BERSANI: “IL PATTO DEL NAZARENO UTILE PER FAR SALIRE IN BORSA MEDIASET”
RIUNIONE DI AREA RIFORMISTA A MILANO
“Modernizzatori contro cavernicoli? Non si può mica raccontare così il Pd, io non accetto lezioni di innovazione da nessuno, guardiamo i fatti, mica le chiacchiere…”. Pierluigi Bersani scalda la platea di Area riformista riunita a Milano per una mattinata dedicata alla “sinistra di governo”, quell’ala della minoranza guidata ora dai giovani Roberto Speranza e Maurizio Martina che definisce una “follia” anche solo parlare di scissione e vuole essere “leale” col governo pur da una posizione di “autonomia”.
Ma se i due giovani cercano di rivendicare i risultati ottenuti dalla minoranza, a partire da legge elettorale e Jobs Act, dopo una lunga mediazione con Renzi, i “vecchi leoni” come Bersani e anche Guglielmo Epifani picchiano duro sul premier-segretario. Bersani mette nel mirino non solo l’articolo 18 (“Approccio sbagliato, ora è difficile rimettere il dentifricio nel tubetto”), ma anche il patto del Nazareno: “Dopo l’ultimo incontro Mediaset ha guadagnato il 6% in borsa, allora sto patto sarebbe giusto allargarlo a tutte le imprese, non a una sola…”.
“Non c’è nessuna ragione di legarsi a un patto con Berlusconi, alla lunga può venir fuori l’idea di un trasversalismo paludoso…”.
L’ex leader non è soddisfatto neppure sulla legge elettorale: “Per me il no ai nominati è un punto insuperabile, e credo che in Parlamento se si vuole una maggioranza si trova…”.
Bersani, come Speranza, respinge ancora una volta ogni ipotesi di scissione: “Dobbiamo restare nel Pd e impedire che la nostra gente se ne vada, tenere accesa una fiammella, la sinistra non si risolve nelle parole merito e opportunità , e l’imprenditore e il lavoratore non sono la stessa cosa, ma due figure diverse ognuna con la propria dignità ”.
Anche Epifani è insolitamente duro: “Una fase difficile come questa non si governa alimentando le tensioni sociali, se si eliminano i corpi intermedi si rischia uno sfilacciamento sociale che poi è difficilmente recuperabile”.
Cesare Damiano esordisce parlando a “compagne e compagni”, poi rivendica la mediazione sul Jobs Act: “Quando si ottiene qualcosa bisogna essere orgogliosi, e tuttavia io credo che questa riforma non reggerà alla prova dei fatti”.
Il ministro Martina e il capogruppo alla Camera Speranza fanno la parte dei dialoganti: “Dobbiamo dare una mano al Pd e al governo”, esordisce il primo, ”dobbiamo contribuire alla sfida del governo con le nostre idee, con autonomia e responsabilità , la legge di Stabilità contiene azioni espansive, e anche sulla legge elettorale si sta uscendo dal senso unico del rapporto con Berlusconi, anche grazie a noi”. Su un punto però anche i due giovani leader concordano: “Sui nominati la partita non è finita, c’è una battaglia da fare e la faremo”.
Speranza tira le fila della mattinata: “A Renzi l’ho detto più volte, non servono i ‘signorsì’ e noi non lo saremo. Qui di renziani della quinta o sesta ora non ce ne sono e non ce ne saranno. Noi lavoriamo a un’alternativa, io mi batterò per questo”.
Per Speranza, politico mite, è una sorta di autocandidatura (in largo anticipo) al dopo Renzi. E del resto tutta la regia della mattinata, con la relazione finale affidata al capogruppo, fa capire che è questa la scelta di Area riformista.
“Noi non stiamo con chi ogni giorno vuole tirare freccette al governo, siamo autonomi e diversi da Renzi con la nostra cultura politica”, spiega Speranza.
E aggiunge, rivolto a chi come Fassina e Civati anche venerdì a Milano ha marciato con la Fiom e la Cgil: “Noi lavoriamo per un ponte tra quelle piazze e il Parlamento, e capisco chi si sente a casa sotto quelle bandiere. Ma l’identità di una sinistra riformista va molto oltre quel campo”.
Alla domanda su “stiamo dentro o fuori?”, posta con vis pole mica dal sottosegretario Luciano Pizzetti, la risposta dei presenti è univoca.
“Dobbiamo compartecipare per incidere, altrimenti alimentiamo l’abbandono silenzioso di tanti nostri compagni”, avverte Pizzetti, che per il governo segue i delicatissimo dossier delle riforme istituzionali. Damiano chiede a Landini “rispetto per il lavoro del Parlamento”, Martina invece strapazza i renziani che hanno ironizzato sullo sciopero il 5 dicembre alla vigilia del ponte: “Non deve accadere più, le manifestazioni si rispettano”.
All’appello manca però una larga fetta della minoranza. A Milano sfilano molti parlamentari, ma non ci sono Civati e i suoi, e neppure la Bindi e Cuperlo (“Non mi hanno invitato”).
Assenti anche i duri dell’ala bersaniana, da Fassina a D’Attorre e Davide Zoggia. Che spiega: “L’accordo sul Jobs Act ci riporta alle conclusioni della direzione Pd di settembre, a cui molti di noi avevano votato contro. Non mi sembra un successo. Anche Zoggia, come Francesco Boccia, non ha ancora deciso come votare in Aula sul Jobs Act. Mentre Civati e Fassina sono orientati verso il no.
I bersaniani lavorano a riunire tutte le anime della minoranza. Appuntamento a martedì, con la presentazione di un pacchetto di emendamenti alla legge di Stabilità condivisi da tutte le minoranze, che mirano, in particolare, a cancellare l’aumento di tasse sui fondi pensione, a ridefinire i tetti per i bonus 80 euro e bebè (a favore dei ceti più deboli), a limitare gli sgravi fiscali solo “alle assunzioni aggiuntive e non a quelle sostitutive” e a destinare i proventi delle privatizzazioni a un piano contro il dissesto idrogeologico.
L’obiettivo è quello di tenere dentro anche Civati, sempre più vicino a Sel, convincendolo che “la partita si può ancora giocare dentro il Pd”.
E’ la “fiammella” di cui parla Bersani. Che conclude lodando l’iniziativa: “In sto partito non si riesce mai a discutere. Bisognerà che organizziamo qualcosa noi…”. “Sulle politiche industriali e gli investimenti pubblici bisogna farsi venire delle idee, andare più a fondo nei problemi. E se Renzi non ce lo farà fare lo faremo lo stesso…”
(da “Huffingtonpost”)
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