BERLUSCONI: “NON SI CHIUDE COSI’ UNA STORIA POLITICA”
IL CAVALIERE VUOLE RESISTERE
La linea è sempre più segnata, e le carte tutte in tavola.
Silvio Berlusconi parla in pubblico ad una riunione di attivisti del Pdl di Bellaria e, in collegamento telefonico lancia il suo ultimo grido di battaglia: «Farò sino all’ultimo l’interesse del Paese e degli italiani. Andate avanti con coraggio, io resisto. Non vi farò fare assolutamente brutte figure. Prepariamoci al meglio»
Parole che confermano la decisione presa venerdì scorso nel vertice con i collaboratori più fedeli, gli avvocati, i figli: «Non chiederò la grazia, nè i servizi sociali. Non mi farò umiliare. La mia battaglia la condurrò dal carcere, se servirà ».
Perchè, ha spiegato anche ieri ai suoi «non si può chiudere una storia politica come la mia con un atto burocratico conseguente a una sentenzina. Non è accettabile»
Dunque, nonostante qualcuno fra le colombe speri ancora nel colpo di scena finale, magari «al fotofinish», al momento non si intravvede una soluzione.
E questo nonostante Berlusconi sia stato ben edotto che, anche in caso di voto (arduo) entro l’anno, la sua agibilità politica non sarà certo quella di prima.
Ma le posizioni si vanno cristallizzando, avvicinando la crisi di governo
Anche in via dell’Umiltà considerano la «deadline» di tutta questa storia il 9 settembre, quando la Giunta per le elezioni del Senato sarà chiamata a dare il suo verdetto sulla decadenza da senatore di Berlusconi.
E se c’è chi ancora, come l’area più filogovernativa, spera che il Pd possa aprire ad un «approfondimento, un rinvio, che potrebbe far calare la tensione e magari permettere un venirsi incontro a metà strada sia di Napolitano che di Berlusconi», la maggioranza del Pdl pare rassegnata: «Voteranno per le dimissioni, e sarà la rottura».
Già le parole di ieri di Enrico Letta non sono parse sufficienti, tutt’altro, a falchi come Capezzone ma anche a colombe come Schifani.
Poi il combinato disposto delle uscite di alcuni nomi noti del Pd – dalla Bindi alla Serracchiani, dalla Moretti a Casson – hanno portato a concludere che «da loro non possiamo aspettarci nulla»
Resta, dicono nel Pdl, un’unica, flebilissima speranza, alla quale peraltro un Berlusconi sempre più deluso e sfiduciato rispetto a Napolitano, crede poco: «L’unica decisione per salvare il governo potrebbe venire dal capo dello Stato: con un atto straordinario come la commutazione della pena potrebbero riaprirsi i giochi».
Ma la difficoltà dell’impresa è presente a tutti: Napolitano potrebbe davvero spingersi a tanto, e in tempi brevi?
E potrebbe sostenere la prevedibile irritazione di una buona parte del Pd, per non parlare di grillini e Sel?
E il governo quanto reggerebbe poi all’urto delle fibrillazioni che si creerebbero a sinistra
Ragione per cui Berlusconi, e con lui l’area dei falchi, sembra dare già per chiusa la partita e per aperta quella elettorale.
Non è un caso che torna concretissima, se non certa, l’ipotesi che il Cavaliere alla ripresa dei lavori del Senato tenga un discorso in Aula che rappresenterebbe un vero j’accuse contro la «magistratura politicizzata».
Un discorso che descrivono «alto e durissimo nella sostanza», e che certo prefigurerebbe la bandiera di uscita dal governo e quella da sventolare in una prossima campagna elettorale.
Già , ma quando?
Anche nel Pdl c’è chi crede poco ad elezioni entro l’anno: «Napolitano – giura un ministro – tenterà di formare un altro governo, altrimenti si dimetterà ».
Ma non sembra che la minaccia sortisca effetti nell’entourage berlusconiano.
Daniela Santanchè, vicinissima al premier in questi tempi, ieri si è detta «pentita» di aver votato per Napolitano, affermando che a lui sarebbe stato preferibile «anche Prodi».
Parole di chi è pronto alla massima sfida: o Napolitano trova il salvacondotto, o smette di essere interlocutore riconosciuto come super partes da Berlusconi, che ha «una forza pazzesca, e qualcosa farà », voto o non voto.
Restano due settimane per capire se il destino del governo, che oggi appare segnato, potrà im provvisamente cambiare
Paola Di Caro
(da “il Corriere della Sera“)
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