BERSANI E LA “DITTA” PRONTI ALL’OPPOSIZIONE
“LA LEGGE ELETTORALE VA MODIFICATA AL SENATO, BERLUSCONI DOVRA’ FARSENE UNA RAGIONE”… E PURE RENZI
Più che una maledizione sembra una persecuzione. È questo numero, il solito numero. Anche ieri sono stati 101 i voti di cui la larghissima maggioranza è stata privata alla Camera, la crepa che d’improvviso s’è aperta sotto il ponte di comando di Matteo Renzi. E ieri, proprio ieri, è riapparso Pier Luigi Bersani .
Le sue parole sembrano una chiamata alle armi, l’invito a schierarsi e a opporsi allo strapotere di Renzi. Autore di una “movida”, realizzatore di effetti speciali, un bim bum bam quotidiano.
Renzi è un “distruttore creativo”, un falco vorace che non ha lesinato a fare entrare nel Pd il corpo di Silvio Berlusconi: “L’avessi fatto io…”.
Bersani annuncia che il Cavaliere dovrà lacrimare un po’. “Se ne dovrà fare una ragione”, dice l’ex segretario prospettando scenari di nuova belligeranza interna.
È un modo per lanciare la sfida a Renzi. Ogni colpo inferto al Cavaliere è uno sgambetto prodotto contro il giovane signore del Pd, oggi padrone assoluto del partito ma regista inesperto, protagonista eccessivo di un cambiamento che muta nel profondo le caratteristiche del partito.
Renzi come ha sferzato la Cgil e l’annunciata opposizione della Camusso al suo job act? “Ce ne faremo una ragione”.
Ecco, è la stessa ragione con cui Bersani chiama alle armi il Senato, dove i numeri ballano, la coalizione arranca, il nervosismo tiene banco.
Quando l’Italicum approderà a palazzo Madama, gli ospiti lo prenderanno a legnate da ogni parte.
Se Gianni Cuperlo, il capo della minoranza interna, annuncia battaglia sulle quote rosa, molto altro fuoco cova sotto la cenere.
I senatori, chiamati alla mossa suicida (approvare il testo e poi spegnere le luci del Senato) inaugureranno il nuovo ostruzionismo che condurrà Renzi nel moto ondoso della precarietà .
Segnali vistosi di scontento e di riorganizzazione di una opposizione interna sono visibili, netti, certi. Prima la Bindi, poi Arturo Parisi, infine Anna Finocchiaro.
L’anima antica del partito emerge e si coalizza con quella giovane (da Cuperlo a Civati) nemica di Renzi.
Si aggiungano i nomi di Enrico Letta e di Bersani e si avrà il conto esatto di quanto sia ondoso il moto nel mare del Pd, e in quali flutti la barca del segretario sarà costretta a navigare.
Al Senato i numeri non sono quelli della Camera, l’intesa con Berlusconi regge per un pugno di interessati sostegni che hanno concesso fiducia condizionata.
E la crescente ed emergente antipatia verso il presidente del Consiglio, il timore di venir mangiati dal suo dinamismo trasversale, e colpiti dal cinismo di cui ha dato prova, produrranno ostruzioni impreviste.
Un accenno, solo uno, già ieri. La legge costituzionale che abolisce le Province si è incagliata, questa volta ad essersi messo di traverso è il partito di Alfano, alleato anch’esso timoroso di venire fagocitato, stritolato dall’intesa a due che si è manifestata con durezza nello scontro appena concluso a Montecitorio.
Pronostico infausto lo affida ai cronisti Daniela Santanchè: “Il Pd non regge, così Renzi non andrà avanti”.
Ma l’intesa esclusiva, il ticket Renzi-Berlusconi, produce segnali di insofferenza persino dentro Forza Italia con Rotondi che dice “facciamo una cosa, mettiamo Renzi come nostro leader tanto è in grado di fare tutto ciò che gradisce Berlusconi compreso il fatto che cerca e trova sempre un accordo con Verdini”.
“Distruttore creativo”, l’ha bollato Bersani.
D’un tratto è comparsa la paura che Renzi remi contro il Pd, le sue quote di potere, i suoi assetti costituiti, le sue alleanze, le sue certezze, le proprie tradizioni.
Renzi ama il potere e ne ha dato prova. Suoi fedelissimi già installati nei posti di comando, e ora nelle sue mani c’è la cifra, davvero smisurata, delle poltrone dei boiardi di Stato da nominare.
Duecentocinquanta nomine, naturalmente non tutte di prima fila, che colorerebbero con il viola fiorentino la prospettiva dell’egemonia del partito nello Stato.
Fermarlo dunque, prima che sia troppo tardi.
Perciò l’appello di Bersani: “La legge elettorale bisognerà modificarla al Senato. E Berlusconi dovrà farsene una ragione”.
E pure Renzi.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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