio di presidenza convocato oggi da Berlusconi, dopo essersi coperto le spalle con il faccia a faccia di ieri sera con Umberto Bossi.
Un incontro a tratti teso, durante il quale il premier ha chiesto conto all’alleato di quei “rumors” su una trattativa segreta imbastita dal Carroccio con le opposizioni sulla legge elettorale.
«Umberto – ha scandito il Cavaliere – la riforma elettorale è una mossa studiata a tavolino per far saltare il governo e rompere la nostra alleanza. Ve ne rendete conto? Ma se pensate che a pagare ai ballottaggi possa essere soltanto io vi sbagliate di grosso. Non me ne starò certo zitto mentre preparate un ribaltone. Mi dovete dare garanzie ora».
La fragile tregua che faticosamente viene siglata alla fine del summit – con la decisione di accantonare la querelle sul trasferimento dei ministeri e la promessa di marciare uniti sulla riforma elettorale – servirà dunque ad arrivare almeno fino al voto senza ulteriori scossoni.
Ma non allontana la prospettiva di uno show-down traumatico a urne chiuse.
Il Cavaliere è determinato comunque ad andare avanti e stasera, a Porta a Porta, ripeterà come un mantra le tre parole d’ordine che saranno messe nero su bianco dal vertice del Pdl: riforma del fisco, piano per ilSud, riforma della giustizia.
Nulla di nuovo, se non l’ennesimo annuncio di uno sblocco dei dieci miliardi di euro di fondi strutturali europei.
Ma il contropiede deciso ieri nella riunione con Verdini, Bonaiuti, Cicchino eAlfano, prima che arrivassero i leghisti, serve appunto a gettare preventivamente una rete di sicurezza per quello che potrebbe accadere da lunedì, quando Napoli e Milano potrebbero ritrovarsi con due sindaci di centrosinistra.
«Proveranno a farmi fuori – ha spiegato Berlusconi – e noi dobbiamo anticiparli, dobbiamo togliere ogni valenza politica al voto. E dare una prospettiva di legislatura al governo».
Più facile a dirsi che a farsi.
Sapendo, ad esempio, che il Terzo polo ha fatto capire di essere pronto a rientrare in maggioranza in caso di passo indietro del Cavaliere.
Ieri sera, però, a palazzo Grazioli mancava il protagonista, il ministro che dovrebbe garantire l’attuazione della riforma fiscale e del piano di interventi per il Mezzogiorno. Nonchè uno dei principali sospettati per guidare quel governo di unità nazionale che Berlusconi teme come la peste: Giulio Tremonti.
Il quale ieri, annusata l’aria, ha detto chiaro e tondo quello che pensa: «Non condivido la frase “adesso che è finita la crisi si può fare… allargare i cordoni della borsa, reperire risorse, trovare soldi. C’è un deficit di comprensione di quello che è successo e di quello che non può continuare a essere».
Dunque niente soldi. Anzi, la prospettiva è nera, con l’imminente arrivo di tagli per 40 miliardi di euro in tre anni, di cui una decina da trovare subito.
Oltretutto Tremonti può farsi forte del pesante giudizio dato ieri dalla Corte dei conti. I magistrati contabili sostengono che per rispettare i nuovi vincoli europei sul debito occorrerà un intervento «del 3% all’anno, pari a circa 46 miliardi nel caso dell’Italia». Una mazzata «di dimensioni paragonabili a quella realizzata nella prima parte degli anni Novanta perl’ingresso nella moneta unica».
Per taluni ministri la copertura politica di un governo di salvezza nazionale.
E come se tutti i nodi venissero al pettine, le questioni lasciate in sospeso presentassero il conto tutte insieme a Berlusconi: il bilancio dello Stato, lo stato del Pdl, la sconfitta (possibile, probabile) alle amministrative, il rapporto con la Lega.
Un ministro del Pdl non si fa illusioni sui margini di manovra rimasti al capo del governo: «Se lunedì perdiamo a Milano viene giù tutto. Berlusconi a quel punto può decidere da solo di fare un passo indietro subito e governare così la sua successione. Oppure, se insiste a far finta di niente, tempo tre mesi qualcuno si incaricherà di farlo fuori comunque».
Gli scricchiolii già si avvertono e, a dispetto delle rassicurazioni notturne e dei pugni affettuosi che Bossi gli assesta sul palmo della mano, è sul Carroccio che si appuntano tutti i sospetti.
«I leghisti – confida il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa– ci stanno avvicinando discretamente per proporci la riforma elettorale. Al loro interno c’è dibattito su questo ed è chiaro che la proporzionale è il salvagente che gli consentirebbe di non affondare insieme a Berlusconi. Potrebbero presentarsi da soli alle elezioni e poi trattare con chi vince».
Anche nel Pdl si ragiona come se il dopo-Berlusconi fosse già iniziato.
Ma il nome che potrebbe mettere tutte le correnti d’accordo, lasciando impregiudicata la scelta del candidato premier per il 2013, è uno soltanto: Gianni Letta.
Bei Francesco
(da “La Repubblica“)
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