BERLUSCONI RISCHIA DI NON PRENDERE NEANCHE I VOTI DEI CENTRISTI
I TOTIANI VOGLIONO DRAGHI, CALENDA UN MATTARELLA BIS O CARTABIA
Viva Mario Draghi, siamo fedeli a Silvio Berlusconi, meglio un bis di Sergio Mattarella. Il centro recita a soggetto.
Tra i principali partiti di governo e d’opposizione non c’è il regista e forse nemmeno il direttore della fotografia, figuriamoci nel marasma di sigle e deputati che si colloca a metà del guado tra il centrodestra e il centrosinistra, e dalla girandola di vertici, incontri e contatti dei centristi emerge una convinzione: per il presidente di Forza Italia la strada è tutt’altro che spianata, la prova di forza alla quarta votazione, quando il quorum si abbasserà, non è così scontata.
Oggi si è riunita Cambiamo, la formazione che fa capo al presidente ligure Giovanni Toti e al sindaco di Venezia Luigi Brugnaro.
E poi Carlo Calenda, Emma Bonino e Benedetto Della Vedova hanno siglato una federazione tra Azione e +Europa. Berlusconiani, a parole, tendenza Draghi i primi, mattarelliani tendenza Cartabia i secondi. Mette Matteo Renzi è rimasto a guardare tessendo la sua tela.
Difficile unire tutti, difficile che ai blocchi di partenza il corpaccione di capi bastone e peones centristi possa convergere su un unico nome. Ma distillando il succo di una giornata caotica, l’unica certezza è un rallentamento di quella che Berlusconi vorrebbe fosse una corsa trionfale.
Si sfilano decisamente, come era atteso che fosse, Azione e +Europa. Calenda si dice “felicissimo” dell’ipotesi di un secondo mandato di Mattarella, Della Vedova annuisce.
La carta di riserva, messa apertis verbis sul tavolo, è quella di Marta Cartabia. La ministra della Giustizia, a metà del guado tra prudenza e recita a soggetto, ancora non ha consegnato al Parlamento i promessi (entro Natale, secondo l’ultimo aggiornamento) emendamenti sulla riforma del Consiglio superiore della magistratura. “È per non mettersi contro in un sol colpo grillini e magistrati”, commenta una fonte centrista, perorandone la causa.
Cartabia coltiva i suoi rapporti, rimanendo alla finestra, mentre Azione e +Europa si aggiungono al coro montante per il bis dell’attuale presidente della Repubblica. Di tutt’altro avviso Maurizio Lupi, leader di Noi con l’Italia: “Oggi più che mai il nome è quello di Silvio Berlusconi perché è quello che compatta di più la coalizione di centrodestra. È legittimato a farlo perché rappresenta 25 anni della nostra storia politica”.
Poco più in là c’è Cambiamo, sul crinale che separa il fronte berlusconiano dal resto del mondo, e qui le cose si complicano. “Nessun veto su Berlusconi”, ripetono in coro Brugnaro e Toti. I due leader sono planati a Roma per riunire le proprie fila, 32 grandi elettori da far pesare sul piatto della bilancia, i segnali che lanciano al Cavaliere sono tiepidi.
Perché, se è vero che sul leader azzurro non ci sono opposizioni, una fonte del partito spiega che “la gran parte del gruppo vedrebbe benissimo un’elezione di Draghi al Colle. Compresi loro due”.
La linea draghiana di Brugnaro non è un mistero, ma anche Toti ha provato a tirare il freno: “Se Draghi va al Colle il governo va avanti lo stesso. Che problema c’è?”, ha spiegato, tirando un siluro alla minaccia di Berlusconi di staccare la spina nel caso in grande avversario per il Quirinale dovesse spuntarla.
Alla riunione del gruppo si parla di metodo, si vola alto. Il documento unitario, approvato all’unanimità, invoca la necessità di un governo che traghetti il paese fino alle elezioni, la riforma della legge elettorale. Poi sulla partita del capo dello Stato il passaggio più sibillino: “Riteniamo che l’accordo politico per l’elezione del capo dello Stato deve partire da una proposta dei partiti e dei gruppi parlamentari del centrodestra del quale siamo parte integrante. Sottolineiamo al tempo stesso non solo la necessità ma anche la volontà di lavorare per trovare una convergenza più ampia possibile tra le forze politiche presenti in Parlamento”.
Quindi se da un lato non ci sono veti per Berlusconi, dall’altro la sottolineatura di una “convergenza più ampia possibile” tra i partiti lo elimina dal campo di gioco.
Per spiegarla con uno dei presenti: “Se Silvio ha i voti per essere eletto e ce li illustra saremo i primi a sostenerlo. Se va a sbattere in aula il vantaggio del centrodestra sparisce, perché il nome di coalizione verrebbe bruciato e si passerebbe ad altro”. Numeri che dovranno essere solidi, perché, continua il dirigente di Cambiamo, “non sono sicuro che a prescindere lo voteranno tutti”. Ecco, sentite un altro dei presenti: “Alla fine Berlusconi è divisivo, eleggere Draghi sarebbe un investimento per il paese e nei rapporti con Bruxelles per i prossimi sette anni. Speriamo che Salvini lo convinca a fare un passo indietro”.
Prima di riunire i parlamentari Toti e Brugnaro, insieme a Marco Marin, capogruppo alla Camera e a Gaetano Quagliariello hanno incontrato Salvini. E avrebbero illustrato al segretario leghista tutti i propri dubbi sull’operazione B.
“Se Salvini gli fa fare un passo indietro – spiega un deputato – come centrodestra possiamo davvero far passare anche un nostro candidato potabile per il Pd”. Sugli smartphone dei parlamentari rimbalzano le dichiarazioni di Riccardo Molinari, il capogruppo della Lega che ha invocato la messa a punto “di un piano B” qualora l’operazione Silvio sfumi a causa del suo essere “divisivo”. Brugnaro è in costante contatto con Matteo Renzi. Al fondatore di Italia viva non dispiacerebbe affatto l’ipotesi di far traslocare Draghi al Quirinale, i suoi al momento escludono di imbarcarsi in un voto su Berlusconi, ma il pressing da Villa Grande è fortissimo.
Dice però un colonnello renziano: “Quando Salvini conferma che rimarrà al governo anche senza Draghi contribuisce a stabilizzare il quadro. E con un quadro più stabile aumentano le possibilità di trasloco per l’attuale premier”.
Dopotutto Brugnaro l’ha detto chiaro e tondo ai suoi: “Noi pensiamo a una più larga coalizione possibile, ma non saremo noi a togliere le castagne dal fuoco del centrodestra”. Berlusconi è avvertito.
(da Huffingtonpost)
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